Le alternative possibili alla psichiatria
Congresso ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie Di Disabili Intellettivi E Relazionali)
Pesaro 30 novembre 2001


Intervento di Giorgio Antonucci: "Il diritto di esistere e l'identità negata"

Relazione di Maria Rosaria d'Oronzo: "L'Autogestito di Imola, inizio anni '90"

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Il diritto di esistere e l'identità negata
Giorgio Antonucci

Quasi mi capita come Oscar Wilde che diceva giustamente: "Quando gli altri mi danno ragione ho l'impressione di essermi sbagliato" allora sono in imbarazzo anch'io. Voglio subito affrontare il problema del danno recato dai cosiddetti malati di mente. Io mi occupo di questo problema da 35 anni e ho lavorato da solo, in proprio e come medico sempre per evitare gli internamenti. Ho lavorato nel primo reparto di ospedale civile in alternativa al manicomio, ho lavorato 24 anni nel manicomio. Io sono entrato, nel 1973, in un manicomio civile con 400 persone. Queste persone non avevano mai fatto danni a nessuno e quelle che io ho liberato non avevano fatto danni prima di essere rinchiuse e non hanno fatto danni dopo quando sono uscite libere. Questo discorso dei danni è dovuto ad un pregiudizio che attribuisce a queste persone l'incapacità di avere rapporti con gli altri, incapacità che viene poi immediatamente considerata come fatto pericoloso. Io, ripeto che ho lavorato 24 anni in manicomio per cambiare le cose, per liberare le persone e non ho avuto un graffio. Anzi sono stato picchiato due volte: una volta da un cittadino di Imola e una volta da un infermiere, ma non sono stato toccato dai pazienti, mai, anche se le situazioni erano estremamente drammatiche. Aggiungo che quando io facevo il medico di guardia ricevevo i trattamenti sanitari obbligatori, prima ancora ricevevo i ricoveri coatti e provvedevo perché le persone tornassero indietro. Perché lo sanno tutti che entrare in manicomio, forse uno può andare volentieri al circolo creativo, ma nessuno va volentieri in manicomio. Nessuno si augurerebbe per se stesso di andare in manicomio. Volevo precisare questo perché questo discorso del danno è veramente una truffa ed è veramente un'ipocrisia.
Dunque, il problema di cui ci stiamo interessando è un problema importante che io non definisco né in termini scientifici generici, né in termini medici e neanche in termini psicologici. Il problema di cui noi stiamo parlando è il problema dei rapporti tra la libertà dell'individuo e l'organizzazione sociale. Questo è il problema di cui si occupa anche la psichiatria, e non solo la psichiatria.
Una società fatta di determinate leggi, la violazione di queste legge è reato e di questo si occupa la magistratura; se invece non c'è violazione di leggi ma c'è un comportamento o un pensiero non consueto in quella società interviene lo psichiatra. Il problema è che lo psichiatra non interviene per una malattia, lo psichiatra interviene perché c'è uno, per esempio, che dice "io sono Carlo Magno", ma uno che dice "io sono Carlo Magno" non è portatore di malattia, ma uno mi sta dicendo una cosa probabilmente ritenuta dalla maggior parte delle persone un assurdo, magari uno che crede nella reincarnazione può pensare che quello sia la reincarnazione di Carlo Magno, ma chi dice di essere Carlo Magno è uno che esprime un pensiero che può essere giusto o sbagliato, ma è un pensiero. Lo psichiatra interviene solo per pensieri che sono o sembrano diversi o per comportamenti che sembrano o sono diversi, per cui non c'è bisogno di interpellare né la medicina né la scienza, ma c'è il bisogno di occuparsi di questo problema tra l'individuo e la società ed occuparsi di quali sono i termini del diritto e della libertà. E io di questo mi sono occupato.
Io sono da 35 anni nel campo psichiatrico. Io ho cominciato non perché avevo letto Szasz o Basaglia, quando ho iniziato non conoscevo né Szasz né Basaglia. Una volta Alessio Coppola mi domandò come avevo fatto, semplice molto semplice, non è un problema psicologico, non è un problema scientifico né tanto meno un problema medico. Io non ho mai sopportato che una persona venga sottoposta ad aggressione e a violenza, specialmente quando queste aggressione o violenza non è motivata.
