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![]() NOTIZIE EST #254 - JUGOSLAVIA/KOSOVO/MACEDONIA 10 luglio 1999 PAESAGGIO DOPO LA BATTAGLIA: PARLANO I LEADER ALBANESI DEL KOSOVO E DELLA MACEDONIA (1a parte) [Nelle ultime due settimane pressoché tutti i leader politici albanesi del Kosovo e della Macedonia hanno dato interviste a svariati giornali, ultimo arrivato, dopo un lungo silenzio, Rugova. Ciò consente di avere un interessante panorama politico complessivo delle varie posizioni, anche se va subito notato che si tratta di un quadro davvero desolante, fatto di reticenze, bizantinismi e supinità alle posizioni occidentali. In questa prima parte riportiamo le interviste rilasciate da Thaci, responsabile politico dell'UCK e primo ministro di uno dei tanti governi del Kosovo, Rugova, formalmente ancora presidente del Kosovo "parallelo", e Xhaferri, leader del DPA, il partito degli albanesi di Macedonia che fa parte della coalizione governativa di Skopje. Le interviste sono state pubblicate rispettivamente da "Liberation", "Le Monde" e "Nova Makedonija" - a.f.] HASHIM THACI D: E' più difficile essere capo del governo in un Kosovo sotto protettorato internazionale o fare la guerra? R: E' la continuazione dello stesso lavoro con altri mezzi e le cose stanno andando piuttosto bene. Speriamo che con l'entrata in carica di Bernard Kouchner le cose andranno ancora più rapidamente. Il lavoro che lo attende e che attende anche noi è immenso. Bisogna permettere l'integrazione dei kosovari in una società civile moderna e democratica, garantire la sicurezza e ricostruire la maggior parte delle infrastrutture. Bisogna anche consentire il ritorno dei serbi, che devono trovare il loro posto in un Kosovo multietnico. Alla fine, dovremo organizzare delle elezioni democratiche. Tutto questo processo ha implicato la smilitarizzazione dell'UCK, cosa che richiede anche la sua trasformazione. D: A cosa serve il governo provvisorio, quando il solo vero potere appartiene all'Unmic [la missione dell'ONU in Kosovo - N.d.T.], che nomina i giudici, i prefetti, i sindaci? Alcuni sottolineano che lei si trova nella stessa situazione in cui si trovava un tempo Ibrahim Rugova, con le sue istituzioni parallele impotenti nei confronti del potere serbo. R: La situazione è completamente differente. Lui poteva al massimo tenere delle conferenze stampa. Noi parliamo, ma allo stesso tempo lavoriamo, e collaboriamo con la comunità internazionale. L'Unmic e noi siamo complementari. Loro fanno delle proposte che possono essere discusse e le nomine vengono fatte dopo che noi siamo stati consultati. L'amministrazione civile internazionale e il governo non possono funzionare separatamente. Il nostro governo è un organo pienamente legittimo, perché è stato creato dopo le discussioni tra tutte le forze politiche albanesi rappresentate a Rambouillet. D: Molti albanesi si rendono conto che la guerra è stata vinta dalla NATO, e non dall'UCK. Cosa ne pensa lei? R: Senza la lotta dell'UCK non ci sarebbe stato l'intervento della NATO. L'appoggio internazionale è nato dalla simpatia per la nostra causa. Abbiamo dimostrato che eravamo una resistenza democratica. Abbiamo saputo organizzare il popolo durante la guerra, lo sapremo fare durante la pace. D: L'UCK non rischia di scindersi, trasformandosi in un movimento politico? R: Fin dalle sue origini, l'esercito del Kosovo è stato diretto da una struttura politica. Quest'ultima funziona ancora oggi e i nostri obiettivi rimangono gli stessi. La libertà e la pace per il Kosovo, l'integrazione nell'Europa, la libera circolazione in tutta la regione. Più ancora che dell'indipendenza nazionale, noi abbiamo bisogno di una nuova risistemazione globale interbalcanica fondata sulla tolleranza e il rispetto reciproci. Vediamo degli