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NOTIZIE EST #255 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
11 luglio 1999


PAESAGGIO DOPO LA BATTAGLIA: PARLANO I LEADER ALBANESI DEL KOSOVO E DELLA MACEDONIA (2a parte)

[Proseguiamo la rassegna di interviste con leader politici albanesi del Kosovo e della Macedonia. In questa seconda parte parlano Adem Demaci, ex portavoce dell'UCK, dimessosi in dissenso con la partecipazione di quest'ultimo ai negoziati di Rambouillet, l'intellettuale Shkelzen Maliqi, direttore della fondazione di Soros in Kosovo, Veton Surroi, proprietario del maggiore quotidiano del Kosovo, "Koha Ditore" e Azem Vllasi, ultimo leader ufficiale della provincia autonoma del Kosovo, deposto nel 1989. Le interviste sono state pubblicate rispettivamente dal settimanale serbo "Vreme", da "Liberation", da "Le Monde" e dal settimanale croato "Globus"]

ADEM DEMACI


[...]

D: Chi secondo lei ha vinto questa guerra?

R: Personalmente desideravo che si trovasse una soluzione politica con la quale fosse possibile evitare tutte queste tragedie. Si sapeva che il regime di Belgrado possiede una possente macchina militare e poliziesca e non è disponibile a trattare sul Kosovo o a rinunciarvi. Questa macchina è molto forte ed è molto ampio il numero di persone che vivono su di essa. Dopo tutte queste tragedie e disgrazie, la mia opinione è che questa macchina sia stata notevolmente indebolita e che la coscienza di sé del popolo serbo ne trarrà vantaggio. Sono sicuro che alla fine avremo la democrazia in Serbia e che non sarà così difficile trovare una soluzione che sia accettabile per tutti i Serbi e che vada a loro beneficio. Personalmente non credo alla libertà di una sola parte: per esempio solo per gli albanesi o solo per i serbi. Abbiamo già visto come funziona la democrazia solo per una parte. Per questo non mi sembra che solo gli albanesi siano vincitori, lo è anche il popolo serbo. E' perdente solo il regime serbo, ma il popolo serbo ha vinto perché si libera da vecchie illusioni e dalle idee del vecchio regime. Sarà comunque molto problematico convincere gli albanesi del fatto che anche dopo tutto quello che è accaduto è possibile, addirittura indispensabile, una vita in comune, e che essa è nell'interesse di entrambe le parti. Gli albanesi non hanno subito alcuna minaccia dai serbi comuni. Queste persone sono state mobilitate, sono state costrette ad accettare. Come si può dire "non lo farò", quando la conseguenza è la prigione? La verità è che la maggior parte della gente non è andata in guerra con entusiasmo. E' stata costretta a farlo. Ma dopo tutto quello che è successo dobbiamo essere tutti soddisfatti. E' vero, ci sono state molte vittime dalla parte albanese, ma quella serba ha subito molti danni materiali, dell'ordine di miliardi di dollari. Non escludo, tuttavia, la possibilità che il regime provi di nuovo a mettere in atto le sue manipolazioni. Non gli riuscirà più come prima, anche se bisogna essere pronti a ogni evenienza. Questo regime è ancora sufficientemente forte e inoltre non ha alcuno spazio per manovrare, non ha più una direzione in cui andare.

D: Parlate dell'indispensabilità di una vita in comune. In questo momento un grande numero di serbi sta fuggendo dal Kosovo. Il Kosovo sarà presto etnicamente pulito?

