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NOTIZIE EST #457 - SERBIA/MONTENEGRO
28 luglio 2001


LA SERBIA AL BIVIO
intervista a Filip David, a cura di Senad Pecanin - ("Dani" [Sarajevo], 6 luglio 2001)

Quattro giorni dopo la deportazione di Slobodan Milosevic all'Aja abbiamo parlato con uno dei primi e coraggiosi critici del suo potere. Nelle risposte di Filip David, uno dei più rispettati intellettuali belgradesi (non) è difficile individuare una prevedibile rassegnazione mentre parla di come egli ha vissuto il fatto che Milosevic si sia trovato davanti alla giustizia, dell'atmosfera e delle occasioni a Belgrado e delle sfide davanti le quali si trova la Serbia.


DANI: Signor David, in che modo lei personalmente ha vissuto la consegna di Slobodan Milosevic al Tribunale dell'Aja.

DAVID: Posso dire che mi sento proprio triste. Naturalmente, non perché Milosevic sia all'Aja, ma perché è là da solo. Dunque, considero che all'Aja manchino molte persone, quegli uomini che durante tutti questi anni erano coloro che eseguivano le sue parole, e molti di loro addirittura hanno prodotto alcune delle idee principali sulle quali lui si è basato durante il suo governo di tredici anni. Adesso lui, in qualche modo, là da solo, e molti dei suoi collaboratori più stretti sono ancora al vertice del potere, amministrano direttamente oppure influenzano la politica da dietro le quinte. Ma qui è diffusa la convinzione che la consegna di Milosevic all'Aja sia un lavoro finito, che ci siamo liberati di tale incubo durato svariati anni, che su di lui ricade la colpa principale ed alcuni diranno anche l'unica. Loro vorrebbero partire da capo e che dimenticassimo tutto ciò che è stato. Ma l'uomo che sta davanti a quel tribunale non è l'intera verità, è soltanto una parte della verità ed è ovvio che su tale uomo dovrà ricadere l'intera colpa, che non verrà invece distribuita tra quelli che lo hanno servito fedelmente in tutti questi anni.

DANI: Sono stato due giorni a Belgrado proprio dopo la consegna di Milosevic, e le posso dire che ho avuto proprio lo stesso sentimento del quale sta parlando – della convinzione molto diffusa che l'intero lavoro di affrontare l'oscuro recente passato sia finito con la consegna di Milosevic.

DAVID: Vede, io ho scritto anche prima della caduta di Milosevic che non è sufficiente che  vada un solo uomo, anche se si chiama Slobodan Milosevic, se non siamo in grado di cambiare l'intero modello culturale nel quale abbiamo vissuto durante gli ultimi dieci anni. Questo significa che dobbiamo cambiare il modo di pensare e metterci di fronte tutte quelle cose che sono state fatte nel nostro nome e tutte le conseguenze negative di una tale politica. Si tratta infatti di un modello culturale che ha compreso sia la politica che l'economia e l'intera vita sociale. È accaduto che sia andato un solo uomo e il modello culturale non abbia avviato un sostanziale cambiamento. Se non saremo in grado di farlo, temo che inizieremo a tornare indietro e che non andremo verso le riforme e i cambiamenti. Ciò è probabilmente la ragione per cui anche a distanza di nove mesi dal 9 di ottobre le cose procedono molto lentamente e con difficoltà. Noi ad ogni passo ci incontriamo non con le conseguenze del governo di Milosevic, ma con lo spirito di Milosevic che è presente in molte sfere – sia in politica che, fortemente, nella cultura e nella vita quotidiana. Non c'è ancora un confronto con la verità, non esiste. Lei guardi quanto tempo è passato, e in Serbia non c'è nemmeno un processo per i crimini di guerra, eppure tali crimini ci sono stati, tutti sappiamo quanti, e non è più nemmeno un segreto. Ecco, ogni giorno si scavano nuove tombe, e sempre più vicino a Belgrado, tanto che adesso ne sono state trovate alcune perfino nella stessa Belgrado. Quasi in qualsiasi posto dove piantate il badile, vi imbattete in una fossa comune delle vittime del Kosovo, perché li seppellivano qui convinti di nascondere le tracce, le quali, naturalmente, non possono essere nascoste. Neanche questo è sufficiente affiché la verità, il desiderio di verità e di confrontasi con la verità, salti fuori nella misura in cui ciò è necessario. Al contrario, siamo tutti presi, la maggior parte della gente è presa dal destino di Milosevic e dal destino della sua famiglia. Quello che è interessante è che tutto ciò acquista ora un "carattere melodrammatico", una forma sentimentale di compassione per il suo destino. Quando vi mettete a confronto col destino privato di un uomo, e lo vedete così disgraziato, solo e senza aiuto, allora si sveglia una compassione e si scrive meno di quello che si nasconde dietro tutto ciò, vale a dire sui crimini mostruosi, sugli orrori, come se si fosse dimenticato tutto ciò che è accaduto: da Vukovar, attraverso Mostar, Sarajevo fino a Srebrenica. Si tratta di qualcosa che deve inquietare un uomo, perché credo che finché non ci sarà abbastanza forza all'interno per svelare la verità e finché non ci confronteremo con il passato, non potremo parlare né di riforme né si potrà parlare di veri cambiamenti.


