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I Balcani


NOTIZIE EST #244 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
17 giugno 1999


DOPO LE DISTRUZIONI, LA RICOSTRUZIONE "EUROPEA"


L'EUROPA VUOLE SVOLGERE IL SUO RUOLO NELLA RICOSTRUZIONE
di Lucas Delattre - ("Le Monde", 6 giugno 1999)


**La gestione economica e finanziaria del dopoguerra è oggetto di una concorrenza tra Europa e Stati Uniti**

I costi della ricostruzione nei Balcani saranno "enormi" ha dichiarato venerdì 4 giugno alla CNN Romano Prodi, il nuovo presidente della Commissione Europea. Per quanto riguarda le spese che saranno a carico dei paesi d'Europa, "i costi sono stimati tra i 5 e i 6 miliardi di euro all'anno per un periodo di almeno cinque anni, vale a dire [in totale] il 2% del PIL europeo", ha dichiarato Prodi, per il quale "si tratta di un grande sforzo, ma non al di fuori delle possibilità degli europei".

"La ricostruzione non potrà costare meno di quello che si è già speso per la regione nel corso degli ultimi anni", spiega Yves-Thibault de Silguy. Il commissario europeo per gli affari economici sottolinea che, dopo il 1990, 18 miliardi di euro sono stati spesi nei Balcani (Romania e Bulgaria comprese) da parte dei paesi dell'Unione Europea e delle Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERD). Tali cifre, in larga parte provvisorie, riflettono solo una parte della realtà, perché non comprendono gli aiuti non europei. Inoltre, le necessità variano enormemente da un paese all'altro e per il momento si dispone solo di un quadro molto impreciso.

La Commissione Europea e la Banca Mondiale, che coordinano l'insieme degli aiuti internazionali pr la regione, stanno per creare un segretariato comune a Bruxelles. "Ci sono tre tappe", sottolinea Yves-Thibaut de Silguy. "Innanzitutto bisogna reinstallare i profughi, successivamente bisogna garantire la ricostruzione e coordinare gli aiuti finanziari alla regione, infine bisogna guidare l'inserimento di questi paesi nell'economia mondiale ed europea". Una vasta impresa, che si estenderà per un periodo di almeno dieci o quindici anni.

La regione è sinistrata. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha precisato solo qualche giorno fa l'impatto economico della guerra e il suo costo finanziario. Quest'anno, spiega il FMI, i paesi limitrofi al Kosovo e alla Serbia (Albania, Boznia-Erzegovina, Croazia, Bulgaria, Macedonia, Romania) perderanno da tre a quattro punti di crescita. Peso dei profughi, disorganizzazione del commercio, fuga degli investitori, accesso ridotto ai mercati dei capitali internazionali e interruzione delle riforme economiche in corso, amministrazioni indebolite: sono questi, secondo il FMI, i canali di propagazione della crisi economica.

L'UE è "intenzionata a giocare un ruolo di primo piano nella ricostruzione del Kosovo" e negli stati della regione quando ritornerà la pace, hanno sottolineato i dirigenti dei Quindici riuniti a Cologna. I dirigenti europei hanno chiaramente fatto capire che aiuteranno finanziariamente la Serbia solo se Milosevic lascerà il potere [in realtà, Francia, Italia e, in buona parte, anche Germania, hanno detto chiaramente o hanno fatto capire che non si tratta di una condizione indispensabile - a.f.]: ci sarà denaro a sufficienza per il Kosovo? E' troppo presto per poterlo dire.

Inoltre, "l'Europa non vuole essere il registratore di cassa della ricostruzione", sottolinea Yves-Thibaut de Silguy. In Kosovo, come in Bosnia, l'Europa dovrà finanziare quasi la metà delle spese di ricostruzione. L'amministrazione transitoria in Kosovo "potrà essere diretta dall'Unione Europea", hanno sottolineato i Quindici. I capi di Stato e di governo prevedono la creazione di un'agenzia incaricata di mettere in atto i programmi di ricostruzione europei e che dovrebbe essere "operativa prima della fine dell'estate". A Bruxelles non si vuole più vedere gli americani inaugurare delle infrastrutture finanziate dagli europei, come è successo con l'aeroporto di Sarajevo. "Gli Stati Uniti hanno avuto la guida della guerra, l'Europa dovrà avere la guida della pace", sottolinea Dominique Struss-Kahn in un'intervista pubblicata dal "Telegramme" di Brest il 5 giugno. Il ministro dell'economia e delle finanze sottolinea che la Francia "deve naturalmente avere un posto di primo piano nella ricostruzione economica". [...]


L'ECONOMIA SERBA A PEZZI
di Alexanrdra Schwartzbrod - ("Liberation", 5-6 giugno 1999)


L'impatto dei bombardamenti sull'economia serba è stato valutato di recente da un economista serbo, Pavle Petrovic, direttore del Centro di Studi Economici (Cesmecom) di Belgrado.

