In carcere.
di Assata Shakur
Tratto da "Assata - un'autobiografia".
Terzo capitolo
ERRE EMME Edizioni (in collaborazione con Controinformazione Internazionale), 1992

***

Il 2 maggio 1973, la Black Panther Assata Shakur (nome da "schiava" JoAnne Chesimard), giace in un ospedale del New Jersey, in fin di vita, ammanettata, sorvegliata a vista. Agenti della polizia statale e federale cercano di interrogarla, per lo scontro a fuoco appena avvenuto e in cui ha perso la vita un poliziotto. Da tempo Assata � ricercata dal Fbi e dalle polizie di ogni parte degli Usa, nel quadro della campagna tesa a criminalizzare, discreditare e distruggere il movimento di liberazione Nero. Il piano varato dal Fbi ha un nome ormai famigerato: Cointelpro.
Dopo quattro anni di carcere, a marzo del 1977, il tribunale riuscir� finalmente a condannarla, come complice nell'omicidio del poliziotto, ma senza alcuna prova reale.
Assata racconta tutto ci�: dall'oppressione di essere donna, e donna nera in particolare, fino alla crescita di una consapevolezza rivoluzionaria come attivista e combattente nel movimento nero degli Usa. Per farlo, ricostruisce anche pagine appassionanti e significative della propria vita, dall'infanzia sino al periodo finale del carcere.
Nel 1979, con l'aiuto di un commando di quattro uomini e una donna, riesce ad evadere e raggiungere Cuba. Ed � l� che si conclude questo racconto avvincente, entrato ormai a far parte della storia culturale del movimento nero, accanto alla celebre Autobiografia di Malcom X.

[Dalla presentazione del libro]

***

Sembrava nel mezzo della notte. Qualcuno mi stava chiamando, svegliandomi. Cosa volevano? Mi resi conto improvvisamente di un gran movimento. Polizia, il gracidio delle radioline. Il posto era pieno di brusii.
"Tieni, mettiti questo", mi disse uno, dandomi un accappatoio.
"Che succede?", chiesi.
"Ti trasferiamo".
"Dove mi state trasferendo?".
"Lo scoprirai quando ci arriviamo".
Una sedia a rotelle mi stava aspettando. Pensai che mi stessero portando in carcere. C'era una colonna di auto della polizia fuori dall'Ospedale. Sembrava di essere nuovamente in un corteo.
Il viaggio fu piacevole. Mi faceva bene anche solo guardare le case e gli alberi e le persone passando in auto. Arrivammo al carcere all'alba, nel mezzo di nessun luogo. Era un'orrenda costruzione a due piani. Mi spinsero su per le scale al secondo piano.
Fui messa in una cella con due porte. All'interno c'era un cancello fatto di sbarre e al suo esterno c'era una pesante porta di ferro, con un minuscolo spioncino dal quale si poteva a malapena vedere fuori. La cella conteneva una brandina, con una ruvida coperta verde, e una panca di legno bianca, sporca, con centinaia di nomi incisi. Vicino alla cella c'era il bagno, con un lavandino, una toilette e una doccia. Appeso sopra al lavandino c'era il fondo di una pentola o di un tegame. Avrebbe dovuto funzionare da specchio ma riuscivo a mala pena a vedermici. C'era una finestra schermata da tre sottili lastre di metallo, che dava su un parcheggio, un campo e, lontano, un'area boschiva.
Camminai intorno alla cella, fino al bagno, alla finestra, alla porta. Avanti e indietro fino a quando fui esausta. Ero ancora abbastanza debole. Mi sdraiai sulla brandina e mi chiesi che tipo di posto sarebbe stato. Eccomi qui: il mio primo giorno di carcere.
Dopo circa un'ora una guardiana apr� la porta esterna e mi chiese se volevo la colazione. Dissi di s� e nel giro di un paio di minuti torno con due uova e del pane in un contenitore di plastica e una tazza di metallo che conteneva qualcosa che si supponeva fosse caff�.
Le uova non avevano poi un sapore cos� cattivo. "Forse il cibo in carcere non � cos� cattivo come dicono", ricordo di aver pensato.
Sentii delle voci, ma era evidente che si trattava di poliziotti. Poi sentii una radio. Musica Nera. Suonavano cos� bene. Guardai dallo spioncino e vidi delle facce, strane e distorte a causa del vetro concavo, ma erano facce Nere e corrispondevano alle voci Nere che avevo sentito.
"Come state?", domandai.
Nessuna risposta. Poi mi resi conto di quanto spessa fosse la porta di metallo, cos� questa volta gridai: "Come state?". Mi rispose un coro di voci smorzate: "Bene". Mi sentivo meglio. Persone reali si trovavano al di l� della parete. La guardiana apr� la porta di metallo e mi diede delle uniformi, uniformi da donna, blu reale, bottoni bianchi, colletto, polsini.
Mi misi a provarle, fino a quando ne trovai due che mi andavano bene. Poi mi diede un'enorme mutanda di cotone che sembrava fatta con stoffa da tenda e una camicia da notte che era esattamente come la mutanda.
"Hai diritto ad un'uniforme pulita alla settimana".
"Una alla settimana?", quasi gridai. Dovevano essere pazzi. Dietro la guardiana, attraverso la porta aperta, potevo vedere delle donne che le stavano intorno.
Erano tutte Nere, mi sembrava. Mi sorrisero e mi salutarono. Mi faceva cos� bene vederle, era come un pezzo di casa. "Quando avete intenzione di aprire la mia cella e lasciarmi andare di l�?", chiesi indicando le altre donne. La guardia sembr� sorpresa.
"Non lo so. Devi chiedere al direttore."
"Bene. Quando posso vedere il direttore?", insistetti.
"Non lo so".
"Allora, perch� sono rinchiusa qui dentro? Perch� non posso andare di l� con le altre donne?".
"Non lo so".
"Ma perch�, allora non mi puoi fare uscire?".
"Ci hanno detto che devi rimanere nella tua stanza".
"E per quanto tempo intendete lasciarmi rinchiusa in questo modo?".
"Non lo so".
Capii che era inutile. "Puoi dire al direttore che voglio vederlo?", chiesi.
La guardiana chiuse la porta e se ne and�.
La porta di metallo venne nuovamente aperta. Un'orrenda donna bianca, tutta aggrinzita, stava di fronte alle sbarre. "Il mio nome � Mrs. Butterworth e sono la responsabile del settore femminile del carcere". Mi ricordava un cavallo decrepito.
"Bene JoAnne, c'� qualcosa che posso fare per te?".
Non mi piaceva il suo aspetto o il tono della voce, ma decisi di ignorarlo per il momento e di affrontare subito la cosa.
"Quando potr� uscire da questa cella e andare fuori nella sala grande con le altre donne?".
"Non lo so JoAnne. Perch� ci vuoi andare?".
"Perch� non voglio stare qui dentro tutto il giorno, rinchiusa e da sola".
"Perch� JoAnne, non ti piace la tua stanza? � molto bella. L'abbiamo fatta ridipingere apposta per te".
"Non � questo il punto", dissi. "Voglio sapere quando potr� uscire insieme alle altre donne".
"Bene, JoAnne, non so se potrai uscire. Capisci, dobbiamo tenerti qui dentro per la tua incolumit�, perch� ci sono state minacce di morte nei tuoi confronti. Capisci JoAnne," disse abbassando la voce come se stesse parlando confidenzialmente, "chi ammazza i poliziotti non � molto popolare negli istituti correzionali".
"Qualcuna di quelle donne mi ha minacciata?".
"Beh, non lo so, ma sono sicura di s�".
"Scommetto", dissi fra me, "che nessuno minaccia la mia vita. Solo non mi volete far uscire".
"JoAnne, la cosa importante � che ti comporti bene e collabori con noi, cos� potremo inviare la giudice un rapporto positivo sul tuo conto. � importante che le nostre ragazze si comportino da signore".
Questa donna mi faceva vomitare. Pensava davvero che io fossi tanto pazza da credere che lei o il giudice mi avrebbero in qualche modo aiutata? Ma era il tono di superiorit� nella sua voce che mi mandava in bestia.
"Butterworth, vero?", domandai. "Qual � il tuo nome?".
"Perch� lo vuoi sapere? Non lo dico mai alle ragazze".
"Io non sono una delle tue ragazze. Sono una donna adulta. Perch� non dici il tuo nome? Te ne vergogni?".
"No, JoAnne, non mi vergogno del mio nome. � una questione di rispetto. Sono la caporeparto qui. Le ragazze mi chiamano Mrs. Butterworth e io le chiamo per nome".
"Bene, non hai fatto nulla perch� io ti debba rispettare. La gente riceve il mio rispetto solo quando se lo guadagna. Visto che non mi vuoi dire il tuo nome, voglio che mi chiami per cognome. Puoi scegliere tra Miss Shakur e Miss Chesimard".
"Non ti chiamer� per cognome. Continuer� a chiamarti JoAnne".
"Okay. Per me va bene, se riuscirai a sopportare che io ti chiami signora Puttana, quando ti vedo. Non rispetto chi non mi rispetta".
"Chiudi a chiave la porta", disse alla guardiana e se ne and�.
I giorni passavano. Evelyn chiam� il direttore, i due capireparto (ce n'erano due, nel carcere: la Butterworth e un uomo chiamato Cahill. Cahill aveva il potere. La Butterworth era solo di rappresentanza) e innumerevoli altre persone. Non si poteva fare altro che ricorrere al giudice.
Avevo poca, se non addirittura nessuna sensibilit� nel mio braccio destro. Sapevo che avevo bisogno di una terapia fisica se volevo usarlo ancora. Avevo imparato a scrivere con la mano sinistra, ma non era un buon sostituto. Avevo bisogno di una diagnosi pi� specifica su cosa fosse stato esattamente danneggiato, per sapere se mai avrei potuto usarlo di nuovo, anche con la terapia fisica.
L'isolamento mi faceva impazzire. Avevo bisogno di materiali per scrivere, dipingere o scarabocchiare. Tutte le mie richieste rimanevano inascoltate. Non mi permettevano niente, compreso l'olio di arachidi e una piccola palla per aiutare i movimenti del mio braccio.
Quando il dottore del carcere mi visit� gli chiesi del mio braccio.
"Noi dottori non siamo onnipotenti. Non c'� nulla da fare quando un arto � paralizzato".
"Ma mi hanno detto che potrei migliorare", protestai.
"S� e il fisioterapista del Roosevelt Hospital ha detto che l'olio di arachidi mi aiuterebbe".
"Olio di arachidi?", chiese ridendo. "Questa � buona. Non posso certo prescriverglielo. Il mio consiglio � che si dimentichi di questa roba. Non ne ha bisogno. Qualche volta nella vita bisogna accettare cose che non sono piacevoli. Lei ha pur sempre un braccio sano".
Continuai a parlare, ma era tempo sprecato. Non aveva alcuna intenzione neppure di tentare ad aiutarmi. "Vuole almeno prescrivermi della vitamina B?".
"Va bene, anche se in realt� non ne ha bisogno".
Da allora, ogni volta che mi chiamavano per la visita medica, vi andavo riluttante. Il medico toglieva il braccio dalla fascia, lo muoveva di qualche centimetro avanti e indietro. "Oh s�, sta migliorando", diceva. Ogni volta chiedevo della fisioterapia e ogni volta diceva che non ci poteva fare niente. Alla fine Evelyn and� dal giudice. Alcune delle cose che pretendevamo erano ridicole. Oltre alla fisioterapia e ad analisi neurologiche, chiedevamo olio di arachidi, una palla di gomma, una maniglia di gomma, libri e materiale per disegnare o dipingere. Il giudice alla fine concesse un fisioterapista, se noi l'avessimo trovato e pagato la parcella, ma non se ne trov� mai nessuno. Sembrava che nessun fisioterapista nella contea di Middlesex volesse venire in carcere per curarmi, e potevano essere ammessi solo fisioterapisti di quella contea.
Ottenni comunque l'olio di arachidi e la maniglia. E in breve tempo avevo elaborato un programma di fisioterapia.
Ricevevo molta posta da tutto il paese. Per la maggior parte era di gente che non conoscevo neppure; si trattava, per lo pi�, di militanti Neri, sia liberi che in prigione. Ricevetti anche qualche lettera piena d'odio e qualcuna da parte di gente religiosa che stava cercando di salvare la mia anima. Non ero in grado di rispondere a tutte perch� ci permettevano di scrivere solo due lettere la settimana, soggette a ispezione e censura da parte delle autorit� carceraria. E comunque mi era difficile scrivere. Ero paranoica rispetto alle lettere. Non potevo sopportare il pensiero che la polizia, il Fbi, le guardia, chiunque potesse leggere le mie lettere e penetrare nei miei sentimenti e nei miei pensieri. Ma vorrei scusarmi sinceramente con tutti coloro che sono stati cos� gentili da scrivermi in tutti questi anni e che non hanno ricevuto risposta.
Ho passato il mio primo mese nel carcere della contea di Middlesex, impegnata a scrivere. Evelyn mi aveva portato dei ritagli di giornale ed era ovvio che la stampa stava cercando di incastrarmi, di farmi sembrare un mostro. Secondo loro io ero una criminale comune, che se ne andava in giro a sparare ai poliziotti tanto per farlo. Dovevo fare una dichiarazione. Dovevo parlare alla mia gente e spiegare di cosa si trattasse, da dove saltavo fuori. Mi sembr� di metterci un'eternit� a scrivere la dichiarazione. Volevo registrarla e dovetti ricorrere all'aiuto di Evelyn. Come mio legale era assolutamente contraria e mi consiglio di non fare la registrazione. Ma come donna Nera che viveva in america, Evelyn capiva perch� fosse cos� importante e necessario. Quando il pubblico ministero venne a sapere della registrazione tent� di toglierle la causa. La korte le ordin� di non portare mai pi� un registratore con s� quando mi veniva e trovare.
Registrai la dichiarazione "Alla mia gente" il 14 luglio 1973 e fu trasmessa per radio da molte stazioni. Ecco cosa dissi:

"Fratelli Neri, sorelle Nere, voglio che sappiate che vi amo e spero che in qualche parte del vostro cuore abbiate dell'amore per me. Il mio nome � Assata Shakur (nome da schiava joanne chesimard), e sono una rivoluzionaria. Una rivoluzionaria Nera. Questo significa che ho dichiarato guerra a tutte le forze che hanno violentato le nostre donne, castrato i nostri uomini e tenuto i nostri figli a stomaco vuoto.
Ho dichiarato guerra ai ricchi che prosperano sulla nostra povert�, ai politici che ci mentono con il sorriso sulle labbra e a tutti i robot senza mente e senza cuore che proteggono loro e le loro propriet�. Sono una rivoluzionaria Nera e, in quanto tale, sono una vittima di tutta la rabbia, l'odio e l'infamia di cui � capace l'amerika. Come con tutti gli altri rivoluzionari Neri, l'amerika sta tentando di linciarmi.
Sono una donna rivoluzionaria Nera e per questo sono stata imputata e sono stata accusata di ogni presunto reato al quale si pensa possa partecipare una donna. Di presunti reati nei quali si presume siano coinvolti solo uomini, sono stata accusata di averli organizzati. Hanno affisso manifesti che mi raffigurano negli uffici postali, negli aeroporti, alberghi, auto della polizia, metropolitana, banche, televisioni, giornali. Hanno offerto pi� di 50.000 $ per la mia cattura e hanno dato l'ordine di spararmi a vista e sparare per uccidere.
Sono una rivoluzionaria Nera e, per definizione, questo mi rende parte del Black Liberation Army. Gli sbirri hanno usato i loro giornali e le loro televisioni per dipingere il Black Liberation Army come vizioso, brutale e pazzo criminale. Ci hanno chiamati banditi e donne di banditi e ci hanno paragonati a personaggi come John Dillinger e Ma Barker. Dovrebbe essere evidente, e deve essere evidente a chiunque sia in grado di pensare, vedere o sentire, che noi siamo le vittime. Le vittime e non i criminali.
Dovrebbe anche esserci chiaro chi sono i veri criminali. Nixon e i suoi complici hanno assassinato centinaia di fratelli e sorelle del Terzo mondo nel Vietnam, in Cambogia, Mozambico, Angola, Sudafrica. � stato provato dal Watergate: i massimi esponenti del governo in questo paese sono un branco di criminali bugiardi. Il presidente, due procuratori generali, il capo del Fbi, il capo della Cia, e met� del personale della Casa Bianca sono implicati nell'affare Watergate.
Ci chiamano assassini, ma non siamo stati noi quelli che hanno ucciso pi� di 250 uomini, donne, bambini Neri inermi, o ferito altre migliaia negli scontri che hanno provocato negli anni '60. I padroni di questa nazione hanno sempre considerato la loro propriet� pi� importante delle nostre vite. Ci chiamano assassini, ma non eravamo noi i responsabili per i 28 fratelli detenuti e i 9 ostaggi assassinati ad Attica. Ci chiamano assassini, ma non abbiamo assassinato o ferito pi� di 30 studenti Neri inermi nella Jackson State, e neppure nella Southern State University.
Ci chiamano assassini, ma noi non abbiamo ucciso Martin Luther King, Jr. Emmett Till, Malcom X, Gorge Jackson, Nat Turner, James Chaney e molti altri. Noi non abbiamo ucciso, sparando alle spalle, la sedicenne Rita Lloyd, l'undicenne Rickie Bodder e Clifford Glover, di dieci anni. Ci chiamano assassini, ma noi non controlliamo o diamo forza ad un sistema di razzismo ed oppressione che uccide sistematicamente la gente Nera e del Terzo mondo. Anche se si stima che i Neri ammontino a circa il 15 per cento dell'intera popolazione americana, almeno il 60 per cento delle vittime di assassini sono Neri. Per ogni sbirro ucciso nel cosiddetto adempimento del dovere, ci sono almeno 50 Neri assassinati dalla polizia.
La vita media dei Neri � nettamente inferiore a quella dei bianchi e questi fanno del loro meglio per ucciderci ancora prima che siamo nati. Veniamo bruciati vivi in appartamenti-trappole incendiarie. I nostri fratelli e le nostre sorelle muoiono ogni giorno per overdose di eroina e metadone. I nostri bambini muoiono di saturnismo. Milioni di Neri sono morti in seguito a carenza di cure mediche. Questo � un assassinio. Ma loro hanno la sfrontatezza di chiamare noi assassini. Ci chiamano rapitori, ma il fratello Clark Squire (che come me � accusato di aver ucciso un agente della polizia dello Stato del New Jersey) � stato rapito il 2 aprile 1969 dalla nostra comunit� Nera e tenuto in ostaggio per una somma di 1 milione di dollari nel processo per cospirazione contro le Phanter 21 di New York. � stato prosciolto il 13 maggio 1971, insieme a tutti gli altri, dai 156 capi di accusa per cospirazione da una giuria che ci ha messo meno di due ore per deliberare. Il fratello Squire era innocente. Eppure � stato rapito dalla sua comunit� e dalla sua famiglia. Pi� di due anni della sua vita gli sono stati rubati, ma loro chiamano noi rapitori. Non noi abbiamo rapito le migliaia di fratelli e sorelle tenuti prigionieri nei campi di concentramento amerikani. Il 90 per cento della popolazione carceraria in questa nazione � gente Nera o del Terzo mondo, che non si pu� permettere n� cauzione n� avvocato.
Ci chiamano ladri e banditi. Dicono che rubiamo. Ma non siamo stati noi che abbiamo tolto milioni di Neri dal continente africano. Ci hanno rubato la nostra lingua, le nostre divinit�, la nostra cultura, la nostra dignit� umana, il nostro lavoro, le nostre vite. Ci chiamano ladri, ma non siamo noi che ogni anno distruggiamo milioni di dollari con l'evasione fiscale, l'imposizione illegale dei prezzi, le appropriazioni indebite, le frodi ai danni dei consumatori, le bustarelle, le tangenti e le truffe. Ci chiamano banditi, ma quando un Nero prende la sua busta paga, la maggior parte delle volte, viene derubato. Ogni volta che andiamo a fare la spesa nel negozio di quartiere veniamo derubati. E ogni volta che paghiamo l'affitto il proprietario ci punta una pistola alle spalle.
Ci chiamano ladri, ma noi non abbiamo derubato e assassinato migliaia di Indiani strappandoli dalla loro terra natia, per poi chiamarci "pionieri". Ci chiamano banditi, ma non siamo stati noi che abbiamo rubato all'Africa, all'Asia e all'America latina le loro risorse naturali e la loro libert�, mentre i loro popoli stanno morendo di fame. I padroni di questa nazione e i loro tirapiedi si sono macchiati di alcuni dei pi� brutali e depravati crimini della storia. Loro sono i banditi. Loro sono gli assassini. E loro dovrebbero essere trattati come tali. Questi maniaci non sono adatti a giudicarmi, a giudicare Clark o qualsiasi altro Nero sotto processo in amerika. I Neri dovrebbero, e inevitabilmente dovranno, determinare il loro destino.
Ogni rivoluzione nella storia � stata compiuta mediante azioni, anche se le parole sono indispensabili. Dobbiamo creare scudi che ci proteggano e lance che colpiscano i nostri nemici. I Neri debbono imparare adesso a lottare lottando. Dobbiamo imparare dai nostri nemici.
Voglio scusarmi con voi fratelli e sorelle neri, per essermi trovata sull'autostrada del New Jersey. Avrei dovuto saperlo. L'autostrada � un punto di controllo dove i Neri vengono fermati, perquisiti, vessati e assaliti. I rivoluzionari non dovrebbero mai avere cos� tanta fretta o prendere decisioni avventate. Chi corre quando non c'� il sole inciamper� molte volte.
Ogni volta che un Combattente per le Libert� Nero viene assassinato o catturato, gli sbirri tentano di creare l'impressione di aver schiacciato il movimento, distrutto le nostre forze, eliminato la Rivoluzione Nera. Gli sbirri tentano anche di dare l'impressione che solo cinque o dieci guerriglieri siano responsabili per tutte le azioni rivoluzionarie che vengono eseguite in amerika. Questa � una sciocchezza. Questo � assurdo. I rivoluzionari Neri non provengono dalla luna. Noi siamo un prodotto della nostra situazione. Plasmati dalla nostra oppressione. Siamo stati costruiti in serie nelle strade dei ghetti, in posti come Attica, San Quentin, Bedford Hills, Leavenworth e Sing Sing. Stanno producendo migliaia come noi. Molti veterani disoccupati Neri e madri che fruiscono dell'assistenza sociale stanno unendosi alle nostre fila. Fratelli e sorelle di tutti gli strati sociali, che sono stanchi di soffrire passivamente, formano il Bla.
C'�, e ci sar� sempre, fino a quando ogni uomo, ogni donna, ogni bambino Nero non sar� libero, un Black Liberation Army. La principale funzione del Black Liberation Army in questo momento � di dare il buon esempio, di combattere per la libert� Nera, e prepararsi per il futuro. Dobbiamo difenderci e non permettere a nessuno di mancarci di rispetto. Dobbiamo conquistare la nostra libert� con ogni mezzo necessario.

