Il disagio, la follia, la vita senza il pregiudizio psichiatrico
Giorgio Antonucci
Quando ero a Firenze appena laureato, un amico medico mi disse che c'era un
centro del dottor Assagioli, in cui si discuteva di psicologia e di psicanalisi
e per curiosità ci andai. Assagioli è stato il primo a pubblicare
un articolo di psicanalisi in Italia, dove la psicanalisi ha avuto difficoltà
a entrare. Successivamente, fondò quel movimento che si chiama psicosintesi.
Diceva che bisogna fare in modo, con l'incontro e il dialogo, che le capacità
creative degli uomini si sviluppino, anziché essere soffocate. Feci allora
conoscenza con una signora anziana, che da tanto tempo frequentava il suo centro
e da tanti anni si occupava di problemi psicologici. Inoltre, era appassionatissima
di problemi di mistica orientale, che negli anni Sessanta non era di moda. Un
giorno andai a trovare Assagioli e lo trovai che stava discutendo con una signorina
dell'internamento di questa signora settantenne nella clinica di Settignano,
perché lei non ce la faceva a convivere con i suoi coinquilini. Io rimasi
molto meravigliato, in quanto avevo fatto amicizia con quella signora ed ero
molto affascinato dalla sua sensibilità, dalla sua intelligenza e dalla
sua cultura, anche se non condividevo quasi niente di quello che diceva. Quando
sentii dire che volevano internarla, domandai ad Assagioli e alla signora, che
era la sorella, che cosa stesse accadendo. Mi dissero che era stata internata
altre due volte e che, caduta in preda al delirio di persecuzione, non poteva
più vivere assieme a quelli che abitavano vicino a lei. Andai a parlare
con quella donna e mi disse che aveva subito, con dolore, disperazione e umiliazione,
già due ricoveri e non capiva come il dottor Assagioli, che la stimava
tanto, potesse provvedere in questo senso. Raccontò che aveva dei conflitti
con i vicini: era una donna di oltre settant'anni che viveva da sola e si sentiva
estranea all'ambiente del suo palazzo e del suo quartiere. Il quartiere era
comunista, lei aveva invece questa impostazione mistica e con gli altri non
si capiva; poi c'erano anche le difficoltà che ci sono sempre in un condominio.
Era sola e spaventata, non sapeva come difendersi. Allora le dissi che avrei
parlato con i vicini e lo feci, cercando di discutere di quello che accadeva
realmente; poi andai da Assagioli e gli dissi che non doveva ricoverare quella
donna. Dal momento che lui era preoccupato, gli dissi che mi prendevo tutte
le responsabilità al riguardo. Per farla breve, la persona non è
più stata ricoverata per il resto della sua vita. Da quando mi aveva
conosciuto aveva smesso di vivere nel terrore di essere considerata una pazza,
di essere ricoverata in una clinica in cui vedeva altre persone considerate
pazze, che non potevano comunicare con lei, perché ognuno aveva i propri
problemi. Nelle cliniche non si comunica con nessuno. Con me lei ebbe questa
svolta nella sua vita, ma io non ho fatto niente di speciale, come non ho fatto
niente di speciale dopo: ho semplicemente ascoltato lei e i vicini e ho cercato
di capire che cosa accadeva nella realtà. Siamo passati, così,
dal delirio di persecuzione e paranoia, come avevano scritto gli psichiatri
nelle cartelle, al dialogo tra due persone diverse per cultura ed età,
che avevano esaminato insieme il problema ed evitato disastri.
Qui comincia la mia storia rispetto alla psichiatria. A seguito di questo incontro,
venne da chiedermi: "Ma quelli che finiscono in manicomio sono come questa
donna, oppure c'è qualcosa di radicalmente differente?". Devo dire
che, dopo trent'anni di lavoro in campo psichiatrico, nessuno può smentirmi
quando affermo che le persone finiscono in manicomio perché non è
stato capito quello che accade. Quello che accade non è qualcosa di stravagante
o di metafisico, si tratta di rapporti tra le persone, in un mondo in cui le
persone non sono soggetti di libertà, di sensibilità, di fantasia,
creativi, ma sono funzioni, cioè devono funzionare in un certo modo per
scopi che non le riguardano, espropriate della loro personalità che deve
servire ad altro. Anche l'intellettuale deve servire a far qualcosa, è
considerato una funzione, al servizio del partito, dello stato, dell'azienda.
Ho letto di recente un libro di un francese, pubblicato nel '97, dal titolo
italiano Geni da legare. In questo libro troviamo tutti i grandi artisti. Mozart
era pazzo perché aveva paura poco prima di morire: quando gli fu commissionato
il Requiem da un signore che lui non conosceva, fu preso dallo spavento e pensò
che non l'avrebbe portato a termine e, in effetti, non l'ha ultimato. Però,
gli psichiatri asseriscono che non aveva il cervello a posto perché aveva
paura della morte poco prima di spirare. Beethoven ha scritto la terza sinfonia
dedicandola a Napoleone, perché pensava che, essendo Napoleone una conseguenza
della rivoluzione francese, avrebbe portato nel mondo l'uguaglianza e la libertà
di cui la rivoluzione francese parlava. Quando si accorse di essere rimasto
ingannato, voleva addirittura bruciare la terza sinfonia. Era anche un antimilitarista.
