Misterioso, quanto terribile nella sua estrema drammaticità, suicidio ieri all’interno della casa circondariale di pena del San Nicola di Avezzano. Un ragazzo di venti anni di origine marocchina, Mohamed Abrufay, ha trovato la morte dopo una tremenda agonia consumatasi in parte all’interno della cella del carcere ed in parte su un lettino del Pronto soccorso dell’ospedale civile di Avezzano dove ha ricevuto le prime cure dal primario Ranalletta.
Alla base della decisione del giovane di togliersi la vita un contrasto, non si sa quanto duro, verificatosi la sera prima all’interno del carcere con alcuni suoi connazionali. Occorre comunque sottolineare che su tutta la vicenda si deve procedere con molta cautela. Non si sa esattamente come siano andate le cose dato il più assoluto riserbo che la circonda. Riserbo del resto comprensibile trattandosi di una casa circondariale.
E, dunque, ipotizzare che il suicidio sia una conseguenza della lite appare del tutto rischioso. Si sa bene, infatti, che quando un giovane decide di togliersi la vita molte sono le concause che lo spingono a compiere quel gesto: ed in questo caso sono immaginabili. Tra l’altro si è appreso che il ventenne straniero si è lasciato penzolare stringendosi la gola con un lenzuolo e non è stato fermato dal momento che si trovava in isolamento. Chi lo ha scoperto ieri mattina tramortito ha avvertito subito la dirigenza del carcere ed il giovane è stato trasportato a bordo di una vettura di ordinanza all’ospedale civile di Avezzano. Qui ha cessato di vivere poco dopo. Ormai la situazione di asfissia gravissima che aveva vissuto fino a quel momento non dava la possibilità di sperare.
Una serie di concause hanno determinato la morte del ventenne sulle quali certamente la magistratura aprirà un’inchiesta. Non resta che sottolineare il fatto evidente che la vittima deve aver sofferto moltissimo e il suo decesso si è certamente consumato tra sofferenze atroci. Chi ha appreso la notizia, ieri mattina, ne è rimasto sconvolto e quanti hanno provveduto a trasportarlo in ospedale portavano i segni di questa storia assurda sui volti. La solitudine, il dramma vissuto lontano da casa e tutto il resto debbono aver condizionato la psiche del giovane ventenne del quale non è stato reso noto neanche il passato giudiziario e non si sa perché sia stato recluso. Pare, tra l’altro, che non abbia ottemperato all’ordine di lasciare il territorio nazionale.
C'è una svolta nel giallo del marocchino che venne trovato morto impiccato all'alba del 20 maggio scorso nella sua cella del carcere San Nicola di Avezzano. Il procuratore della Repubblica del centro della Marsica, Brizio Montinaro, ha iscritto nel registro degli indagati tre agenti di polizia penitenziaria che prestano servizio nel carcere. L'indagine a loro carico è per omicidio volontario in concorso di Mohamed Abrufai, 20 anni. Gli agenti indagati sono G.D.C., 40 anni, D.M. 38 anni, A.P., 38 anni. Altri tre avvisi di garanzia sono stati consegnati ad altrettanti detenuti nel carcere. Per loro l'accusa è di favoreggiamento e false dichiarazioni al pm. I detenuti indagati sono A.F., 58 anni; A.T., 38 anni; D.M., 43 anni.
Clamorosa svolta nelle indagine sulla morte in carcere del giovane marocchino che, secondo, i primi accertamenti fu catalogata come suicidio. Oggi invece si viene a sapere che quello avvenuto nel reclusorio del capoluogo marsicano sarebbe stato un omicidio.
È quanto prefigura un provvedimento della Procura della repubblica presso il Tribunale di Avezzano, che ha inviato a tre agenti della Polizia carceraria ed a tre detenuti sei avvisi di garanzia nei quali si ipotizza, rispettivamente, il reato di concorso in omicidio e di favoreggiamento. Sono appunto questi gli sviluppi nell’inchiesta sul marocchino trovato morto nel carcere di Avezzano il 13 maggio scorso.
Il magistrato inquirente, Anna Maria Tracanna, dopo il rinvenimento del cadavere decise di non autorizzare la tumulazione della salma e di incaricare il prof. Sacchetto dell’Università di Roma per un esame autoptico. E proprio l’autopsia sembra abbia evidenziato aspetti non del tutto chiari nella morte del giovane extracomunitario, dal momento che sarebbero state individuate, per esempio, lesioni in varie parti del corpo, dovute molto probabilmente a percosse. È per questa ragione che subito dopo la Criminalpol di Roma fu incaricata di effettuare accertamenti nella cella dove era stato trovato il corpo dell’extracomunitario, appeso ad un gancio con un lenzuolo.
Durante i controlli all’interno del carcere furono sequestrati diversi fascicoli e furono ascoltati anche alcuni operatori penitenziari. Da una prima ricostruzione dei fatti sembra che il marocchino Mohamed Agrufai, 20 anni, visibilmente ubriaco avesse avuto un violento litigio con gli altri carcerati che dividevano la stessa cella e sembra che il giovane abbia dato più volte in escandescenze.
