I pregiudizi e la conoscenza critica alla psichiatria
di Giorgio Antonucci
Il giudizio psichiatrico costituisce la prima e più diffusa segregazione
Nonostante in Italia sia stata approvata nel maggio del '78 una legge che prevede
formalmente il superamento dei manicomi, a tutt'oggi ne abbiamo ancora 60 in
pieno funzionamento. Se è vero che le vecchie istituzioni, per la verità
in maggioranza sostanzialmente immodificate, non possono più accogliere
nuovi degenti, a questo compito sono adibiti reparti di ospedale civile che
svolgono in tutto e per tutto le funzioni repressive degli istituti di una volta.
Il fatto è che la cultura e il costume restano quelli favorevoli alla
reclusione e all'internamento.
La realtà manicomiale, che si può toccare perché è
fatta di pareti, è ben poca cosa di fronte alla diffusione del concetto
stesso di manicomialità che si fonda esclusivamente sulla persistenza
del giudizio psichiatrico. Ritengo che a poco serva attaccare l'istituto del
manicomio se non si porta un attacco radicale allo stesso giudizio psichiatrico
che ne è alla base, mostrandone l'insussistenza scientifica. Finché
non sarà abolito il giudizio psichiatrico la realtà della segregazione
continuerà a fiorire dentro e fuori le pareti dei manicomi.
Per fare un paragone preciso all'interno della stessa cultura, è chiaro
che non è possibile abolire la segregazione razziale senza superare il
razzismo. Il tutore dell'ordine costituito o il sostenitore della moralità
dei costumi tradizionale che dà il giudizio di deviante a una persona
che non rispetta l'attuale tipo di organizzazione sociale (avendo pensieri o
comportamenti differenti da quelli prescritti), legittima di fatto la segregazione.
Diversa è la cultura di chi pensa che per la nostra specie sono possibili
moltissimi pensieri e comportamenti indipendentemente dalle convenzioni.
Dal punto di vista etimologico la parola deviante deriva dal verbo
deviare che significa "allontanarsi dalla via" o più precisamente
come dice il Boccaccio "uscire dalla via diritta, per dirigersi altrove"
o "allontanarsi dalla norma, dal giusto". Il termine deriva in italiano
dal latino tardo. Da questo è stato tratto il termine politico deviazionista.
Ma più tradizionalmente per identificare il dissenso dalle norme di
pensiero o di costume si usano anche nel linguaggio popolare le parole matto,
pazzo e folle.
La parola matto è di significato e di origine incerta, ma
questo la rende utile ancora di più nella sua indeterminazione perché
così la si può usare liberamente ogni volta che fa comodo. Così
può essere considerata ad esempio nel significato di "bizzarro
e difficile da trattare" oppure "opaco" oppure "chi ha
perso l'uso della ragione". Lombroso si è anche dilettato di farne
una variante col termine mattoide. E chiaro che quando si parla di "perdita
di uso della ragione" sarebbe utile precisare a quale ragione ci si riferisce.
Anche la parola pazzo è di etimologia incerta. Nel linguaggio
di tutti i giorni viene usato spesso per definire una passione entusiastica
come nelle espressioni pazzo di gioia, pazzo di felicità, pazzo d'amore.
Comunque alcuni scrivono "che si comporta in modo insensato".
La parola folle deriva dal latino e aveva il significato di "mantice,
sacco di cuoio, pallone" da cui deriva per metafora il significato di
"testa vuota". In termini più attuali si dice "di organo
ruotante quando gira a vuoto, senza trasmettere movimento".
La si usa per indicare pensieri e comportamenti e azioni che si allontanano
apparentemente o realmente dalle nostre abitudini e dai nostri modi di pensare
più usuali.
La tradizione psichiatrica che si viene formando via via dal Seicento in poi
negli ospizi sulle persone lì raccolte aggiunge al linguaggio comune
nuovi termini di giudizio negativo legati all'ipotesi che i pensieri e i comportamenti
che non ci piacciono siano dipendenti da un difetto del cervello.
Se proviamo al contrario a considerare opinioni e comportamenti dei singoli
individui senza prendere per punto di riferimento quello che pensa o che fa
la maggioranza in un determinato momento storico, cominciamo ad avere uno
scambio libero di punti di vista personali e di modi di fare individuali.
I problemi dell'intolleranza nascono dal fatto che alla generalità
delle opinioni si attribuisce un carattere di norma obbligante per tutti.
Per questo è preferibile parlare di generalità e non
di normalità degli atteggiamenti.
Così ad esempio posso affermare che a me personalmente non piace avere
rapporti omosessuali, ma non devo considerare deviante o anormale un'altra persona
perché fa scelte diverse. Una volta che si tolga alla generalità
(o a quella che per moralismo si fa finta che sia la generalità) dei
comportamenti sessuali il carattere di normalità e di verità,
l'altro potrebbe considerare deviante me e normale lui.
Ricordo a riguardo uno degli episodi più interessanti che mi sia capitato.
Era venuta da me per consulenza psicologica una giovane donna che mi aveva raccontato
di avere rapporti sessuali sia con uomini che con donne. Nel parlare mi aveva
chiesto se a me piacessero i rapporti omosessuali, ed io le avevo risposto di
no. Fu così che mi disse: "è segno che hai dei problemi!".
Così aveva rovesciato il discorso.
La semplificazione della vita individuale come la semplificazione nella storia
dei popoli non serve alla conoscenza né allo sviluppo della creatività,
ma è stata ed è utile alle ideologie del controllo sociale e alle
dottrine del dominio e dell'aggressione.
La ricchezza della vita dell'individuo non deve essere ridotta a schemi, né
quelli della psichiatria, né quelli della psicologia e della psicanalisi.
Dall'altra parte uno studio corretto della repressione non deve confondere i
vari mezzi usati dalle diverse organizzazioni di potere come se fossero identificabili
o equivalenti.
Il determinismo classico, sia quello positivista che quello hegeliano, hanno
allontanato il pensiero dalla conoscenza del reale e dalla complessità
dell'individuo riducendo le società come caserme e stimolando la cultura
dell'imperialismo.
Nel nostro secolo il determinismo semplificatore è stato, sulla base
delle nuove esperienze scientifiche, giudicato inadeguato anche per le scienze
della natura.