"I giorni più bui mai vissuti da Israele"
Michele Giorgio
il manifesto 3 settembre 2003
"Di fronte all'acuirsi del conflitto palestinese molti intellettuali chiudono gli occhi e credono che tutto sia lecito, ma non è così". Parla Aviv Lavie, il giornalista di Haaretz che ha svelato l'esistenza del carcere 1391, la Guantanamo israeliana in cui, senza alcun rispetto per i diritti umani, vengono segregati i palestinesi.
È spartana la sede di Haaretz, il più autorevole dei quotidiani israeliani. L'editore, la ben nota famiglia Schoken, che vanta la proprietà di testate giornalistiche anche in altri paesi, non ha certo ecceduto nell'arredamento e nelle rifiniture di stanze e corridoi. Ma forse è questo lo stile che più di addice ad un giornale progressista (ma solo fino ad un certo punto), che spesso va controcorrente quando si parla di palestinesi e processo di pace. Non è poco in un momento in cui gran parte della stampa israeliana non mette in dubbio la linea del governo di Ariel Sharon. Aviv Lavie, inviato speciale del giornale, ci accoglie nel suo piccolo ufficio. Il computer è in funzione, sta ancora lavorando all'inchiesta sull'esistenza in Israele di un carcere segreto di cui ha riferito nei giorni scorsi. "È stata sino ad oggi una indagine giornalistica molto impegnativa, ma anche ricca di risultati", ci dice Lavie con tono soddisfatto. "Aver portato alla luce l'esistenza di questa prigione è stato importante e spero che si faccia il possibile per impedire che possano esserci ancora segreti del genere".
In ogni caso è sorprendente che l'esistenza di un carcere possa rimanere
oscura per oltre venti anni in un paese che, ad ogni occasione, afferma di
essere "l'unica democrazia del Medio Oriente".
Si, è vero. Anche perché questo paese ufficialmente ha avuto molti
segreti ma poi è sempre venuto tutto alla luce in breve tempo. Tutti
sanno, non solo in Israele ma anche all'estero, del fatto che questo paese possiede
armi atomiche, delle località dove sono state costruite determinate basi
dell'esercito. Soprattutto quando parliamo di questioni militari è impossibile
tenere tutto segreto. Ciò dipende dal fatto che in Israele tutti o quasi
prestano servizio militare, gli uomini per ben tre anni. Nell'esercito accanto
ai nazionalisti più accesi ci sono coloro che credono nella democrazia
e nel rispetto dei diritti umani. Quindi, per quanti sforzi le autorità
facciano per tenere all'oscuro l'opinione pubblica di determinate cose, le persone
con una coscienza democratica sentono il dovere di dover rivelare i fatti più
inquietanti, più preoccupanti, ai quali hanno assistito durante il servizio
militare.
Ciò che dice ha un fondamento, tuttavia per una ventina di anni l'esistenza
di questo carcere speciale, dove vengono sistematicamente violati i diritti
umani, è rimasta segreta. Inoltre il fatto che la prigione 1391 sia
gestita dall'esercito contraddice, almeno in parte, ciò che lei dice
rispetto a coloro che fanno il servizio militare.
Nel caso della prigione 1391 parliamo di una vicenda davvero eccezionale. Credo
che sia rimasta segreta per così tanto tempo a causa del fatto che per
gran parte della sua esistenza abbia ospitato cittadini di altri paesi e non
palestinesi o israeliani. Chi è stato tenuto in questo carcere di fatto
è scomparso, di lui non si è saputo più nulla. Le famiglie,
ad esempio, di libanesi, siriani o iraniani catturati lungo i confini o rapiti
nei loro paesi da unità israeliane come lo sceicco Obeid e Mustafa Dirani,
sapevano che erano tenuti prigionieri in Israele ma non si sono rivolti, nella
maggioranza dei casi, alle organizzazioni umanitarie internazionali per ottenere
informazioni precise sulla loro detenzione o per chiedere la scarcerazione immediata
dei loro congiunti. Quei casi sono stati gestiti più politicamente che
nell'ambito della tutela dei diritti umani. Nel caso dei palestinesi invece
non sarebbe stato possibile tenere le cose segrete per tanto tempo perché
gli avvocati, le famiglie si attivano subito per seguire la sorte dei detenuti,
sono solleciti nel presentare richieste e petizioni. E non caso della prigione
1391 si è saputo la scorsa primavera, dopo quasi venti anni, proprio
perché aveva cominciato ad ospitare anche palestinesi. La loro scomparsa
ha messo in allerta i familiari che si sono rivolti ai centri per i diritti
umani e il segreto alla fine è stato svelato.
In quale occasione lei ha appreso della esistenza del carcere 1391?