Uno che dice di essere Napoleone o Carlo Magno, queste sono cose molto semplici, sono cose di cui parla il popolo, lo prendono con la forza e lo portano da qualche parte. Prendere uno con la forza vuol dire costringere e infatti, non a caso, non ci sono solo gli infermieri, ma anche la polizia, è un'operazione di polizia. Sottolineo un'operazione di polizia verso una persona che non ha commesso reato e in più si può dire che gli si attribuisce la possibilità di commettere reati ma è un processo all'intenzione. Ma sappiamo che se si deve fare un processo all'intenzione allora siamo coinvolti tutti, ognuno di noi da un momento all'altro può fare qualcosa di spiacevole sia dal punto di vista dei costumi sia dal punto di vista delle leggi. Per cui entrare nella testa delle persone per dire chissà cosa farà è quello che fa lo psichiatra.
Ad esempio se una persona dice io mi ammazzerò, allora i famigliari si spaventano, come il fatto che mi è capitato di recente. Una ragazza mi ha telefonato da una clinica di Viareggio dicendomi "sono stata legata a letto 24 ore, mi hanno portato lì di forza, io ho minacciato il primario con una sigaretta accesa, mi ha messa legata a letto per 24 ore io ho dovuto fare i miei bisogni a letto, mi hanno anche picchiato". Questo è successo pochi giorni fa, i genitori avevano paura che lei si suicidasse.
Tornerò dopo sul fatto che il suicidio non è una malattia di mente. Gli stoici, Dante, la cultura tutta ritiene che il suicidio è una delle tante possibili scelte, che possono essere approvata o meno. Da i cattolici può essere disapprovata, lo stesso Dante fa eccezione per Catone che lo mette fuori dall'Inferno, perché si è suicidato per la libertà. Tornerò dopo su questo.
Voglio fare un discorso sempre su questi rapporti e riferire anche sulla storia della medicina e anche sulla storia della psichiatria. Il dottor Freud di Vienna quando aveva 30 anni ed era un neurologo bravissimo, aveva fatto anche delle scoperte in neurologia per quanto riguarda certe funzione olfattive e nello stesso tempo e questo è un altro aspetto della sua personalità, molto diverso, si interessava dei problemi delle persone, dei problemi psicologici, dei rapporti delle persone.
I problemi psicologici sono semplicemente senza tante chiacchiere i problemi dei rapporti tra le persone. Freud andò a Parigi a studiare da Charcot. Charcot aveva, appunto un manicomio, Parigi era già grande, è una delle prime metropoli. Parigi aveva alla Salpetriere un reparto diretto dal prof Charcot con 5.000 donne, si chiamava l'Asilo delle donne perdute, Freud parte da Charcot perché egli era ritenuto il più grande neurologo d'Europa, per cui lui (Freud) parte da Charcot per perfezionarsi.
Freud frequenta le lezioni di Charcot come gli altri studenti, però Charcot aveva anche l'abitudine di scegliersi alcuni studenti che gli parevano più simpatici o più intelligenti o comunque i suoi preferiti e con questi si trovava la sera a casa o all'osteria. Freud racconta che Charcot alle lezioni diceva che i comportamenti di queste donne, che lui mostrava agli studenti come oggetti sotto osservazione erano legati con probabilità, diceva, a delle alterazioni dei nervi, lui diceva dei nervi, cioè queste donne non erano come le altre per queste alterazioni. Però la sera all'osteria parlava diversamente, perché voi sapete la censura c'è sempre stata e Charcot aveva paura a dire quello che pensava, paura di perdere il posto se non peggio. Agli studenti con cui si confidava diceva che non c'erano alterazioni nervose, né problemi di nervi e diceva che era questione sessuale. Questo è un fatto molto importante, è l'origine della psicoanalisi.
Io non sono d'accordo con tutto quello che dice la psicoanalisi, io parlo della storia di una trasformazione: un neurologo, Freud, sente un altro neurologo che dice che 5.000 donne del manicomio sono lì per la questione sessuale. Charcot ha detto due cose, implicitamente, che non sono lì per difetti strutturali loro, né dei nervi né del corpo, ma lo sono perché la loro vita sessuale non si può esprimere bene. E questo richiama al problema sociale, perché nella società ci sono dei pregiudizi, perché nella società ci sono delle convenzioni, perché nella società ci sono delle usanze, perché la società considera le donne inferiori agli uomini. Si era accorto del fatto che nel manicomio c'erano 5.000 persone, donne, per il rapporto tra l'individuo e la società e non per una malattia.
Freud, tra l'altro, fonda la psicoanalisi sulla questione sessuale. E Freud, riferendosi al suo lavoro di psicoanalista dice "ho smesso di fare il medico", ma non quando faceva il neurologo, sapeva benissimo di fare ilo medico, io so benissimo di fare il medico, io ho iniziato come medico, sono stato all'ospedale civile, ho fatto il medico di base, però quando facevo il medico sapevo che quando una persona mi indicava un dolore allo stomaco, faccio per dire, poteva essere un infarto oppure una colica epatica, io dovevo visitarlo e sapere da dove derivava questo dolore, però se io parlavo anche con questa persona e mi confidava la tristezza dell'invecchiare, questa non è più medicina, è un'altra cosa.
