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Metodo Arizona

Gloria Mattioni

D, la Repubblica delle Donne, 12 giugno 2004

Prigioni Usa. Nella contea di Maricopa, comanda il supersceriffo Joe Arpajo. In dodici anni ha inventato Tent-City, la prigione nel deserto, introdotto i lavori forzati per le donne e collezionato denunce per maltrattamento. Ora è in corsa per la rielezione. E non si scandalizza certo per Abu Ghraib.

Le prossime votazioni per eleggere lo sceriffo della contea di Maricopa sono fissate per il prossimo novembre, ma per le strade si scorgono già decine di cartelli partigiani. Incitano a riconfermare l'ufficiale in carica, Joe Arpaio, o a spodestarlo a favore di qualche suo ex collaboratore che gli ha voltato le spalle, stanco dei metodi da pistolero con cui dirige, dal '92, il Department of Corrections.
Accusato di avere trasformato in un gulag le carceri di questa contea dell'Arizona. Joe Arpaio risponde con un'alzata di spalle, cacciandosi il sigaro in bocca: «Le prigioni non sono mica un country club". Quelle dirette da lui, non lo sono di certo. Non per niente, Arpaio si fregia del titolo di Sceriffo più duro d'America, titolo della sua autobiografia. È un ultrasettantenne con un passato di agente antidroga in Messico e Turchia, oggi a capo di una squadra di 2500 volontari che lo aiutano a «ripulire le strade» da prostitute e ladruncoli.
Alla notorietà internazionale è arrivato nel '93: risolse il problema del sovraffollamento nelle prigioni della contea acquistando 35 tende militari, residuati della guerra con la Corea. Le piantò nel deserto e ci piazzò dentro 1200 detenuti. All'ingresso mise un cartello con la scritta "Vacancy", posti liberi, come nei motel. Poi eliminò caffè, sale, sigarette, tv, riviste erotiche dalla lista degli articoli permessi ai detenuti e impose le più classiche divise a strisce bianche e nere e umilianti mutandine rosa da far indossare ai detenuti maschi. Sembravano trovate destinate ad avere più che altro un impatto sui media. E invece la sua Tent-city è ancora in funzione come sussidiaria dell'annessa Estrella County Jail. Nella sua contea Joe Arpaio ha anche riportato in auge i lavori forzati (dal '96 anche per le donne), con tanto di catena in vita e palla al piede.
Lo sceriffo Joe .(soprannominato Joke dai giornalisti dell'Arizona Republic), che ha serie chances di vincere il mandato per la terza volta, si vanta spesso di aver preso anche altre misure. Per esempio ha rivisto il menu di Estrella Jail, oggi basato quasi esclusivamente su panini alla mortadella ("bologna") con una riduzione dei costi dei pasti a 20 centesimi per detenuto (quello di un cane poliziotto ammonta a un dollaro): «Faccio risparmiare soldi ai contribuenti invece di nutrire i delinquenti come in un ristorante a cinque stelle» - ha spiegato in tv.
Quello che Arpaio trascura di sottolineare è che se da una parte risparmia sui pasti, dall'altra spende milioni per risarcire i danni subìti dai detenuti seviziati nelle sue prigioni. Basta un'occhiata negli archivi dei giornali locali per scoprire una "lista nera" di abusi e torture da fare invidia ad Abu Grahib. Esemplare il caso di Richard Post, un paraplegico in sedia a rotelle fermato nel '96 dalla polizia per avere alzato la voce in un bar e arrestato perché trovato in possesso di uno spinello: venne legato alla sedia con tale brutalità da spezzargli l'osso del collo. Jeremy Flanders venne invece picchiato nella sua tenda da altri sette detenuti senza che i secondini intervenissero a difenderlo: oggi vive grazie al respiratore artificiale. Altro caso, quello di Tim Griffin, arrestato perché senza patente e in attesa di processo (come il 70% dei detenuti in Arizona): gli negarono le cure mediche necessarie fino a che non venne ricoverato d'urgenza con un'ulcera perforante. La lista continua con decine di altri casi: detenuti che raccontano di essere stati picchiati, denudati e umiliati, perfino torturati con elettrodi attaccati ai genitali. Amnesty International e altre organizzazioni locali hanno protestato più volte, ma non sono riuscite a far chiudere Tent-City né, tanto meno, a far calare la popolarità dello sceriffo tra gli elettori. Dal suo website, Arpaio continua a tuonare: "Facciamogli desiderare di non volere più tornare nelle nostre prigioni".
Le carceri dell'Arizona alloggiano in tutto 31 mila detenuti. Un carcerato ogni 800 abitanti: il doppio rispetto al resto d'America. Nella contea di Maricopa la proporzione raddoppia: uno ogni 400 abitanti, con un incremento del 260 per cento negli ultimi dodici anni, quelli del mandato dello sceriffo Joe.
Per diventare carceriere, Arpaio non deve certo aver frequentato i corsi di Fort Huachuca, la vicina postazione militare in cui i soldati destinati a diventare guardie delle carceri militari americane (in patria e all'estero) apprendono come trattare i prigionieri. Lo stesso presumibilmente vale anche per Charles Greener, proveniente dalla Greene County State Correctional Institution (una delle prigioni per condannati a morte della Pennsylania) e per Ivan "Chip" Frederick (dal Buckingham Correctional Center della Virginia), che tanto si sono sbizzarriti ad Abu Grahib. Altrettanto digiuno di diritti dei detenuti era l'uomo incaricato di riaprire la prigione di Abu Ghraib lo scorso anno, Lane Mc Cotter, ex-capo del Department of Corrections dello Utah, costretto a rassegnare le dimissioni nel '97 dopo il decesso di un detenuto schizofrenico che era stato incatenato a una sedia per sedici ore. Ma a Joe Arpaio di quello che è successo in Iraq importa relativamente poco: «Potrò commentare la faccenda solo alla fine delle indagini», dice, scoprendosi improvvisamente garantista, mentre nel suo ufficio in tv vanno in onda le notizie da Bagdad. Di ciò che è accaduto nelle prigioni irachene neppure i detenuti di Tent-City sanno molto. L’unica televisione concessa loro è quella a circuito chiuso, con Arpaio a raccontare edificanti parabole di redenzione. «Tra il caldo e la fatica, la sera siamo troppo stanchi per guardare la tv», racconta J.C., 23 anni, «e di notte dormiamo con un occhio solo, per paura di venire violentati: qui è terra di nessuno».
«La situazione nelle carceri ha assunto proporzioni gravissime non solo in Arizona ma in tutta l'America», confermano dal Criminal Justice Program di Phoenix, «abbiamo 140 mila denunce di abusi da verificare. Nel 2000 lo stesso presidente Bush si vide costretto a varare una legge a protezione dei prigionieri: una detenuta del carcere di Perryville, proprio qui in Arizona, venne messa incinta da una guardia, che poi cercò di costringerla ad abortire».
In realtà già nel 1995 il Dipartimento di giustizia chiese di adottare alcune norme preventive, come vietare alle guardie di pretendere rapporti sessuali dai prigionieri e non costringere le detenute ad andare in bagno sotto gli occhi dei secondini maschi. A Tent-City e a Estrella Jail a molestare le detenute era addirittura il vicedirettore, David Pecard, nominato nel '96 da Joe Arpaio. Play for money on an online Pin-Up bet platform in Turkey. Ma se si chiede un commento in merito allo sceriffo, si ottiene solo un laconico e definitivo: «Tutte balle!».