DANI: Vojislav Kostunica, con la sua disapprovazione verso l'estradizione di Slobodan Milosevic all'Aja, non lascia dubbi circa il suo atteggiamento rispetto al confronto col passato prossimo. Ma mi interessa come valutate Zoran Djindjic, che ovviamente è stato l'uomo chiave durante la presa della decisione sulla deportazione all'Aja. La decisione è il risultato della sua pragmaticità e della preoccupazione per i risultati della Conferenza dei donatori oppure egli è cosciente e sostiene la necessità di confrontarsi sulla verità sul decennio passato?


DAVID: A me sembra che Djindjic metta in primo piano il vantaggio di tale estradizione, ma che contemporaneamente capisca che il cambiamento, fino ad instaurare nuovi rapporti con la comunità internazionale, fino ad entrare in vari organismi, non ci può essere se non si effettueranno anche questi cambiamenti radicali. Devo dire che qui, fin dall'inizio, il destino di Milosevic è stato inteso come una specie di merce di scambio. Anche il suo primo arresto e questa consegna all'Aja, prima della conferenza dei donatori, in qualche modo lo è. È vero che nei media è stata lanciata la storia, che fra l'atro è vera, circa le fosse comuni a Belgrado, nei pressi di Kladovo ecc., ma in primo piano è sempre stato sottolineato che avremmo perso molti soldi senza la consegna di Milosevic. Tutto questo è stato presentato come qualcosa di molto più importante, e non che lo si giudichi per i crimini. Fra l'altro qui è stato arrestato non per l'accusa di responsabilità nei crimini di guerra, ma per gli affari con la sua villa, perché non aveva la licenza edilizia o non so bene cosa. Sono stato uno di quelli che diceva, non sono stato l'unico, che bisogna dire apertamente che si deve consegnare Milosevic per ciò che è stato fatto, a prescindere dai soldi che riceveremo, che ciò non è importante, e che sia importante questa seconda parte etico-morale dell'intera storia e che senza di questo non esiste la conciliazione né con i nostri vicini né con il mondo. Però, devo dire che nel frattempo ho capito una cosa molto deprimente: che sul popolo – quando dico popolo penso alla popolazione, alla maggior parte della gente con cui ho parlato – ha più influenza tale vantaggio pratico, ossia i soldi che arriveranno, "così potremo fare qualcosa". La gente non accetta volentieri la storia sui crimini. C'è ancora una perplessità, "è vero – si pensa – sono stati commessi crimini anche dalla nostra parte, ma gli altri nei nostri confronti ne hanno commessi anche di maggiori". Significa che la gente non è pronta ad accettare la verità che è la verità di queste guerre, la verità di questi scontri sul territorio della ex Jugoslavia. Ciò fra l'altro è perché i messaggi dai più alti uffici statali, dai media, non sono ancora messaggi di ravvedimento, purificazione, e di un discorso sincero sui crimini. Si tratta perlopiù di messaggi che dicono che in qualche modo riusciremo a coprirci, che riusciremo a diventare parte del mondo, che anche i crimini nostri e quelli degli altri sono solo parte di una storia di guerra, "che è stata quella che è stata", e che "in ogni guerra ci sono crimini". Questa è, più o meno, un'atmosfera che è presente e che predomina.