È questo che diceva e aveva capito Charcot. Parlare con una persona dei suoi problemi è un'altra cosa dalla medicina. Ora succedono delle cose ridicole; si va dal medico per parlare dei problemi con il fidanzato. Io vado dal medico se ho un'infezione ai genitali, ma se devo parlare di miei problemi con la mia fidanzata o con la moglie o con le donne cosa c'entra la medicina? È così naturale. Freud si mise a fare lo psicoanalista per capire i problemi della storia della persona, disse "io sono più allievo di Goethe, che raccontava storie che non di Helmotz che è un grande neurologo".
Questa è una storia semplice e diretta. Devo dire che quando ero in manicomio mi sono trovato intorno a persone che avevano i loro problemi in rapporto alla società prima di essere internate e dopo, naturalmente, e i loro problemi perché erano internate. Problemi. I problemi si risolvono con la critica e il ragionamento, il dialogo.
Di recente Gino Strada, giustamente obiettava la guerra, lui è contro la guerra dice che l'unica alternativa alla guerra è il dialogo; cioè se si discute e ci si mette d'accordo non c'è bisogno di ammazzare. Il dialogo non è una cosa così semplice come sembra a prima vista. Con persone che sono state escluse dalla società perché il loro comportamento, il loro pensiero non coincide con le convenzioni alla società è naturale domandarsi cosa è successo e bisogna ridare a loro la libertà.
La libertà per un individuo è importante, già per me è pesante dover considerare la necessità che c'è nella nostra società di dover privare una persona della libertà, perché ha fatto un reato, spesso poi si priva della libertà per un'ipotesi di reato, ma questo è un altro problema. Prendere una persona con la forza e portarlo in manicomio per le sue opinioni e magari per comportamenti non convenzionali, ad esempio perché si è spogliata fuori dalla porta invece di andare nella sua stanza, è un'assurdità: internare una persona per le sue opinioni o comportamenti è un'assurdità. È un attentato alla libertà. Io ho cominciato da questo punto.
La prima volta ho assistito all'internamento di una prostituta, era il periodo in cui sono state chiuse le case di tolleranza, le case della prostituzione di stato, a questo proposito voglio fare una parentesi, si trovano anche persone molto distinte tipo Fellini e Montanelli che dicono "ah che bei tempi quelli delle case di tolleranza. Erano dei luoghi dove ci si trovava tra amici, si stava bene, si scherzava" ma non dicono che le donne nelle case di tolleranza avevano la carta d'identità diversa, erano schedate, avevano il trattamento sanitario obbligatorio, erano obbligate a farsi visitare, dunque erano trattate da cittadini di seconda categoria. Il cliente non aveva il trattamento sanitario obbligatorio anche se poteva essere lui a portare l'infezione. Le case di tolleranza non sono state chiuse per togliere la prostituzione, che è un altro problema, ma sono state chiuse per togliere alcune donne dalla condizione di inferiorità sociale. In manicomio è la stessa cosa, in manicomio ci sono persone in condizione di inferiorità sociale perché la classificazione psichiatrica li mette nella condizione, appunto, che si pensa che siano persone pericolose cioè quando lo psichiatra ha fatto la diagnosi tutti gli altri pensano, falsamente, che quelle siano persone più pericolose delle altre, perché pericolose si può essere tutti.
La diagnosi psichiatrica squalifica poi se si prende con la forza una persona e la si porta dentro si completano i danni. Ora per tornare al discorso di prima, nessuno degli psicoanalisti dice questa cosa di Freud, inoltre Freud non solo si è occupato di problemi individuali ma nel "Disagio della civiltà" racconta come una civiltà procura delle umiliazioni dei fallimenti, delle limitazioni, delle sofferenze e queste sofferenze sono quelle di cui si occupava Freud. Non si occupava di malattia, ma si occupava di persone preoccupate delle complicazioni della loro vita individuale e sociale. E questo vale anche per le persone internate nel manicomio.
Se ad un certo punto io dico, appunto, di essere un grande musicista, non lo dico per la biochimica del cervello, lo dico per un discorso simbolico. Fare discorsi simbolici, Kassinger ha detto che noi siamo animali simbolici, è parte della nostra capacità creativa. Io posso esprimermi direttamente o fare discorsi simbolici e dire che sto ascoltando la voce dello spirito santo.