elementi positivi in tale direzione sia in Macedonia che in Albania. Sfortunatamente questo non è il caso in Serbia. O la Serbia si trasforma, oppure si isolerà sempre più dal resto del mondo. D: L'ONU ha ribadito la sovranità di Belgrado sul Kosovo. Voi rivendicate l'indipendenza come la quasi totalità degli albanesi del Kosovo. Cosa farete? R: La risoluzione dell'ONU non è definitiva. Lo status del Kosovo è provvisorio e, entro tre o cinque anni, ci sarà una conferenza internazionale per decidere il suo futuro. Ogni popolo deve esprimere la propria volontà. In ogni caso, la vita comune con la Serbia è inaccettabile per la schiacciante maggioranza del popolo del Kosovo. Si sono verificati degli avvenimenti terribili, non possono essere dimenticati. Queste atrocità hanno fatto perdere ogni legittimità alla dominazione di Belgrado sul Kosovo. D: Il vostro governo è autoproclamato. Ibrahim Rugova è stato rieletto nel 1998. Per voi è il presidente della Repubblica autoproclamata del Kosovo? R: Lo rispetto, ma il suo partito, la LDK (Lega Democratica del Kosovo), non è il Kosovo. Non ci sono state delle vere elezioni libere per il Parlamento e la presidenza, quanto piuttosto un'usurpazione da parte di un potere parallelo. Inoltre, Ibrahim Rugova boicotta le nuove realtà che stanno nascendo qui. E' assente dalla ricostruzione delle istituzioni democratiche ora in corso e trascura allo stesso tempo la comunità internazionale. (da "Liberation", 9 luglio 1999) IBRAHIM RUGOVA Senza la sua tradizionale sciarpa, abbronzato, sorridente, Ibrahim Rugova ha annunciato che rientrerà nel suo paese la settimana prossima. Un ritorno definitivo? Nulla è sicuro. Due mesi dopo il suo arrivo a Roma, il 5 maggio, il dirigente pacifista del Kosovo vuole rendersi conto della situazione e valutare il livello di ritorno alla normalità. Prima di procedere a questo ritorno giudicato tardivo, Rugova ci ha confidato le sue impressioni. D: Perché ha atteso così a lungo prima di rientrare nel suo paese? R: Per motivi di sicurezza. Il mio segretario si è recato sul posto per rendersi conto di cosa succede. Il mio ufficio, quello della Lega Democratica del Kosovo (LDK), ha ricominciato a lavorare. Ci sono ancora molte persone con i fucili, serbi e membri dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK). Chiedo un po' di tempo, che la situazione si sia chiarita. Ormai, bisogna lavorare insieme. Sarà più facile perché il popolo sta tornando e contribuirà a calmare la situazione. La vita pubblica ed economica ricomincia. La vita democratica si riorganizza. I dirigenti dei partiti politici tornano. D: Cosa ha intenzione di fare? Quali sono i suoi primi obiettivi? R: Andare a trovare e incontrare le persone di livello internazionale, i militari, le organizzazioni, Bernard Kouchner, che è appena stato nominato. D: Il Kosovo sarà diviso tra i suoi sostenitori e quelli che appoggiano l'UCK, cosa conta di fare per riconciliare i due campi? R: Può darsi che vi sia una divisione all'interno delle élite, ma non in seno alla popolazione. Quest'ultima mi rispetta come presidente eletto e io resto il suo leader politico. Con l'amministrazione internazionale e la forza militare faremo procedere le cose fino alle elezioni. Il primo obiettivo da conseguire per il momento è la ricostruzione della vita democratica e le istituzioni e bisogna farlo concretamente, con le organizzazioni che sono venute per aiutarci. Degli albanesi che erano stati espulsi da dieci anni hanno cominciato a tornare nei loro villaggi, nelle imprese, nella magistratura. E' un buon segno. Incontrerò tutti, ivi compreso l'UCK, al fine di sapere cosa pensa ognuno. E' una fase nella quale bisogna essere molto tolleranti per non creare dei conflitti. Questo è stato sempre il mio modo di fare. D: Lei