I pregiudizi e la conoscenza critica alla psichiatria
di Giorgio Antonucci
Il sonno della ragione genera mostri
È raro che le vicende dei popoli siano vedute con occhio chiaro, desideroso
di conoscenza, più spesso accade come quando si guarda nel sole: gli
occhi si chiudono, perché non ce la fanno a sostenere la luce.
Forse gli schemi per semplificare quello che accade servono apparentemente ad
allontanare la paura.
Inoltre ora i mezzi di comunicazione di massa, a cominciare dalla televisione,
essendo sempre nelle mani dei gruppi di potere, sono usati sistematicamente
per diffondere i pregiudizi che nascondono le vere dimensioni della realtà.
"Simili a una risposta, i tre slogans sulla facciata del Ministero della
Verità gli ritornano dinanzi agli occhi:
LA GUERRA È PACE
LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ
L'IGNORANZA È FORZA".
(George Orwell - 1984)
Così a proposito della guerra tra gli Stati Uniti e la Libia molti dei
commentatori, invece di fare una analisi politica approfondita delle motivazioni,
si sono soffermati a discutere sulle condizioni psicologiche o sulle caratteristiche
personali di Gheddafi o di Reagan.
Il "Corriere della Sera" del 23 aprile 1986, in terza pagina, parla
di Gheddafi con il titolo: "Un dittatore tra follia e paranoia".
Per fortuna Oriana Fallaci, autrice dell'articolo, essendo una persona intelligente,
non priva di umorismo, inizia scrivendo: "Il guaio è che l'aggettivo
pazzo è così vago, ambiguo. Che cosa significa essere pazzo? Se
lo chiedi a uno psichiatra lui ti risponde che con questo termine viene indicata
una qualsiasi forma di alterazione mentale, un qualsiasi tipo di anomalia che
si manifesti attraverso azioni sconsiderate o troppo stravaganti o comunque
fuori del normale. Poi aggiunge che siamo tutti un po' pazzi, ogni nostra ossessione
o superstizione o mania è un fenomeno contrario alla normalità.
Però quando gli chiedi che cosa significa essere normale o anormale,
risponde che essere normali significa agire all'interno della realtà
e riconoscerne l'ambivalenza di buono e di cattivo; essere anormali significa
agire al di fuori della realtà e non riconoscerne l'ambivalenza, cioè
scinderla in modo drastico e rifiutando i dubbi. Un discorso che lascia perplessi
perché, se la salute del cervello consiste nell'avere buon senso e accettare
i dubbi, la stessa fede è follia.
È pazzo chiunque insegua un sogno estraneo alla realtà che lo
circonda, chiunque sostenga un'idea o una dottrina giudicata utopistica, chiunque
formuli un principio morale che ignori le correnti definizioni di bene e di
male, oppure una teoria scientifica che ignori le correnti definizioni di attuabile
e inattuabile.
Pazzo Socrate, pazzo Platone, pazzo Mosè, pazzo Gesù Cristo. Pazzi
anche Karl Marx e Sigmund Freud e Albert Einstein e coloro che vagheggiavano
il viaggio sulla luna.
In particolare, pazzo colui che comanda: il leader che detiene il potere. Infatti,
politico o religioso che sia, il leader non può prescindere da una drastica
scissione del bene e del male, non può permettersi dubbi su ciò
che predica o impone, su ciò che è o rappresenta. Dopo avere sposato
la sua verità, deve attenersi ad essa con un rigore che esclude ogni
incertezza o ripensamento. A maggior ragione se è un dittatore...".
"Pazzo quello che comanda", bisogna vedere però nel giudizio
di chi. Così sarà pazzo in linea di massima Gheddafi a giudizio
degli psichiatri della California, e Reagan a giudizio degli psichiatri della
Libia. Così come Hitler che diventò pazzo dopo morto, una volta
perduto il potere.
Con l'attuale tecnologia dell'informazione, tra l'altro in via di perfezionamento,
sarebbe possibile accrescere rapidamente il livello di conoscenza e di autonomia
di milioni di persone. Però generalmente prevale l'intento opposto di
fare leva su l'emotività più immediata e superficiale per diffondere
i pregiudizi e le superstizioni, e mantenere gli individui in condizione di
non autonomia.
Molte risorse, prodotte dal nostro lavoro, vengono impiegate nella fabbrica
della morte collettiva sotto forma di armi atomiche. Altre servono per le guerre
che ci sono in continuazione in ogni parte della terra accompagnate da frequenti
genocidi.
