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![]() NOTIZIE EST #252 - JUGOSLAVIA/KOSOVO 8 luglio 1999 ORA VIENE LA LOTTA PER IL POTERE di Anna Husarska - ("New Republic", 27 giugno 1999) PRISTINA, Jugoslavia - L'albanese kosovaro ha notato il logo di "New Republic" sul mio berretto e si lascia andare a un sorriso aperto. "Ehi, anche noi ora siamo di una nuova repubblica", annuncia trionfalmente. Dovunque mi sia recata questo mese in Kosovo, il nome della mia rivista mi ha reso popolare. In breve ho dato via tutto quanto avevo che recasse il suo logo: prima il berretto, poi la maglietta e infine anche la canottiera. Perfino i miei biglietti da visita sono stati un successo tra gli albanesi, convinti che la loro fosse l'unica "nuova repubblica" che contasse. Il governo degli USA, così come l'intera comunità internazionale, hanno naturalmente un'idea diversa: una repubblica del Kosovo indipendente non viene presa in considerazione come possibile esito dell'operazione ONU/NATO. Ma tra il caos generale che regna qui, mentre fazioni locali lottano per il potere, questa mancanza di accordo sullo status finale della provincia non sembra avere importanza, almeno per il momento. Non importa agli albanesi del Kosovo, i quali agiscono come se questa fosse in effetti la loro nuova repubblica; i loro rappresentanti prendono il potere nelle municipalità abbandonate dall'amministrazione dominata dai serbi, che si è ritirata con l'Esercito jugoslavo. Non importa ai serbi del Kosovo, i quali maledicono Slobodan Milosevic e fuggono a migliaia, nel timore di una vendetta da parte degli albanesi. E non importa alla comunità internazionale, che ha stabilito un suo protettorato sul Kosovo, innalzando la bandiera blu dell'ONU sulla cima degli edifici di cui ha assunto il controllo dopo che l'esercito jugoslavo se ne è andato - ed è qui per rimanere almeno un anno e probabilmente ancora di più. La Missione di Amministrazione Temporanea dell'ONU in Kosovo - giù diventata nota con lo scomodo acronimo UNMIK - si trova a essere la terza autorità suprema che rivendica la gestione della provincia, accanto ai due "governi" albanesi in competizione di Ibrahim Rugova e di Hashim Thaqi. Ma nel Kosovo, distrutto dalla guerra, che si sta lentamente riprendendo dall'esodo albanese ed è sabotato dai serbi, il potere appartiene a coloro che ripristinano l'elettricità - e anche l'acqua, la pace, la raccolta dei rifiuti - e a tutto questo provvederà la missione ONU. Felici di lasciare il ripristino dei servizi pubblici agli stranieri, i due "governi" locali - entrambi non riconosciuti internazionalmente - competono per il potere nonostante la loro impotenza. Per loro, il potere e la capacità di governare sono stati più virtuali che reali dal 1989, quando al Kosovo è stata tolta la sua limitata autonomia e imposta l'amministrazione diretta da Belgrado. Rimarranno virtuali per tutto il periodo durante il quale la missione internazionale definirà il suo ampio mandato come un protettorato di fatto, sostenuto dalla forza militare dell'ONU in Kosovo (KFOR), che ha una tolleranza pari a zero per i comandanti da strapazzo che creano i loro feudi locali. A parte il fatto che parlano entrambi albanese, Rugova e Thaqi non hanno nulla in comune. Rugova è anziano e spossato e ha l'aria di un europeo. Thaqi è giovane e indomito de è un ragazzo di campagna. Potrebbero ritrovarsi ad affrontarsi in occasione delle elezioni, che probabilmente non si terranno fino alla fine del prossimo anno e di cui è troppo presto prevedere l'esito. L'unità non è il forte degli albanesi e i due uomini non troveranno facilmente un compromesso. Il "governo" di Rugova è quello che resta della Lega Democratica del Kosovo, una formazione esistente da dieci anni, la cui caratteristica principale è stata la non violenza e il cui risultato principale è stata l'inazione. Nel 1989, l'annus mirabilis dell'Europa, l'anno in cui tutto era possibile, Rugova, che ha studiato alla Sorbona, si è messo la sciarpa che costituisce il suo marchio registrato, e ha assunto la leadership della LDK. Come scrittore dissidente che predicava la non violenza, poteva ragionevolmente attendersi il sostegno internazionale. Tre anni dopo è stato eletto "presidente" del Kosovo (come l'unico candidato, con elezioni non riconosciute e non verificate da