Mi ricordo una volta a Magistero c'erano dei preti cattolici che parlavano delle apparizioni della Madonna a quella bambina in Jugoslavia, io dissi loro che in manicomio conoscevo una donna, morta in manicomio, che era stata internata perché diceva che credeva alla telepatia. Se si ammette che ci possono essere delle esperienze che escono fuori da quelle di tutti i giorni, perché vedere la Madonna non è esperienza da tutti i giorni, è molto più banale quella della telepatia, allora dicevo ai medici se c'è libertà, creatività, possibilità di esprimersi in modo simbolico ci deve essere per tutti non soltanto per quelli che, magari vengono considerati santi. D'altra parte Savonarola prima l'hanno messo nel rogo poi ora lo fanno santo, per cui bisogna sempre stare attenti per come ci si esprime.
Noi siamo un animale simbolico, ci esprimiamo per metafore e questi che dicono che sono deliranti si esprimono per metafore, ma le metafore si riferiscono ai loro problemi basta sapere ascoltare, parlare e discutere. Io non ho conosciuto nessuno né fuori dal manicomio né dentro il manicomio che dicesse delle cose che non avevano significato. Il significato non è sempre così immediato, non si parla come i presentatori della televisione, per fortuna, si parla anche in modo più complicato perché siamo ricchi di creatività.
Poi c'è un altro problema: il problema della libertà. "Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch'è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta" Dante. Della libertà Kant dice che non ci sono limiti che gli possono porre. Si è liberi con il pensiero e nell'azioni sia pure nel rispetto degli altri. C'è l'etica e poi c'è la legge, ma questo è un altro problema. Allora quando uno mi fa un discorso fantastico io dico quest'uomo è come un poeta, non sarà strutturato come un poeta ma la facoltà creativa è la stessa. D'altra parte si legge continuamente nei libri degli psichiatri da Lombroso in avanti, fino ad un libro pubblicato qualche anno fa di un francese Philippe Brenot, che tratta tutti gli artisti come matti. Anche Rossini, lo dico perché voi siete di Pesaro. Lombroso scrisse che anche un uomo eccezionalmente intelligente è un matto. Ora lui non rischiava nulla, ma essere intelligente non è un difetto. Però questo dimostra come bisogna rientrare passivamente nelle convenzioni.
Tolstoj ebbe la visita di Cesare Lombroso e scrisse nel suo diario "Un vecchietto molto limitato" Lombroso si è vendicato dicendo che anche Leone Tolstoj era un matto. Proprio uno come Tolstoj che è stato maestro di Gandhi, e che parlava della pace universale.
Per concludere la storia vera di un cittadino francese. Prima guerra mondiale, 1914, i giornali parlano della probabilità della guerra, una sera al manicomio di Parigi, quando il sole è completamente sparito, ci sono i lampioni a petrolio, arrivava un ometto e bussa alle porte del manicomio. Lui si presenta al portinaio e dice di volersi internare. Il portinaio rimane meravigliato, è un fatto che non succede quasi mai, e quando succede è perché la libertà è senza limiti. Al medico di guardia, l'ometto racconta che soffre molto perché sa che deve verificarsi un macello grandissimo, non era ancora scoppiata la guerra, che poi non servirà a nulla. Infatti la 1° guerra mondiale ci ha portato alla 2° e la seconda... ora siamo a Bin Laden con le guerre non si finisce mai. Si ammazza la gente e poi si ricomincia daccapo. Questo è anche il mio parere, soltanto che lui si presentò al manicomio e disse che voleva compensare l'umanità di quei delitti che stava preparando, lui si sacrificava, internandosi in manicomio per fare da contrappeso a questo. Entra in manicomio e via via che arrivano le notizie dei massacri sul fronte e poi cominciavano anche quelli fuori dal fronte, oggi, come si sa la guerra è molto più diffusa, lui via via che sentiva queste notizie provocava i medici e infermieri e si faceva trasferire da un girone all'altro, fintanto che arrivato in fondo è morto. Gli psichiatri discutevano della strana forma malattia di quest'uomo, nessuno aveva sospettato che forse dal suo punto di vista e non solo dal suo perché poi verranno Russel, Einstein, Tostoj, il dottor Swaitzer, Danilo Dolci, Giorgio La Pira ce ne sono tanti che non si sono presentati al manicomio ma la pensano come lui.
È il problema di sempre, anche ora se uno dice che non è d'accordo con i bombardamenti rischia, nel 1914 era anche peggio. Cecov racconta, nel racconto "La sala numero 6", di un giovane studente di San Pietroburgo che è solo, nella metropoli, è lì per studiare lontano dalla famiglia, e a un certo punto nella solitudine si impaurisce, e ha paura che la polizia lo possa arrestare anche senza che lui abbia fatto nulla. Incomincia ad isolarsi, a chiudersi in una stanza perché ha paura della polizia. Qualcuno si è accorto di questo isolamento lo prendono e lo chiudono in un piccolo manicomio. Il medico del manicomio, come spesso succede nei manicomi, non faceva nulla si annoiava, un giorno si mise a parlare con questo studente e si accorse che quello studente aveva un'esperienza ricchissima.
