Capitolo III
Smilitarizzare l'insegnamento
    Lo spirito da caserma ha regnato sovrano nelle scuole. Vi si marciava al passo, 
    ubbidendo agli ordini dei sorveglianti ai quali non mancavano che l'uniforme 
    e i galloni. La configurazione dell'edificio obbediva alla legge dell'angolo 
    retto e della struttura rettilinea. Così l'architettura si impegnava 
    a sorvegliare le trasgressioni con la rettitudine di un'austerità spartana.
    Fin negli anni sessanta, l'istituzione educativa rimase impastata delle virtù 
    guerriere che prescrivevano di andare a morire alle frontiere piuttosto che 
    dedicarsi ai piaceri dell'amore e della felicità. Una tale ingiunzione 
    cadrebbe oggi nel ridicolo ma, a dispetto della mutazione cominciata nel maggio 
    '68 e del discredito nel quale è caduto l'esercito di un'Europa senza 
    conflitti (ad eccezione di qualche guerra locale in cui disdegna di intervenire), 
    sarebbe eccessivo pretendere che sia caduta in desuetudine la tradizione dell'ingiunzione 
    vociferata, dell'insulto abbaiato, dell'ordine senza replica e dell'insubordinazione 
    che ne è la risposta appropriata.
    L'autorità quasi assoluta di cui è investito il maestro serve 
    piuttosto all'espressione di comportamenti nevrotici che alla diffusione di 
    un sapere. La legge del più forte non ha mai fatto dell'intelligenza 
    altro che una delle armi della stupidità. Molti arricciano il naso, 
    sicuramente, per il fatto di non avere che il diritto di tacere. Ma finché 
    una comunità di interessi non situerà al centro del sapere le 
    inclinazioni, i dubbi, i tormenti, i problemi che ciascuno risente giorno 
    dopo giorno - cioè quel che forma la parte più importante della 
    sua vita -, non vi sarà che l'obitorio e il disprezzo per trasmettere 
    dei messaggi il cui senso non ci riguarda veramente in quanto esseri di desiderio.
Ciò che si insegna attraverso la paura rende il sapere timoroso
    L'autorità legalmente accordata all'insegnante dà un gusto così 
    amaro alla conoscenza che l'ignoranza arriva a drappeggiarsi degli allori 
    della rivolta. Chi dispensa il suo sapere per piacere non sa che farsene di 
    imporlo, ma l'irreggimentazione educativa è tale che bisogna istruire 
    per dovere, non per piacere.
    Provate un po' a sostenere una mutua comprensione tra un professore che entra 
    nella classe come in una gabbia di fiere e degli studenti abituati a schivare 
    la frusta e pronti a divorare il domatore! Mentre, in Europa occidentale, 
    l'autocratismo è ovunque attaccato, la scuola resta dominata dalla 
    tirannia. Si fa a chi abbaia più forte in un'arena in cui le frustrazioni 
    si sbranano.
    Niente è più ignobile della paura, che abbassa l'uomo alla bestia 
    braccata, ed io non concepisco che la si possa tollerare né da parte 
    dell'allievo né da quella del professore. Nulla progredisce attraverso 
    il terrore se non il terrore stesso. Quand'anche le direttive pedagogiche 
    si sfiancassero a privilegiare il principio che mi sembra la condizione di 
    un vero apprendimento della vita: togliere la paura e dare la sicurezza, bisognerebbe, 
    per applicarlo, fare della scuola un luogo in cui non regnano né autorità 
    né sottomissione, né forti né deboli, né primi 
    né ultimi. Finché non formerete una comunità di allievi 
    e di insegnanti appassionati a perfezionare ciò che ciascuno ha di 
    creativo in sé, avrete un bell'indignarvi della barbarie sotto ogni 
    forma, del fanatismo religioso, del settarismo politico, dell'ipocrisia e 
    della corruzione dei governanti, non scaccerete né gli integralismi, 
    né le mafie della droga e degli affari, perché vi è nell'organizzazione 
    gerarchizzata dell'insegnamento un fermento sornione che predispone al loro 
    dominio.
