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![]() NOTIZIE EST #216 - KOSOVO/MACEDONIA 2 maggio 1999 PROFUGHI IN MACEDONIA: DOPO LA FUGA LA POVERTA' di R. Jeffrey Smith - ("Washington Post", 27 aprile 1999) GOSTIVAR, Macedonia, 26 aprile - Dopo tre settimane di sofferenze immense sia in Kosovo che in Macedonia, Halida Jashari ha ridotto le sue necessità immediate a solo un paio. "Voglio solo un gabinetto e una piccola cucina per cucinare... qualcosa da mangiare", dice, oltre a un posto per dormire in cui i topi non diano più fastidio ai suoi tre piccoli figli. Ma in questa brulicante città, e praticamente ovunque in questo paese economicamente alle strette, Jashari, di 31 anni, chiede forse più di quello che chiunque potrebbe offrirle. Insieme a un'altra famiglia di albanesi, composta da cinque persone, lei e i suoi figli hanno dormito sul pavimento di una moschea della città perché nell'area non c'era più altro spazio disponibile per i profughi. Gostivar, come praticamente tutta la Macedonia, è stracolma delle vittime del violento conflitto in Kosovo, secondo i funzionari locali e gli operatori umanitari occidentali. Nelle tende non è più possibile fare entrare nessun profugo. Nei campi esistenti non c'è più posto per nuove tende. E nessuna famiglia può più trovare nemmeno il posto più angusto nelle case delle aree limitate in cui il governo consente ai profughi di spostarsi. La crisi può essere definita come la seconda fase del disastro frutto delle espulsioni messe in atto dal governo jugoslavo in Kosovo. La prima è stata quella dell'emigrazione forzata di circa 600.000 persone dalla provincia serba in Albania, in Macedonia e nella repubblica jugoslava del Montenegro. La nuova fase è quella di una sempre maggiore diffusione della povertà e della carenza di cibo causate dal sovraffollamento di centinaia di villaggi e città della regione, che mancano delle risorse sufficienti per fare fronte ai nuovi arrivi. Gli effetti si possono osservare immediatamente nei campi, come quello nei pressi della città di Brazda, prossima al confine con la Jugoslavia, nel quale più di 23.000 persone vivono gomito a gomito su un terreno che era stato arato per la semina primaverile un mese fa. La sera gli abitanti del campo mangiano da scatolette di latta riscaldate su fuochi improvvisati e riscaldano l'acqua nello stesso modo in bottiglie di plastica che emettono fumi tossici dovuti alla fusione. L'impatto è meno evidente, ma comunque devastante, in città come Gostivar, nella quale gli abitanti hanno accolto a braccia aperte più di 20.000 abitanti. Le strade ben mantenute sono piene di uomini dagli occhi vuoti in cerca di cibo e di parenti scomparsi. Praticamente da ogni casa, tutte colme fino all'inverosimile, provengono i suoni di bambini che piangono o tossiscono. Il problema peggiora ogni giorno. Oltre alle 55.000 persone già nei campi che hanno una densità tre volte superiore alla loro capienza, e alle 70.000 persone disperse nelle case di quelle che gli operatori umanitari definiscono le "famiglie ospiti", altri 3.000 profughi si sono presentati oggi al principale valico di confinte tra la Jugoslavia e la Macedonia. Si tratta di un particolare che contraddistingue gli ultimi arrivi e va raffrontato con il numero degli 800 che hanno lasciato oggi la Macedonia per uno dei 15 paesi che hanno accettato di prendersi carico di alcuni dei profughi. Il presidente macedone Kiro Gligorov, preoccupato dall'enorme pressione esercitata sul suo paese, ha accusato gli altri paesi europei di non avere mantenuto le promesse di accogliere i profughi, informa la Reuters. Il ministro dell'economia, Zanko Cado ha dato le dimissioni, in parte a causa della crisi. Fino a oggi, la Germania, la Turchia e altri paesi hanno accolto circa 20.000 profughi albanesi, ovvero circa un trentesimo del totale. Numerosi profughi sono arrivati negli ultimi giorni raccontando di saccheggi, incendi ed esecuzioni nelle città di Lipljan, Kosovo Polje e Urosevac e sono stati immediatamente rinchiusi in quella che originariamente era una struttura di disbrigo delle pratiche presso il confine, a Blace. E' costruita sulla cima di un mucchio di detriti lasciati dai precedenti abitanti del famigerato campo, in un'area fangosa all'aperto nel quale 65.000 persone sono state trattenute senza riparo per giorni dal governo di Skopje, tre settimane fa. Il campo di Blace è nuovamente ridotto a una distesa di fango e anche l'interno delle tende che alloggiano circa 900 persone è bagnato per la pioggia primaverile, secondo Ron Redmond, un portavoce dell'agenzia dell'ONU per i profughi. Riferendosi anche ad altri campi sovraffollati, Redmond