Morti sospette e torture nell'Afghanistan occupato
LE MONDE diplomatique - Aprile 2004
Un rapporto di Human rights watch sull'esercito americano
Molti cittadini britannici imprigionati a Guantanamo, appena liberati senza che alcuna accusa nei loro confronti fosse rimasta in piedi, hanno fatto dichiarazioni a proposito delle torture subite nei lunghi mesi di detenzione. La base americana resta un luogo di non-diritto dove, nell'indifferenza generale, sette francesi restano reclusi, mentre Parigi continua a mantenere un basso-profilo in una materia che è una flagrante violazione dei diritti umani (si veda l'articolo in questa stessa pagina). D'altronde, un rapporto dell'organizzazione Usa Human Rights Watch ha denunciato con forza il comportamento delle truppe americane in Afghanistan: violazione del diritto di guerra, uso sproporzionato della forza, saccheggi, morti sospette di civili, torture a prigionieri, ecc. Oltre a criticare tali metodi, il testo spinge a porsi domande sul comportamento delle truppe francesi che prendono parte ai combattimenti al fianco degli alleati americani. Sono responsabili di simili atti di violenza? Le autorità francesi starebbero coprendo con il loro silenzio crimini di guerra americani? È significativo che il rapporto, di cui pubblichiamo ampi stralci, in Francia non sia stato ripreso dai maggiori media e neppure ricordato in poche righe (si veda il sito http://hrw.org/reports/2004/afghanistan0304/)
Uso eccessivo della forza nel corso degli arresti Le forze americane impiegano
regolarmente metodi militari per effettuare gli arresti in Afghanistan, trascurando
talvolta il rispetto del diritto internazionale umanitario e la Carta dei
diritti dell'uomo.
Le regole di ingaggio americane, concepite per situazioni di combattimento,
sono spesso applicate al posto delle procedure di arresto civili.
Inoltre le carenze dei servizi di informazione hanno provocato la cattura
di civili che non erano implicati nelle ostilità, delle perdite civili
nel corso delle operazioni di arresto e la distruzione ingiustificata di case.
Testimonianze credibili affermano inoltre che le forze americane hanno picchiato
e sottoposto a sevizie alcuni prigionieri, che le truppe afghane che accompagnano
le forze americane hanno maltrattato civili e saccheggiato le case delle persone
arrestate.
Secondo un responsabile dell'Onu incaricato di raccogliere delle testimonianze
sulle operazioni del 2002, si rimprovera alle truppe americane di «comportarsi
con una brutalità da cow-boys» nei confronti dei civili che «in
genere si rivelano essere dei cittadini rispettosi della legge». Alcuni
testimoni affermano in particolare che i soldati «invece di bussare
distruggono le porte con granate» e trattano le donne e i bambini con
brutalità.
Human Rights Watch è particolarmente preoccupata dal fuoco di copertura
(suppressing fire) utilizzati nel corso delle operazioni di arresto: la tecnica
di fuoco consiste nello sparare in modo intenso e continuo per immobilizzare
le forze nemiche. Human Rights Watch ritiene che il ricorso a questa tecnica
di fuoco (senza che il nemico abbia sparato) non sia opportuno per gli arresti
effettuati nelle zone residenziali, dove nessun combattimento è in
corso nel momento delle operazioni.
Il caso di Ahmed Khan e dei suoi figli Una sera del luglio 2002 le forze americane
assaltano la casa di Ahmed Khan, nel distretto di Zurmat, che fa parte della
provincia di Paktia. Il distretto di Zurmat, anche se non del tutto sicuro,
è strettamente controllato dalle forze afghane alleate degli Stati
uniti. Nel corso dell'assalto, Ahmed Khan e i suoi due figli, di 17 e 18 anni,
sono arrestati. Un contadino è stato ucciso e una donna di una casa
vicina è rimasta ferita. Human Rights Watch ha interrogato alcuni testimoni
dell'assalto, che Ahmed Khan racconta in questo modo: Era l'epoca del raccolto.
