Un giovane aborigeno ammazzato, Thomas Hickey. La rivolta nel ghetto di Sidney e la paura delle persone perbene. Le menzogne, i silenzi dei media e il coraggio di un reporter, David Akinsanya. John Pilger a Sidney manifesta con gli aborigeni e testimonia le condizioni di quel che resta di un popolo a cui viene tolto tutto, la dignità e la vita. Meno del 3% della popolazione australiana, gli aborigeni rappresentano il 60% dei detenuti. Chi non è in galera vive in ghetti, cioè grandi carceri all'aperto.
La Bbc ha mandato in onda un bel documentario intitolato The Boy from the Block.
È sull'Australia e si apre con una veduta da cartolina di una spiaggia,
con i surfisti e i bikini, per passare poi a un'elegante galleria d'arte di
Sydney dove si stappano delle bottiglie. Qui c'è la borghesia australiana
nei momenti di maggiore relax, che beve del buon vino, partecipa alla vita culturale
e fa soldi. Viene chiesto a una giovane donna che cosa le piaccia di più
dell'arte aborigena, esposta nella galleria. «Oh, è un ottimo investimento»
dice. «Per me, è come un fondo pensionistico». La cinepresa
procede all'indietro per mostrare l'artista aborigena, l'ospite d'onore, circondata
da bianchi appassionati d'arte. Se sei aborigeno, e sei come l'artista, dice
una voce fuori campo, tutti vogliono essere tuoi amici. Se non sei come lei,
quasi nessuno vuole esserti amico. Il reporter è David Akinsanya. Ho
sentito parlare di lui mentre ero a Sydney, all'inizio di quest'anno. È
inglese, nero, e fa giornalismo senza i cliché della televisione, senza
certa velata insincerità. Nel suo film, è riuscito a fare ciò
che ai suoi colleghi australiani riesce raramente - ossia, ai pochi che ci provano.
Akinsanya dice la verità sul trattamento straziante e vergognoso riservato
all'Australia aborigena, e sull'abbandono in cui essa versa.
In una mattina calda e umida dello scorso febbraio, a sole poche miglia dall'Harbour
Bridge e dall'Opera House, Thomas Hickey è morto. A diciassette anni,
Thomas, o «TJ» come era conosciuto nella comunità aborigena
di Redfern, è stato inseguito dalla polizia, ha perso il controllo della
sua bicicletta ed è rimasto infilzato in una cancellata di ferro. I poliziotti
negano questa versione, ma non gli crede nemmeno un aborigeno.
Il Block è un ghetto aborigeno tenuto sotto assedio dalla polizia. Raramente
i giovani aborigeni camminano per la strada senza essere fermati; quasi tutti
sono stati arrestati. Gli aborigeni costituiscono meno del 3% della popolazione
australiana e il 60% dei detenuti nelle carceri del paese. Una volta dentro,
molti muoiono per loro stessa mano, alcuni vengono picchiati a morte. Gli aborigeni
in media vivono oltre vent'anni di meno della media degli australiani bianchi.
Come osserva David Akinsanya, i bambini aborigeni - come le sorelline di TJ
- hanno la stessa aspettativa di vita che avevano i bambini bianchi nel 1900.
Alan Madden, un anziano aborigeno, gli dice: «Quando arrivi a Redfern,
se non riesci più a trovare un nero tuo parente, o è morto o è
in prigione». Così la morte violenta di TJ non è stata un
evento insolito, ma è straordinario quel che è successo dopo.
I giovani aborigeni del Block sono insorti, dando alle fiamme la stazione ferroviaria
di Redfern e lanciando alla polizia schierata in tenuta antisommossa molotov
e pietre.
Sydney non è Los Angeles. Sydney è rilassata, come dice sempre
la gente, il che significa che i bianchi possono badare ai loro affari senza
che i loro occhi si posino su un australiano nero, per non parlare di dover
pensare a raddrizzare un torto storico. I visitatori in Australia sono spesso
sorpresi dai modi duri con cui viene liquidata la popolazione indigena, largamente
invisibile.
La rivolta nel Block ha turbato questo stato di cose, temporaneamente. Ci sono
state reazioni scandalizzate («spianiamo il Block con i bulldozer»,
ha detto il leader dell'opposizione dello stato) mentre la gente si torceva
le mani sgomenta. Sono apparsi articoli che descrivevano la deprivazione, leader
religiosi hanno preso la parola. Poi, di nuovo il silenzio. Due settimane dopo,
ho incontrato Gail Hickey, la madre di TJ, e altri abitanti di Redfern, in una
manifestazione davanti al parlamento del New South Wales nel centro di Sydney.