Aver paura di essere arrestati dalla polizia anche senza aver fatto reato, sapete tutti bene che è una cosa del tutto normale, però c'era il problema della solitudine, dell'isolamento c'erano tanti problemi allora questo medico si accorge che questo giovane era più intelligente degli infermieri che aveva accanto e dei paesani con cui discuteva allora comincia a mettersi in testa di liberare tutti quanti, ma internano anche il medico e muore in manicomio.
A me è andata meglio.
Vi ringrazio

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La mia esperienza all'autogestito
di Maria Rosaria d'Oronzo

Innanzitutto voglio ringraziare gli organizzatori per avermi invitata qui oggi affianco a persone che sono così importanti per la lotta alla psichiatria.
Giorgio Antonucci ha dimostrato, nei lunghi anni del suo lavoro, che la psichiatria non ha nessun significato se non un significato dispregiativo nei riguardi della persona.
È dannosa come il razzismo. Il dottore ci ha fornito di un metodo nell'affrontare le contraddizioni degli uomini insieme alla pratica dei diritti delle persone socialmente deboli.
Il dottor Cestari che con la sua attività, si occupa del Comitato dei Cittadini per i Diritti dell'Uomo in Italia, ha dato seguito a denunce pubbliche di maltrattamenti, e come medico ci ha fornito di suggerimenti importanti per la disintossicazione da psicofarmaci.
Alessio Coppola ha avuto l'intuizione di costituire il telefono viola (oggi sono aperti in 13 città italiane) il Telefono non si occupa solo di denuncia per i tanti abusi psichiatrici, ma si qualifica come spazio di ascolto per persone che non hanno più questo diritto.
Ho studiato psicologia, a Padova e dovevo fare una ricerca per la laurea. Mi interessava approfondire la mia conoscenza dell'applicazione della legge 180.
Mi ero prefissata di dimostrare la necessità di una maggiore civiltà nel trattamento degli internati della psichiatria, e per documentare questa necessità decisi di fare una ricerca "dall'interno" in uno dei reparti in cui la 180 aveva trovato piena applicazione. Era il 1992 e avevo molto materiale bibliografico.
Prima di arrivare all'Autogestito, ho visitato alcuni reparti e CIM di diverse città . La realtà di questi reparti e centri psichiatrici era disumana, come il lager dove le persone non hanno più il diritto di essere persone, nonostante fossero servizi a cui veniva riconosciuta la buona applicazione delle leggi vigenti e nonostante la presentazione esemplare fatta dai diversi autori. Erano manicomi fatti e finiti dove i pazienti finiscono per trascorrere il resto della loro esistenza a fare disegni e ceramiche colorate. L'istituzione psichiatrica diviene il mondo dell'internato, in cui non troviamo la centralità dei diritti delle persone: uguale la struttura assistenziale-carceraria, stesse le "gentilezze" riservate agli ospiti.
I pazienti che incontravo erano rovinati dall'immobilità e dalle medicine, portavano contaminazione di fantasmi altrui, di gesti altrui. Ma soprattutto avevano strutturato, giustamente, la loro sopravivenza nello sfruttare la vischiosità della struttura (malsana, paternalistica, violenta). La stessa aria malsana ascoltata nei discorsi degli infermieri. Nella mia esperienza ho notato come sia uno sport diffuso cambiare etichetta invece che cambiare le strutture.
Qualcosa è cambiato, naturalmente, la cultura è cambiata, non è più così facile come prima della 180 considerare una persona da internare, ci si pensa di più, mentre prima non ci si pensava affatto. È stato messo un dubbio nella cultura però, tolto iniziative eccezionali, in generale, non è cambiato niente. All'estero negli Stati Uniti, Germania, Inghilterra ci sono iniziative culturali, dibattiti, ma le cliniche psichiatriche, i manicomi sono precisi a come erano una volta. (Riflettevo che se questa è la realtà, chi lavora nei servizi, forse, non condivide la filosofia che ha ispirato questa legge, o forse, questa realtà era l'effetto di carenze intrinseche della legge stessa?)
Oggi ho certezza che il più grave errore della 180 è quello di aver rafforzato il ruolo della psichiatria, con l'aver trasferito il luogo in cui avviene il ricovero dall'ospedale psichiatrico a quello civile, con l'assurdo di aver trasformato i manicomi in manicomi più piccoli e con il discorso assurdo che negando il manicomio si possa umanizzare l'uomo. Il superamento del manicomio non ha significato la restituzione della libertà, come dignità, di chi era rinchiuso. Agli ex-ricoverati non si è aperta nessuna prospettiva. Il cosiddetto superamento del manicomio è più simile ad un'operazione di trasferimento e sgombero dei locali che ad una trasformazione culturale.