I contadini dormivano vicino a mucchi di fieno... Dovevano essere le 9 di
sera. Eravamo a letto ma non dormivamo ancora... Improvvisamente c'è
stato molto rumore. Gli elicotteri sorvolavano sopra di noi. Ci sono state
forti esplosioni. La casa ha tremato. Le torri [gli angoli della casa] sono
state colpite...
L'assalto è cominciato. Alcuni elicotteri si sono avvicinati, li sentivamo
volteggiare e sparare con la mitragliatrice. C'era un rumore terribile. Si
sentivano delle esplosioni. Hanno distrutto una torre con un missile e uno
dei muri della casa.
Secondo Ahmed Khan l'intera famiglia si è sdraiata sul pavimento della
camera da letto, al secondo piano. I proiettili rompono i vetri e le porte.
Alcuni vicini affermano di aver visto gli elicotteri sparare sulla casa e
attorno a essa. Ahmed Khan racconta come i soldati americani sono entrati
in casa sua, sparando: Dalle finestre in frantumi avevo visto molti soldati
nel cortile.
Hanno sparato sulla porta [di ingresso], l'hanno aperta e sono saliti al piano
superiore. Sono anche entrati dalle finestre... Sono entrati dalle finestre
che avevano distrutto con i proiettili e le bombe.
Sono arrivati nella nostra camera. Hanno sfondato la porta e sono entrati
spianando le armi e puntando le torce su di noi. Ci hanno fatto segno di alzare
le mani. Non c'erano afghani con loro, né interpreti pashtun. Più
tardi, abbiamo visto un interprete in cortile... Hanno legato le mani degli
uomini e hanno detto alle donne di scendere nel cortile. Poi hanno portato
anche noi nel cortile.
Dopo l'assalto i soldati, americani e afghani, perquisiscono la casa, facendo
uso delle loro armi per aprire le porte.
[I soldati americani] hanno portato le donne in un altro edificio [dall'altra
parte del cortile]. Poi hanno perquisito la casa. Hanno rotto tutti i vetri
e sfondato le porte degli armadi. Hanno sparato nelle scatole e le hanno rovesciate.
[Più tardi] ci hanno messo dei cappucci in testa e ci hanno fatto uscire.
Siamo saliti su un elicottero.
Sentivo il motore. Abbiamo volato a lungo... Non saprei dire per quanto tempo.
Più tardi, ci hanno detto che eravamo a Bagram.
Dopo l'assalto si ritroverà il cadavere di Niaz Mohammad, un contadino
del villaggio. Un vicino ha dichiarato a Human Rights Watch: [Più tardi]
abbiamo trovato il corpo dell'uomo che era stato ucciso.
Era Niaz Mohammad. Era stato colpito da un proiettile al piede e da uno nella
schiena. Il proiettile è entrato dalla schiena ed è uscito passando
per il cuore. Lo abbiamo trovato vicino al mulino.
Ahmed Khan e i suoi vicini hanno dichiarato a Human Rights Watch che Niaz
Mohammad dormiva fuori, vicino ai mucchi di fieno, per impedire che qualcuno
potesse rubare il raccolto. (...) Arresti arbitrari o ingiustificati e detenzione
a tempo indeterminato Le forze americane catturano regolarmente combattenti
e civili che hanno preso le armi contro le truppe americane, afghane o della
coalizione.
Tuttavia le forze americane arrestano anche civili che hanno preso parte alle
ostilità, e a volte questi arresti sembrano arbitrari o basati su informazioni
parziali o errate.
Le forze americane arrestano talvolta tutti gli uomini in età per combattere
che si trovano nei paraggi delle operazioni in corso.
In altre occasioni le persone sono arrestate perché i responsabili
americani ritengono che rappresentino un rischio per la sicurezza o possano
aiutare i servizi di informazione - quando si tratta ad esempio di religiosi
o di leader locali che possono avere dei contatti con i talebani o, semplicemente,
che si trovano nelle vicinanze di un combattimento. Human Rights Watch ha
interrogato molti civili che sono stati arrestati perché si trovavano
nel posto sbagliato, nel momento sbagliato.