Lyall Munro, attivista instancabile e ottimo oratore, uno che vede le soluzioni
politiche ai problemi dell'Australia aborigena, ha letto un elenco di proposte
di riforma riguardanti la casa, la gestione dell'ordine pubblico, la corruzione.
Non una sola parola è stata riportata nel principale quotidiano cittadino,
il Sydney Morning Herald.
Il 30 marzo «Four Corners», una serie televisiva sull'attualità
che è il fiore all'occhiello della Australian Broadcasting Corporation,
ha trasmesso un «reportage», Riot in Redfern. Il giornalista intimava
ai teenager di «confessare» il loro ruolo nella rivolta e, così
facendo, di auto-incriminarsi, e ha quasi accusato Lyall Munro di avere attivamente
incoraggiato la violenza. Nel servizio non veniva fornita alcuna prova reale,
ma l'assunto suonava abbastanza familiare: ancora una volta, i neri australiani
erano da biasimare per la loro stessa disperazione. Non è stato fatto
alcun tentativo di spiegare le radici della rabbia né, come ha detto
Lyall Munro nel documentario della Bbc, «la merda che i nostri giovani
si devono beccare praticamente da quando sono nati»; o i suicidi, o le
droghe, o l'eredità di un'intera generazione rubata alle famiglie. Le
divisioni tra gli aborigeni sono state messe in luce, o sfruttate, ma non spiegate.
Guardando tutto questo, gli australiani bianchi potevano scuotere la testa e
rilassarsi di nuovo. Il documentario di David Akinsanya è il contrario.
Esso mostra la generosità di spirito e il calore delle famiglie aborigene
come gli Hickey, e presenta abilmente i bianchi con i loro pregiudizi. Steve
Price, un presentatore radiofonico di Sydney, parla a nome degli «anglosassoni
bianchi» quando domanda mestamente: «Perché gli aborigeni
non possono essere più simili a noi?».
Stranamente, pur essendo costantemente presente a Redfern, la polizia esegue
pochissimi arresti per droghe pesanti. «Loro chiudono un occhio»,
spiega Akinsanya. «Molti aborigeni sospettano che la polizia preferisca
fare in modo che il più famoso mercato della droga di Sydney resti contenuto
in un quartiere dove abitano gli aborigeni, piuttosto che farlo diffondere in
altre zone». È così che molte forze di polizia americane
«contengono» la diffusione di droghe pesanti nei ghetti neri. Il
risultato, come mi ha spiegato un ufficiale di polizia a Detroit, è che
i giovani neri sono «contenuti» in una prigione che è sia
fuori che dentro.
Due mesi dopo la morte di TJ, quando la gente aveva smesso da tempo di torcersi
le mani, il governo federale di John Howard ha annunciato l'abolizione dell'unica
istituzione nazionale aborigena indipendente ed eletta, finanziata da Canberra.
Questa è l'Atsic (Aborigenal and Torres Strait Islanders Commission),
accusata di essere «carente» e di sprecare i dollari dei contribuenti.
La commissione finanzia 36.000 posti di lavoro in un programma di impiego in
campo sanitario, scolastico, sportivo e culturale. Questi finiranno. Il governo
ha anche intenzione di smantellare l'Aborigenal Legal Service, e ciò
significherà che migliaia di aborigeni accusati di avere commesso un
reato si vedranno rifiutare l'assistenza legale. Durante la preparazione delle
Olimpiadi del Millennio a Sydney, l'Australia è stata il primo paese
occidentale su cui il Comitato Onu per l'eliminazione delle discriminazioni
razziali ha fatto scoperte negative nel campo delle discriminazioni razziali.
Questa vergogna, denunciata quasi abitualmente da Amnesty e altri gruppi per
la tutela dei diritti umani, riecheggia il Sudafrica dell'apartheid.
I numeri fanno la differenza. Potete visitare l'Australia, andare al mare, all'opera
o in un'elegante galleria d'arte, senza che mai niente vi ricordi l'oscuro segreto
di questa società. Nel documentario della Bbc, Ray Vincent, un anziano
aborigeno, guarda nella cinepresa e dice: «Questo è parte della
rabbia che ho provato dentro di me per tutta la vita».
