Prigioni Usa. Nella contea di Maricopa, comanda il supersceriffo Joe Arpajo. In dodici anni ha inventato Tent-City, la prigione nel deserto, introdotto i lavori forzati per le donne e collezionato denunce per maltrattamento. Ora è in corsa per la rielezione. E non si scandalizza certo per Abu Ghraib.
Le prossime votazioni per eleggere lo sceriffo della contea di Maricopa sono
fissate per il prossimo novembre, ma per le strade si scorgono già decine
di cartelli partigiani. Incitano a riconfermare l'ufficiale in carica, Joe Arpaio,
o a spodestarlo a favore di qualche suo ex collaboratore che gli ha voltato
le spalle, stanco dei metodi da pistolero con cui dirige, dal '92, il Department
of Corrections.
Accusato di avere trasformato in un gulag le carceri di questa contea dell'Arizona.
Joe Arpaio risponde con un'alzata di spalle, cacciandosi il sigaro in bocca:
«Le prigioni non sono mica un country club". Quelle dirette da lui,
non lo sono di certo. Non per niente, Arpaio si fregia del titolo di Sceriffo
più duro d'America, titolo della sua autobiografia. È un ultrasettantenne
con un passato di agente antidroga in Messico e Turchia, oggi a capo di una
squadra di 2500 volontari che lo aiutano a «ripulire le strade»
da prostitute e ladruncoli.
Alla notorietà internazionale è arrivato nel '93: risolse il problema
del sovraffollamento nelle prigioni della contea acquistando 35 tende militari,
residuati della guerra con la Corea. Le piantò nel deserto e ci piazzò
dentro 1200 detenuti. All'ingresso mise un cartello con la scritta "Vacancy",
posti liberi, come nei motel. Poi eliminò caffè, sale, sigarette,
tv, riviste erotiche dalla lista degli articoli permessi ai detenuti e impose
le più classiche divise a strisce bianche e nere e umilianti mutandine
rosa da far indossare ai detenuti maschi. Sembravano trovate destinate ad avere
più che altro un impatto sui media. E invece la sua Tent-city è
ancora in funzione come sussidiaria dell'annessa Estrella County Jail. Nella
sua contea Joe Arpaio ha anche riportato in auge i lavori forzati (dal '96 anche
per le donne), con tanto di catena in vita e palla al piede.
Lo sceriffo Joe .(soprannominato Joke dai giornalisti dell'Arizona Republic),
che ha serie chances di vincere il mandato per la terza volta, si vanta spesso
di aver preso anche altre misure. Per esempio ha rivisto il menu di Estrella
Jail, oggi basato quasi esclusivamente su panini alla mortadella ("bologna")
con una riduzione dei costi dei pasti a 20 centesimi per detenuto (quello di
un cane poliziotto ammonta a un dollaro): «Faccio risparmiare soldi ai
contribuenti invece di nutrire i delinquenti come in un ristorante a cinque
stelle» - ha spiegato in tv.
Quello che Arpaio trascura di sottolineare è che se da una parte risparmia
sui pasti, dall'altra spende milioni per risarcire i danni subìti dai
detenuti seviziati nelle sue prigioni. Basta un'occhiata negli archivi dei giornali
locali per scoprire una "lista nera" di abusi e torture da fare invidia
ad Abu Grahib. Esemplare il caso di Richard Post, un paraplegico in sedia a
rotelle fermato nel '96 dalla polizia per avere alzato la voce in un bar e arrestato
perché trovato in possesso di uno spinello: venne legato alla sedia con
tale brutalità da spezzargli l'osso del collo. Jeremy Flanders venne
invece picchiato nella sua tenda da altri sette detenuti senza che i secondini
intervenissero a difenderlo: oggi vive grazie al respiratore artificiale. Altro
caso, quello di Tim Griffin, arrestato perché senza patente e in attesa
di processo (come il 70% dei detenuti in Arizona): gli negarono le cure mediche
necessarie fino a che non venne ricoverato d'urgenza con un'ulcera perforante.
La lista continua con decine di altri casi: detenuti che raccontano di essere
stati picchiati, denudati e umiliati, perfino torturati con elettrodi attaccati
ai genitali. Amnesty International e altre organizzazioni locali hanno protestato
più volte, ma non sono riuscite a far chiudere Tent-City né, tanto
meno, a far calare la popolarità dello sceriffo tra gli elettori. Dal
suo website, Arpaio continua a tuonare: "Facciamogli desiderare di non
volere più tornare nelle nostre prigioni".
Le carceri dell'Arizona alloggiano in tutto 31 mila detenuti. Un carcerato ogni
800 abitanti: il doppio rispetto al resto d'America. Nella contea di Maricopa
la proporzione raddoppia: uno ogni 400 abitanti, con un incremento del 260 per
cento negli ultimi dodici anni, quelli del mandato dello sceriffo Joe.