Per molte di queste persone l'arresto segna l'inizio di un calvario nel corso
del quale possono essere picchiati o maltrattati, interrogati in modo ripetitivo
e apparentemente casuale, e imprigionati per settimane o mesi senza rivedere
le loro famiglie. E quando sono rilasciati spesso si rendono conto che la
loro casa è stata saccheggiata dai soldati afghani.
Così nel mese di maggio 2002, le forze americane hanno preso d'assalto
due case del villaggio di Kirmati, vicino alla città di Gardez, e arrestato
cinque uomini. Questi saranno tutti rilasciati e ricondotti a Gardez. Nel
corso dell'assalto alcuni testimoni hanno visto degli aerei e degli elicotteri
americani sorvolare il villaggio e ricorrere al «suppressing fire».
Questo assalto si è svolto in un quartiere residenziale e non è
stato provato che gli americani abbiano incontrato della resistenza. Kirmati
era all'epoca, ed è ancora oggi, sotto il controllo delle forze afghane
alleate con gli Stati uniti.
I cinque uomini arrestati sono Mohammed Naim e suo fratello Sherbat, Ahmaddullah
e suo fratello Amanullah, e Khoja Mohammad. Mohammad Naim racconta il raid:
Era notte fonda. Dopo mezzanotte. Improvvisamente c'è stato molto rumore,
un rumore enorme, assordante... Sono uscito nel cortile.
Di colpo un uomo mi ha minacciato con la sua arma. Mi sono arreso.
La testimonianza del fratello di Mohammad Naim è simile. Ahmaddullah
e Amanullah sono arrestati in una casa vicina. Un altro abitante del villaggio,
Khoja Mohammad, è arrestato quando esce da casa sua per vedere quello
che succede. (...) I cinque uomini sono portati a Bagram. Mohammad Naim continua
il suo racconto: Ci hanno scaraventato in una stanza e ci hanno tenuto con
il viso a terra. Siamo rimasti così a lungo. Poi mi hanno rialzato
e mi hanno portato altrove. Mi hanno tolto la fascia sugli occhi e ho visto
che ero solo. C'erano altre persone nella stanza, ma ero il solo prigioniero.
Mi hanno messo a terra, un uomo aveva un piede sulla mia schiena. Un interprete
mi ha chiesto il mio nome e glielo ho detto. Mi hanno detto di togliermi i
vestiti e mi sono ritrovato nudo. Ci hanno fotografati, nudi. Poi ci hanno
dato altri vestiti, di colore blu.
Un uomo è arrivato, con un sacco di plastica. Mi ha passato la mano
nei capelli. Poi ha tagliato un ciuffo e dei peli della barba...
L'esperienza peggiore è stata quando ci hanno fotografato nudi. Completamente
nudi. È stato terribilmente umiliante.
Secondo Mohammad e Sherbat Naim, l'interrogatorio che si è svolto nel
corso dei giorni successivi è stato molto vago e dimostra che gli investigatori
americani non avevano alcuna idea di chi fossero i due fratelli: Dopo sedici
giorni di detenzione e sei interrogatori, gli americani hanno rilasciato i
cinque uomini. Sherbat dichiara: Quando ci hanno rilasciato, un americano
ci ha detto: «Vi chiediamo scusa, in nome dell'America e in nome del
presidente Bush. Siamo spiacenti». Ci hanno detto che ci avrebbero dato
un risarcimento per quello che era successo. Ci hanno detto che avremmo ricevuto
un aiuto. Ma non abbiamo avuto nulla.
Ci hanno rimesso il cappuccio e siamo risaliti sull'elicottero per rientrare
a Gardez. Siamo atterrati e siamo saliti su un camion.