Traduzione Marina Impallomeni
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Cosa c'è nel retro delle splendide immagini da cartolina australiane? Segregazione e razzismo. Nel suo ultimo editoriale per il New Statesman, John Pilger commenta uno straordinario documentario della BBC, che indaga le radici dell'eccezionale rivolta di febbraio dei nativi australiani, gli Aborigeni. L'8 luglio il canale BBC ha mandato in onda uno straordinario servizio dal titolo The boy from the Block (il ragazzo del ghetto, NdT). Parla dell' Australia e inizia con una carrellata sulle spiagge da cartolina, i bagnanti, i bikini, e continua con le immagini di un brindisi in una brillante galleria d'arte di Sidney. In mostra la borghesia australiana nel suo massimo splendore: intenta a sorseggiare buon vino, centellinare cultura e a fare soldi. A una ragazza viene chiesto cosa apprezza di più nell'arte aborigena, esposta in galleria: "Oh, è un ottimo investimento" dice, "per me è come assicurarmi un fondo pensione". La telecamera passa ad inquadrare l' artista aborigena, l'ospite d'onore, circondata da appassionati d'arte di pelle bianca. Tutti sorridono. Se sei aborigeno e assomigli all'artista, dice il voiceover, chiunque vorrebbe esserti amico. Ma, se non sei come lei, diventi una nullità.
Il reporter è David Akinsaya. Ho sentito parlare del suo film quest'anno quando mi trovavo a Sidney. È un inglese di colore dotato di uno stile giornalistico privo di clichè televisivi e finzioni dissimulate. Nel suo documentario riesce nell'impresa in cui generalmente falliscono i suoi colleghi australiani, voglio dire i pochi che ci provano: dice la verità sull'intollerabile trattamento e il vergognoso stato di abbandono di cui sono vittima gli aborigeni australiani.
In una mattina calda e umida dello scorso febbraio, a pochi chilometri dall' Harbour Bridge e dall'Opera House, Thomas Hichey moriva. Thomas, diciassette anni, o "TJ", il soprannome con cui era conosciuto nella comunità aborigena di Redfern, era inseguito dalla polizia; perse il controllo della sua bicicletta e morì schiantandosi su una ringhiera di ferro. Una versione negata dai poliziotti, ai quali però non un solo aborigeno ha creduto.
Il Block è un ghetto aborigeno posto in stato d'assedio dalla polizia.
Sono pochi i giovani aborigeni che riescono andare in giro per le strade senza
essere fermati e quasi tutti sono stati arrestati almeno una volta. Gli aborigeni
sono meno del 3% della popolazione australiana, ma costituiscono il 60% dei
detenuti; e, una volta dentro, molti si suicidano o vengono picchiati a morte.
Gli aborigeni vivono in media 20 anni di meno dell' australiano bianco medio.
David Akinsaya osserva che i bambini aborigeni come le sorelle di TJ hanno la
stessa aspettativa di vita dei bambini bianchi dei primi '900. Alan Madden,
un anziano aborigeno, gli ha
raccontato: "Se vieni a Redfern e non riesci a trovare un fratello imparentato
con te, vuol dire che è in prigione oppure è morto". La morte
violenta di TJ non è affatto un caso sporadico. Le conseguenze però
sono state eccezionali. I ragazzi aborigeni del Block si sono sollevati, mettendo
a ferro e fuoco la stazione di Redfern e bersagliando le fila della polizia
antisommossa di bottiglie molotov e sassi. Sidney non è Los Angeles:
Sidney è tranquilla, come suole dire la gente, il che significa che la
maggior parte dei bianchi può continuare i propri affari senza accorgersi
dell'esistenza degli australiani neri, figuriamoci doversi preoccupare di riparare
a un'ingiustizia storica. Chi viene in Australia rimane spesso colpito dalla
crudele situazione di abbandono in cui versa la popolazione indigena, confinata
nella quasi totale invisibilità. La rivolta nel Block ha disturbato questa
quiete, temporaneamente. Alcuni hanno rilasciato rabbiose dichiarazioni ("radete
al suolo il Block", ha detto il leader dell'opposizione), altri si sono
battuti il petto. Sono stati pubblicati articoli che parlavano delle sofferenze
degli aborigeni, e anche i leader religiosi hanno preso posizione. E poi di
nuovo silenzio. Due settimane dopo, ho partecipato insieme a Gail Hickey, la
madre di TJ, e altri abitanti di Redfern, ad un presidio davanti al parlamento
di New South Wales nel centro di Sidney. Lyall Munro, un instancabile, eloquente
attivista che confida in una soluzione politica ai problemi dell'Australia aborigena,
ha elencato una serie di concrete riforme per l'alloggio, la polizia, la corruzione.