Distruzioni. Circa 50 ponti; tutti gli aeroporti civili; la principale stazione di terra per le telecomunicazioni spaziali, la maggior parte delle stazioni di ripetizione TV e svariate centrali telefoniche; centrali elettriche; depositi di petrolio e gas; circa 80 imprese, la maggior parte nel settore dell'industria pesante, con la messa in disoccupazione del 10% degli effettivi dell'industria.

Effetti macroeconomici. Diminuzione brutale dell'attività economica a causa delle penurie, dei problemi di trasporto e della caduta dei flussi commerciali. Durante i primi quattro mesi del 1999, vale a dire prima dei bombardamenti, l'attività economica era già drasticamente calata. Si stima che dopo due mesi di bombardamenti essa sia circa al 60% del livello del 1998.

Prima degli attacchi, il salario medio mensile era di 100 dollari, il reddito medio di una famiglia di 3,3 persone era di 250 dollari. Dopo di essi, i salari sono diminuiti del 20-30%. I consumi sono diminuiti dolo del 10-15%, perché la popolazione ha attinto ai suoi risparmi e non ha più pagato servizi come l'elettricità, i telefono ecc.. Ma nei mesi che verranno i consumi dovranno calare del 60%, con la conseguenza di un aumento della povertà: si stima che dal 45 al 50% della popolazione scenderà sotto la soglia della povertà (20% prima della guerra). Lasciata a sé stessa, l'economia del paese non potrà che ristagnare. [...]

"La ricostruzione dell'infrastruttura economica jugoslava sarà un compito notevole e costerà decine di miliardi di dollari", ha ammonito la commissione economica delle Nazioni Unite per l'Europa, prevedendo che l'assistenza "ufficiale" (FMI, Banca Mondiale, UE) dovrà essere gigantesca. "Fino a quando la sicurezza non sarà reinstaurata nella regione, è poco probabile che i capitali privati esteri affluiscano", secondo l'ONU.

[...] Ma il dramma della Serbia è che ancora prima dei bombardamenti della NATO la sua economia era considerata come "moribonda". Un anno 1997 contraddistinto da una forte depressione; l'inflazione vicina al 50%; la disoccupazione ufficialmente al 27%, ma secondo dati non ufficiali al 50%, mentre i sindacati stimano che le distruzioni della NATO abbiano aggiunto 600.000 disoccupati al milione citato dalle autorità prima della guerra. Con un salario medio compreso tra 750 e 950 dinari (1 marco tedesco valeva 6 dinari ufficialmente, 8 dinari al mercato nero l'estate scorsa e 10 dinari oggi), gli jugoslavi erano gli operai meno pagati d'Europa. "Nel marzo 1998 erano necessari due salari medi per coprire i bisogni più elementari di una famiglia di quattro persone", scrive Daniela Heimerl. Rispetto al 1989 l'industria serba aveva perduto già nel 1998 più del 70% delle sue capacità e la ricchezza nazionale si era ridotta della metà. Il deficit di bilancio non era noto, ma le spese pubbliche erano state stimate come pari al 54% del PIL. Il debito estero arrivava a 11,5 miliardi di dollari.

[...] "[I piani di] privatuzzazione avviati non erano motivati da altro che il bisogno del governo di procurarsi fondi e non dalla volontà di trasferire imprese oberate da debiti a investitori capaci di apportare dei capitale freschi", nota Daniela Heimerl, spiegando che il sistema della nomenklatura costituisce un freno alle messa in atto delle riforme: "Svariate personalità del Partito Socialista e dei suoi alleati, tra le quali il Primo ministro e il Presidente della Jugoslavia, sono alla testa di imprese pubbliche che beneficiano di un regime di quote e di tariffe torbido". Secondo l'esperto del Ceducee, si sarebbero "900 complessi industriali di Stato che rappresenterebbero l'1,3% della produzione industriale, ma darebbero lavoro al 52% dei salariati e sarebbero responsabili dell'82% del deficit annuale. Gestiti per la maggior parte dalla nomenklatura, essi ricuperano le perdite mediante abbondanti sovvenzioni. Così, più lavorano e più il paese si impoverisce".

[...] L'ampiezza dei lavori necessari è gigantesca ed è proprio in ciò che, paradossalmente, risiede la possibilità del paese di uscire dal baratro nel quale era precipitato ben prima dei bombardamenti. Perché la Serbia occupa uno spazio strategico al cuore dell'Europa: dalla sua rete di trasporti dipende la salute economica di tutti i paesi della regione. Per riparare i disastri causati dalla guerra dovrà quindi essere dispiegato il massimo dei mezzi. A condizione naturalmente che Milosevic non resti al potere.