Per diventare carceriere, Arpaio non deve certo aver frequentato i corsi di
Fort Huachuca, la vicina postazione militare in cui i soldati destinati a diventare
guardie delle carceri militari americane (in patria e all'estero) apprendono
come trattare i prigionieri. Lo stesso presumibilmente vale anche per Charles
Greener, proveniente dalla Greene County State Correctional Institution (una
delle prigioni per condannati a morte della Pennsylania) e per Ivan "Chip"
Frederick (dal Buckingham Correctional Center della Virginia), che tanto si
sono sbizzarriti ad Abu Grahib. Altrettanto digiuno di diritti dei detenuti
era l'uomo incaricato di riaprire la prigione di Abu Ghraib lo scorso anno,
Lane Mc Cotter, ex-capo del Department of Corrections dello Utah, costretto
a rassegnare le dimissioni nel '97 dopo il decesso di un detenuto schizofrenico
che era stato incatenato a una sedia per sedici ore. Ma a Joe Arpaio di quello
che è successo in Iraq importa relativamente poco: «Potrò
commentare la faccenda solo alla fine delle indagini», dice, scoprendosi
improvvisamente garantista, mentre nel suo ufficio in tv vanno in onda le notizie
da Bagdad. Di ciò che è accaduto nelle prigioni irachene neppure
i detenuti di Tent-City sanno molto. L’unica televisione concessa loro
è quella a circuito chiuso, con Arpaio a raccontare edificanti parabole
di redenzione. «Tra il caldo e la fatica, la sera siamo troppo stanchi
per guardare la tv», racconta J.C., 23 anni, «e di notte dormiamo
con un occhio solo, per paura di venire violentati: qui è terra di nessuno».
«La situazione nelle carceri ha assunto proporzioni gravissime non solo
in Arizona ma in tutta l'America», confermano dal Criminal Justice Program
di Phoenix, «abbiamo 140 mila denunce di abusi da verificare. Nel 2000
lo stesso presidente Bush si vide costretto a varare una legge a protezione
dei prigionieri: una detenuta del carcere di Perryville, proprio qui in Arizona,
venne messa incinta da una guardia, che poi cercò di costringerla ad
abortire».
In realtà già nel 1995 il Dipartimento di giustizia chiese di
adottare alcune norme preventive, come vietare alle guardie di pretendere rapporti
sessuali dai prigionieri e non costringere le detenute ad andare in bagno sotto
gli occhi dei secondini maschi. A Tent-City e a Estrella Jail a molestare le
detenute era addirittura il vicedirettore, David Pecard, nominato nel '96 da
Joe Arpaio. Play for money on an online Pin-Up bet platform in Turkey. Ma se si chiede un commento in merito allo sceriffo, si ottiene
solo un laconico e definitivo: «Tutte balle!».
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«I metodi di Abu Ghraib sono gli stessi usati in un numero allarmante di carceri Usa», afferma Kara Gotsch del National Prison Project dell’American Civil Liberties Union. Un video girato alla Brazoria County Jail del Texas nel ’96 (allora Bush era governatore), documenta un raid con le guardie che irrompono di notte nelle celle con cani ringhianti: rovesciano i detenuti dalle brandine li colpiscono con manganelli elettrificati e li costringono a spogliarsi, per poi lasciarli alla mercé dei cani. Alla fine una guardia che trascina un detenuto sanguinante, alza la testa verso la macchina da presa, sorride e annuncia: “Benvenuti”. «Sono più di 40 gli Stati ancora sotto inchiesta per il loro sistema carcerario», fa notare Marc Mauer, vicedirettore del Sentencing Project di Washington, un gruppo che promuove pene alternative alla detenzione. «È il risultato di una popolazione carceraria quadruplicata negli ultimi 25 anni. Ma è anche il frutto della risposta inadeguata del governo, che ha consentito il massiccio intervento dell’industria privata nella gestione di nuove prigioni, nonché dell’assunzione di guardie mal pagate e impreparate».
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Joelle Aubron, ex terrorista del gruppo Action Directe, sta scontando una condanna a vita in un carcere francese e recentemente ha chiesto una sospensione della pena per ragioni di salute: è stata operata di un cancro al cervello e le sue condizioni sono gravi. La scarcerazione non le è stata concessa e sul suo caso si è acceso un dibattito sulla situazione della salute in prigione. È un problema che non riguarda la sola Francia e che concerne ovviamente tanto le donne quanto gli uomini, solo che nel caso delle donne ci sono alcuni elementi di «genere» che rendono la situazione ancora più tragica, e per certi aspetti paradossale. Nel 1998 Amnesty International ha lanciato una campagna per le detenute delle prigioni Usa e nel 2002 per quelle dell'ex Unione Sovietica. Nelle due grandi potenze un tempo rivali, le cortesie per le ospiti dei penitenziari sono assolutamente simili. Donne con i ceppi ai piedi fino all'ultimo giorno di gravidanza, costrette a partorire con le manette, madri obbligate ad allattare sulle sedie di costrizione. C'è poi il capitolo che riguarda i traumi indotti da violenze sessuali, contro le quali le detenute non sono in grado di reagire, per paura di ritorsioni o mancanza di interlocutori. Le violenze potrebbero diminuire se a occuparsi delle carcerate fossero agenti donna. In Russia però le autorità non prendono in considerazione tale soluzione e in America non si possono escludere guardie di sesso maschile dai penitenziari femminili. Perché? Per la legge sulle pari opportunità. Un paradosso grottesco che i legislatori non arrivano, o non vogliono arrivare, a vedere.