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Quel video con i cani

«I metodi di Abu Ghraib sono gli stessi usati in un numero allarmante di carceri Usa», afferma Kara Gotsch del National Prison Project dell’American Civil Liberties Union. Un video girato alla Brazoria County Jail del Texas nel ’96 (allora Bush era governatore), documenta un raid con le guardie che irrompono di notte nelle celle con cani ringhianti: rovesciano i detenuti dalle brandine li colpiscono con manganelli elettrificati e li costringono a spogliarsi, per poi lasciarli alla mercé dei cani. Alla fine una guardia che trascina un detenuto sanguinante, alza la testa verso la macchina da presa, sorride e annuncia: “Benvenuti”. «Sono più di 40 gli Stati ancora sotto inchiesta per il loro sistema carcerario», fa notare Marc Mauer, vicedirettore del Sentencing Project di Washington, un gruppo che promuove pene alternative alla detenzione. «È il risultato di una popolazione carceraria quadruplicata negli ultimi 25 anni. Ma è anche il frutto della risposta inadeguata del governo, che ha consentito il massiccio intervento dell’industria privata nella gestione di nuove prigioni, nonché dell’assunzione di guardie mal pagate e impreparate».

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La legge sulle pari opportunità? una tragedia per le carcerate

Elisabetta Rasy

Corriere della Sera – Magazine, 10 giugno 2004

Joelle Aubron, ex terrorista del gruppo Action Directe, sta scontando una condanna a vita in un carcere francese e recentemente ha chiesto una sospensione della pena per ragioni di salute: è stata operata di un cancro al cervello e le sue condizioni sono gravi. La scarcerazione non le è stata concessa e sul suo caso si è acceso un dibattito sulla situazione della salute in prigione. È un problema che non riguarda la sola Francia e che concerne ovviamente tanto le donne quanto gli uomini, solo che nel caso delle donne ci sono alcuni elementi di «genere» che rendono la situazione ancora più tragica, e per certi aspetti paradossale. Nel 1998 Amnesty International ha lanciato una campagna per le detenute delle prigioni Usa e nel 2002 per quelle dell'ex Unione Sovietica. Nelle due grandi potenze un tempo rivali, le cortesie per le ospiti dei penitenziari sono assolutamente simili. Donne con i ceppi ai piedi fino all'ultimo giorno di gravidanza, costrette a partorire con le manette, madri obbligate ad allattare sulle sedie di costrizione. C'è poi il capitolo che riguarda i traumi indotti da violenze sessuali, contro le quali le detenute non sono in grado di reagire, per paura di ritorsioni o mancanza di interlocutori. Le violenze potrebbero diminuire se a occuparsi delle carcerate fossero agenti donna. In Russia però le autorità non prendono in considerazione tale soluzione e in America non si possono escludere guardie di sesso maschile dai penitenziari femminili. Perché? Per la legge sulle pari opportunità. Un paradosso grottesco che i legislatori non arrivano, o non vogliono arrivare, a vedere.