osservatori) e ha avviato un regno sempre più autoritario sopra uno stato parallelo con un sistema di educazione e medico indipendente dalle autorità serbe, ma non molto di più. Nel marzo del 1998, quando Rugova si è ritrovato ancora una volta a essere l'unico candidato, le elezioni sono state boicottate dalla maggior parte dei gruppi di opposizione albanesi, che ne avevano abbastanza di questo burocrate di partito "finto-Gandhi". In quel momento, la credibilità di Rugova negli ambienti più colti di Pristina era ormai stata fortemente intaccata per i suoi metodi dittatoriali, per l'invisibilità del suo governo in esilio e per il pacifismo passivo della LDK. Ma l'Occidente, innamorato di un partner non violento, ha continuato a favorire Rugova, prolungando così artificialmente la sua popolarità. "Visto che Holbrooke si incontra con lui, deve essere una persona assolutamente a posto", mi ha detto apologeticamente il proprietario di un bar di Malisevo, quando gli ho chiesto lo scorso autunno perché avesse appeso nel suo locale un ritratto di Rugova. Dieci anni di culto della personalità non possono finire nel giro di una notte. Nell'ottobre del 1997, gli studenti albanesi del Kosovo che studiavano nella "università parallela" - che operava nelle moschee, nelle cantine e negli appartamenti privati di Pristina - hanno protestato pacificamente nelle strade. I serbi hanno reagito con relativa moderazione - idranti, manganelli nessuno sparo, pochi arresti. Gli studenti hanno perso le loro paure paralizzanti. Ma invece di cogliere il momento, Rugova si è opposto alle dimostrazioni pacifiche. Questo sbaglio ha ulteriormente discreditato lui e il movimento non violento nel suo complesso. Nel frattempo, ben mezzo milione di Kalashnikov si era reso disponibile con il crollo dell'Albania nel 1997 e non c'era nulla che potesse fermare una resistenza armata. E' stato questo il momento in cui l'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) si è trasformato da un mito e da uno stato d'animo in un gruppo concreto di albanesi pronti a morire per la loro nuova repubblica. Signori della guerra per alcuni, combattenti della libertà per altri, sono stati gli unici salvatori a disposizione in quel momento. Non vi è da meravigliarsi, quindi, che ai colloqui di pace di Rambouillet del febbraio scorso, un anno dopo l'inizio dei primi importanti scontri tra l'UCK e l'esercito jugoslavo, Rugova, che ha 55 anni, sia stato messo totalmente da parte e abbia dovuto accettare a malincuore che Thaqi, 29 anni, uno dei comandanti dell'UCK e suo leader politico, guidasse la delegazione degli albanesi. Thaqi aveva il curriculum classico della sua generazione. Dopo avere studiato storia quattro anni nella "università parallela", si è recato in Europa Occidentale come molti dei suoi contemporanei, e poi è tornato a combattere con l'UCK. Non è ancora stato sottoposto a prova, dal punto di vista politico; la sua popolarità (soprattutto presso i giovani) si basa sulla sua partecipazione all'UCK. Durante i mesi degli attacchi aerei della NATO, si è diviso tra i combattimenti sul campo e i tentativi di mettere insieme un governo in esilio in Albania. Poi ha cominciato a viaggiare in Occidente per promuovere la causa del Kosovo. Nel frattempo, Rugova si incontrava con Milosevic a Belgrado, un incontro ampiamente pubblicizzato che ha segnato la fine della credibilità del kosovaro tra il suo stesso popolo. "Ha perso la faccia, gli rimane solo la sciarpa", mi ha raccontato un amico, laureato in filosofia a Pristina. Poco dopo, il "presidente" è riemerso a Roma e ha cominciato a girare le capitali occidentali. In quei giorni, un albanese del Kosovo che era stato deportato in Macedonia mi ha detto ironico: "Non c'è albergo a cinque stelle in cui Rugova non soggiornerebbe per promuovere l'indipendenza del Kosovo". Una delle disposizioni dell'accordo di Rambouillet (firmato dalla delegazione albanese, ma non dai serbi) era la creazione di un'autorità provvisoria. Così, all'inizio di aprile, Thaqi ha annunciato la composizione del suo governo, nonostante quello nominato da Rugova nel 1992 non fosse mai stato sciolto. Thaqi è diventato primo ministro e ha nominato cinque ministri dell'UCK. Altri cinque posti ministeriali sono stati assegnati al Movimento Democratico Unito (LBD), un partito di opposizione. Tre