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Manifesto abolizionista

Catherine Baker

Marzo 1984

I principi che hanno fondato il carcere erano principi filantropici: il delinquente, durante la detenzione avrebbe riflettuto, avrebbe fatto ammenda, sarebbe rigenerato. La storia ha avuto ragione di queste terribili sciocchezze. Si può costruire l'utopia solo su un'assoluto rigore intellettuale, invece l'imprigionamento riposa sulla "speranza che andrà meglio dopo", cioè su niente d'intellegibile.

La parola "reinserimento" era un'espressione piuttosto spassosa ma che non diverte neanche più gli allievi della Scuola nazionale dell'Amministrazione penitenziaria; sarebbe ora di trovarne un'altra, preferibilmente altrettanto buffa.

Non è qui il luogo di ripetere queste evidenze: l'incarcerazione rende pazzi, malati, duri e avidi. Nessuno ha mai accettato la sfida di dire il contrario.

E nessuno desidera vivere in un mondo che alcuni, prendendo il rischio di rinchiudere degli uomini, rendono ancora più minnaccioso di quanto già non sia.

Nella maggior parte dei paesi, i criminologi, sapendo che è profondamente nocivo, tentano sempre più di evitare il carcere ai "piccoli delinquenti"; non è certo per bontà d'animo.

A maggior ragione è di primaria importanza evitare l'imprigionamento dei "veri" delinquenti.

È per questo che queste righe non sono una presa di posizione intellettuale (quello che pensiamo non è affatto originale) ma un appello ad agire concretamente per l'abolizione del carcere inventando i mezzi della nostra azione.

Non siamo delle pie donne; non crediamo, prendendocela con il carcere, di alleviare le pene del mondo né controbbilanciare la bestialità della moltitudine con un atteggimento "umano".

Non siamo umanisti. L'Uomo non esiste e siamo tutti accomunati dal fatto di essere delle canaglie.

La prigione è un simbolo, vogliamo dire un segno di riconoscimento per gente terrificata d'istinto da ciò cui siamo condannati.

Ma le carceri sono anche delle cose reali terribili per la mente, insopportabili alla ragione e che devono sparire, semplicemente perché è logico.

Il discorso su un carcere che proteggerebbe la brava gente dai malfattori è, tra tutte, la menzogna più facile da svelare. Si può cominciare da questo per la gioia dello spirito: si capirà meglio così il ruolo della giustizia, della polizia e della società intera.

Il carcere troppo facilmente rende sicuri i più e porta ognuno ad essere dispensato dal minimo buon senso. Il carcere è indispensabile al mantenimento dell'ordine perché l'ordine mantiene il carcere. Ecco perché il carcere è indispensabile al mantenimento del carcere.

Il riformismo non è propriamente idiota, ma impossibile: meno il carcere punisce, meno risponde alla sua vocazione. Rimporverare al carcere di essere troppo penoso, è come rimproverare a un ospedale di curare troppo bene.

C'è una domanda interessante che si ripropone di secolo in secolo: "Parlate di eliminare la tortura ma con cosa la sostituirete per estorcere le confessioni utili alla società?" Questa domanda è una buona domanda. Le nostre risposte non saranno mai abbastanza buone per questo tipo di domande. Per questo chiediamo umilmente un'altra formulazione del problema.

Nel frattempo, non vediamo nessun interesse a far durare lo stato attuale delle cose che non è un peggioramento ma il peggio stesso.

Abbiamo meno da perdere aprendo le carceri che aprendo le autostrade, e tutto da vincere in serenità, in intelligenza, in voglia di riflettere collettivamente sui mezzi del vivere insieme.

Ed è urgente.

Le pene brevi sono una messa da parte temporanea, inetta in sé. Ma le pene lunghe sono delle pene eliminatorie volute tali quali dalla giustizia e dalla società: si "taglia il membro incancrenito", si "estirpa l'erba cattiva", si "procede alla deratizzazione", tutti delicati eufemismi per esprimere la volontà collettiva di eliminazione, di omicidio.

Se si ascoltasse la folla, molti di coloro che vengono mandati in carcere dovrebbero essere bruciati su delle griglie, scorticati vivi prima di essere squartati. Non dobbiamo transigere con la barbarie. Non scendiamo a patti con quelli che hanno il gusto della sofferenza e della morte transigendo sul medio termine che sarebbe l'imprigionamento. Perché amiamo la vita. (E quando non l'amiamo più, la stimiamo ancora abbastanza per lasciarla volontariamente).