� nostro dovere combattere per la nostra libert�.
� nostro dovere vincere.
Dobbiamo amarci e sostenerci l'un l'altro.
Non abbiamo nulla da perdere se non le nostre catene.
Dobbiamo continuare a combattere nello spirito di:

Ronald Carter
William Christmas
Mark Clark
Mark Essex
Frank "Heavy" Fields
Woodie Changa Olugbala Green
Fred Hampton
Lil' Boppy Hutton
George Jackson
Jonathan Jackson
James McClain
Harold Russel
Zayd Malik Shakur
Anthony Kumu Olugbala White

Il carcere aveva un mucchio di regole, la maggior parte delle quali stupide. Non erano ammessi giornali o riviste. Quando chiesi perch� non potevamo leggere i giornali mi risposero che i giornali "potevano infiammare". Ovviamente, se qualcuno leggeva nel giornale che sua sorella era stata violentata avrebbe aspettato che il violentatore finisse in carcere per fargliela pagare fisicamente.
"Eppure", protestai "gli altri prigionieri guardano la televisione e ascoltano la radio (a me non era concesso neppure questo). In questo modo possono ricevere lo stesso tipo di informazioni, o con le visite dei parenti".
"Se la metti cos�", mi rispose la guardia, "non permettiamo che tu legga i giornali perch� sono un pericolo di incendio". Una delle regole pi� tristi vietava ai bambini di andare a trovare le loro madri in carcere. Vedevo i bambini aspettare fuori, guardare verso quell'orrendo, vecchio edificio con facce tristi, frustrate. Le madri correvano all'unica finestra che dava sul parcheggio per riuscire almeno ad intravedere i loro bambini. Gridavano dalle finestre, bench� proibito, e di tanto in tanto qualcuna veniva trascinata via. Qualche volta le loro grida disperate non venivano sentite.
Lentamente imparai a conoscere le altre donne. Erano tutte molto gentili con me e mi trattavano come una sorella. Risero come delle pazze quando le raccontai che le guardie mi avevano detto di dovermi proteggere da loro. In quei primi giorni, prima che imparassi veramente a fare le cose con un'unica mano, facevano tutto il possibile per rendermi le cose pi� facili. Si offrivano di stirare la mia uniforme e la intrufolavano nella lavatrice perch� fosse lavata pi� di una volta alla settimana. Quando mi dissero di cosa erano state accusate e le pene che stavano scontando non ci potevo quasi credere. Alcune erano detenute per attivit� nel campo delle lotterie illegali: sei mesi o un anno. A New York, finire in carcere per il lotto illegale era praticamente inaudito, e certamente non per sei mesi o un anno. Tutti sanno che le scommesse ingrassano gli sbirri. Queste donne non avevano fatto male a nessuno e neppure rubato; eppure stavano in carcere, probabilmente fregate dagli stessi sbirri che avevano pagato. L'unico loro crimine era aver fatto concorrenza alla lotteria di Stato. Se mi fossi immaginata di trovare in quel luogo i cosiddetti criminali incalliti o donne-bandito o donne dei gangster di alto livello, sarei rimasta delusa. Le altre donne non erano dentro per le scommesse, lo erano per piccoli furti, come furti nei negozi o pagamenti con assegni a vuoto. Molte di queste sorelle usufruivano dell'assistenza sociale e non ce la facevano ad arrivare a fine mese. I tribunali non avevano mostrato alcuna piet� nei loro confronti. Poco dopo il mio arrivo in carcere, avevano portato dentro una sorella che era incinta di otto mesi ed era stata condannata ad una mese per aver rubato qualcosa che valeva meno di venti dollari.
Poi arriv� nel carcere anche una sorella di mezza et�: veniva solo per il week-end. Durante la settimana lavorava e scontava una condanna a sei mesi per giuda in stato di ebbrezza. Sapendo che una donna bianca con la stessa accusa non sarebbe mai stata condannata, pensai che fosse una punizione dura. Ma non mi resi conto di quanto lo fosse veramente, fino a quando non mi raccont� che era stata arrestata per guida in stato di ebbrezza nel cortile della sua casa. Non si trovava nemmeno su una strada pubblica. Mi raccont� che gli sbirri l'avevano arrestata perch� non era piaciuto il modo in cui essa aveva rivolto loro la parola.
In carcere non era affatto raro veder arrivare una donna pestata a sangue. In questo caso l'unica accusa era "resistenza all'arresto". Portarono dentro, una notte, una sorella Portoricana. Era stata picchiata cos� duramente dagli sbirri che la caporeparto di turno non voleva neppure ammetterla. "Non voglio che muoia mentre sono in servizio", continuava a dire. Ci sono voluti dei giorni prima che quella sorella si rimettesse in piedi.
Nonostante tutte le difficolt�, le sorelle sapevano creare una buona atmosfera. Raccontavano delle storia divertenti sulla propria vita, su cose che avevano visto o vissuto. Alcune avevano un talento naturale per la commedia. Quello che mi stupiva di pi� era il modo in cui raccontavano le storie pi� tristi di questo mondo facendoci, per�, ridere tutte quante.