È recente il massacro di profughi palestinesi da parte di cristiani maroniti
con la complicità del governo d'Israele.
Intanto i fiumi e i mari rischiano di divenire inabitabili per ogni specie perché
gli interessi privati prevalgono su quelli dell'intero universo degli organismi
viventi.
In questa situazione, in mezzo alle contraddizioni di una cultura arretrata,
quasi impenetrabile alle critiche razionali, se avvengono sempre più
spesso, come è comprensibile, anche episodi di ferocia individuali, specialmente
nelle grandi aree urbane, gli psichiatri, per tranquillizzare le persone perbene,
evocano mostri, come nell'antica mitologia o nella cultura del medio evo e del
rinascimento, e li forniscono di una struttura genetica difettosa, secondo il
loro modo di pensare, diversa da quella di tutti gli altri.
Nella testa di questi specialisti come nei "Capricci" del pittore
illuminista Francisco Goya Y Lucientes "Il sonno della ragione genera mostri".
Questo modo di interpretare e utilizzare la genetica merita alcune riflessioni.
Dalle origini a ora, dalla biologia classica fino a quella molecolare, molti
studiosi della materia, sia in Europa che in America, si sono prestati alle
strumentalizzazioni più retrive.
È vero, come si è visto più volte che gli scienziati non
sono meno sensibili degli altri alle lusinghe del potere e alla coltivazione
dei pregiudizi. Basta vedere come ricercatori di ogni tipo - nella biologia,
nella medicina, nella fisica, nella chimica - si sono applicati nel campo militare,
nonostante i genocidi fatti e quelli in preparazione, con la prospettiva sempre
più probabile di estinguere la vita sulla terra noi stessi, specialmente
se si continua a seguire la logica di questi individui e dei governi di cui
sono al servizio. È una logica che va dai gas asfissianti fino ai diserbanti
e alle guerre batteriologiche.
Anche in genetica essi approfittano di concetti ipotetici per farne un uso arbitrario
e tendenzioso. Si è fatto così anche con alcune ipotesi delle
teorie dell'evoluzione, di volta in volta estese o ristrette ad arbitrio per
adattarle ai più differenti pregiudizi politici.
Ci si è dilettati così di definire geneticamente inferiori singoli
individui, categorie di persone, popoli e gruppi etnici, a seconda delle necessità
della repressione interna o degli scopi della guerra. Tutto questo spesso favorito
dalla presunzione degli scienziati di settore, che pretendono di spiegare tutto
con i concetti del loro specifico campo di ricerca, e sono assetati di potere
più che di conoscenza.
Più volte nel corso della mia riflessione, ho fatto riferimento al
nome di Lombroso. Non è casuale: molti reparti di manicomio, in Italia,
portano ancora il nome di discepoli di tanto maestro e se la teoria lombrosiana
nei suoi aspetti più grossolani non viene certo più sostenuta
da nessuno ciò non toglie che l'ideologia pesantemente naturalistica
da lui promossa sia ben presente sotto scientifici aggiornamenti
soprattutto nel campo della psichiatria e della giurisprudenza. Viene poi
diffusa nel senso comune a livello giornalistico quando i fatti di cronaca
nera sono risolti in modo sensazionale ed emotivo col rimandare a "mostri"
e "degenerati" di vario tipo. Questo, ancora una volta indica una
concordanza già presente nella cultura di fine secolo in una direzione
repressiva e "rassicurante" per il potere dato: la permanenza di
una ideologia fortemente semplificatrice che proprio da questa semplificazione
trae la sua forza.
Dalla crisi, vista da Burckhardt come crescita di potenzialità
per l'individuo, sorge comunque il pericolo dei 'terribili semplificatori'
che tendono a presentare la loro parte come il tutto e irrigidiscono con i
loro miti (Religione - Stato) la spontaneità del processo culturale
(l'individuo, la civiltà). La semplificazione della "malattia
mentale" è uno di quei miti che sopravvive proprio per la sua
funzionalità ordinatrice rispetto alle crisi.
Nietzsche valorizza le potenzialità della crisi seguendo la
lezione di Burckhardt e lotta contro il mito totalitario positivista come,
d'altra parte, contro le false redenzioni del mito estetico wagneriano. In
un frammento postumo dell'estate-autunno 1881, scrive una riflessione che
bene commenta ed esplicita la direzione del mio discorso. Lo riporto quindi
qui di seguito per intero.