DANI: Condivide anche lei il dubbio sugli scopi e sulla composizione della Commissione per la verità formata da Vojislav Kostunica e che Latinka Perovic, Vojin Dimitrijevic e Tibro Varadi hanno abbandonato?

DAVID: Io condivido tali dubbi fin dal principio e probabilmente sono una delle ragioni per cui i membri nominati sono usciti dalla Commissione. Il suo scopo è, ovviamente, non quello di parlare dei crimini del passato recente, ma di quelli di cinquanta e più anni fa. Ciò significa rivangare l'intera nostra storia con il compito, in qualche modo, di relativizzare ciò che è accaduto negli ultimi dieci anni. Questo non è un buon approccio e credo che non porterà alcun risultato. Servirà solamente a creare qualche illusione che qui si parla del nostro passato recente e che su ciò si sta cercando di fare qualcosa. Ma credo che già tutti comprendano che anche tale commissione non gode più di autorità, e che essa non è più agli occhi del pubblico quello che si desiderava fosse.

DANI: In che posizioni si trovano oggi in Serbia i circoli intellettuali che hanno portato Milosevic al potere? Da poco è stato pubblicato un libro contenente una conversazione con Dobrica Cosic, nella quale egli presenta di nuovo le sue posizioni immodificate e ben note circa l'ultimo decennio sul territorio della ex Jugoslavia. L'editore del libro è addirittura, a sorpresa di molti, Radio B92.

DAVID: Beh, devo dire che sono sorpreso anch'io che Radio B92 sia l'editore del libro, anche se quel tipo di libro, i dialoghi con una persona nota che ha avuto grande influenza sul pensiero politico di un periodo, è una cosa consueta. Ma, guardando in generale, quello che sta accadendo ora in Serbia è la vittoria di una certa tal linea di Dobrica Cosic, di tale cosiddetto "nazionalismo illuminato", e ciò a molti è chiaro. Quando osservate chi sono i consiglieri di Kostunica, e sono persone che hanno per noi un'influenza decisiva nella vita politica e pubblica, vedrete che si tratta di persone del circolo di Dobrica Cosic. Già Danilo Kis scriveva che in questi nostri territori è molto difficile parlare di un nazionalismo illuminato o addomesticato. Da noi il nazionalismo è nazionalismo e esso, non solo in Serbia, si trasforma sempre in sciovinismo. Esso addita l'altro come colpevole e porta guai con i vicini. Si tratta, come diceva Danilo, dell'ideologia del kitsch e della banalità, che prima o poi si trasforma nella ideologia totalitaria. E' per questo che anche Milosevic ha giocato tale carta, anche se sono pochi quelli che credono che lui sia stato un vero nazionalista. Lui è stato un pragmatista che ha puntato su tutte le carte che potevano portare un qualche profitto. Questa situazione di oggi, e di ciò ho già parlato e scritto alcune volte, mi ricorda fortemente la situazione nella Germania della repubblica di Weimar, e ciò che è stata la cultura di Weimar appena dopo la sconfitta dei tedeschi nella Prima guerra mondiale. A quel tempo avevate un popolo che era molto frustrato dopo tutte quelle sconfitte vissute a causa di un accordo sfavorevole, praticamente la capitolazione, che è stata firmata. Quindi c'è una democrazia molto labile, che è appena in fasce, poi la grave situazione economica, la gioventù che è senza prospettive e senza idee e, anche, un forte nazionalismo. Se tu analizzassi tutti questi elementi, vedresti che sono tuttora molto presenti nella nostra vita. L'imbarazzo molto forte che provo proviene proprio dalla sensazione che tale situazione ci possa spingere di nuovo verso una specie di dittatura. Non è necessario che accada subito, fra tre o quattro anni, in caso non si sia arrivati ad una ripresa economica vera ed improvvisa e all'innalzamento dello standard economico. Dunque, di nuovo potrebbe apparire qualche uomo forte che avrà il sostegno di alcuni circoli politici, economici, mafiosi, e potremmo così nuovamente trovarci in qualche catastrofe. La situazione è molto instabile, lo potete vedere dalla resistenza alle riforme economiche che si sta cercando di attuare. Djindjic ha portato alcune persone giovani che sanno il proprio lavoro, specialmente il ministro delle finanze, ma non hanno esperienza con questo nostro ambiente e con i nostri problemi. Come anche negli altri paesi, le riforme iniziano con l'aumento dei prezzi, la caduta dello standard di vita, e così ora la questione è quanto le masse estremamente impoverite possano sopportare tutto questo.