Non lasceremo nessuno parlare di individui "recuperabili" o "irrecuperabili"; il mondo è una discarica solo per gli spiriti sporchi.

Nel migliore dei casi, trascuriamo il concetto di opinione pubblica; al peggio, affermiamo che la caratteristica dell'opinione pubblica è di lasciarsi manipolare da chi ne trae profitto. Quanto a noi, non disperiamo di vedere individui unirsi alle nostre posizioni quando si saranno fatti una propria idea della questione.

Facendo il gioco di una divisione assurda tra colpevoli e innocenti, la giustizia, con la pratica dell'imprigionamento, ci scinde in due e ci vieta di ricercare la nostra unità; rinforzando le strutture mentali normative più rigide, fa di noi agenti meccanici. Non tolleriamo che la società, sotto la sua trasformazione giudiziaria, ci spinga alla demenza e ne prenda pretesto per esercitare "naturalmente" la sua tutela su di noi.

Non amiamo i galeotti perché sono galeotti. I galeotti non sono più degni di amore in quanto tali che le donne, gli ebrei, i bambini o gli scrittori. Ma amiamo certi individui che hanno anche, tra le altre caratteristiche, di essere scrittori o bambini o donne o galeotti.

Non sopportiamo di essere rinchiusi. Né dentro né fuori. Noi, gli "innocenti", non abbiamo più diritto di entrare in carcere che i detenuti di uscirne. Stessa riflessione per la censura della nostra posta. Non riceviamo la maggior parte dei giornali scritti dentro i dimenticatoi, ci sono vietati.

Non è per "rispetto dei diritti dell'Uomo" che rifiutamo l'imprigionamento. Non sopportiamo neanche che si leghi il cane alla cuccia o che si mettano le scimmie in gabbia. E questa non è una parentesi.

Combattiamo ogni alternativa al carcere che sarebbe anche un imprigionamento "all'esterno" come ad esempio un controllo sociale ancora più raffinato di oggi.

Non pretendiamo sapere cos'è la libertà ma percepiamo abbastanza chiaramente e distintamente cos'è l'oppressione e quello che ci impedisce di essere noi stessi.

Abbiamo bisogno di avere interesse gli uni per gli altri, dunque non possiamo accettare di essere assoggettati né presi in ostaggio da alcune persone o gruppo che sia.

Ci opponiamo ad ogni istituzionalizzazione della forza, che venga dai boss di ogni ordine, dai mafiosi, dalla famiglia, dal popolo, dai maschi, dallo Stato, ecc.

Non riconosciamo a nessuno il diritto né di giudicarci né di giudicare i nostri atti.

Abbiamo tutti i diritti.

Il Diritto non esiste. È una visione pessimista nonché falsa di quello che sono i rapporti fra di noi. Non c'è nessun interesse a vietare per esempio lo stupro, ma è altamente interessante invece immaginare come evitare di essere violentatore o violentato. Vad som är det bästa casinot är en individuell sak men på Videospelautomater hittar du bästa förslagen.

Il crimine in sé non esiste; se si prende a caso un atto da incubo e rivoltante (come un datore di lavoro che mi ruba il mio tempo, la mia vita) , non diremo che bisogna eliminare il criminale ma che ognuno ha interesse a rovesciare le cose, a capire quello che succede e a resistere alla forza. Niente si oppone d'altronde al fatto che gente che si apprezza mutualmente non rifletta insieme sui mezzi per preservarsi da ogni danno alla loro integrità mentale o fisica.

Non siamo complici dei tribunali che condannano nel nostro nome. Si tratta di una unsurpazione che è ancora una volta un colpo di Stato.

Ciò non può impedirci di mantenere ognuno la possibilità di giudizio o di indignazione ma la società non deve incaricarsi delle nostre indignazioni personali.

Non siamo di sinistra. Non siamo tantomeno anarchici, né di destra, né parallelepipedi, né niente di questo genere. Siamo opportunisti se ci sembra utile. Sappiamo quello che vogliamo.

Noi, abolizionisti, siamo realisti - se per "realisti" non si intende "esperti ad inghiottire tutti i rospi di questo squallido presente" - ma "decisi a realizzare le nostre idee".


Fonte: originale (in francese) sul sito http://abolition.prisons.free.fr. Traduzione di Juliette.