Abbiamo chiesto all'autista di fermarsi prima del villaggio, per tornare a
piedi. L'interprete ci ha dato 30.000 afghanis [vecchi, circa 70 centesimi
americani] per poter comprare almeno del tè. (...) I centri di detenzione
della Cia Gli agenti della Cia hanno cominciato a operare in Afghanistan subito
dopo l'11 settembre 2001, per condurre delle operazioni militari e di informazione.
La Cia dispone di un grande centro operativo a Kabul. Situato nel quartiere
di Ariana Chowk, questo edificio strettamente sorvegliato è protetto
da un muro di cinta alto tredici metri, da filo spinato e da torrette. La
Cia possiede inoltre un centro di detenzione e di interrogatorio presso la
base aerea di Bagram, sebbene ciò non sia mai stato ufficialmente riconosciuto
dagli Stati uniti.
È impossibile sapere chi vi è detenuto, per quanto tempo e in
che condizioni. Non si sa neppure quali siano i criteri che motivano i trasferimenti
di prigionieri detenuti verso altri campi americani.
Human Rights Watch ha interrogato un ex capo talebano che è stato detenuto
per otto mesi in un centro non identificato nei dintorni di Kabul. I suoi
carcerieri erano soldati afghani ma era interrogato da americani in civile.
In Afghanistan il personale militare americano ha l'obbligo di portare l'uniforme,
è possibile quindi che questi uomini fossero della Cia. Questo ex capo
talebano ha affermato che c'erano altri prigionieri con lui. Ha sentito le
loro voci e le guardie parlavano ad altri detenuti. Ha dichiarato di aver
cooperato con gli americani e di non essere stato maltrattato. Pensa di essere
stato in una prigione situata nel quartiere di Shashdarak a Kabul, o nel centro
appartenente alla Cia che si trova ad Ariana Chowk.
È inoltre provato che gli Stati uniti detengono in Afghanistan delle
persone catturate fuori dal paese. (...) Le condizioni legali di detenzione
dei civili e dei combattenti in Afghanistan Le leggi internazionali umanitarie
tutelano i diritti di qualunque persona arrestata e imprigionata nel corso
di conflitti armati. Dopo la formazione del governo Karzai, i combattimenti
che si svolgono in Afghanistan sono considerati un conflitto «non internazionale»,
un conflitto interno. Le persone arrestate nel corso di un conflitto interno
devono essere trattate secondo l'articolo 3 della Convenzione di Ginevra,
secondo i termini del diritto internazionale umanitario consuetudinario e
secondo la Carta internazionale dei diritti dell'uomo.
In un conflitto interno le persone catturate nel corso dei combattimenti possono
essere giudicate per aver preso le armi contro il governo.
Si tratta quindi di una situazione diversa da quella del conflitto internazionale,
dove i soldati si vedono riconosciuto il «privilegio del combattente»,
che impedisce di giudicarli per il semplice motivo di aver preso parte al
combattimento. Ciò significa che il governo afghano può processare
in base alla legge afghana chiunque abbia partecipato all'attuale conflitto.
Tuttavia queste azioni giudiziarie devono essere fatte da tribunali che rispettino
le norme legali internazionali.
Le persone catturate che non hanno partecipato alle ostilità devono
essere accusate di un reato o rilasciate. Queste persone beneficiano della
protezione della Carta dei diritti dell'uomo e in particolare del diritto
di conoscere il proprio capo d'accusa, del diritto a un avvocato e a un processo
equo condotto da un tribunale indipendente.
Quando lo stato di emergenza è dichiarato alcune di queste procedure
legali possono essere sospese, ma «nello stretto limite delle esigenze
imposte dall'emergenza della situazione». A questo proposito il diritto
a un processo equo condotto da un tribunale indipendente non può mai
essere violato.
Anche se gli Stati uniti continuano ad affermare che in Afghanistan c'è
un conflitto di tipo internazionale, il loro comportamento nei confronti dei
prigionieri si rivela contrario alle leggi internazionali.