[Nota 1]"Ragazze, quel negro gironzolava sempre intorno alla mia borsa e mi rubava i soldi. E tutto quello che sapeva farsene era buttarlo alle corse: a volte mi faceva desiderare d'essere un cavallo. Un giorno per� gli ho sistemato il culo. Mi ero rotta di tutto quel casino. Scommetti che non frugher� per un po' di tempo nella borsa di qualcuno. Gli ho infilato una trappola per topi al ruffiano. Ragazze, avreste dovuto sentire come urlava quel negro."

"Mio marito ed io litigavamo sempre come cane e gatto. E lui era geloso da morire. Una sera siamo andati in un bar e lui s'� sbronzato e s'� messo in testa che me la stessi facendo con un tipo del bar. Non appena usciti mi � saltato addosso come un gorilla su una banana. Mi ha picchiata cos� forte da farmi cadere di bocca alcuni denti. "Dai, aspetta un attimo!", ho detto a quel pazzo "Non litighiamo adesso, che non ce li ho i quattrocento dollari da spendere per i denti finti". Caspita, se eravamo sbronzi: come delle spugne, in ginocchio per terra quasi un'ora a cercare quei denti. E quando il pazzo li ha trovati ha detto che i denti avevano fatto un salto e avevano cercato di morderlo. Caspita, Dio, se era pazzo!"