    Ora che le ideologie di sinistra e di destra si sciolgono al sole della loro 
    comune menzogna, l'unico criterio di intelligenza e di azione risiede nella 
    vita quotidiana di ciascuno e nella scelta alla quale ogni istante lo confronta, 
    tra ciò che afferma la propria vita e ciò che la distrugge. 
    Se tante idee generose sono diventate il loro contrario, è perché 
    il comportamento che militava in loro favore ne era la negazione. Un progetto 
    di autonomia e di emancipazione non può fondarsi, senza vacillare, 
    sulla volontà di potenza che continua ad imprimere nei gesti il segno 
    del disprezzo, della servitù, della morte.
    Non intravvedo altro modo di finirla con la paura e la menzogna che ne consegue 
    se non in una volontà ravvivata incessantemente di godere di sé 
    e del mondo. Imparare a sgarbugliare ciò che ci rende più vivi 
    da ciò che ci uccide è la prima delle lucidità, quella 
    che dà il suo senso alla conoscenza.
    Le tecniche più elaborate mettono a nostra disposizione una notevole 
    quantità di informazioni. Tali progressi non sono da sottovalutare 
    ma resteranno lettera morta se un rapporto privilegiato tra educatori e piccoli 
    gruppi di scolari non innesterà la rete delle conoscenze astratte sul 
    solo "terminale" che ci interessa: quello che ciascuno vuole fare 
    della sua vita e del suo destino.
 Liberare dalla costrizione il desiderio di sapere
    Lo sfruttamento violento della natura ha sostituito la costrizione al desiderio; 
    esso ha propagato ovunque la maledizione del lavoro manuale e intellettuale, 
    e ridotto ad un'attività marginale la vera ricchezza dell'uomo: la 
    capacità di ricrearsi ricreando il mondo.
    Producendo un'economia che li economizza fino a farne l'ombra di se stessi, 
    gli uomini non hanno fatto altro che ostacolare la loro evoluzione. È 
    per questo che l'umanità resta da inventare.
    La scuola porta il marchio visibile di una frattura nel progetto umano. Vi 
    si percepisce sempre di più come e in quale momento la creatività 
    del bambino vi è fatta a pezzi sotto il martellamento del lavoro. La 
    vecchia litania familiare: "Prima lavora, ti divertirai in seguito" 
    ha sempre espresso l'assurdità di una società che ingiungeva 
    di rinunciare a vivere per meglio consacrarsi a una fatica che distruggeva 
    la vita e non lasciava ai piaceri che i colori della morte.
    Ci vuole tutta la stupidità dei pedagoghi specializzati per stupirsi 
    che tanti sforzi e fatiche inflitti agli scolari portino a risultati così 
    mediocri. Che cosa aspettarsi quando il cuore è assente? Charles Fourier, 
    nel corso di un'insurrezione, osservando con quale cura e quale ardore gli 
    agitatori disselciavano i sanpietrini di una strada e alzavano una barricata 
    in qualche ora, notava che per la stessa opera ci sarebbero voluti tre giorni 
    di lavoro ad una squadra di sterratori agli ordini di un padrone. I salariati 
    non avrebbero trovato altro interesse nella faccenda che la paga, mentre la 
    passione della libertà animava gli insorti. Solo il piacere di essere 
    sé e di appartenersi darebbe al sapere quell'attrazione passionale 
    che giustifica lo sforzo senza ricorrere alla costrizione.
    Perché diventare ciò che si è esige la più intransigente 
    delle risoluzioni. Ci vuole costanza e ostinazione. Se non vogliamo rassegnarci 
    a consumare delle conoscenze che ci ridurranno al miserabile stato di consumatori, 
    non possiamo ignorare che, per uscire dall'imbroglio in cui si è impantanata 
    la società del passato, dovremo prendere l'iniziativa di una spinta 
    nel senso opposto. Ma come? Vi si vede pronti a battervi e a schiacciare gli 
    altri per ottenere un impiego ed esitereste ad investire le vostre energie 
    in una vita che sarà tutto l'impiego che farete di voi stessi?
    Noi non vogliamo essere i migliori, noi vogliamo che il meglio della vita 
    ci appartenga, secondo quel principio di inaccessibile perfezione che abolisce 
    l'insoddisfazione in nome dell'insaziabilità.