È per questo che gli agenti che erano di guardia quella notte decisero di isolarlo. Ma all’alba fu ritrovato impiccato ad un gancio con un lenzuolo. Dalle indagini degli uomini del Commissariato incaricati dalla Procura di fare piena luce sulla tragica vicenda, emersero però subito delle contraddizioni nella ricostruzione dei fatti che hanno portato poi all’inchiesta in corso per concorso in omicidio da parte di tre agenti che prestano servizio nel carcere di San Nicola di Avezzano. Non si escluderebbe tra l’altro che il marocchino morto per soffocamento, così come accertato dai periti, sia stato pestato prima della sua tragica fine.
Sembra anche vero però che l’extracomunitario più volte avrebbe minacciato di suicidarsi. Sarà ora il magistrato a stabilire la verità dei fatti nel prosieguo delle indagini. La salma per adesso riposa nel suo paese natale. È stata infatti la madre che non vedeva il figlio da cinque anni, e che viveva a Roma, a decidere di tumularlo in Marocco.
L’ipotesi di un pestaggio in piena regola fin quasi alle soglie della morte. Emerge chiaramente dalle indagini condotte in carcere dagli uomini della squadra di Polizia giudiziaria del Commissariato di Avezzano agli ordini del Sostituto commissario Domenico Palma dei Dirigente Marco Nicolai che hanno profuso nell’indagine, per le loro parti, tutto l’impegno. Un impegno in verità alquanto difficoltoso e scomodo dal momento che i due poliziotti hanno dovuto indagare per mesi sull’operato di alcuni loro colleghi. Ed infatti la procura della repubblica di Avezzano ha inviato a tre agenti della Polizia carceraria ed a tre detenuti in tutto sei avvisi di garanzia nei quali si ipotizza il reato di concorso in omicidio e favoreggiamento.
Una inchiesta delicata, delicatissima iniziata il 13 maggio scorso e per portare avanti la quale fu tenuto segreto anche il vero nome di quel detenuto chiamato prima Agrufay e infine l’altro giorno con il suo vero nome.
Il magistrato inquirente, Anna Maria Tracanna, dopo il rinvenimento del cadavere decise di non autorizzare la tumulazione della salma e di incaricare il professor Sacchetto dell’Università di Roma per un esame autoptico.
Ed eccola sempre più chiara la risposta dopo quell’esame: lesioni in varie parti del corpo dovute forse a percosse. Fu pestato, dunque. Ma qui cominciano altre ipotesi. Chi condusse quella "danza" si accorse che quell’uomo stava morendo? Provvide allora a far trovare il corpo dell’extracomunitario appeso ad un gancio con un lenzuolo?
Durante i controlli all’interno del carcere furono sequestrati diversi fascicoli e furono ascoltati anche alcuni operatori.
Iassine Adardour, 21 anni, ebbe innegabili contrasti con gli altri ecco perché decisero di isolarlo. All’alba fu trovato impiccato ad un gancio con un lenzuolo ma era ancora vivo. Fu portato d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale civile di Avezzano dove spirò poco dopo per soffocamento. Andiamoci piano, dunque con la ricostruzione e l’accertamento delle responsabilità. Se gli indiziati saranno mai rinviati a giudizio certamente faranno riferimento al fatto che quel detenuto quando arrivò al pronto soccorso era ancora vivo. E poi: decise lui di impiccarsi? Il pestaggio avvenne prima del tentativo di suicidio, certamente, ma ad opera di chi? Nel frattempo l’avv. Leonardo Cassiere, difensore degli agenti, chiederà un incidente probatorio per stabilire l’ora della morte e si è detto certo che i suoi clienti sono del tutto estranei.
Per il marocchino, Yassine Adardaur, 21 anni, trovato impiccato in una cella del carcere di Avezzano il 13 maggio scorso, il procuratore della repubblica di Avezzano, Brizio Montinaro, ha dato incarico alla dottoressa Carla Vecchiotti dell’Università di Roma, di effettuare il Dna su alcune macchie di sangue rinvenute sul corpo dell’extracomunitario. Come si sa il magistrato inquirente, dopo lunghe indagini da parte della polizia,è arrivato alla conclusione che il marocchino sarebbe morto in seguito ad un pestaggio.
È per questo che il Pm nei giorni scorsi ha inviato sei avvisi di garanzia dove si ipotizza l’accusa di concorso in omicidio volontario e di favoreggiamento, nei confronti di tre agenti di custodia e tre detenuti. È stata una inchiesta delicata, durante i controlli all’interno del carcere furono sequestrati diversi fascicoli e ascoltati anche alcuni operatori. Yassine Adardour, 21 anni, ebbe innegabili contrasti con gli altri ecco perché decisero di isolarlo. All’alba fu trovato impiccato ad un gancio con un lenzuolo ma era ancora vivo.