La sera andava in birreria per bere qualche birra, ma si arrabbiava quando vedeva
un militare e, qualche volta, gli andava incontro insultandolo, perché
non sopportava le divise. Questo era un comportamento di Beethoven dopo aver
bevuto qualche birra la sera, dopo aver scritto quei quartetti che sono un patrimonio
insostituibile per la nostra beatitudine e anche per l'approfondimento della
conoscenza della nostra interiorità. Ecco, Beethoven era matto! Però,
nel libro figurano anche personaggi apparentemente equilibrati, come Goethe,
Byron, Haydn, che era molto religioso, quando gli mancava l'ispirazione, prendeva
un breviario e pregava. Questo, secondo l'autore, era un segno che Haydn non
aveva il cervello a posto. Gli psichiatri sono nemici della creatività,
ma noi tutti siamo creativi e, allora, se facciamo qualcosa che non è
previsto dallo schema mentale dello psichiatra, siamo già considerati
matti. Si parla tanto di depressione. Se io me ne sto buono e mi faccio gli
affari miei, nessuno mi dà noia, però se faccio qualcosa che può
andare contro il costume, lo psichiatra interviene con la forza perché
vede un comportamento che non si concilia con le regole e quindi va represso
con un internamento in cui si usano ancora camicie di forza ed elettroshock.
La storia della psichiatria è fatta di queste cose. L'unico portoghese
che ha preso il premio Nobel per la medicina, nel '48 o '49, si chiama Egas
Moniz: ha ricevuto il premio per aver inventato la lobotomia. Aveva sentito
dire a un congresso che in laboratorio le scimmie sono difficili a sottoporsi
a esperimenti perché sono vivacissime e si ribellano. Il metodo usato
per farle stare buone era quello di tagliare loro i lobi frontali: in questo
modo diventavano quiete e tranquille e si sottoponevano a tutti gli esperimenti
che il medico di laboratorio intendeva fare. A Moniz questo racconto ha suggerito
l'idea di estendere il trattamento agli internati in manicomio, cominciando
a operare in questa direzione con un amico chirurgo. Ha affermato che solo il
3 o 4% dei pazienti non sopravviveva. Ma, in ogni caso, gli altri come restavano?
La lobotomia si pratica nel caso della depressione, per impedire che una persona
possa uccidersi. Con la lobotomia la persona perde completamente l'attenzione
interiore, non ha più personalità e iniziativa, non è più
capace di fare un progetto. Freeman dice che la lobotomia è meglio farla
a una lavandaia che a un artista, perché, distruggendo la creatività,
può darsi che la lavandaia continui nel suo lavoro. Questo è nazismo!
Certamente i risultati sono buoni, nel senso che le persone sono quiete e non
c'è pericolo che prendano iniziative che potrebbero risultare spiacevoli
per il perbenismo. Ma qual è la loro vita sociale? La lobotomia dovrebbe
parlare da sé. Ma non basta: c'è l'insulina coma, con cui una
persona viene messa in stato di coma, poi ci sono la febbre malarica e l'elettroshock.
La lobotomia è stata inventata sperimentando sulle scimmie, l'elettroshock
sui maiali e così via.
Questa è la storia della psichiatria ed è anche la storia della
medicina, perché la medicina è sempre stata al servizio del potere,
fin dall'antichità, fin dai tempi di Ippocrate, ora lo è in un
modo soltanto più raffinato. Da una parte, la medicina dovrebbe occuparsi
della salute delle persone, dall'altra, deve tenerle entro certi limiti, e questo
è il suo compito fin dai sacerdoti egiziani. Ora, la medicina di cui
parliamo, la nostra medicina ufficiale, a parte qualcuno che cerca di rivedere
tutto, è una medicina dell'oggetto da riparare, anziché della
salute della persona. La psichiatria è una variante, nel senso che qui
la persona non ha un disturbo fisico, ma ha problemi con se stessa e con gli
altri; questi problemi non vengono presi in considerazione, si porta dentro
la persona e la si distrugge. Io voglio che qualche psichiatra venga a dirmi
se c'è nella storia della psichiatria un solo intervento previsto che
non sia distruttivo, e deve dirmi qual è.
La psichiatria, anziché occuparsi dei problemi reali che riguardano un
individuo e le persone che gli sono vicino, si occupa semplicemente di prendere
la persona e metterla da parte, oppure di farle qualche operazione distruttiva.
Questo mondo che si presenta come scientifico distrugge le persone e queste
poi non sanno a chi rivolgersi. Mi telefonano da tutte le parti per chiedermi:
"Che cosa faccio?", ma è impossibile che una persona sola o
anche due o tre possano contrapporsi a un'intera cultura di distruzione, una
cultura in cui, quando qualcuno non riesce a essere "regolare" nei
minimi particolari, finisce per essere in qualche modo distrutto, non solo in
manicomio, ma anche fuori perché c'è indifferenza o incomprensione
o tutte e due insieme.
Quando una persona ha problemi difficili, chiedo al padre, alla madre o alla
sorella se vogliono distruggerla o no. Se vogliono farlo, si rivolgano agli
psichiatri. Noi affrontiamo il problema da un punto di vista enormemente più
difficile, cercando di capire quello che accade, nel rispetto della personalità
individuale. Se, di fronte a una situazione in cui ci sono conflitti, si considera
quello degli psichiatri un intervento e senza quello non c'è altro, non
si è capito assolutamente niente, non si è capita la storia della
psichiatria, che ha riempito di milioni di vittime le istituzioni, facendone
campi di concentramento, e non ha mai risolto un singolo problema. Io voglio
sapere qual è il genitore che, avendo un figlio di sedici anni con difficoltà
a vivere in famiglia e tra gli altri, pensa che questo figlio debba passare
quarant'anni in manicomio oppure debba essere lobotomizzato o avere l'elettroshock
o entrare in coma. Quindi, lavorare in un altro modo significa non distruggere
le persone, ma cercare con difficoltà di capire i problemi, perché
queste persone hanno il diritto di vivere come gli altri, che sono ugualmente
implicati nelle questioni di cui si parla. Kaip išmokti anglų kalbą pačiam?
Fonte: La Città del Secondo Rinascimento, n. 0, dicembre 2000.