parla di riconciliazione tra tutti i Kosovari, di origine serba e albanese, ma dopo tutto quello che è passato è veramente possibile? R: Ci sono stati i massacri, ma bisogna cominciare questa riconciliazione con i serbi e creare le condizioni perché ritornino. C'è stata della propaganda da parte di Belgrado, che ha chiesto loro di partire per compromettere l'intervento della NATO e l'assistenza internazionale. Bisogna riconciliare, perdonare. Ci sono dei serbi che sono restati. La riconciliazione è possibile ed è più facile con l'amministrazione internazionale e la forza militare. Noi abbiamo una tradizione di riconciliazione tra di noi e i serbi. Fortunatamente, in passato non ci sono stati grandi conflitti tra gli albanesi e Belgrado. D: Cosa si attende da Bernard Kouchner? R: La ricostruzione della vita politica, sociale ed economica del Kosovo. Ritengo che Bernard Kouchner abbia una grande esperienza in Europa e nelle Nazioni Unite, e conosce bene il problema del Kosovo, visto che ci è stato già nel 1991. E' una buona scelta ed è una persona energica. D: Come vede l'evoluzione della fase transitoria prima delle elezioni e per quale scadenza spera di ottenere l'indipendenza? R: A Rambouillet si parlava di tre anni. Potrà essere un po' di più o un po' di meno, dipenderà dall'evoluzione della situazione, dal grado di stabilizzazione. Elezioni in tempi rapidi saranno la cosa migliore. Ora siamo in una fase transitoria e domani ci sarà la possibilità per il popolo di votare a favore dell'indipendenza o di continuare a fare parte della federazione jugoslava. Non posso garantire cosa voterà domani, ma la cosa migliore è l'indipendenza. D: Lei è favorevole alla costituzione di una Grande Albania? E' qualcosa di possibile, di desiderabile? R: Quello che vuole il popolo albanese del Kosovo è la sua indipendenza. E' la soluzione ideale, anche per la Serbia e la Macedonia, che rimarranno stabili. Tutti i popoli potranno così vivere insieme. Se si comincia con l'idea di una grande Albania, non si sa dove tutto ciò potrà portare. E' un'utopia. Bisogna conservare le nostre frontiere. Non abbiamo chiesto di cambiarle. Bisogna solamente che siano aperte. D: Come può la Serbia accettare che il Kosovo diventi indipendente? R: Deve accettarlo se si vuole integrare nell'Europa. La scelta è tra il cambiamento o il proseguimento dell'isolamento. Spero che la logica serba cominci a modificarsi, che guardino innanzitutto verso l'Europa. Tutto questo dipende dal popolo serbo, da un cambiamento democratico. Oggi l'inizio di questo cambiamento si manifesta. Sono delle schiarite. D: Diverse centinaia di intellettuali kosovari sono stati portati in Serbia e sono detenuti come ostaggi. Lei è intervenuto a favore della loro liberazione? R: La ho chiesta e spero che l'amministrazione internazionale ci aiuterà. Hanno preso qualche intellettuale, qualche giornalista, dei responsabili umanitari che erano, come me, isolati. A mio avviso, sono svariate decine di persone. Il comitato per i diritti dell'uomo se ne sta occupando. Li libereranno. D: Dopo settantotto giorni di attacchi aerei, lei è soddisfatto di come si sono evolute le cose? E' il migliore scenario possibile? R: Sì, perché tutto si è svolto in maniera relativamente rapida, cosa che ha permesso un ritorno rapido dei profughi. In caso contrario si sarebbero dispersi nel mondo e non sarebbero tornati, come è accaduto in Bosnia, in Croazia. E' questo il motivo per cui sono più ottimista. I kosovari hanno già cominciato a ricostruire le loro case, a organizzare dei mercati. E' un popolo intraprendente. D: Quali sono i suoi sentimenti alla vigilia del ritorno a Pristina? R: L'emozione di ritrovare il Kosovo libero, di trovare infine la presenza della comunità internazionale che reclamo da dieci anni. E' la