DANI: In questo contesto, vi preoccupa il fatto che tutte le indagini rilevano come il politico di gran lunga più popolare in Serbia sia Vojislav Kostunica?

DAVID: Attorno a lui si
riuniscono tutti quelli che in questo momento si sentono perduti senza Milosevic, si radunano anche le correnti radicali attorno alla Chiesa ortodossa, tutti coloro che pensano che Milosevic abbia tradito. Quindi, quelli che credono che Milosevic sia colpevole non per le sue idee, bensì per non avere compiuto ciò che aveva promesso. Ecco, qualche tempo fa ho ascoltato Milorad Vucelic, che per tanto tempo è stato il braccio destro di Milosevic, che alla televisione dice apertamente "sapete cosa, le idee che sono state fondate negli anni novanta sono idee eccellenti e la maggior parte del popolo ancora oggi sostiene tali idee. Il problema è che Milosevic si è dimostrato debole, non è riuscito a realizzare tali idee e si è meritato il destino che ha avuto. Ma, quelle idee sono rimaste e noi su esse dobbiamo perseverare". E Milorad Vucelic è attualmente presidente di un, cosiddetto, partito socialista in Serbia e ovviamente ha l'intenzione di occupare, prima o poi, qualche posto in quella principale corrente socialista, nel partito di Milosevic. Qui attualmente si tengono manifestazioni della nuova opposizione, cioè l'ex potere, dove sventolano insieme le bandiere del Partito radicale, dello JUL, del SPS e di alcuni gruppi clericali. Tutto questo va insieme e la retorica è marcatamente nazionalistica. Dall'altra parte abbiamo la stessa retorica dell'attuale potere, specialmente a livello federale. Si tratta del SNP del Montenegro, che è nella coalizione con la DOS, come anche la SNS di Bojovic. Pertanto, si ha il paradosso che i partiti con una retorica marcatamente nazionalistica, secondo le apparenze, si battono per la Jugoslavia. Le tesi si sono solamente un po' modificate, ma dietro ciò è rimasta la stessa storia ed è quello che in questo momento assolutamente deve preoccupare. Milosevic a suo tempo controllava l'esercito e la polizia, come anche diverse truppe paramilitari. Ora abbiamo una situazione in cui la maggior parte dell'esercito sta dietro il presidente Kostunica e la maggior parte della polizia dietro il premier Djindjic, così che due strutture statali armate sono in qualche modo in contrasto. Ecco, anche lo stesso premier Djindjic ha riconosciuto che durante l'estradizione di Milosevic ad un certo punto è esistita la possibilità di uno scontro tra l'esercito e la polizia. Voglio dire che si sta aprendo la potenziale possibilità di un qualche scontro civile, per non dire di guerra civile, nel caso in cui i contrasti nella stessa DOS dovessere continuare ad acuirsi. Dall'altra parte, i gruppi paramilitari - non so quali altri siano stati al tempo di Milosevic sotto il suo controllo. Adesso avete cinque o sei centri di potere ed ognuno di essi ha il suo gruppo, chi picchiatore, chi terrorista, che è in grado di attaccare alcuni gruppi di minoranza. Ecco, due giorni fa c'è stata un'immagine molto brutta quando con il permesso del governo si sarebbe dovuta tenere la parata gay con venti partecipanti. Ma , sono stati attaccati da oltre mille appartenenti di alcuni gruppi militanti di destra uniti attorno alla chiesa e vi è stato un vero linciaggio. Tutto ciò ricordava fortemente quello che accadeva in Germania all'inizio degli anni trenta. Io temo l'aumentata influenza delle diverse truppe di picchiatori, desiderosi di fare i conti con i gruppi di minoranza. Laddove i gruppi di minoranza non si sentono sicuri è difficile parlare di democrazia. Credo che il problema di tutto il territorio dell'ex Jugoslavia stia nel fatto che i gruppi di minoranza soffrono.