Sembra incredibile ma è stato durante una udienza della Corte suprema
aperta al pubblico. I giudici stavano esaminando la petizione presentata dal
centro Hamoked e dall'avvocato Lea Tsemel che rappresentavano alcune famiglie
palestinesi che avevano denunciato la scomparsa di congiunti arrestati dall'esercito
durante la rioccupazione dei territori autonomi palestinesi nel 2002 e le incursioni
più recenti avvenute nelle città della Cisgiordania. Di solito
di un palestinese arrestato si perdono le tracce solo per qualche giorno, soprattutto
durante i duri interrogatori ai quali vengono sottoposti, poi i servizi di sicurezza
comunicano ai loro avvocati le prigioni in cui sono stati trasferiti. Invece
di un certo numero di arrestati ad un certo punto non si era saputo più
nulla, erano svaniti nel nulla. L'avvocato dello stato, messo sotto pressione
dai giudici, ad un certo punto ha rivelato l'esistenza di una prigione segreta
in cui vengono rinchiusi palestinesi e cittadini arabi ritenuti a conoscenza
di informazioni di primaria importanza per la sicurezza di Israele. In pratica,
l'esercito, di fronte alle molte migliaia di arrestati durante i raid e le rioccupazioni
delle città autonome, è stato costretto a trasferire nella 1391
alcuni palestinesi eccellenti, si dice persino il segretario di Al-Fatah Marwan
Barghuti. Dal loro punto di vista però è stato un errore poiché
questa decisione di fatto ha poi portato nel giro di qualche mese alla luce
questo carcere speciale.
E cosa è accaduto dopo?
Molto poco. I mezzi d'informazione israeliani hanno finto di non aver sentito.
Anche quelli stranieri in verità. Ricordo solo una notizia dell'agenzia
di stampa americana AP in cui si riferiva delle ammissioni fatte dall'avvocato
dello Stato. Poi si è messa in movimento la rete televisiva Canale 10
che non è andata oltre la messa in onda di una immagine, girata a molta
distanza, del carcere segreto. Io invece per due mesi ho cercato i militari
che avevano prestato servizio in quella prigione, li ho intervistati e in questo
modo ho potuto riferire nel mio servizio di ciò che accade nella 1391,
dei nomi di alcuni dei prigionieri che vi sono stati rinchiusi, delle violazioni
dei diritti umani.
Il suo servizio giornalistico è ricco di informazioni e ha portato
alla luce un caso di importanza internazionale. Eppure non mi pare che in
Israele questa vicenda abbia scosso l'opinione pubblica o messo in movimento
le forze progressiste. Perché è mancata la reazione che era
legittimo attendersi?
Qualcosa si è mosso. Alcuni parlamentari hanno chiesto chiarimenti, in
particolare Zahava Gal-On del Meretz che ha presentato una richiesta alle autorità
militari per entrare nel carcere speciale. Anche la radio militare è
intervenuta sul caso e mi ha intervistato. Mi rendo conto però che non
è molto. Purtroppo non solo l'opinione pubblica ma anche i mezzi d'informazione
che dovrebbero porsi interrogativi e svelare fatti inquietanti, si sono allineati,
appiattiti sulle posizioni espresse dall'establishment politico. Di fronte all'acuirsi
del conflitto con i palestinesi, un po' tutti, e con maggiori colpe giornalisti
e intellettuali, preferiscono chiudere un occhio, anzi tutti e due, e credere
che tutto sia lecito, che tutto sia consentito. È un momento difficile,
forse il più difficile dal 1948 ad oggi, per la democrazia in questo
paese. E purtroppo imprimere una svolta e mettere fine a questo periodo nero
non sarà facile.
***
Gli orrori della 1391, prigione-vergogna
Torture e abusi nel carcere di cui neanche i politici conoscono l'esistenza
Michele Giorgio
il manifesto 3 settembre 2003
La prigione segreta 1391 si trova nella parte centrale del paese. Sulla località
della "Guantanamo" di Israele Aviv Lavie non ha potuto riferire di
più, la censura militare ha posto limiti strettissimi. Molto di più
invece il giornalista di Haaretz è riuscito a raccontarci sulle condizioni
di vita, sugli abusi, le torture subite dai detenuti e altro ancora su ciò
che avviene all'interno delle mura di questo carcere vietato persino alla Croce
rossa internazionale. Dell'esistenza di questa prigione sotto la gestione diretta
della unità di intelligence 504, erano all'oscuro non solo l'opinione
pubblica israeliana e la comunità internazionale ma anche, ad esempio,
l'ex ministro della giustizia (ai tempi di Yitzhak Rabin) David Libai.
Un altro ex ministro della giustizia, Dan Meridor, invece ha ammesso di aver
sempre saputo di questo carcere speciale ma di non averlo mai visitato. Dopo
le rivelazioni fatte da Aviv Lavie, la parlamentare del Meretz Zahava Gal-On
ha chiesto di poter entrare nella prigione ma non è stata ancora autorizzata.