prima volta che mi ritroverò libero in Kosovo. Una libertà che non abbiamo mai avuto da un secolo. Dialogherò con l'UCK. Tutti devono partecipare, assumersi le proprie responsabilità. Bisogna integrarli, calmarli. Già a Rambouillet hanno avuto il loro posto. Ora conteranno le elezioni. D: Per quanto tempo la forza internazionale rimarrà in Kosovo? R: Dipende dal modo in cui la situazione si evolverà. Ma noi abbiamo bisogno di questa presenza per qualche tempo, tre anni o più, affinché ci aiuti a democratizzarci, a costruire delle istituzioni moderne. Questa presenza ci consente di procedere più velocemente e di evitare che insorgano dei nuovi problemi. Per noi è una chance e una preparazione all'integrazione nell'Europa". (da "Le Monde", 10 luglio 1999 - intervista a cura di Michel Bole-Richard) ARBEN XHAFERRI Ecco alcuni brani di una lunga intervista concessa di recente al quotidiano "Nova Makedonija" da Arben Xhaferri, leader del DPA, il partito degli albanesi di Macedonia che attualmente fa parte della coalizione di governo di Skopje: D: Come guarda all'entrata delle forze della KFOR in Kosovo - si attende che ripuliscano il terreno per creare un Kosovo etnicamente pulito? E il futuro della provincia lo vede come quello di una repubblica del Kosovo indipendente? R: Le forze della KFOR hanno la missione di interrompere gli scontri, l'esodo degli albanesi, la pulizia etnica, la distruzione sistematica dei valori umani, in particolare quelli degli albanesi, e di ristabilire l'ordine e la pace. La KFOR in Kosovo non è la filiale di nessuno, bensì una forza militare, presente per implementare alcuni accordi internazionali validi e, quel che è ancora più importante, per introdurre un nuovo sistema di valori che impediranno il riprodursi degli scontri etnici. Per il tramite degli albanesi del Kosovo, i Balcani vengono visti come un contesto che deve essere nuovamente rivitalizzato. Forse è paradossale, ma il Kosovo è una possibilità per tutti, per l'intera regione, ha portato progetti europei nei Balcani per l'introduzione di visioni moderne per il funzionamento di una società positiva. Il Kosovo era un'entità costitutiva della ex Jugoslavia, che automaticamente, in caso di dissoluzione, acquisiva il diritto all'autodeterminazione fino alla separazione. La nostra linea è che il diritto all'autodeterminazione deve essere dato a tutti soggetti che erano parte di questo accordo, e il Kosovo ne era parte. D: Qual è la posizione del DPA rispetto al disarmo dell'UCK? E' possibile attendersi altre divisioni tra i leader delle varie fazioni delle formazioni armate dell'UCK? R: Il fenomeno del disarmo dell'UCK non rappresenta un problema politico, quanto piuttosto psicologico. Si possono presentare problemi legati al fenomeno del congedo di soldati che sono entrati nelle fila dell'UCK, convinti nel proprio animo di svolgere una grande missione patriottica. Tutti i soldati che hanno degli ideali si troveranno ad affrontare questo problema. D: Qual è la posizione del DPA rispetto al ritorno dei profughi in Kosovo? Se qualcuno di loro vorrà restare definitivamente in Macedonia, verranno aiutati in questo loro obiettivo? R: Così come ha lavorato sistematicamente per l'accoglienza dei deportati dal Kosovo, il DPA lavorerà responsabilmente e sistematicamente per il loro ritorno. Siamo convinti che tutti, fino all'ultimo, al massimo entro il primo di agosto, saranno ritornati alle loro case. Bisogna infine capire che d'ora in avanti il Kosovo sarà una grande sfida, una grande occasione per una vita pacifica e fruttuosa. Gli albanesi in Kosovo avranno più diritti di quelli che hanno in Macedonia. D: Qual è la sua opinione sull'incontro tra il premier Ljubco Georgievski e il leader dell'UCK Hashim Thaci, attuale premier del governo temporaneo