ha detto che "la sicurezza è un problema. Siamo preoccupati della salute e dell'igiene; siamo preoccupati per i pericoli di incendio". Il governo macedone ha cercato a più riprese di fare fronte al problema ritardando il disbrigo delle pratiche per i nuovi profughi presso i suoi valichi di confine ufficiali. Ma coloro che avevano fretta di abbandonare il Kosovo per il terrore hanno trovatto tragitti più impervi e pericolosi per penetrare in Macedonia. Uno di tali valichi non ufficiali si trova in alto sulle montagne a nord-est di Skopje, presso un minuscolo villaggio chiamato Malina Maala, che gli albanesi riescono a raggiungere solo pagando una "tassa" alla polizia di confine jugoslava. Più di 3.000 profughi vi sono giunti inaspettatamente 10 giorni fa, e da allora la parola è corsa in tutto il Kosovo e ha portato da 350 a 1.000 persone al giorno su questo arduo tragitto, attraverso foreste impervie e la neve. Da qui, scendono verso un villaggio povero come quello di Lipkovo, 30 km. circa più a sud. La polizia ha organizzato un posto di blocco a nord di Lipkovo, dove raccoglie i profughi e li fa salire su autobus che poi li portano nei campi. Ma la maggior parte dei profughi preferisce vivere al di fuori dei campi, e quindi molti di essi camminano per decine di migliaia fuori da ogni sentiero o strada, in modo da evitare di essere individuati. Izet Rexhepi, che ha trovato brevemente rifugio, qualche giorno fa, in una delle 60 case del villaggio, ha detto che lui e nove suoi parenti hanno dovuto arrampicarsi lungo un sentiero in una gola per più di 10 ore prima di raggiungere il villaggio. Un gruppo di abitanti di Lipkovo nei fatti amministra una catena clandestina di soccorso ai profughi. Sebbene siano in bisogno disperato di generi alimentari come olio e farina, condividono tutto quello che hanno con i nuovi arrivati e ne registrano solo un numero sufficiente per soddisfare la polizia locale. Un numero di gran lunga maggiore viene indirizzato da essi direttamente nelle case di famiglie albanesi in altri luoghi della Macedonia. In città economicamente marginali come Gostivar, l'afflusso di una media di più di 50 famiglie ogni giorno sta mettendo a durissima prova le limitate risorse. Già prima dell'ultima crisi, circa un sesto dei suoi 30.000 abitanti riceveva sussidi pubblici, e molte altre famiglie tiravano avanti con le rimesse mensili di $300 provenienti da parenti emigrati in altri paesi europei. La sede locale di un'organizzazione umanitaria di indirizzo islamico, la El Hilal, non ottiene alcuna assistenza dal governo e dispone di generi alimentari donati sufficienti solo per i prossimi sei giorni, secondo il suo presidente, Sali Selimi. Il quadro è differente 30 km. più a sud, nei villaggi che circondano la ricca città di Struga. "Abbiamo spazio a sufficienza per altri profughi", dice Fatmir Zhubi, che dà già riparo a una mezza dozzina di persone nella sua ampia casa. Ma tre settimane fa la polizia ha organizzato dei posti di blocco nelle vicinanze, che impediscono ai profughi di raggiungere l'area di Struga, per il timore che possano poi insediarvisi. Il governo dominato da slavi è "contro i musulmani" e preferisce non disturbare l'equilibrio etnico nelle comunità miste, ha detto Abdul Gani Cako, un operatore della El Hilal. Fuori Gostivar c'è un campo profughi che potrebbe essere rapidamente ampliato ai terreni confinanti. Ma il governo macedone ha detto agli operatori umanitari che nessuna espansione è possibile se il lavoro non verrà eseguito dalla Pelagonija, un'azienda edile che opera con grande lentezza, la quale ha connessioni con alti funzionari del governo. "Avremmo potuto realizzare il lavoro due settimane fa, ma non eravamo autorizzati", ha detto Nigel Pont, che gestisce il campo per Mercy Corps International. "Non vi è tempestività nell'affrontare le cose". LA REUTERS SCRIVE DA WASHINGTON: Alcuni profughi dal Kosovo potrebbero essere inviati alla base dell'esercito USA di Fort Dix, nel New Jersey, prima di essere risistemati presso parenti negli Stati Uniti, ha detto oggi il portavoce della Casa Bianca Joe Lockhart. La base è una delle diverse strutture negli Stati Uniti in cui i profughi dalla Jugoslavia potrebbero essere portati dopo essere stati "sdoganati" nell'Europa sudorientale, ha detto Lockhart. Lockhart ha inoltre detto di attendersi che l'insediamento negli Stati Uniti dovrebbe cominciare poco dopo che un team di esperti tornerà alla fine di questa settimana da un viaggio di sei giorni nella regione. "Mi attendo che l'operazione cominci poco dopo il loro rientro, in modo tale da potere portare 20.000 profughi negli Stati Uniti", ha detto Lockhart. |