Potevo ascoltare queste storie solo quando la porta era aperta. Durante il giorno c'era un'agente femminile dell'ufficio dello sceriffo, piazzata davanti alla mia cella. Quando c'era lei di solito la mia porta restava aperta.
Per tutto il tempo che sono rimasta in quel carcere ho visto pochissime donne bianche. Le poche che venivano messe dentro, ci restavano solo poche ore o giorni e poi venivano rilasciate. Venne una donna bianca che era stata beccata sull'autostrada con ventidue chili di marijuana. Eravamo tutte curiose di sapere a quanto l'avrebbero condannata. Poi abbiamo scoperto che era stata rilasciata sulla parola (cio�, senza neppure la cauzione). Una delle condizioni per essere rilasciati sulla parola nel New Jersey era la residenza nello Stato. La donna viveva nel Vermont. Ma nessuno se ne stup� veramente. Era una donna bianca.
Stavo impazzendo in quella piccola cella. Gli unici momenti in cui mi facevano uscire era per le visite e per vedere il cosiddetto dottore. Sono sempre stata attiva e irrequieta, ed essere rinchiusa tutto il giorno in quella gabbia mi mandava in bestia. Avevo bisogno di sgranchirmi le gambe. Incominciai a correre in tondo per la cella. Correvo fino a quando ero esausta. Dopo due o tre giorni che avevo cominciato a farlo, venne la guardia, la signora Puttana, accompagnata da alcuni agenti.
"Abbiamo saputo che corri nella tua cella", disse. "Devi smettere subito questa attivit�".
"Cosa? Perch�?"
"Perch� disturbi la gente al piano di sotto".
"Che gente?"
"C'� un ufficio qui sotto, e tu disturbi la gente che lavora".
"Siete pazzi? Non li disturbo di certo. Non corro cos� a lungo. Se mi fate uscire in cortile a fare gli esercizi con le altre donne, allora smetter� di correre in cella".
"Ti ordino di smettere di correre in cella".
"Non mi ricordo di essermi mai arruolata nel tuo esercito", dissi. "Quando mi arruoler� allora potrai darmi degli ordini".
Se ne and� su tutte le furie ed io continuai a correre. E cos� fin� questa storia. Comunque devo ringraziarla. Se non fosse venuta ad importunarmi, forse avrei smesso nel giro di un paio di giorni di correre in tondo in quel piccolo spazio.
Il cibo del carcere era terribile. Anzi, era disgustoso. Era il peggior cibo di qualsiasi altro istituto penitenziario in cui sono stata dopo di allora - il che � quanto dire. Stavo seduta, aspettando il pranzo o la cena, con una fame infernale, e loro mi portavano dei pezzetti di roba marrone-verdastra iridescente che fluttuava in un liquido acquoso (stufato di fegato, lo chiamavano), oppure del grasso di agnello che galleggiava in una specie di acqua che avrebbe dovuto essere stufato di agnello. E quella robaccia sgradevole a vedersi e dall'odore nauseabondo, aveva un sapore ancora peggiore del suo aspetto. Il posto era infestato da mosche, e anche il cibo. La sola cosa che si potevano mangiare erano le uova, quando c'erano, e le patate schiacciate. Vivevo delle noci e dei dolci che compravo allo spaccio e della frutta che mi portava la mia famiglia durante le visite.
Una settimana ci portarono ogni giorno una cosa puzzolente che spacciavano per ravioli. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Decidemmo di scioperare. Scrissi una petizione che firmarono tutte e che mandammo alla caporeparto. Costei accett� di discutere la situazione del cibo, ma si rifiut� di parlare con me.
Disse che il fatto che io avessi parlato del cibo come "brodaglia" dimostrava che ero irragionevole. Il cibo miglior� per un paio di giorni e poi si ritorn� alla solita schifezza brodosa.
La guardia che mi controllava doveva essere la pi� vecchia "bionda scema" al mondo. Recitava questo ruolo alla perfezione. Era curiosa ed era anche una gran pettegola. Ogni volta che mi vedeva, sorrideva e faceva finta di essere ipergentile. Un giorno, c'erano degli operai che stavano facendo un enorme buco nella parete per istallare dei nuovi circuiti elettrici. Appena arrivata, quella cominci� ovviamente a farmi delle domande.
"Cosa stanno costruendo?".
Risposi: "Non l'hai saputo? Ebbene, hanno approvato una legge speciale e ci sar� la mia esecuzione. Stanno costruendo una camera a gas".
"Come!", esclam� indignata, "come! E nessuno me lo ha detto". E scapp� via di corsa per informarsi del perch� nessuno l'avesse avvisata.
Le luci venivano spente ogni sera alle dieci. Io ero fortunata perch� c'era un interruttore che potevo usare nel bagno vicino alla mia cella. Spostavo la brandina, cos� ricevevo pi� luce e leggevo tutta la notte. Quando ero stanca di leggere, spegnevo la luce e guardavo fuori dalla finestra. All'esterno, la polizia pattugliava la zona. Spesso c'erano due poliziotti a piedi che giravano per il parcheggio. Avevano fucili e pistole. Una sera, annoiata come al solito, stavo guardando fuori dalla finestra e avevo voglia di fare dei dispetti, gridai come un uccello con una voce acuta: "iiiiink, iiiiiink, iiiiiiiiiiiink". Gli sbirri iniziarono a guardarsi intorno come dei pazzi. Giravano in tondo come se credessero che ci fosse qualcuno dietro di loro. Gridai di nuovo: "iiiiiiiink, iiiiiiiiink, iiiiiiiiua, iiiiiiiiiiiua". Questa volta sobbalzarono pi� forte. Potevi pensare d'essere durante la Seconda guerra mondiale, con i Giapponesi a due passi di distanza. Aspettai per un po'. Quando si furono calmati, con una voce pi� acuta di prima, gridai: "naaaaaaaaiiiiiiii, naaaaaaaaiiiiiiii, naaaaaaaaiiiiii". Puntarono i loro fucili e camminarono a ritroso, preparandosi a sparare contro qualsiasi cosa si muovesse. Poi, per caso, la mia tazza di ferro cadde sul pavimento. Bene, in neanche un secondo erano a terra, strisciando e tenendo i loro fucili. Quando vidi quei pazzi strisciare nel cortile in quel modo non riuscii pi� a trattenermi. Risi fino a star male. La grande, la forte, la cattiva polizia che strisciava per terra, spaventata dalla propria ombra. Ogni tanto lo rifacevo con poliziotti diversi e di solito i risultati erano simili, ma non fu mai pi� cos� divertente come quella prima sera.
Siccome avevo una clavicola rotta, dovevo portare un busto ortopedico intorno alle spalle. Era fatto di plastica e cotone con un minuscolo fermaglio di metallo, di meno di un paio di centimetri, sulla schiena. Una mattina, mentre stavo mangiando, una guardia entr� nella cella e lo port� via.
"Non lo puoi tenere".
"Perch�?"
"Perch� contiene del metallo", rispose. "Non puoi tenere niente di metallo". Stavo seduta su una brandina di metallo, bevendo da una tazza di metallo, mangiando in un piatto di metallo, e ora questa poliziotta mi diceva in faccia che non potevo tenere il busto ortopedico per quel minuscolo fermaglio di metallo. Feci un putiferio, ma mi resi conto che stavano effettivamente - come dicevano loro - "obbedendo agli ordini".
"Se il medico dice che ne hai bisogno, puoi riaverlo indietro".
Non appena il dottor Miller venne al carcere, chiesi di vederlo. Senza il busto, la spalla era debole e fragile. Facevo fatica a stare dritta in piedi.
"Non si preoccupi di quel vecchio busto", mi disse Herr Doktor, "non ne ha bisogno".
Mi trattenni a stento dal dargli un calcio nei testicoli. Per fortuna quella stessa settimana mi venne a visitare un medico esterno, specialista in ortopedia. Era un dottore molto bravo e gentile. Disse alla guardia in termini decisi che avevo bisogno del busto e che senza avrei potuto rimanere storpia. Mi fece coraggio per quanto riguardava la mia mano, dicendo che avrei potuto riconquistarne l'uso completo. E alla fine mi restituirono il busto.
� circa in quel periodo che cominciarono i miracoli. Adesso ero sicura che la mia mano stesse riprendendo vita. Incominciavo ad essere in grado di dirle di fare qualcosa ed essa rispondeva agli stimoli. Ogni pi� piccolo progresso era un miracolo. Essere capace di toccare il mignolo con il pollice, raccogliere una tazza, tenere in mano un pennello, pizzicarmi, erano prodezze che richiedevano giorni di pratica finch� riuscivo a farle. E poi arriv� il giorno in cui seppi che ce l'avrei fatta. Dopo un mese di tentativi, riuscii finalmente a schioccare le dita. Ogni volta che qualcuno veniva a farmi visita, gli mostravo le mie prodezze. Mi sentivo come un bambino che dice: "Guarda mamma, guarda quello che so fare". Finalmente si riusc� ad organizzare un incontro tra Sundiata e me, con la presenza di Evelyn. Ebbe luogo in carcere. Sundiata lo fecero venire al carcere di New Brunswick. Non sono mai stata pi� felice di vedere qualcuno nella mia vita. Era difficile parlare perch� la guardie erano praticamente appiccicate alle nostre labbra. Non sono capace di sussurrare e Evelyn mi diceva continuamente di abbassare la voce. Parlammo del processo e concordammo che era politicamente corretto essere giudicati insieme. La sola vista di Sundiata mi riscaldava il cuore. Mi sentivo male e mi rendevo conto del mio aspetto. Mi era venuta una bruttissima eruzione cutanea a causa del sapone del carcere e sembravo uno spaventapasseri sbilenco con la gobba. Ma c'� qualcosa in Sundiata che trasmette calma. Da ogni parte del suo essere si avverte la presenza dello spirito e del fervore rivoluzionario. E il suo amore per il popolo Nero � cos� intenso che lo si pu� quasi toccare e tenere in mano. Non c'� niente di cui lo si possa rimproverare. � una persona veramente cordiale. Ogni volta che lo vedo lo immagino su una veranda da qualche parte gi� al Sud, che respira aria estiva e culla dei bambini sulle sue ginocchia. La verit� � che Sundiata viene dalla campagna. Lo negherebbe fino alla morte, ma � dalla testa ai piedi uno di campagna. E quando rideva in quel suo modo particolare, era come fare un viaggio nel selvaggio Texas.
Quando il colloquio fin�, ero una persona diversa. Mi sentivo molto pi� forte e non pi� sola.
Non so da quando, ma da tempo avevo iniziato a raccogliere le tazze metalliche che ci davano per bere. Penso che fosse solo per il mio modo lento di bere che le tazze si erano accumulate. Non ero affatto popolare tra le guardie, specialmente tra gli uomini. Molti non mi avevano mai neppure rivolto la parola e lo stesso valeva per me, ma odiavano il mio coraggio. Per loro io ero un'assassina di sbirri, e loro erano sbirri. Qualcosa mi diceva di stare molto attenta. Mi avevano dato un piccolo tavolo su cui mangiare e scrivere, e di notte, prima di andare a dormire, spingevo il tavolo vicino alle sbarre e facevo una pila instabile con le tazze. Le sbarre si aprivano all'interno della mia cella, e il pi� piccolo movimento avrebbe fatto cadere la pila di tazze a terra con grande fragore. Accostavo anche la panca di legno dietro al tavolo. In questo modo chiunque avesse tentato di entrare avrebbe dovuto farlo con la forza. Usavo queste precauzioni tutte le sere, sentendomi un po' stupida, ma dovevo farlo.