Nel corso dei conflitti armati internazionali infatti, i civili possono essere
imprigionati per «imperative ragioni di sicurezza», ma non possono
essere detenuti per un periodo di tempo indefinito. La quarta Convenzione
di Ginevra autorizza la loro detenzione «solo se la sicurezza della
potenza occupante è immediatamente minacciata». E in questo caso
il prigioniero ha il diritto di vedere la sua condizione rivista «il
più rapidamente possibile» da un tribunale o da un'istanza amministrativa
istituita dalla potenza occupante. La maggior parte delle regole che disciplinano
i conflitti interni si applicano anche ai conflitti internazionali. Non rispettandole,
gli Stati uniti violano il diritto internazionale. (...) Maltrattamenti durante
la detenzione Base aerea di Bagram Human Rights Watch ha ricevuto testimonianze
attendibili su maltrattamenti inflitti ai prigionieri del centro di detenzione
di Bagram. Sembra inoltre che alla fine del 2001, nei primi mesi successivi
alla creazione di questo centro, i prigionieri siano stati particolarmente
maltrattati.
Due prigionieri detenuti a Bagram nel marzo 2002 (che in seguito sono stati
inviati a Guantanamo, poi rilasciati e rimpatriati) raccontano di essere stati
tenuti in cella per diverse settimane in gruppo e con indosso solo i loro
indumenti intimi. Secondo i due uomini, dei fari erano puntati verso la loro
cella e i soldati americani si davano il cambio per mantenerli svegli colpendoli
con barre o bastoni. Dichiarano di aver vissuto in uno stato di paura e di
disorientamento prodotto dalla privazione del sonno, che sarebbe durata diverse
settimane.
Durante gli interrogatori erano obbligati a rimanere in piedi per diverse
ore con una lampada puntata sugli occhi. Si diceva loro che sarebbero stati
interrogati solo se rimanevano immobili per un'ora.
Se si muovevano, anche solo la testa, veniva detto loro che «il cronometro
era azzerato». Attraverso degli interpreti, gli americani dietro i riflettori
gridavano loro le domande.
Altri due prigionieri detenuti a Bagram alla fine del 2002 hanno dichiarato
a un giornalista del New York Times di essere stati obbligati a rimanere in
piedi, nudi e incatenati per diverse settimane di seguito.
Sarebbero stati inoltre privati del sonno e picchiati.
Un giornalista dell'Associated Press ha intervistato due prigionieri detenuti
a Bagram dalla fine del 2002 all'inizio del 2003: Saif-ur Rahman e Abdul Qayyum.
Qayyum era stato arrestato nell'agosto 2002, Rahman nel dicembre 2002. Entrambi
sono stati detenuti per più di due mesi. Interrogati separatamente,
hanno affermato di aver subito privazioni del sonno, di essere stati obbligati
a rimanere in piedi per lunghi periodi e di essere stati insultati da soldatesse.
Rahman racconta di aver passato la prima notte di detenzione nudo, in una
cella ghiacciata dove lo hanno bagnato con acqua fredda. Secondo lui era detenuto
nella base militare di Jalalabad. In seguito a Bagram alcuni soldati americani
lo hanno costretto a rimanere disteso per terra, nudo, immobilizzato da una
sedia. Dichiara di essere stato costantemente incatenato, anche durante il
sonno e di non aver avuto il dritto di parlare agli altri prigionieri. Qayyum
e Rahman hanno avuto dei legami con uno dei capi della provincia di Kunar,
Rohullah Wakil, eletto nel 2002 alla loya jirga di Kabul. Quest'uomo è
stato arrestato nell'agosto 2002 ed è ancora in prigione.
Secondo le testimonianze di detenuti rilasciati, gli americani puniscono i
prigionieri di Bagram non appena infrangono il regolamento, per esempio quando
parlano a un altro prigioniero o gridano alle guardie.
La persona è obbligata a tenere le braccia incatenate sopra la testa:
le catene sono bloccate sopra una porta per impedirgli di abbassare le braccia.