Neanche una parola è apparsa sulle pagine del maggiore giornale della
città, il Sidney Morning Herald.
Il 30 marzo Four Corners, la principale trasmissione di attualità dell'ABC (Australian Broadcasting Corporation), ha mandato in onda "un'inchiesta": Rivolta a Redfern. Il reporter ha esortato i ragazzi a "confessare" di avere partecipato ai disordini e quindi a incriminare se stessi e gli altri, e ha accusato Lyall Munro di avere attivamente incoraggiato la violenza. Il documentario non forniva nessuna vera prova, ma le implicazioni conseguenti erano sufficientemente scontate: ancora una volta, gli australiani neri erano da ritenersi colpevoli della loro stessa disperazione. Non è stato fatto nessun tentativo per spiegare le origini della rabbia degli aborigeni, o, come afferma Lyall Munro nel documentario della BBC, "la merda con cui i nostri ragazzi hanno a che fare per quasi tutta la vita", o i suicidi, o la droga, o l'eredità di un'intera generazione rubata alle loro famiglie. Le divisioni tra gli aborigeni sono state messe in primo piano, sfruttate, ma mai spiegate. Guardando questo servizio, gli australiani potevano scrollare la testa, e sentirsi nuovamente tranquilli.
Il film di David Akinsaya è l'opposto. Mostra la generosità d'animo e il calore delle famiglie aborigene come gli Hickey e mette astutamente i bianchi di fronte ai propri pregiudizi. Steve Price, uno speaker radiofonico di Sidney, dà voce al pensiero degli anglosassoni bianchi quando chiede, quasi con amarezza:"perché gli Aborigeni non possono essere più simili a noi?".
Stranamente, nonostante la loro presenza costante a Redfern, la polizia esegue decisamente pochi arresti per droga pesante: "Chiudono un occhio", dice Akinsanya. "Molti aborigeni sospettano che la polizia preferisca mantenere il commercio di droghe pesanti entro confini del quartiere in cui vivono gli aborigeni piuttosto che permettergli di espandersi anche verso altre aree di Sidney". Questo è la strategia con cui le forze di polizia USA "contengono" la diffusione della droga pesante nei ghetti neri. Il risultato, come mi ha spiegato un ufficiale della polizia di Detroit, è che i giovani neri sono "confinati" in una prigione in cui non vi è molta differenza tra lìinterno e l'esterno.
Due mesi dopo la morte di TJ ed esaurita da tempo la fase della contrizione, il governo federale di John Howard ha annunciato l'abolizione dell'unica istituzione nazionale aborigena eletta e indipendente finanziata dallo Stato. Si tratta dell'ATSIC, la Commissione degli Aborigeni e degli Isolani dello Stretto di Torres, accusata di avere delle "tare" e di sprecare il prezioso denaro pubblico. La Commissione finanzia 36.000 posti in un piano per favorire l'occupazione, e ha programmi per la salute, l'educazione, lo sport e la cultura: tutti destinati a essere bloccati. Il governo ha inoltre intenzione di smantellare l'Aborigenal Legal Service, il che significa che migliaia di aborigeni accusati di qualunque reato non beneficeranno di assistenza legale.
Durante la corsa verso i giochi olimpici del Millennio a Sydney, l'Australia si è distinta per essere l'unico paese fra quelli appartenenti alla sfera occidentale ad avere ricevuto una nota di condanna per discriminazione razziale dalla Commissione delle Nazioni Unite per l'Eliminazione della Discriminazione Razziale, accusa regolarmente lanciata anche da Amnesty International ed altri gruppi che difendono i diritti umani. Per lo stesso motivo venne denunciato il Sudafrica dell'Apartheid: sono i numeri però a fare la differenza. Puoi visitare l'Australia, e andare al mare, all'opera e a visitare una brillante galleria d'arte e non confrontarti in nessun modo con l'oscuro segreto di questa società. Nel documentario della BBC, Ray Vincent, un anziano aborigeno, guardando dritto nella telecamera, dice: "Tutto questo fa aumentare sempre più la mia rabbia, che mi accompagna per tutta la vita."
The Boy from the Block è stato diretto da Guy Smith.
Fonte: New Statesman, www.newstatesman.co.uk. Traduzione di Milena Patuelli per Nuovi Mondi Media.