R: Tra coloro che ora se ne vanno vi sono differenti categorie di persone. Ci sono, per esempio, quelli che in qualche modo sono stati coinvolti nei crimini in Kosovo e sanno che non potranno più vivere in Kosovo. Sono seguiti dai membri delle loro famiglie. C'è gente comune che è spaventata. Hanno paura delle vendette perché gli albanesi tornando alle loro case, si accorgono che molto è stato distrutto, ogni giorno si trovano nuove fosse comuni. E pertanto se ne vanno in Serbia anche se sono del tutto innocenti. Se ne vanno anche quelli che qui avevano degli enormi privilegi. Si sono fatti comprare dal regime. A Belgrado, o in altre città della Serbia, queste persone non avevano la possibilità di comprarsi un appartamento di tre o quattro stanze. Qui erano addirittura nelle condizioni di decidere, di dire - se non ci danno questo tipo di appartamento o di lavoro, andiamo in Serbia. Erano vicini al regime. Queste persone sanno che perderanno i propri privilegi e se ne vogliono andare. Personalmente spero che un grande numero di serbi torni. Ci sono casi di persone di villaggi nei pressi di Pristina che continuano a vivere insieme. Durante la guerra non si sono immischiati gli uni negli affari degli altri. Questo mi rincuora, perché se è possibile in un villaggio perché non dovrebbe essere possibile anche in una città e altrove. Perché io, per esempio, posso vivere con i tedeschi e gli italiani, e non posso con i serbi? Abbiamo avuto molti problemi con loro nel corso dei secoli, è vero. Ma viviamo da lungo tempo in questi spazi e se non siamo pronti a vivere insieme, a risolvere i problemi insieme, non vedo come potremo vivere in Europa.

D: La maggior parte dei politici albanesi del Kosovo ha accolto con favore l'intervento della NATO. Le bombe della NATO hanno causato sofferenze anche a molti albanesi...

R: La NATO in questa intera situazione si è comportata e ha reagito in maniera decisamente goffa. Innanzitutto ha compiuto un grande errore decidendo di fare la guerra contro il regime serbo, senza mai avere pensato seriamente a inviare truppe di terra. E' stato un grande errore. Si può forse dire che tutto quello che è successo era inevitabile dopo che Belgrado ha rifiutato gli accordi di Rambouillet. E quegli accordi, a mia opinione, erano in gran misura a vantaggio di Belgrado. Belgrado, tuttavia, ha continuato a insistere sulla sovranità. Alla fine sono venuti i bombardamenti e la Serbia ha subito degli enormi danni materiali. [...]

D: Lei ha interrotto la collaborazione con quelli dell'UCK a causa di Rambouillet. Perché era contrario a quelle trattative?

R: Pensavo che non fosse bene andare alle trattative mentre il regime serbo stava facendo tutto quello che stava facendo. Inoltre, i preparativi per Rambouillet sono stati molto cattivi. Il progetto degli ambasciatori Hill e Petritsch non era stato sufficientemente preparato. Non si può preparare un accordo così importante solo in alcuni giorni, addirittura senza incontrarsi nemmeno una volta con l'altra parte. Non ci sono state trattative. Gli albanesi parlavano con Hill, lui andava dai serbi, poi tornava di nuovo dagli albanesi, e sempre così in circolo. La mia posizione era che se volevamo trattare con i serbi dovevamo farlo direttamente. E' un nostro problema. Naturalmente, era necessario che ci fossero anche quelli che avrebbero garantito l'accordo, ma non è stata una buona cosa che trattassero a nostro nome. Se non siamo capaci di trattare, come potremo vivere insieme? Non mi hanno ascoltato e sono andati a Rambouillet. Alla fine ho detto - se conoscete la politica meglio di me, continuate pure senza di me. Addio.

D: Lei afferma quindi che con trattative dirette sarebbe stato possibile evitare la tragedia?

R: E' stato proprio questo il motivo per cui ero contro. Ero convinto che ciò sarebbe avvenuto. Il regime di Belgrado ha portato a Rambouillet dei gorani, degli egiziani, hanno fatto una commedia, non volevano delle trattative serie. Gli albanesi dovevano insistere per delle trattative dirette, in modo da decidere tutto guardandoci reciprocamente in faccia. E' vero che avrebbe potuto durare anche un anno, ma sono sicuro che tutto questo spargimento di sangue e tutto il resto non si sarebbero verificati. Ora è troppo tardi per parlare di questo.

D: Visto che parliamo di "troppo tardi", alcuni sostengono che Milosevic abbia perso l'occasione di offrire agli albanesi l'autonomia due anni fa, durante i grandi tumulti in Albania. Alcuni esperti affermano che in tal modo l'UCK non sarebbe mai emerso. O almeno non sarebbe quello che è oggi...