La persona è obbligata a rimanere in questa posizione per diversi periodi
di due ore. Secondo un detenuto che ha subito una tale punizione, questo trattamento
provoca forti dolori alle braccia. (...) Diversi responsabili americani, che
hanno scelto di mantenere l'anonimato, hanno dichiarato ai media che gli investigatori
dell'esercito e della Cia hanno fatto ricorso alla privazione del sonno e
che i prigionieri sono talvolta obbligati a rimanere in piedi o in ginocchio
per delle ore, con la testa in un cappuccio o con degli occhiali dipinti di
nero, in posizioni dolorose.
Nel marzo 2003 un responsabile americano ha raccontato al New York Times che
Omar Faruq, imprigionato a Bagram e sospettato di essere un collaboratore
di Osama bin Laden, ha subito delle tecniche di interrogatorio che «anche
se non erano delle vere e proprie torture, vi si avvicinavano molto».
Faruq è stato privato del cibo, del sonno e della luce, mantenuto in
completo isolamento e rinchiuso in una cella dove la temperatura variava tra
-12 e 38 gradi. Lo stesso mese, altri responsabili americani hanno raccontato
al New York Times gli interrogatori subiti da Abu Zubaydah, sospettato di
essere un capo di al Qaeda e probabilmente detenuto a Bagram dal marzo 2003.
Nel corso della sua cattura in Pakistan, Abu Zubaydah è rimasto ferito
alla schiena, all'inguine e alla coscia. Per farlo parlare le persone che
lo hanno interrogato hanno fatto variare le dosi di antidolorifico.
Militari incaricati di condurre l'interrogatorio hanno dichiarato al Wall
Street Journal: L'investigatore può fare leva sulle paure dei prigionieri,
come la fobia dei topi o dei cani. Si può far passare per qualcuno
che viene da un paese dove la tortura è autorizzata o minacciare la
persona di inviarla in quel paese. Il prigioniero può essere spogliato,
rasato e privato di ogni oggetto di culto o di pulizia personale. (...) I
morti in detenzione sotto responsabilità americana Nel dicembre 2002
due afghani detenuti nella base di Bagram sono morti. I medici militari che
hanno effettuato l'autopsia sono arrivati alla conclusione che si è
trattato di omicidio.
Uno dei prigionieri, Dilawar, di 22 anni, proveniente dalla città di
Khost nel sud-est dell'Afghanistan, è morto il 10 dicembre in seguito
a «colpi di corpi contundenti alle estremità inferiori che hanno
provocato complicazioni a una situazione già compromessa dell'arteria
coronarica». Il certificato di morte ottenuto dal New York Times è
stato fatto da un medico militare. L'altro prigioniero, Mullah Habibullah,
di circa 30 anni e originario della provincia di Oruzgan, è morto il
3 dicembre 2002. Davanti ai giornalisti una portavoce militare della base
di Bagram ha confermato che il medico legale militare era arrivato alla conclusione
che si trattava di omicidio provocato da «un'embolia polmonare [grumi
di sangue nei polmoni] provocata da colpi con corpi contundenti alle gambe».
Contattati da Human Rights Watch nel novembre e dicembre 2003 i due medici
hanno rifiutato di testimoniare. (...) Le condizioni legali del trattamento
dei prigionieri Il divieto di maltrattare e torturare i prigionieri è
uno dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario e della
Carta dei diritti dell'uomo. (...) L'uso prolungato di catene è una
violazione del diritto internazionale e può essere considerato una
forma di tortura. Il relatore speciale sulla tortura cita in molte occasioni
e in diversi contesti l'uso prolungato di catene come esempio di tortura.
Anche il segretario generale delle Nazioni unite ha definito le catene come
uno strumento di tortura.
Anche la privazione del sonno e l'esposizione al freddo sono contrarie al
diritto internazionale e possono essere considerate delle torture.
Il Dipartimento di stato americano, nel suo «Rapporto sul rispetto dei
diritti dell'uomo paese per paese» cita in diverse occasioni la privazione
del sonno e il freddo come esempi di tortura. (...)
Traduzione di A.D.R.