del Kosovo? E cosa significa per lei l'apertura di sedi ufficiali a Pristina e a Skopje? R: Con Hashim Thaci fino a oggi si sono incontrati molti eminenti politici esteri e bisogna desatanizzare l'incontro con il principale fattore non solo della politica albanese in Kosovo, ma anche della stabilità nella regione. E' paradossale che questo incontro sia stato satanizzato come antiserbo. Il premier Georgievski si è interessato in questo incontro alle possibilità per una presenza della minoranza serba in Kosovo, alle modalità della vita comune e ai destini della cultura ortodossa, dei monasteri e delle chiese del Kosovo. Per quanto riguarda l'apertura di sedi a Skopje e a Pristina, ritengo che il nuovo ritmo e il nuovo sistema di rapporti e di valori che verrà instaurato nella regione, contribuirà a fare considerare queste sedi come un fenomeno normale, e non come drappi rossi sventolati di fronte a un toro. D: Perché Arben Xhaferri non ha ricevuto Ibrahim Rugova, suo amico e compagno politico di lunga data fin dai tempi del Kosovo, mentre ha invece parlato con Hashim Thaci come con un rappresentante legittimo del nuovo potere? [Nota: Il DPA ha assunto questo nome nel 1997, ricalcandolo chiaramente su quello del Partito Democratico di Berisha, con il quale fino alla crisi del Kosovo ha avuto strettissimi rapporti. Il DPA ha sempre avuto in passato come proprio referente politico in Kosovo Rugova, la svolta è recente. Xhaferri ha (aveva) rapporti di amicizia personale con Rugova, conosciuto quando ha studiato presso l'Università di Pristina - N.d.T.] R: Rugova lo conosco da lungo tempo, già dai primi giorni del suo impegno politico. Come funzionario della televisione ho partecipato in prima persona alla creazione della sua immagine pubblica di leader intellettuale degli albanesi del Kosovo. Con l'approfondirsi della crisi in Kosovo, Rugova è sempre più entrato nel terreno del simbolismo, mentre il terreno pragmatico, la funzione motrice, è stato preso dall'UCK e dai suoi leader. D: Il DPA, in quanto partito della coalizione di governo, come vede il futuro della Macedonia? R: Riteniamo che il tempo lavori per il futuro dell'intera regione e, quindi, anche per la Macedonia. L'Occidente, attraverso il Kosovo, sarà direttamente coinvolto nel rinnovo della regione e la Macedonia potrà svolgere un ruolo chiave in questo processo. L'unica cosa di cui abbiamo bisogno è la saggezza. La Macedonia si libererà sempre di più dei politici provinciali, dei paranoici locali, degli ideologismi, e si armonizzerà sempre di più con le istituzioni dell'Europa occidentale. Vediamo la Macedonia come un angolo tranquillo, un contesto multietnico con meccanismi che garantiscano l'eguaglianza degli interessi multietnici. D: In una sua intervista rilasciata alla BBC all'inizio del mese scorso, lei ha affermato che è esistito un pericolo reale che il governo Georgievski cadesse e che il DPA ha aiutato ad adottare difficili decisioni per mantenere la stabilità della Macedonia, cosa che è anche nel vostro interesse. Anche in futuro questo rimarrà il vostro obiettivo e interesse primario? R: Nel corso della crisi del Kosovo la Macedonia è stata esposta da numerose parti a colpi e pressioni che miravano alla destabilizzazione del paese. Queste tendenze si sono stratificate sulla mentalità ereditata improntata a una distanza etnica, che evidentemente esiste tra gli albanesi e i macedoni di Macedonia. Blace è una metafora che illustra la complessità di questo fenomeno. La sindrome di Blace è un palinsesto di pregiudizi, stereotipi, mentalità xenofobe, debolezze nell'organizzazione o, addirittura, delle cattive intenzioni di alcune infrastrutture che volevano trasformare la Macedonia nel fronte della crisi balcanica complessiva. In tale periodo nessuno è stato