R: I tumulti di due anni fa? No, allora era ormai decisamente troppo tardi. Se lo avesse fatto nel 1991, o al massimo nel 1993, sarebbe stato tutto a posto. Rugova allora era pronto ad accettare qualunque cosa gli fosse stata offerta. E' stato un grande errore del regime serbo, e ora il popolo serbo deve pagare il prezzo di tutto questo.

D: L'UCK è tornato insieme alla KFOR in Kosovo. A Pristina tiene ogni giorno conferenze stampa. Come stanno le cose, ora, con lei che è stato il loro rappresentante politico?

R: Niente. Ho avuto divergenze con una parte della dirigenza dell'UCK. Non mi hanno ascoltato sugli aspetti tattici e strategici e ho deciso di andarmene. Per i combattenti comuni e per la maggior parte dei quadri di comando continuo ad avere grande simpatia. Sono convinto che senza i loro sacrifici la questione del Kosovo non sarebbe mai stata internazionalizzata. L'UCK rimane pur sempre la forza più consistente, la vera forza di opposizione contro il regime serbo. E' vero che hanno alcune debolezze, ma tra tutti i fattori albanesi sono e rimarranno la principale forza. Per me è stato sufficiente. Sono sicuro che ora gli albanesi sono più vicini all'essere liberi. Per questo, chi ora vuole fare carriera politica che lavori pure liberamente. Senza di me. Ho comunque consigliato ad alcuni amici che sarebbe bene se l'UCK si smilitarizzasse. Sarebbe molto bene. E' ora di cambiare politica. L'obiettivo principale degli albanesi era quello di distruggere il complesso militare e poliziesco in Serbia, di indebolire questo regime e di creare le condizioni per la democratizzazione dell'intera regione. Secondo me questi obiettivi sono stati raggiunti.

D: E lei ritiene che l'UCK accetterà questo consiglio?

R: Sarebbe molto positivo se fosse così, se i suoi capi l'accettassero. Devono comprendere cosa ci richiedono i tempi. In politica la cosa più importante è sempre capire le richieste del momento in cui ti trovi. E realizzarle, senza tardare e senza fare qualcosa anzitempo. Io spero che sia così, ma vedremo. E' il momento per dei radicali cambiamenti nell'UCK.

D: Che ruolo avrà in futuro Ibrahim Rugova?

R: Non penso assolutamente a lui. Né a lui, né agli altri. Prima di tutto quel che è successo ho sempre considerato importante ciò che Rugova avrebbe fatto. Ora non mi interessa più. Non è più importante.

D: Come vede il futuro del Kosovo?

[...] Ho i miei progetti e le mie idee, e non so quanto gli albanesi saranno disposti a comprenderle e ad accettarle.

D: Si riferisce alla sua idea della "Ballkania", una confederazione all'interno della quale inizialmente vi dovrebbero essere la Serbia, il Montenegro e il Kosovo, mentre successivamente vi si dovrebbero aggiungere gli altri...?

R: Per me la confederazione è meglio dell'indipendenza. Se saremo indipendenti, rimarranno molti problemi con i serbi e i montenegrini in merito a che soluzioni trovare. In una confederazione non ci saranno tutte queste sventure. Da qui si potrebbe andare a Belgrado, Belgrado potrebbe venire qui, nessuno si sentirebbe isolato. Sarebbe la migliore soluzione anche per i nostri albanesi che vivono a Presevo e a Bujanovac in Serbia, o in alcune zone del Montenegro. Saremmo nello stesso stato. E' un nostro interesse comune. Lo ripeto, non è possibile parlare di un'unione dell'Europa e tenere i Balcani lontano da questa integrazione.

D: Ma gli albanesi del Kosovo continuano a parlare solo di indipendenza.

R: E' normale, tutta la gente, ogni essere umano, vuole essere indipendente, ma nessuno può vivere da solo. Se ci sarà consentito di essere indipendenti, costruiremo le condizioni per essere amici. Se vivremo sotto il controllo straniero, non sarà un bene per nessuno.

D: A quanto sembra gli USA e l'UE per ora vogliono che il Kosovo rimanga all'interno della Serbia.