Nel carcere di massima sicurezza 1391, situato in una base dell'esercito, i
prigionieri vivono in celle di 2,5x2,5 metri. Solo i personaggi "illustri"
hanno diritto a più spazio (2,5x4 metri). Le celle di isolamento sono
grandi non più di 1,5x1,5 metri. Un buco nel pavimento è il water
che il carcere offre ai suoi "ospiti". I detenuti ogni giorno hanno
diritto ad un'ora all'aria aperta, il resto del tempo lo passano in locali senza
finestre, con la luce artificiale. Tre volte al giorno un militare bussa alla
porta delle celle, i detenuti si coprono il capo e il volto con un sacco e alzano
le mani in alto e le abbassano soltanto dopo la consegna del cibo. Gli interrogatori,
affidati agli agenti della 504, sono durissimi, spesso si trasformano in torture
vere e proprie e i detenuti vengono persino minacciati, ha scritto Aviv Lavie,
di abusi sessuali.
La prigione segreta era riservata a cittadini di altri paesi catturati lungo
i confini durante sconfinamenti o incursioni armate oppure perché rapiti
dalle unità speciali israeliane, come lo sceicco Abdel Karim Obeid (nel
1989) e l'ex capo guerrigliero sciita Mustafa Dirani (nel 1994). Entrambi, nelle
intenzioni israeliane, servirebbero per realizzare uno scambio di prigionieri
che dovrebbe portare alla liberazione del pilota navigatore Ron Arad abbattuto
in Libano nel 1986 (molti ritengono che sia morto) e di altri israeliani. A
far compagnia a Obeid è stato per ben 11 anni Hashim Fahaf, un giovane
che si trovava per caso nella abitazione dello sceicco la sera del suo rapimento
e che per ritornare a casa (assieme ad altri 18 libanesi mai processati) ha
dovuto aspettare una sentenza della Corte Suprema israeliana.
Di recente, su richiesta dello Shin bet (servizio segreto interno) il carcere
ha aperto le sue tristi porte anche ad alcuni palestinesi, ritenuti capi di
cellule armate dell'Intifada. Proprio la scomparsa nel nulla di alcuni palestinesi
arrestati in Cisgiordania nell'ultimo anno ha messo in moto qualche mese fa
l'iniziativa dei centri per i diritti umani che ha costretto, durante una udienza
della Corte Suprema, l'avvocato dello stato a rivelare in pubblico l'esistenza
della prigione segreta. I centri per i diritti umani tuttavia sottolineano che
non bisogna dimenticare la situazione all'interno di carceri di cui si conosce
da sempre l'esistenza e dove le condizioni di vita sono insopportabili e gli
abusi frequenti. Negli ultimi mesi i circa 7.000 prigionieri politici palestinesi
(quasi tutti arrestati negli ultimi due anni) hanno attuato più volte
scioperi della fame e proteste. Due di loro non mangiano da 20 giorni, le loro
condizioni di salute vengono giudicate critiche.
"Come Pinochet"
Quella che riproduciamo è una lettera scritta dalla figlia di un dissidente
politico cileno assassinato nelle carceri di Pinochet durante la dittatura militare.
La donna, che oggi vive nel kibbutz di Megidda, rivolge un pesante atto di accusa
al governo Sharon per il modo in cui vengono trattati i prigionieri politici.
La lettera è stata pubblicata da Haaretz magazine il 22 agosto 2003.
Come figlia cilena di un desaparecido e come attivista politica ho sperimentato in prima persona il potere e la malvagità della dittatura. La mia famiglia non ha potuto sapere nulla della sorte di mio padre per molti anni, fin quando abbiamo appreso che era stato torturato e ucciso. Io sono stata costretta a nascondermi con la mia piccola bambina. Il nostro crimine era unicamente quello di credere di poter lottare per la libertà.
L'articolo di Aviv Lavie ci ha riportato alla memoria quei giorni terribili di Pinochet e della sua giunta militare. Israele, con ostinata perseveranza, sta diventando sempre più come quel regime buio. Persone vengono incarcerate senza processo, torturate, sono negati loro i diritti fondamentali, tra cui le visite da parte di familiari e avvocati. Noi già conoscevamo tutte queste cose, ma l'articolo svela una realtà più dura: torture sessuali, carceri, il dominio dell'apparato militare su quello civile e politico (fino al punto che il primo cancella informazioni dagli ultimi due). Non possiamo accettare nessuna scusa per violazioni dei diritti umani così evidenti. Dobbiamo capire che tutto ciò viene compiuto nel nostro nome. Tutto ciò mi spaventa.
Lili Traubman, dal Kibbutz di Megiddo