immune da pensieri, valutazioni e azioni dettati dalle passioni. Il DPA è stato esposto alla prova più dura, perché da una parte doveva rispettare una politica di stabilità politica del governo della Macedonia e dall'altra aiutare in modo più che concreto i profughi. Nel corso di tale periodo bisognava dare prova di coraggio, saggezza e una forte struttura di partito, per conseguire tali obiettivi. Noi siamo riusciti a raggiungerli e ciò proseguirà anche in futuro. D: Quali sono gli attuali rapporti tra i partner di coalizione e in che misura il DPA influenzerà l'adozione di decisioni strategiche per la Macedonia? R: I rapporti con i partner di coalizione sono eccezionali ed è normale che ci consultiamo per tutti gli aspetti più importanti e meno importanti. Bisogna capire che l'intera regione comincerà a rinnovarsi a vantaggio di tutti e che questa équipe non farà ostruzioni contro questo processo per dei pregiudizi ideologici o per immaturità provinciale. La Macedonia diventerà più indipendente sia dal punto amministrativo che da quello psicologico, liberandosi dalla sindrome jugoslava, come un'entità politica cosciente che si avvicinerà sempre di più all'Europa. Noi siamo qui per accelerare questo processo. D: Qual è la posizione del DPA sulla necessità di legalizzare l'università di Tetovo [l'università "parallela" degli albanesi di Macedonia, ancora illegale - N.d.T.] e in genere sull'esistenza di una tale istituzione educativa? R: L'università di Tetovo all'inizio è stato un problema educativo, ma l'intervento della polizia le ha fatto prendere una dimensione politica, applicando automaticamente un pericoloso schema di polarizzazione su base etnica (macedoni contro, albanesi a favore) e facendo sì che si fuggisse dalla risoluzione del problema per il timore delle conseguenze di un clima artificialmente creato - lo schema della polarizzazione ha fatto del problema dell'università di Tetovo un problema di sicurezza. Ora vi studiano più di seimila giovani, che non sanno quale sarà il loro status nella società. Ogni potere ragionevole cerca di rendere più rilassati i rapporti nella società e non di frustrare singole o svariate comunità etniche. Il precedente governo creava un clima di contrapposizione tra singoli, partiti e addirittura nazioni, dividendoli in buoni e cattivi, faceva sì che persone e interi gruppi etnici si sentissero frustrati e con ciò esercitava un'influenza negativa sulla qualità della fedeltà dei cittadini nei confronti dello stato. Tutti questi errori strategici del precedente governo devono essere corretti, e quindi anche il problema dell'università di Tetovo. D: Come risponde lei alle accuse del PDP [il secondo partito degli albanesi di Macedonia, precedentemente al governo con i socialdemocratici - N.d.T.], e più in particolare del suo segretario generale Mithad Emini, secondo cui con il vostro comportamento state dando spazio ai partiti macedoni affinché realizzino i loro interessi nazionali? R: E' fuori luogo commentare delle posizioni che sono in funzione di una politica volgare. L'affermazione di Emini è anche immorale, perché i partiti politici macedoni hanno acquisito spazio per la realizzazione dei loro interessi nazionali proprio al tempo in cui lui era al governo. Ora noi cerchiamo di correggere i suoi errori e le conseguenze della politica servile e maldestra condotta a suo tempo. D: Il DPA intende presentare un proprio candidato per le imminenti elezioni presidenziali, e se sì, chi sarà? R: Per ora attendiamo, analizziamo e ci prepariamo. Le elezioni presidenziali saranno una grande prova e un grande esame per tutti noi. Sarà un esame per l'intera Macedonia. Finalmente sapremo se saremo pronti per il rinnovo e per liberarci da schemi anacronistici. (da "Nova Makedonija", 3 luglio 1999) |