Il fatto stesso che ci si avvicini ad una persona cercando di comunicare con lei, senza considerarla come qualcuno con cui non ci si può relazionare, è già un cambiamento culturale per ciascuno di noi, in qualsiasi posizione si trovi.
In questo senso l'Autogestito era un non-reparto dell'ospedale psichiatrico di Imola. Un reparto spogliato dalle fattezze della psichiatria. Non c'erano diagnosi, le contraddizioni degli uomini non venivano confuse con le categorie mediche. Le porte erano aperte, i muri erano coperti dalle opere di un pittore autodidatta, ospite del reparto, ricoverato dal 50, autodidatta, un uomo che era rifiutato dalla famiglia e non aveva nessun luogo dove andare fuori dal reparto, di lui parlerò ancora.
Antonucci scrive in uno dei suoi libri: "Queste sono persone come noi e devono vivere come viviamo noi; bisogna fare il possibile perché abbiano un ambiente che assomigli al nostro, anzi un ambiente ricco di cultura". Il lavoro di Antonucci ha dato ragione a questa tesi che queste persone, una volta trattate come noi, sarebbero tornate a essere persone come noi. Libertà non significa necessariamente dipingere i muri della comunità o del reparto, come desiderano gli educatori, oppure arredare e progettare la vita di chi è rinchiuso in base alla nostra.
All'Autogestito, gli infermieri che incontravo, non mi seguivano, certamente erano curiosi ma non sembrava che mi volessero sorvegliare. Appena entrata nel reparto dell'Autogestito sono stata circondata dagli ospiti che erano incuriositi e loquaci, mi facevano domande e mi porgevano la mano in segno di saluto. I loro occhi erano vivaci.
Ho incontrato il responsabile, il dott. Antonucci, quasi subito, dopo essere entrata, ma non ho potuto riconoscerlo, non aveva il camice e tutti si muovevano liberamente per i corridoi e le stanze del reparto. Il dottore mi invitò a visitare il reparto, per conto mio, per prima. Ho già detto che i locali del reparto erano luminosi e dipinti, comprese le porte e gli spazi delle pareti libere da finestre e mobilio. Così mi misi a girovagare. Ho conosciuto l'uomo che aveva dipinto muri e porte, mi disse che aveva fatto diverse mostre a Roma, Milano a Imola. Mi disse che la sera andava a Bologna, da solo, per divertirsi. Parlai al dottore del mio progetto di ricerca, egli si dimostrò disponibile a patto che io mi fossi dimostrata rispettosa nei confronti dei residenti. Sono rimasta in quel reparto ben oltre il tempo della ricerca.
Ricordo l'incontro con Valerio, un uomo di 33 anni,diventato cieco e muto, internato da bambino perché tardava a parlare. Anche lui poteva uscire quando voleva, anche se essendo cieco, doveva essere accompagnato, non aveva nessun custode, ma alcuni si occupavano di Valerio. Se urtava o sbatteva contro un qualche tavolo veniva, ad esempio, aiutato da chi gli era più vicino, ospiti o infermieri. Valerio aveva degli amici. Antonucci lo ricorda nei suoi scritti come l'ultimo degli slegati, nel 1983. Nella cartella clinica di cui il dottore lo aveva liberato, si succedono le segnalazioni delle lesioni che Valerio si è procurato. Nella sua cartella era definito "Idiota cerebropatico, completamente incapace di stabilire il minimo contatto". Questa diagnosi ribadiva la necessità della contenzione, cioè del legare. Il dott. Antonucci, rispetto alle vicende di Valerio, aveva elaborato una alternativa a qualsiasi iniziativa di carattere psichiatrico. Nessun essere vivente è incapace di mettersi in contatto con gli altri, ma spesso sono gli altri che non sono in grado di stabilire un contatto o di riconoscergli un modo di comunicare (è questo il nodo razzista della psichiatria) perciò viene negata a persone come Valerio, la capacità relazionale che è caratteristica propria degli esseri viventi. Tra l'altro agli esami clinici prescritti dal dottore non risultavano alterazioni del cervello.
Mi è capitato di vedere persone legate in altre istituzioni e persino in una scuola elementare statale, di Bologna, pochi mesi fa. In questa scuola c'è un bambino di 7 anni condannato dalla prescrizione del neuropsichiatria, che consiglia la contenzione, a passare 30 ore alla settimana chiuso insieme all'educatrice di turno, in una stanza, stretta e lunga più simile ad un corridoio.