Una sera, nel mezzo della notte, le tazze caddero con gran rumore per terra. Mi svegliai immediatamente e trovai quattro o cinque guardie all'entrata della mia cella.
Gridai con tutta la forza, in modo che qualcuno potesse sentirmi. "Cosa volete? Cosa ci fate nella mia cella?". Le guardie stavano all'ingresso della cella come se non sapessero pi� che cosa fare. Alla fine uno chiuse la porta e disse: "Abbiamo sentito un rumore e siamo venuti a vedere. Stavamo solo controllando". Non avrebbero dovuto trovarsi nemmeno nella sezione femminile. La guardiana di turno quella sera, la pi� viscida di tutte, era scomparsa. Da allora, non importa in quale prigione mi sono trovata, ho escogitato sempre qualche modo per barricarmi in cella. In carcere non � affatto raro trovare un prigioniero impiccato o morto bruciato nella propria cella. Non importa quanto possano essere sospette le circostanze, queste morti vengono sempre archiviate come "suicidi". Di solito sono prigionieri Neri, considerati una minaccia alla "regolare gestione del carcere" e per lo pi� sono detenuti con maggior coscienza politica e sociale.
Quando nel carcere arriv� Eva, fu una specie di evento. Di solito occupava la cella dove mi trovavo io (il resto delle donne erano alloggiate in due dormitori unici). Le guardiane non sapevano che fare. Era gi� stata altre volte in quel carcere ed era nota come una rompiscatole. Tutti dicevano che era pazza.
Il mio primo incontro con Eva fu quando si avvicin� alle sbarre, si sedette fuori dalla mia cella e mi disse che poteva viaggiare nel cosmo. La chiamava qualcosa come proiezione astrospaziale.
"Possono andare dove voglio, ogni volta che voglio", mi disse. "Ritorno adesso da Giove".
"Com'� stato?", le chiesi.
"Oh, bello. C'era quella piccola gente carina. Sono color porpora, con la pelle di coccodrillo e i capelli blu. Puoi andare ovunque vuoi", mi disse. "Non devo far altro che proiettarti".
"Puoi insegnarmi a proiettarmi fuori da questo inferno?".
"Oh, � facile", disse, "io lo faccio sempre. Infatti adesso non sono qui".
"No", dissi, "questo non va bene. Io voglio proiettare la mia mente e il mio corpo fuori di qui".
"Saresti in carcere ovunque tu andassi", rispose Eva.
"Hai ragione", le dissi, "ma preferirei essere in un carcere di minima sicurezza o per strada piuttosto che qui, nel carcere di massima sicurezza. L'unica differenza tra qui e la strada � che una � la massima sicurezza e l'altra la minima sicurezza. La polizia pattuglia le nostre comunit� proprio come le guardie fanno qui. Non ho la minima idea di come ci si senta ad essere liberi".
Eva disse di capire come mi sentissi. Doveva saperlo. Ogni persona Nera in amerika, se � onesta con se stessa, arriva alla conclusione che non sa come ci si senta ad essere liberi. Non siamo liberi politicamente, economicamente o socialmente. Abbiamo cos� poco controllo su quello che succede delle nostre vite. Infatti una persona Nera in amerika non � neppure libera di camminare per strada. Prova a camminare nella strada sbagliata, di notte, nel quartiere sbagliato, e vedi cosa ti accade. Eva e io ci intendevamo a meraviglia. Spesso non capivo di che cosa diavolo stesse parlando. Ma delle volte aveva cos� ragione che mi chiedevo se fosse veramente pazza. Mi insegn� un sacco di cose sul carcere, e raccontava continuamente delle storie divertenti sulla propria vita. So, these girls and couples got paid to have sex on Webcams and it was recorded and now you can see what happens in the private rooms, in these free Webcam Porn Movies.No Registration Required - 100% Free free xxx cams models streaming direct to you from their homes and studios around the world. Sexy webcam online strip shows, sex shows. The girls broadcasting their webcams can make money by relying on free tips sent to them by members.
Eva era una sorella enorme; pesava circa 135 chili. Aveva la pelle molto scura e i capelli tagliati cortissimi. La gente che ha interiorizzato gli standard bianchi di bellezza europei non la trovava attraente. Ma per me c'era qualcosa di meraviglioso in lei, mi piaceva guardarla. � stata una delle poche persone che ho incontrato nella mia vita, con il coraggio d'essere quasi completamente onesta.
Facendo il calcolo, Eva aveva trascorso circa dieci anni della propria vita nell'istituto di correzione di Clinton nel New Jersey. Era stata l� anche in passato, quando le donne lavoravano nella fattoria. Mi raccontava di come le donne venivano trattate, del fatto che l'esercito veniva chiamato per ogni minima cosa. Era stata a Clinton durante una rivolta e aveva visto i soldati picchiare senza piet� le donne; una volta avevano picchiato cos� duramente una donna incinta, che quella aveva perso il bambino.
In questo periodo incominciai a fare delle piccole passeggiate. Stare rinchiusa tutto il giorno in quella gabbia mi faceva impazzire. Cos� quando le guardie mi portavano il cibo passavo loro davanti e andavo in quella che veniva chiamata la stanza per il giorno, dove le donne mangiavano e guardavano la televisione. Andavo prima in una camerata, poi nell'altra e alla fine rientravo nella mia cella. Non c'era nessun posto in cui potessi scappare, visto che c'erano due o tre porte chiuse tra me e l'esterno. Le guardiane mi tormentavano dicendomi di tornare in cella e dopo un po' lo facevo. Ma nessuna se ne preoccupava pi� di tanto, finch� un giorno una guardiana url�: "Torna qui! Mi senti? Torna indietro!".
Se c'� una cosa che non sopporto � sentire qualcuno che mi d� degli ordini, se c'� un'altra cosa che mi fa impazzire � sentire una persona bianca che mi parla con quel tono di voce. "Costringimi a venirci", le dissi. "Cos� grande e cattiva, voglio proprio vedere come fai a farmi tornare indietro". Fece un movimento come se volesse afferrarmi. "Mettimi le mani addosso e poi ce la vediamo tra noi due. Toccami con una mano e far� schizzare il tuo cervello su questo muro".
Per fortuna non ci prov�, perch� pesava almeno venticinque chili pi� di me ed io ero pur sempre nella parte del bandito con un braccio solo. Le avrei dato, comunque, del filo da torcere. Ero furiosa e frustrata, e avevo gi� immagazzinato due o tre mesi di rabbia. Alla fine, comunque, rientrai nella mia cella, ma solo dopo averlo deciso io. Il suo comportamento mi spingeva ad assumere atteggiamenti di sfida. Ogni volta che per qualsiasi motivo apriva la mia porta, la spingevo da parte e passeggiavo per qualche minuto. Si fermava sull'uscio, come qualcosa che io avrei potuto colpire e sbattere fuori. Era grande come una casa, ma non aveva alcuna forza. Alla fine chiam� i guardiani.
Ero in uno dei dormitori a parlare con le altre donne, chiedendomi perch� non venisse a tormentarmi, quando dieci guardie entrarono nella stanza.
"Chi � JoAnne Chesimard?", chiese il capo delle guardie. Nessuno rispose: "Chi di voi � JoAnne Chesimard?". Sembrava come se stessero per saltare addosso a qualcuno. Nuovamente nessuno rispose. "Va bene, ve lo chiedo di nuovo, chi di voi � JoAnne Chesimard?".
"Sono io JoAnne Chesimard", disse Eva. Quando le guardie guardarono Eva e videro quanto era grande, il loro tono cambi� immediatamente.
"Signorina Chesimard, vuole per favore tornare nella sua cella?".
Una delle guardie che stava dietro si avvicin� al brigadiere e gli batt� sulla spalla.
"Io quella la conosco", disse "non � Chesimard".
"Sono io quella che cercate", dissi. Non volevo che Eva venisse coinvolta nelle mie pazzie. "Ci vediamo pi� tardi sorelle. Ne ho avuto abbastanza per il momento". Passai davanti alle guardie, entrai nella mia cella e aprii un libro.
Il giorno dopo la solita guardiana mi mand� nuovamente in bestia.
"Non voglio pi� problemi con te", disse. "Non voglio essere costretta a chiamare di nuovo gli uomini".
"Puoi chiamare la guardia nazionale, l'esercito, il Fbi e chi altro ti pare. Puoi chiamare anche tua madre se vuoi", le dissi. Non appena apr� la porta per portarmi il pranzo la spinsi da parte ed uscii. Presi il mio vassoio, mi sedetti con le altre donne ed incominciai a mangiare. Non sapevo cosa sarebbe accaduto, ma volevo vedere cosa avrebbe fatto. Mi era rimasta ancora qualche cucchiaiata di cibo, quando arriv� la squadra dei gorilla.
"Okay, adesso alzati e rientra nella tua cella".
"Non appena avr� finito quello che ho da mangiare".
"Ora!", ordinarono.
"Mi mancano solo due cucchiai".
"Ora!", ordinarono alla guardiana. "Porta la prigioniera nella sua cella". La donna mi si avvicin� con le mani tese.
"Non mi toccare", le dissi. "Rientro da sola".
"Porta la prigioniera in cella", ordinarono. Fece per afferrarmi il braccio e improvvisamente tutta la stanza fu in movimento. Sedie, tavoli, tazze, vassoi volarono in aria. Ognuna stava scappando via o combattendo. La guardiana correva come una pazza verso la porta. I guardiani invece mi saltarono addosso. Io colpivo, devo pugni, graffiavo, mordevo e non so che altro. Alla fine riuscirono a riportarmi in cella e a chiudere le altre nei loro dormitori. Nessuna delle donne era ferita gravemente. Io avevo un paio di lividi e graffi, ma per il resto stavo bene. E mi sentivo bene. Avevo scaricato un po' della rabbia accumulata dentro di me. Uno dei guardiani era stato ferito. Non si sa come, ma aveva un taglio in faccia. Era lo stesso omiciattolo che, seduto di fronte a me in ospedale, mi puntava addosso la pistola e togliendo e rimettendo la sicura mi raccontava di quanto gli piacesse uccidere gli animali. Nessuno seppe come si fosse ferito o chi l'avesse ferito. Ma tutti sapevano che il cacciatore era stato cacciato.
Pi� tardi, quello stesso giorno, portarono un fotografo per fotografare le prove. Il giornale locale parl� di una "rivolta" nel carcere. Dei poliziotti e lo sceriffo vennero ad ispezionare i locali. Dissero che si stava cercando l'arma che aveva ferito la guardia. Non trovarono nulla. Vennero di notte e portarono via Eva. La trasferirono al Vroom Building, l' "ospedale" del New Jersey per i pazzi criminali. La notte che se and� mi sentii triste e colpevole. L'avevo coinvolta nella mia pazzia. Me ne rimasi l�, a pensare a lei. Mi sedetti a un certo punto e scrissi questa poesia:

Rhinocerour woman
who nobody wants
and everybody used.
They say you're crazy
cause you not crazy enough
to kneel when told to kneel.

Hey, big woman -
with scars on the head
and scars on the heart
that never seen to heal -
I saw your light
and it was shining.

You gave them love.
They gave you shit.
You gave them you.
they gave you hollywood.
They purr at you
cause you know how to roar
and back it up with realness.

Rhinocerous woman,
big momma in a little world.
You closed your eyes
and neon spun inside your head
cause it was dark outside.

You read your bible
but god never came.
Your daddy woulda loved you
but what would the neighbors say.

They hate you momma
cause you expose their madness.
And their cruelty.
[Nota 2]

They can see in your eyes
a thousand nightmares
that they have made come true.

Black woman. Baad woman.
Wear your bigness on your chest like a badge
cause you done earned it.

Strong woman. Amazon.
Wear your scars like jewelry
cause they were bought with blood.

They call you mad.
And almost had you
believing that shit.

They called you ugly.
And you hid yourself
behind yourself
and wallowed in their shame.

Rhinocerour woman -
this word is blind
and slight of mind
and cannot see
how beautiful you are.

I saw your light.
And it was shining
[Nota 3]

La maggior parte delle donne trasse dei benefici dalla "rivolta". Nelle settimane seguenti quasi tutte le donne furono lasciate libere o mandate a seguire qualche programma. Il carcere era praticamente vuoto. � strano come vadano le cose. Quando corrisponde agli interessi del governo, mettono la gente in prigione per rissa. E quando corrisponde ai loro interessi, fanno uscire di prigione la gente per lo stesso motivo. Da allora la porta esterna della mia cella rimase chiusa. Non era una cosa grave, perch� anche prima era stata comunque quasi sempre chiusa.
Un giorno mi portarono un secchio di fagiolini (coltivano la maggior parte di cibo del carcere. Gli uomini lavorano nei campi).
"Ecco, pulisci questi fagiolini".
"Quanto mi pagate?", chiesi.
"Non paghiamo mai i detenuti, ma se pulisci i fagiolini, lasceremo la porta aperta mentre lo fai".
"Non lavoro per niente. Non sono la schiava di nessuno. Non sapete che la schiavit� � illegale?".
"No", disse la guardia, "ti sbagli. La schiavit� � stata dichiarata illegale, eccetto che in carcere. La schiavit� � legale nelle prigioni".
Controllai e vidi che aveva proprio ragione. Il tredicesimo emendamento della Costituzione dichiara:
"Non devono esistere negli Stati Uniti, n� in nessun altro luogo soggetto alla loro giurisdizione, n� la schiavit� n� la servit� involontaria, tranne che come punizione di un crimine, per il quale il colpevole sia stato sottoposto a regolare processo".
Questo spiegava molte cose. Spiegava perch� le prigioni e le carceri di Stato fossero piene fino all'orlo di gente Nera e del Terzo mondo, perch� cos� tanti Neri non riescano a trovare un lavoro e siano costretti a sopravvivere come possono. Quando sei in carcere ci sono moltissimi lavori e, se non vuoi lavorare, ti picchiano e ti rinchiudono in un buco. Se ogni Stato dovesse pagare dei lavoratori per fare i lavori che i prigionieri sono costretti a svolgere, i salari ammonterebbero a miliardi. Le targhe di immatricolazione da sole costerebbero milioni. Quando Jimmy Carter era governatore della Georgia si faceva mandare una donna Nera dal carcere per le pulizie e per fare da baby-sitter ad Amy. Le prigioni sono un buon affare. Sono un metodo per perpetuare legalmente la schiavit�. In ogni Stato se ne costruiscono sempre di pi� e ancora di pi� sono in fase di progettazione. Per chi sono? Certamente non pensano di riempirle di bianchi. Le prigioni fanno parte di questa guerra di annientamento del governo contro la gente Nera e del Terzo mondo.
Il 19 luglio 1973 mi portarono a New York per essere processata dal tribunale federale di Brooklyn per una rapina in banca avvenuta a Queens. Il viaggio fu come un cartone animato surrealistico. Ci saranno state almeno dodici automobili nel corteo e ad ogni uscita dell'autostrada era piazzato un blindato dell'esercito. Tutte le auto avevano acceso le luci e le sirene. Un elicottero ci faceva strada. E gli sbirri che erano nella mia auto erano comici. Ogni tanto dicevano frasi di questo genere: "Almeno siamo arrivati sull'autostrada", "Almeno siamo arrivati a New York", "Almeno siamo arrivati in tribunale".
Ogni volta che incrociavano un'auto della polizia facevano un cenno e qualche volta alzavano il pugno. Quando i poliziotti del New Jersey furono sostituiti da quelli di New York, al ponte di Staten Island, si strinsero le mani e si passarono le consegne. Si chiamavano l'un l'altro "fratello"; "Questo � il mio fratello agente, tal dei tali". Si comportavano come se stessero compiendo una pericolosa missione in Russia. Erano veramente spaventati. La paura dei bianchi nei confronti dei Neri armati non cesser� mai di stupirmi. Probabilmente perch� pensano che cosa farebbero se fossero al nostro posto. Specialmente quelli della polizia, che hanno fatto tante canagliate ai Neri, hanno la coscienza sporca che dice loro di aver paura dei Neri. Quando noi Neri ci organizzeremo seriamente e prenderemo le armi per combattere per la nostra liberazione ci saranno molti bianchi che cadranno morti di paura per le proprie colpe.
A settembre fui trasferita e sepolta nell'interrato del carcere della contea di Middlesex, probabilmente perch� era vicino al tribunale dove il processo del New Jersey sarebbe dovuto incominciare il primo ottobre. Fui la prima, e anche l'ultima, donna imprigionata in quel luogo. Era stato da sempre un carcere maschile.
Quando arrivai mi fu data una coperta sporca e ruvida e un lenzuolo. Pensando che si fossero sbagliati, chiesi un altro lenzuolo. "� tutto ci� che ti spetta", dissero.
"Non posso dormire con questa cosa sporca addosso. Ho bisogno di un altro lenzuolo".
"Ci dispiace".
"Perch� non posso avere un altro lenzuolo?"
"� quello che diamo agli uomini. Ne diamo solo uno, perch� altrimenti ci si potrebbero impiccare".
"Possono impiccarsi anche con un solo lenzuolo", ribattei.
"Ci dispiace".
Per me non se ne parlava nemmeno di dormire con quella roba sporca e con un solo lenzuolo. Mi agitai, urlai, chiesi di vedere il mio avvocato, dissi alla guardiana che la prima volta che fosse entrata nella mia cella l'avrei strozzata con il lenzuolo. Alla fine me ne diede un altro.
Se scrivessi un centinaio di pagine per descrivere l'interrato del carcere di Middlesex, sarebbe ugualmente impossibile visualizzarlo.
Era una cella grande di color grigio, verde-vomito. Il soffitto era coperto di ogni tipo di tubi, alcuni grandi, altri piccoli, alcuni asciutti altri che perdevano acqua. Non c'era luce naturale, e i carcerieri rifiutavano di aprire le finestrelle vicino al soffitto. La temperatura media era sui 35 gradi. Era infestato da formiche e millepiedi. Non avevo mai visto prima un millepiedi e mi spaventava a morte. Erano enormi mostri che strisciavano sul mio corpo. [Nota 4]
Delle guardiane stazionavano fuori dalla mia porta, ventiquattro ore al giorno. Il loro compito era di stare sedute e di guardarmi. Potevano vedere ogni mio movimento. Il primo giorno spostai il letto verso la parete, fuori dalla visuale della sorvegliante cos� potevo avere un po' di intimit� mentre dormivo. Le guardiane mi ordinarono di spostare il letto al centro della stanza. Rifiutai.
Il giorno dopo un operaio inchiod� il letto al centro della stanza. Sbirciavano persino dalla finestra del bagno quando ero sul water o facevo una doccia. Quando coprivo lo spioncino con un asciugamano o un'uniforme, mi ordinavano di toglierla e mi minacciavano di portar via tutti gli asciugamani e tutte le uniformi se continuavo a coprire la finestra. Io non rifiutavo, semplicemente le ignoravo.
Dopo un po' si arresero. Un mese dopo, un brigadiere mi disse che potevo coprire la finestra quando usavo il bagno, ma solo per tre minuti.
C'erano dodici tubi al neon accecanti nella mia cella. La prima sera, al momento di andare a dormire, chiesi alla guardiana di spegnere la luce. Rifiut�: "Non posso vederti se la luce non � accesa".
"Come diavolo puoi perdermi? Puoi vedere ogni cosa in questa cella".
"Mi dispiace".
Mi tennero sotto quelle luci accecanti per vari giorni. Credevo di diventare ceca. Vedevo tutto doppio o triplo. Quando finalmente riuscii a vedere Evelyn, il mio avvocato, mi lamentai.
Evelyn li accus� di tortura e loro spensero la luce alle undici di sera. Ma ogni dieci o quindici minuti illuminavano al cella con una torcia.
Poi cominci� il processo. Per prima cosa si discusse delle istanze. In pratica furono respinte tutte le nostre istanze, mentre tutte quelle dell'accusa furono accolte. Poi cominci� la selezione della giuria davanti al giudice John E. Bachman. Quando fecero entrare il primo gruppo di giurati, pensai che mi sarebbe venuto un infarto. C'erano solo un paio di Neri, sparsi qua e l�, e la giuria sembrava pi� una plebaglia pronta al linciaggio che gente chiamata a giudicare. Molti dei giurati ci fissavano apertamente come se volessero ucciderci, se lo avessero potuto.
La met� di loro disse che pensava che noi fossimo colpevoli. L'altra met�, anche se non lo diceva apertamente, rispondeva alle domande come se credesse che, pi� o meno, noi fossimo probabilmente colpevoli. Sono convinta che alcuni di loro abbiano mentito deliberatamente per entrare a far parte della giuria e condannarci. I pochi Neri presenti si fecero esonerare per difficolt� economiche. Avevano bambini, famiglia e lavoro, non potevano permettersi di partecipare ad un lungo processo. Se c'era mai stata un'occasione per farsi prendere dallo scoramento, quella era la mia.
"Fate qualcosa", continuavo a dire ai miei avvocati. "Fate qualche cosa!".
"Che cosa possiamo fare?", rispondevano gli avvocati. "Stiamo facendo del nostro meglio".
Era vero, ma non potevo accettarlo. Era della mia vita che stavano parlando. Devo aver seccato a morte i miei avvocati.
"Obbiettate questo, obbiettate quello", dicevo loro.
"La nostra obbiezione � gi� stata verbalizzata".
"Non importa, obbiettate di nuovo". Ero oltraggiata, intrappolata ed inerme. Ogni volta che un giurato diceva qualcosa che denotasse l'esistenza di un vero e proprio pregiudizio, il giudice tentava di salvare la situazione. Il povero Ray Brown, del collegio della difesa, faceva le spese della mia ira.
"Voglio che sollevi obiezione".
"Su quale base?", chiedeva.
"Ma non vedi? Il giudice fa domande allusive".
"Ma il giudice ha il diritto di fare domande allusive durante la scelta dei giurati".
"Va bene, ma obbietta lo stesso". Non ne sapevo niente di legge. Non avevo mai visto un processo. Non potevo proprio capire come il giudice potesse essere cos� sfacciatamente a favore dell'accusa e che non ci fosse nulla che noi potessimo fare.
"Perch� non potete essere tutti come Perry Mason?", chiedevo ironicamente ai miei avvocati.
"Hai mai visto Perry Mason difendere un imputato Nero?", mi rispose Ray Brown.
Sundiata era un'ancora di salvezza. Cercava di calmarmi e mi spiegava cosa potevamo aspettarci. A livello razionale capivo quello che diceva, ma ero comunque furiosa.
"Non possiamo permettere che ci mandino dentro con le loro accuse false", dissi, facendomi venire un'idea pazzesca dopo l'altra. Sundiata mi spiegava pazientemente perch� nessuna delle mie idee fantastiche avrebbe funzionato. Dopo aver assistito per un po' al mio linciaggio legale, mi convinsi che Sundiata ed io avremmo dovuto licenziare i nostri avvocati e difenderci da soli. In questo modo non saremmo stati legati a quelle stupide regole e avremmo potuto dire tutto quello che volevamo.
"Non � vero", mi spieg� Sundiata, "anche se ti difendi da sola, sei comunque legata alle loro regole".
"Come possono pretendere che io conosca le loro regole? Io non sono un avvocato. Ed ho sempre il diritto costituzionale di difendermi."
"Vero, ma devi comunque sempre comportarti secondo le loro regole, altrimenti possono legarti e imbavagliarti. Guarda quello che hanno fatto a Bobby Seale".
Ogni volta che guardavo i giurati, riprendevo le mie obbiezioni. Ma sapevo anche di ignorare tutto della legge e mi riusciva difficile immaginarmi a difendermi veramente da sola. Evelyn continuava a ripetere il vecchio motto, che una persona che difende se stessa, ha un pazzo per avvocato.
Quanto pi� ci avvicinavamo al completamento della scelta della giuria, tanto pi� io ero disperata. Ma un giorno esaminarono come potenziale giurato un ragazzino che non poteva avere pi� di vent'anni. Vuot� il sacco. Il giudice gli chiese se avesse un'opinione del processo e lui rispose: "Dicono che � colpevole". Il giudice gli fece altre domande e lui spiffer� tutto. I possibili giurati nell'aula della giuria avevano parlato del processo, anche se gli era stato imposto di non farlo. Il giudice gli chiese di che cosa avevano parlato.
"Dicono che � colpevole".
"Solo la signorina Chesimard?", gli chiese il giudice.
"Dicono che sono Neri, e che sono colpevoli".
In un istante gli avvocati scattarono tutti in piedi, sparando migliaia di parole al minuto. Chiesero un'inchiesta completa di quello che stava accadendo nell'aula dei giurati. Volevano che si facessero altre domande ai giurati. Volevano che si interrogassero i giurati di cui lui aveva parlato.
Il giudice cap� immediatamente che il ragazzo aveva combinato proprio un bel pasticcio. Fece di tutto per evitare che la situazione peggiorasse, ma gli era sfuggita di mano. Alla fine acconsent� ad aprire un'inchiesta imparziale. Questa volta, rivolgendo le domande ai giurati, fece molta attenzione a minimizzare la gravit� di quello che era accaduto nell'aula della giuria. Ma gli altri giurati confermarono quello che aveva detto il ragazzo. I nostri avvocati scrissero una mozione chiedendo che la giuria fosse selezionata da un'altra contea, perch� non avremmo mai avuto un processo imparziale nel Middlesex. Il nuovo giudice, non il giudice Bachman, doveva decidere sull'istanza. Nel frattempo il processo venne sospeso.
Evelyn mi comunic� la decisione. Il giudice aveva riconosciuto che in effetti era vero che nella contea del Middlesex non avrei avuto un processo equo. La giuria sarebbe stata scelta dalla contea di Morris.
"Dov'�?", chiesi ad Evelyn.
Disse che non ne aveva la minima idea. Poi arriv� Ray Brown.
"Dove diavolo si trova la contea di Morris?", gli chiesi.
"Ebbene", rispose, "te lo dir�". La contea di Morris era quasi completamente bianca con pochi Neri e ancor meno Ispanoamericani e Asiatici.
"Che cosa significa? C'� il dieci per cento di Neri? Il cinque per cento o cosa?".
"Molti di meno".
"Una giuria di tuoi pari", disse Evelyn amaramente.
"Che cosa possiamo fare?", chiesi.
"Dobbiamo solo aspettare, e vedere".
"Non possiamo far trasferire il processo in qualche altro posto, dove ci sono pi� Neri?".
"Possiamo tentare, ma non ci sperare troppo".
Stavo rimettendo i piedi a terra, e velocemente.
Il processo era stato rinviato di circa un mese, fino a gennaio, perch� dovevano installare misure di sicurezza nel carcere di Morristown, nella contea di Morris.
"Forse", pensai, "agli avvocati verr� qualcosa in mente per allora". Veramente non mi aspettavo grandi cose, ma mi sembrava un trucco talmente ovvio, un complotto cos� evidente, rivolto ad assicurare che non ricevessimo un processo equo da nostri pari, che pensavo forse si sarebbe potuto fare qualcosa. All'epoca ero ingenua. In teoria lo sapevo, ma non avevo ancora visto abbastanza per accettare il fatto che non c'era assolutamente giustizia per i Neri in amerika. Avevo ancora delle speranze. Ma avevano usato qualcosa che pensavano ci aiutasse, e che invece ci si era ritorto contro... Avevano usato la legge per insultare la legge.
"Ora tutto quello che dobbiamo fare", pensavo, "� fare emergere i fatti e provare che stanno tentando di negarci un processo equo". Quanto poco sapevo!