R: Ogni stato membro della NATO e dell'UE ha i propri interessi personali e si sforza di conservarli. Per salvaguardare i loro interessi hanno dovuto dire: gli albanesi devono avere una larga autonomia, ma all'interno della Serbia. Per esempio, la Grecia non è per l'indipendenza perché ha paura di una maggiore influenza degli albanesi. Gli italiani hanno molti interessi economici in Serbia e così via. Questi compromessi hanno portato all'attuale situazione. Ma io sono convinto che la gente in Serbia, passo dopo passo, comprenderà che è nei loro interessi essere amici degli albanesi. Voglio credere che alla fine del periodo temporaneo, che sta ora cominciando sotto la sorveglianza della KFOR, agli albanesi verrà consentito di pronunciarsi in merito al proprio futuro. [...]

(da "Vreme", 26 giugno 1999)


SHKELZEN MALIQI


Shkelzen Maliqi, 52 anni, è filosofo e specialista di estetica, nonché uno degli intellettuali più stimati in Kosovo. E' anche direttore della Fondazione Soros del Kosovo, di recentissima creazione [per inciso, Soros ha fino a poco tempo fa sostenuto l'opposizione serba contraria all'emancipazione del Kosovo e considerato il Kosovo parte della Serbia. L'unico suo finanziamento importante in Kosovo è stato dato nel 1997 al quotidiano "Koha Ditore" di Surroi, proprio quando questi sosteneva che gli albanesi del Kosovo dovevano partecipare alle elezioni in Serbia, integrandosi così nel sistema politico di quest'ultima. E' proprio nella lotta contro questa linea che è emerso l'UCK - a.f.]. La seguente intervista è stata pubblicata da "Liberation":

D: Onnipresente in tutto il Kosovo e riconosciuto come interlocutore dagli occidentali, l'UCK sarà la parte vincente nel dopoguerra?

R: Non è ancora sicuro. Cerca di approfittare della situazione nata dal crollo delle altre forze politiche e in particolare della Lega Democratica del Kosovo (il partito dei moderati di Ibrahim Rugova). I suoi combattenti sono attivi, bene organizzati e hanno armi, anche se le conservano presso di sé. Si proclamano vincitori, ma la gente non gli crede. Sanno tutti che è stata la NATO a fare cedere Belgrado e a obbligarla a ritirare le sue forze dal Kosovo. Per la prima volta dal 1912, gli albanesi del Kosovo non vivono più nella paura della polizia o dei soldati serbi. Questa realtà creata dal protettorato internazionale ha fatto dimenticare i numerosi errori compiuti dall'UCK nel corso di due anni. Ha creato l'illusione che fosse possibile liberare il Kosovo con le armi. E' stato un fiasco totale, come si è visto l'estate scorsa quando, in meno di un mese, le forze di Belgrado hanno riconquistato la maggior parte delle zone liberate. L'UCK avanzava degli obiettivi di guerra utopici, come la riunificazione di tutte le terre albanesi dei Balcani. Sul piano militare, non si fidava degli ex ufficiali albanesi dell'esercito jugoslavo, per quanto dotati di esperienza. Ma poco a poco si è corretto. La guerra e l'arrivo massiccio di persone molto diverse che volevano innanzitutto difendere la loro terra hanno profondamente trasformato l'UCK. Il gruppo originale dell'inizio degli anni '80, populisti marxisti che si ispiravano a Enver Hoxha, non controlla più veramente l'organizzazione. Il Primo ministro del loro "governo provvisorio", Hashim Thaci, si è emancipato dagli uomini più anziani che lo avevano spinto sulla scena a partire dai negoziati di Rambouillet. L'UCK è oggi divisa in svariate fazioni. E' ancora troppo presto per sapere cosa darà l'UCK come movimento politico. Inoltre, il suo potere è più simbolico che reale, poiché è la comunità internazionale, in primo luogo la NATO, che detiene le vere leve per gli anni a venire.

D: Ibrahim Rugova, eletto per la seconda volta presidente nel 1998 con un voto parallelo, ha ancora legittimità e un futuro politico?