DANI: Pensa che l'estradizione di Milosevic potrebbe essere il culmine di scontri suscettibili di portare anche alla spaccatura di una coalizione così innaturale come è la DOS?

DAVID: Tale spaccatura in più partiti, dei quali alcuni saranno al potere, ed alcuni all'opposizione, non dovrebbe essere in sé una cosa cattiva. A un dato momento è sembrato un bene, anche per la Serbia, che si creasse un'opposizione all'interno della DOS. Non è un bene che qualcuno abbia un potere così assoluto come quello che ha la DOS a livello di repubblica. Non è un bene neanche per la DOS, poiché vi era la convinzione che tale opposizione sarebbe stata meglio di quella che si sarebbe creata dall'unione dei radicali, dello JUL, del SPS e di alcuni gruppi di destra. Invece, cosa succede? I contrasti aumentano nel senso che se se si produce una spaccatura nella DOS, non si creerà solo un'opposizione all'interno della DOS, ma, temo, avverrà l'unione dei partiti nazionalisti sia della DOS che esterni a essa. Ho già parlato di quanto sia forte questa retorica nazionalistica nei partiti di destra, ma essa esiste, eccome, anche nei partiti con il cosiddetto prefisso socialista. A fini unicamente di esempio, cito che Marija Milosevic, la figlia di Slobodan Milosevic, poco tempo fa ha detto, per un giornale montenegrino, che " nella Serbia il potere è nelle mani degli zingari, dei zinzari, degli ebrei e dei turchi". Così parla la persona più vicina al presidente Milosevic... E' una retorica che è diventata usuale per il SPS e lo JUL, diventati i partiti della destra estrema che non si distinguono dai radicali. E' difficile adesso ricomporre tutto ciò ed io temo che tante cose siano in gioco. Di recente il ministro degli esteri Goran Svilanovic ha detto che il maggior pericolo è che dietro il presidente Kostunica, da una parte, e dietro il premier Djindjic, dall'altrae, ci sono centri di potere che i due, forse, a un certo punto non potranno più controllare. Per capire di cosa parla Svilanovic, questo "centri di potere", potete tradurlo con "la mafia". Quella mafia che era dietro Milosevic, cioè, adesso si è ricomposta. Si tratta di una mafia criminale che è entrata profondamente nella politica, scegliendo l'una o l'altra parte. Tali centri di potere dispongono di grosse somme di denaro e possono avere una grande influenza sulla politica, così come come la hanno avuta in passato. Si arriva addirittura a domandarsi in quale misura la mafia abbia partecipato anche al rovesciamento di Milosevic e quale sia potuto essere il suo interesse in tutto ciò. Forse, semplicemente, in un determinato momento ha iniziato a essere l'ostacolo ad alcuni affari molto grossi.