Note:

La numerazione delle note, nell'originale dalla numero 37 alla numero 40, � stata modifica per renderne pi� immediata la fruizione. [N.d.C.]

Nota 1. Brani riportati dall'Autrice, in gergo e ricchi di espressioni dialettali, che sarebbe impossibile rendere pienamente nella traduzione italiana [N.d.R.].
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Nota 2. Donna rinoceronte/ che nessuno vuole/ e tutti hanno usata./ Dicono che sei pazza/ perch� non sei abbastanza pazza/ per inchinarti quando te lo dicono.// Salve, grande donna -/ con cicatrici in testa/ e cicatrici nel cuore/ che sembrano non guarire mai -/ ho visto la tua luce/ e risplendeva.// Tu hai dato loro amore./ Loro ti hanno dato merda./ Hai dato loro te stessa. /Loro ti hanno dato hollywood./ Ti hanno fatto le fusa/ perch� tu sai come ruggire/ e sostenerlo in pratica.// Donna rinoceronte,/ grande mamma in un piccolo mondo./ Hai chiuso gli occhi/ e tubi di neon impazzano dentro la tua testa/ perch� fuori era buio.// Tu leggevi la tua bibbia,/ ma dio non � mai arrivato.// Il tuo pap� ti amerebbe/ ma cosa direbbero i vicini.// Ti odiano mammina/ perch� smascheri al loro pazzia./ E la loro crudelt�./
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Nota 3. Possono vedere nei tuoi occhi/ migliaia di incubi/ che loro hanno reso veri.// Donna Nera. Donna caaattiva./ Porta la tua grossezza in petto come un distintivo/ perch� te lo sei meritato.// Donna forte. Amazzone./ Adornati delle cicatrici come gioielli/ perch� furono comprate con il sangue.// Ti chiamano matta./ E quasi c'erano riusciti/ a farti credere queste stronzate.// Hanno detto che sei brutta./ E tu ti sei nascosta/ dietro te stessa/ e ti sei crogiolata nella loro vergogna.// Donna rinoceronte -/ questo mondo � cieco/ e fuori di testa/ e non pu� vedere quanto sei bella.// Ho visto la tua luce./ E risplendeva.
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Nota 4. L'undici dicembre 1978, per incarico della Conferenza degli Avvocati neri, l'Alleanza nazionale contro il razzismo e la Commissione per la giustizia razziale delle Chiese unite di Cristo, l'avvocato Lennox Hinds invi� una petizione alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, denunciando "numerosi esempi di gravi violazioni dei diritti umani e delle libert� fondamentali di certe classi di prigionieri politici negli Stati Uniti a causa della loro razza, delle loro condizioni economiche e delle loro idee politiche".
In seguito alla sua petizione sette giuristi internazionali visitarono numerosi prigionieri dal 3 al 20 agosto 1979 e resero note le loro conclusioni. Classificarono i prigionieri in quattro categorie. La prima comprendeva i prigionieri politici, definiti come "una categoria di vittime del comportamento indegno del Fbi attuato mediante la strategia Cointelpro e altre forme di comportamenti governativi illegali, per i quali i militanti politici erano diventati dei bersagli privilegiati per provocazioni, arresti illegittimi, montature, costruzione di prove. Tale categoria comprende quanto meno: i Dieci di Wilmington, i Tre di Charlotte, Assata Shakur, Sundiata Acoli, Imari Obadele e altri imputati membri della Repubblica della Nuova africa, David Rice, Ed Poindexter, Elmer "Geronimo" Pratt, Richard Marshall, Russel Means, Ted Means e altri imputati militanti dell'American Indian Movement".
Hanno preso in considerazione il mio caso nella sezione del loro rapporto che trattava della detenzione in isolamento: "Uno dei casi peggiori � quello di Assata Shakur, che ha passato pi� di venti mesi in isolamento in due diverse prigioni maschili, sottoposta a condizioni assolutamente inadatte a qualsiasi prigioniero. Altri mesi li ha trascorsi in isolamento in prigioni miste o femminili. Adesso, dopo una lunga vertenza, � detenuta nell'Istituto correzionale femminile di Clinton, in regime di massima sicurezza. Non � mai stata sottoposta a punizioni per aver infranto regole del carcere che potessero in qualche modo giustificare un trattamento cos� crudele e inusuale".
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