R: Molti kosovari credono ancora in lui e dispone di un'effettiva popolarità personale. Come leader, dunque, è lontano dall'essere finito. Ma il suicidio politico che ha commesso incontrando Milosevic lascerà delle tracce, tanto più che negli ultimi anni ha commesso svariati errori. Si era sempre più isolato e non teneva più in alcun modo conto del parlamento e delle istituzioni parallele della "Repubblica del Kosovo" che l'avevano portato al potere, né del suo proprio partito. Grazie al protettorato internazionale ci saranno l'anno prossimo delle elezioni libere e oneste, nelle quali le differenti forze politiche del Kosovo, e in primo luogo l'UCK e la LDK, potranno misurare il loro peso effettivo. Ciascuna di esse ha dei buoni argomenti da fare valere. La strategia pacifista di Rugova è stata sicuramente un fallimento, ma l'UCK non ha vinto la guerra. E il suo prezzo è stato terribile per il popolo del Kosovo. Siamo come un paziente dopo un'operazione chirurgica molto dolorosa e che ha bisogno di tempo per ricuperare. La battaglia per sapere chi rappresenta veramente la volontà degli albanesi non comincia che ora.

D: C'è spazio per una terza forza incentrata su personalità indipendenti come Veton Surroi, direttore del quotidiano "Koha Ditore", o come lei stesso?

R: Credo che tale spazio esista, ma bisogna organizzarlo e Veton Surroi non ha per il momento che i suoi media. Inoltre, non bisogna farsi delle illusioni sul sostegno di cui goderebbe attualmente un tale partito nella società. Si tratterà di una piccola forza come l'Alleanza civica in Serbia o l'Alleanza democratica in Albania, ma queste idee democratiche e liberali faranno a poco a poco il loro cammino.

(da "Liberation", 1 luglio 1999)


VETON SURROI

[Surroi] non vuole parlare del suo avvenire politico, del fatto che egli incarna la speranza di cambiamento per i cittadini, i quadri, gli studenti. "Non credo che si svolgeranno delle elezioni prima della primavera del 2000. Dato che sono l'unico a potere dialogare con le diverse fazioni kosovare, posso suggerire delle idee, ma non ho dei progetti politici immediati. Sarà una transizione difficile". Anche se non è ufficialmente candidato ad alcuna funzione, Veton Surroi si oppone tuttavia alla "continuità" rappresentata ai suoi occhi da Rugova e dall'UCK. "Non voglio vedere le forze politiche attuali esercitare il loro potere in avvenire", dice. Sa che questa opinione è popolare sia tra gli abitanti di Pristina , che presso i rappresentanti della comunità internazionale che gestiranno il periodo di transizione in Kosovo. "Rugova è una vergogna, un incompetente", lo attacca. "Però non voglio giudicarlo per il suo comportamento durante la guerra. Ha cercato di salvare la pelle. Era ostaggio e ha avuto il comportamento di un ostaggio. Quanto all'UCK, non è un'organizzazione politica. I suoi soldati hanno delle opinioni molto differenti", prosegue. "Vedremo dopo la smilitarizzazione, entro tre mesi, come le fazioni politiche dell'UCK si organizzeranno. Quello che è sicuro è che la disintegrazione militare sarà accompagnata da una disintegrazione politica". Veton Surroi, che saluta con favore l'idea di un "protettorato militare" della NATO e di una "amministrazione internazionale", si interessa soprattutto del modo in cui la popolazione albanese del Kosovo si potrà imporre nella vita sociale e politica. "Per la prima volta in questo secolo, i kosovari prenderanno il destino nelle loro mani. Voteranno democraticamente. Quindi, non parliamo ancora di indipendenza del Kosovo. L'importante è innanzitutto la nostra capacità di costruire una nuova società". Pur credendo "possibile" per i serbi un'integrazione in questa società kosovara, egli pensa che ciò avverrà al termine di un "processo doloroso", perché "i serbi, da dieci anni, hanno giocato il tutto per tutto in Kosovo".

(da "Le Monde", 24 giugno 1999).


AZEM VLLASI

D: Come si spiega il grande entusiasmo degli albanesi, soprattutto dei più giovani, per l'UCK, nonostante sia chiaro che è stata la NATO a liberare il Kosovo dalle repressioni serbe?