Questo per dire che quando si parla di orrori psichiatrici non si parla di cose che appartengono al passato.
Ora, per tornare al discorso dell'Autogestito, voglio dire che qui esistevano problematiche simili agli spazi delle convivenze. L'obiettivo del lavoro di Antonucci era quello di dare una casa al di fuori delle mura manicomiali, ma questa per molti è rimasta solo una possibilità, per altri una realtà.
Nel corso degli anni di internamento si creano delle coppie di fatto. All'Autogestito, grazie all'interessamento del dott. Antonucci che ha coinvolto le strutture comunali, alcune delle coppie hanno potuto lasciare il reparto e vivere fuori, altri hanno portato avanti la loro convivenza in reparto. Dopo 40 anni di ricovero coatto, ci sono persone terrorizzate dall'idea di vivere da soli, anche perché necessitano di cure infermieristiche, conseguenza degli effetti della segregazione, quindi bisognava difendere la loro libertà dall'interno del reparto. Difendere la libertà non significa progettare la vita degli altri in base alla nostra, quindi orari, docce, spazio musica o ginnastica.
C'era nell'Autogestito una signora che, per motivi suoi, per le sue convenzioni si lavava molto. Faceva la doccia una decina di volte al giorno. In una stanza vicina abitava un uomo. Entrambi erano rimasti nel reparto perché non avevano trovato una casa fuori. Qui sono liberi, come gli altri ospiti: lei fa le docce; lui, che è innamorato degli animali, tiene cani e gatti. Dovendo vivere insieme, senza aver scelto la convivenza, a volte nascevano conflitti tra loro: l'uomo degli animali, si lamentava di questa signora e diceva al dottore: "È matta, non fa che lavarsi". La donna che si lavava continuamente, quando era arrabbiata con lui, diceva: "È matto, sta sempre con i cani". Mi appariva chiaro, fin d'allora, che, questi conflitti sono generati non solo da persone che litigano tra loro, ma anche dal fatto che sono persone che continuano a considerarsi, reciprocamente, con quei pregiudizi che l'istituzione aveva messo addosso loro fin dall'origine. Continuando a discutere con Antonucci, anche alla luce di questi fatti, mi appariva più chiaro il discorso psichiatrico: l'unica sua funzione è sempre stata quella repressiva e segregativa. Contribuire all'abolizione della segregazione è d'obbligo per chi è in contatto con la sofferenza...
Qualunque problema uno abbia oppure anche problemi che non abbia, come ad esempio i bambini che sono vivaci non hanno problemi ma sono classificati con la sindrome della disattenzione e per questo curati con il farmaco. Non solo tutti i problemi che abbiamo vengono trasformati in un difetto del cervello, vedi malattie mentali, ma anche quelli che non abbiamo. È inutile inventarsi delle malattie per poi far finta di curarle, drogando le persone.
Gli inventori dei primi psicofarmaci hanno detto, loro stessi, che avevano sbagliato, non servivano a niente, andavano eliminati come del resto Cerletti, che ha inventato l'elettroshock disse che non andava fatto. Lo psicofarmaco è una sostanza psicotropa, cioè che ha una particolare affinità per le cellule nervose, sostanza che intossica il cervello, questo non serve certo a farlo funzionare meglio, poi intossica tutto l'organismo. Infatti le persone che prendono grandi quantità di psicofarmaci hanno un decadimento fisico. Avvelenarsi non serve a risolvere nessun problema. Breggin e Cohen hanno documentato gli effetti di psicofarmaci ed elettroshock sul cervello e sono di debilitazione e danneggiamento, in quanto producono un funzionamento intellettuale ridotto e funzionamento motorio abnorme, oltre ad una riduzione della speranza di vita.
A questo proposito voglio ricordare la storia di una donna, madre di tre figli di cui l'ultima nata era portatrice di patologie neurologiche. Il marito aveva un'altra relazione e non aveva un lavoro. La donna spesso prendeva dei farmaci per poter dormire la notte, visto la gran mole di lavoro che ogni giorno doveva affrontare. Una mattina non si svegliò e dormì per due giorni. I medici parlarono di tentato suicidio e la rinchiusero in manicomio. I suoi figli furono tutti affidati in istituti diversi. Quando ho incontrato la signora erano trascorsi 18 anni dal suo ricovero e discuteva insieme al dottore sul significato della sua vita e della civiltà, asseriva che in manicomio non c'erano malati ma persone povere e sfortunate. Lei continuava a prendere i "farmaci per dormire" perché col buio della notte riaffiorava il ricordo dei figli, il tradimento del marito e della vita stessa. Durante l'intervista mi disse: "Qui dentro si entra sani, non fanno le analisi anche se lo chiamano ospedale. Niente. Appena arrivi ti trattano già da manicomio. Ti portano qui o con il medico di base, oppure sono i parenti, o la polizia, carabinieri, i vigili del fuoco. Noi siamo una società di laureati, specializzati ecc… ma di civiltà, quando ci occuperemo della civiltà? Gli psichiatri non sono medici ma poliziotti del pensiero diverso". Quest'ultima riflessione mi sorprese in quanto riguardava l'idea elaborata da Freud nel classico "Disagio della civiltà": la propensione della società a difendersi con severe misure precauzionali da chi fosse in contraddizione con i costumi.