DANI: Sabato siamo stati insieme a Belgrado alla presentazione del libro del defunto Slobodan Inic presso il Centro per la decontaminazione culturale. Devo dirle che condivido l'emozione di Ivan Lovrenovic riguardo le persone che si sono riunite alla presentazione. E' stato splendido vedere il volto più bello di Belgrado di tutti questi anni - lei, Latinka Perovic, Radomir Konstantinovic, l'attore Ljuba Tadic, Borka Pavicevic, Olga Popovic, Milanka Saponja-Hadzic, Teofilo Pancic, Djidjo Krnjevic, persino Bogdan Bogdanovic era là. Mi interessa quanto per lei, per le persone che ho elencato e per altri che ho incontrato, sarà più facile stare adesso a Belgrado. Quante sono adesso le vostre possibilità?

DAVID: Vede, questa è una cosa paradossale. Tutti abbiamo sentito in quel 5 ottobre una grande euforia. Si è trattato veramente di qualcosa che si vive solo una volta nella vita, una grande massa di persone, un rovescio politico. Setto-otto giorni dopo tutto questo, tutti camminavano per le strade con un umore particolare. Le aspettative che sono state create allora sopravvivono ancora qua e là, la gente è pronta anche a sacrificarsi se i cambiamenti fossero per il meglio. Ma, d'altra parte, dovrei dire che il mio imbarazzo adesso è maggiore di quello che provavo durante il periodo del presidente Milosevic. Perché? Perché anche in alcuni degli ultimi anni della presidenza di Milosevic è stato creato un forte fronte contro di lui, che riuniva diverse opzioni dove non si pensava alle differenze. Lo scopo era rovesciare Milosevic e si credeva che dopo di ciò tutto sarebbe andato come deve andare, in meglio. Tuttavia, proprio perché dopo la caduta di Milosevic fino ad oggi non sono stati fatti alcuni necessari e radicali cambiamenti, e nemmeno oggi si ha la forza per farli, si ha l'impressione di una grande stagnazione. Nel caso in cui tali riforme non venissero effettuate sul piano politico, culturale, economico, allora tutti sapremmo che non esiste prospettiva. Al tempo di Milosevic la prospettiva si intravedeva – si credeva che fosse sufficiente che se ne andasse e che tutto avrebbe iniziato ad andare come si deve. Adesso è chiaro che ciò non è così, ed esiste un grande pericolo che si possa prendere la strada che porta ancora a un periodo di grandi incertezze. Sento che molti non provano più passione, che rinunciano alla battaglia di coloro che hanno combattuto contro Milosevic. Ora, in fondo, tale circolo si è ridotto. Quel circolo di persone che dispongono di spirito critico verso tutto ciò che è negativo. Credo che qualsiasi potere dovrebbe essere felice di avere sempre più critici, e non persone che lo adulano. Ma, accade proprio il contrario: ci sono sempre meno critici, e sempre più adulatori. Ci sono ancora molte zavorre del vecchio potere, si cerca un adattamento e non solo nella politica. Si porta avanti il grande cambio d'abito di quelli che fino a ieri erano da una parte, e durante la notte sono passati dall'altra. I cambiamenti non sono tali da consentire ad un uomo di essere sicuro che la via intrapresa sia quella giusta. Quello che può turbare la pace, è che ci sono così poche persone giovani che si impegnino fino in fondo per la realizzazione di ideali riguardo una società giusta e buona. Quelli che sono all'estero non sono tornati, e pare che non abbiano nessun desiderio di tornare. Se dovessi dare una sorta di voto, ripeterei quello che dissi nel novembre dello scorso anno: la Serbia è al bivio – al bivio fra la via che conduce in Europa e quella che conduce al passato. E adesso, dopo sette, otto mesi da tale constatazione, posso soltanto ripetere che non abbiamo ancora scelto la via e che non abbiamo ancora intrapreso alcun cambiamento. Da ciò, anche l'imbarazzo e la paura che possa veramente accadere che tutte quelle speranze e aspettative non si realizzino.

(Traduzione di Ivana Telebak e Luka Zanoni)