R: In questi otto anni la gente è arrivata ad averne abbastanza del verbalismo politico di Rugova e dei suoi collaboratori, che ha portato molta gente a un'apatia umiliante. La comparsa dell'UCK, per quanto debole e disorganizzato esso fosse, è stata vissuta come l'ultimo appiglio per la salvezza. Ma la situazione del protettorato internazionale richiede una ridefinizione di tutte le opzioni politiche e non è possibile dire di nessuno che è definitivamente fuori gioco. Ma se Rugova pensa di potere continuare a lavorare come in passato, per lui sarà la fine. Se l'UCK pensa di potere continuare a essere una forza militare, anch'esso vedrà la sua fine. Ma l'UCK ha molti sostenitori. Ha fatto emergere la questione del Kosovo dalla spessa coltre sotto la quale era stata dimenticata. Se riuscirà ad adattarsi alle nuove condizioni, rimarrà un fattore politico importante. Penso che l'UCK si trasformerà in una forza politica per il conseguimento di un'indipendenza completa dopo che il protettorato sarà terminato.

D: Ritiene che Rugova abbia mancato la sua storica occasione? Alcuni albanesi continuano a riconoscerlo come presidente del Kosovo, mentre altri, soprattutto i giovani, lo chiamano traditore.

R: E' indubbio che in questo secolo la migliore occasione per la liberazione del Kosovo la abbia avuta proprio Rugova. Tutti i politici, le forze culturali e di altro tipo del Kosovo in un dato momento si sono raccolti intorno a lui. Crollava il comunismo in tutta l'Europa, crollava la Jugoslavia in ogni parte. Tutte le divisioni che esistevano tra di noi in quel momento sono state messe in disparte e si è creato un consenso generale intorno a Rugova. La comunità internazionale ha riconosciuto Rugova come politico moderno e bene accolto. Per anni si è parlato del fatto che noi albanesi, nonostante le repressioni serbe, avevamo un potere e delle istituzioni parallele in Kosovo, che funzionavano, ma ora, in questi tre mesi, si è visto che in realtà non avevamo nulla. L'uomo comune è stato completamente abbandonato a se stesso o, se si può dire così, alle pesanti cure della polizia, dell'esercito e delle bande paramilitari serbe. Sotto questo punto di vista, Rugova è politicamente morto. Ma, come ho detto, il protettorato internazionale dà anche a lui una nuova possibilità di riconquistare qualche posizione politica.

D: In che misura l'UCK è politicamente intelligibile? Al suo interno, a quanto si può distinguere, vi sono diverse correnti...

R: L'UCK in questo momento è simile al movimento che è stata, al suo inizio, la Lega Democratica del Kosovo di Rugova. Solo che la denominazione comune del movimento rappresentato dall'UCK è molto più radicale di quella della Lega Democratica.

D: Si dice che la NATO, silenziosamente, installerà al potere il nuovo leader del Kosovo. Corrono anche voci che l'Europa sia più favorevole a Rugova, mentre gli americani darebbero le loro preferenze a Thaci...

R: Indipendentemente dal fatto che essi diventeranno o meno i nuovi leader, è indubbio che l'influenza della comunità internazionale continuerà a essere sempre importante. Penso che sotto questo aspetto gli americani siano molto pragmatici, perché sono più inclini nei confronti di persone che hanno una maggiore influenza. Anche se queste persone, per ora, non hanno il profilo migliore, gli americani potranno largamente influire sulla sua formazione.

D: Qual è la sua opinione sulla possibilità di una politica [di tutti gli albanesi in uno stato del Kosovo - (il testo in macedone in questo punto non è chiaro - N.d.T.)], che provocherebbe una radicalizzazione delle posizioni antialbanesi in Macedonia...?

R: Penso che questa parola d'ordine non avrebbe successo. Penso anche che la comunità internazionale non lo consentirebbe. Abbiamo bisogno di una politica dei confini aperti, sull'esempio dell'Europa. Non vogliamo un regime di confini chiusi, né nei confronti della Macedonia, né nei confronti del Montenegro.

(il testo integrale originale dell'intervista è stato pubblicato da "Globus", i passi che riportiamo qui sono presi dalla traduzione parziale in macedone pubblicata dal quotidiano "Nova Makedonija" il 10 luglio 1999)