Possiamo aspettarci di ottenere cambiamenti nella nostra civiltà , tali che soddisfino meglio i nostri bisogni e sfuggano a questa critica. Freud afferma esplicitamente che nella ricerca psicologica aveva smesso di fare il medico e aveva cominciato a fare il biografo cioè a occuparsi di storie, perché la vita psicologica di una persona, che comporti sofferenza o che sia gioiosa, è legata alla storia della persona. Freud cominciò a fare lo psicoanalista e a occuparsi di persone con disagi dipendenti dall'insoddisfazione di non fare la vita che desideravano. Il dott. Antonucci dandomi la possibilità di fare la mia ricerca, mi dava la possibilità di conoscere situazioni come questa e cioè che, se non si è capiti, si può venire ricoverati con la forza, o anche con la persuasione. Si può essere ricoverati soltanto perché gli altri non capiscono cosa sta succedendo.
Tutte le nostre esperienze possono essere psichiatrizzate così come anche tutte le esperienze del nostro corpo possono essere medicalizzate. Il disagio vuol dire sofferenza, la sofferenza è fisiologica e gli uomini la vivono in ogni loro esperienza come vivono la gioia, tutte le esperienze hanno un aspetto terribile che ci tormenta. Il problema è che ci sono persone che sono indifese. Sono gli psichiatri che promettono, falsamente, di dare dei rimedi che sono al di fuori della vita concreta della persona.
Si può ritrovare l'entusiasmo di vivere senza prendere delle medicine e intossicare il proprio cervello con la chimica degli psichiatri. Per la psichiatria, malattia mentale non significa che una persona soffre, ma soltanto che è una persona considerata non responsabile dei propri atti, quindi deve essere tutelata. Antonucci ha restituito a quelle persone i diritti previsti dall'O.N.U. per ogni cittadino del mondo: il diritto di non essere rinchiuso; il diritto di non essere trascurato nei rapporti umani; i diritti culturali.
Dopo aver vissuto molti giorni, mesi, nel reparto di Imola, dopo aver vissuto insieme a persone sopravvissute a una lunga esperienza di segregazione e limitazione grave di tutte le loro reali capacità di vivere, pensare, comunicare, l'obiettivo della mia ricerca non era solo la realtà tragica e oppressiva dei manicomi, ma prendeva nuovo vigore l'idea di una possibilità di vita interiore per i degenti dei manicomi. I sopravvissuti di Imola, i pazienti del dott. Antonucci, dimostravano in continuazione di essere a tutti gli effetti uomini e donne psicologicamente e strutturalmente integri e creativi, solo provati da una lunga storia di incomprensione delle loro qualità e di arbitraria limitazione dei loro diritti e della loro libertà. In fondo quello che mi ero prefissata di dimostrare era la necessità di una maggiore civiltà nel trattamento dei malati psichiatrici, ma, ora, dopo l'esperienza dell'Autogestito era chiara la necessità di considerare le persone con rispetto per il loro pensiero e con la possibilità di appassionarsi, di emozionarsi. Queste riflessioni portano a una critica del pensiero psichiatrico e a far proprio la pratica di Antonucci che, genericamente, possiamo definire come approccio non-psichiatrico alla sofferenza psichica.
Io credo che proprio le famiglie dovrebbero pestare i piedi di fronte ai soprusi fatti ai danni dei loro cari. Sono le associazioni delle famiglie stesse che dovrebbero battersi per capire in che misura il problema esiste. Come si sa e si vede se un operatore si interroga su fatti come questi può sembrare inquisitorio pur non volendo esserlo, altra sfumatura avrebbe l'intervento di voi familiari responsabili. In questi anni ha preso vigore in Europa, il Movimento degli utenti, ex utenti e sopravvissuti alla psichiatria. È un movimento che ha origine in Inghilterra ed è in network europeo. Nessuna associazione italiana è presente come partner. I pazienti da Antonucci erano abituati a viaggiare molto in molte città, e io stessa ho partecipato con loro in alcuni di questi viaggi.