dei cinque ministri civili del LBD erano ex prigionieri politici, ciascuno con 10 anni dietro le sbarre. Sono noti e rispettati dagli albanesi del Kosovo, ma hanno un'esperienza politica molto scarsa in tutto ciò che è anche solo remotamente connesso con l'esercizio del potere, dato che "politica" nei dieci anni precedenti significava nella maggior parte dei casi sognare intorno al tavolo di un caffè, o tramare del tutto teoricamente in sedi di partito semiclandestine. Per rendere le cose ancora peggiori, non c'è stato alcun tempo per una selezione attenta, così le capacità personali di questi tre funzionari non corrispondono alle cariche che occupano: il Ministro della Giustizia Hydajet Hyseni è uno scrittore e non un esperto in diritto, e né il vice-primo ministro Mehmet Hajrizi, né il Ministro dell'Informazione Bajram Kosumi parlano alcuna lingua straniera. Il secondo posto di vice-primo ministro è stato riservato alla LDK, il partito guidato da Rugova. Ma la probabilità che Rugova o suoi sostenitori prendano parte al governo Thaqi sono scarsissime. Da Rambouillet, i leader dell'UCK e della LDK si sono incontrati solo una volta, quando sono stati invitati a cena dal Segretario di Stato Madeleine Albright, ma si sono detti molto poco l'un l'altro e, dopo tutto, Albright non è molto ferrata come traduttore dall'albanese all'albanese. Il "governo" Thaqi sta forse avendo la meglio, per il momento, nella guerra per il potere, ma il suo status è ancora molto traballante. Questo mese ha aperto la sua sede in una spaziosa villa in un sobborgo di Pristina (raggiungibile solo attraverso una strada sterrata), messagli a disposizione da un ricco imprenditore albanese e che deve condividere con l'alto comando del distretto UCK di Llap. Ma a parte l'edificio sontuoso, l'autorità provvisoria è davvero provvisoria: non ci sono telefoni di alcun tipo, né veicoli, e le stanze da letto della leadership sono gli stessi locali in cui si lavora. Fino alla dichiarazione del 21 giugno firmata da Thaqi a nome dell'UCK e accettata per conoscenza dal tenente colonnello britannico Mike Jackson, comandante delle truppe NATO in Kosovo - un documento che fissava le scadenze per la smilitarizzazione dell'UCK - la sede del governo provvisorio di Thaqi aveva soldati in piena uniforme che facevano da guardie, tutte con kalashnikov. La misera dimostrazione di forza dell'UCK è francamente patetica, rispetto al dispiegamento di truppe della KFOR. Nel centro di Pristina, ogni pochi minuti passa un carro armato della KFOR e le sentinelle che fanno le loro ronde mi fanno pensare a Belfast. E' interessante notare che i due maggiori cervelli politici del Kosovo rifiutino entrambi di impegnarsi in politica. Blerim Shala, 36 anni, e Veton Surroi, 38 anni, sono entrambi giornalisti. Il primo è direttore dell'eccellente settimanale Zeri (La Voce), il secondo è proprietario del quotidiano più popolare, Koha Ditore (Il Tempo del Giorno). Tutti e due sono stati membri della delegazione albanese a Rambouillet e successivamente sono tornati a Pristina. Quando gli attacchi aerei sono cominciati Blerim è stato deportato in Macedonia; Veton è riuscito a nascondersi con sua madre, di 64 anni, ma sua sorella, Flaka, è stata espulsa. Paradossalmente, la reputazione di entrambi questi due uomini è aumentata nel corso di tale periodo. Blerim si è dimostrato un insostituibile portavoce della sua nazione, viaggiando all'estero e dando un volto umano alle masse che erano in fuga. Veton è riuscito a stare al proprio posto e si è guadagnato un diverso tipo di rispetto - quello che viene dal riuscire a resistere sotto le bombe. Nessuno di loro ha un lungo soggiorno in prigione nel proprio curriculum, ma in compenso sono rispettati localmente. Entrambi vengono consultati quotidianamente dai diplomatici esteri e dai giornalisti, ma ciascuno di essi vuole rimanere lontano dall'esercizio del potere; Veton dà qualche segno di volere attendere che le acque politiche si calmino prima di un'eventuale entrata in politica. Alcuni giorni fa ho conversato con Veton sul futuro del Kosovo. Veton ha espresso questo consiglio alla comunità internazionale che opera qui: "Non esitate. Siate coloniali". Un protettorato forte e lungo darà al popolo del Kosovo il tempo necessario per trovare basi comuni e cominciare a lavorare. |