Introduzione
Con Paolo Barile scompare un maestro e un amico. Maestro di diritto, ma soprattutto
di rigore morale e intellettuale. Un rigore che lo ha costretto già nell'estate
del '45 a riflettere, da studioso di diritto e di storia, sulla sua personale
esperienza di vittima delle torture naziste. Così ha accettato l'invito
di Piero Calamandrei a scrivere per "Il Ponte" questo breve saggio
che ripubblichiamo in suo ricordo. Il testo è anche un ammonimento contro
chi sottovaluta il ruolo umano culturale e politico della "memoria storica".
Nel discorso inaugurale dell'anno giudiziario, tenuto l'8 gennaio 1945, alla
Corte di Appello di Firenze, dall'avvocato generale Stefano Marri, è
contenuto questo passo: "Né sono mancati casi di encomiabile fierezza
di fronte a coazioni morali e materiali esercitate da manigoldi, che anche in
Firenze... non avevano esitato a ripristinare veri e propri luoghi di tortura
per costringere i disgraziati caduti nelle loro grinfie. Mi si consenta di additare
alla pubblica estimazione un giovanissimo e valente magistrato, l'uditore giudiziario
dott. Paolo Barile, di questo Tribunale, il quale, tratto in arresto e ferito
di pugnale alla testa, seppe sempre mantenersi impassibile in non pochi e pressanti
interrogatori senza minimamente compromettere i patrioti, coi quali era stato
in frequente contatto". Anche in queste pagine che Paolo Barile ha scritte
per nostro incitamento, parla il magistrato serenamente impassibile che non
impreca contro i suoi torturatori, e non si commuove al ricordo della crudele
esperienza vissuta, ma considera, da giurista, con animo distaccato e semplice,
le forme e i momenti di questo ritorno alla barbarie giudiziaria: fenomeno europeo,
che gli storici dell'avvenire interrogheranno stupiti.
(P. Calamandrei)
1 - La presente guerra ci ha fatto assistere ad un fatto storico compreso fra quelli che più difficilmente sembrava potessero accadere nel nostro secolo, ma che ha potuto invece effettuarsi perché strettamente connesso con l'esercizio della tirannide e con il culto germanico per i sanguinari miti favolosi e razziali, nonché col criterio della Totalkrieg: il ritorno in onore della tortura, applicata su scala vastissima in Germania stessa, prima della guerra, e successivamente nei paesi occupati; arma terribile contro la resistenza europea, in particolare in Italia, dove i tedeschi trovarono un governo Quisling segnatamente attivo e spietato. A rileggere ora, dopo che l'incubo sembra essersi dissolto al sole della libertà e dopo che le efferatezze di cui fummo testimoni talvolta dirette vittime ci sembrano ormai lontane e irreali; rileggere ora, dicevo, i libri del Beccaria e del Verri, si prova, da un lato, l'impressione che essi parlino di cose appartenenti ad un lontano medioevo, e gli argomenti da essi addotti contro la tortura ci sembrano talmente ovvi e acquisiti nella coscienza di ognuno che quasi siamo portati a sottintenderli nella lettura; d'altro lato, di tanto in tanto singoli episodi e narrazioni di particolari specie di tortura ci fanno balzare alla mente il rischio di analoghe specie di essa che i nuovi barbari applicarono nel nostro paese. La nuova barbarie non differisce molto dall'antica, quanto ai mezzi impiegati: è la vastità dell'azione che non ha precedenti nella storia.
2 - Le origini della tortura si fanno risalire a Falaride, a Tarquinio il superbo, a Massenzio: si è notato invece che nei testi biblici non compare. Essa prende forza durante i governi tirannici; applicata ai cittadini (non agli schiavi, che fin dalla repubblica non godevano di diritti di personalità) compare nel tardo impero romano e sotto Carlomagno: ma dai testi legislativi non è considerata essenziale ai processi criminali. Dopo il secolo XI appaiono i primi studi giuridici su di essa, che la pongono sul piano del diritto positivo: giuristi spesso insigni (CLARO, FARINACIO, TABOR, CARPZOV, BOSSI e molti altri) ne regolarono in seguito minutamente l' applicazione e ne stabilirono le modalità. Né il cristianesimo vi si oppose, anzi, è stata avanzata l'assai credibile ipotesi che la tortura medioevale poggiasse sulla base della superstizione assai diffusa che Iddio, nelle prove di sangue, dovesse venire necessariamente in aiuto al più forte; essa deriverebbe insomma dai "giudizi di Dio" (VERRI). Prima che la tortura entrasse nella prassi penalistica normale, eminenti intelletti si erano dichiarati avversi ad essa (CICERONE, SENECA, QUINTILIANO, VALERIO MASSIMO, SANT'AGOSTINO). La civiltà illuministica, sotto il particolare influsso di BECCARIA, VERRI, SONNENFELS, doveva poi portare all'abolizione della tortura, che già era scomparsa fin dal 1640 in Inghilterra (MACAULAY) e a breve distanza in Prussia e nella Russia di Caterina I. Successivamente fu abolita da Maria Teresa nel Lombardo-Veneto (1776), da Carlo III e Ferdinando IV nel Regno della Due Sicilie (1738 e 1789), da Giuseppe II in Austria (1785), da Luigi XVI in (1814 e 1848). In quegli Stati, come il Lombardo-Veneto, dove la condanna del reo poteva essere inflitta solo se si era in possesso della sua confessione, per ottenere la quale si riteneva quindi talvolta necessaria già indicato dalle leggi inglesi, che permettevano la condanna del reo anche in mancanza della prova della confessione (VERRI). In tal modo la tortura scomparve definitivamente dall' Europa, e ne fu anzi vietato espressamente l'uso nei processi penali.
3 - L'antica tortura si inseriva nel processo criminale per un duplice scopo: come mezzo istruttorio di ricerca della verità, e come pena a sé stante; essa serviva * o per costringere (l'imputato) a confessare un delitto o per le contraddizioni nelle quali incorre, o per la scoperta di complici, o per non so quale metafisica ed incomprensibile purgazione dell' infanzia, o finalmente per altri delitti, di cui potrebbe esser reo, ma dei quali non è accusato (BECCARIA, che si attiene a sua volta alle cinque categorie formulate da VERRI Gabriele, padre di Pietro); si faceva quindi ricorso ad essa quando, di fronte all'esistenza di gravi indizi a suo carico, l'imputato non confessava, oppure cadeva in contraddizioni, oppure si rifiutava di fare i nomi dei complici: sempre, cioè, a scopo istruttorio. Gli ultimi due casi comprendono invece, a mio parere, sia la tortura come mezzo istruttorio, sia quella intesa come pena a sé stante; infatti, la cosiddetta "purgazione d'infamia" consisteva in ciò: quando l'imputato confessava i nomi dei correi, era d'uso torturarlo per domandargli se avesse immeritatamente infamato taluno fra essi; se egli persisteva nell'accusa, poteva servire da testimonio contro i correi, se si ritrattava, li purgava dall'infamia1: essa può quindi rettamente considerarsi uno mezzo istruttorio per la ricerca della verità se il reo persisteva nel suo atteggiamento di denuncia dei correi: era invece una pena nei suoi riguardi qualora egli si ritrattasse e purgasse l'infamia gettata su innocenti. Analogo è l'ultimo caso, quello in cui gli indizi contro il presunto colpevole di gravi delitti non siano sufficienti: allora egli viene torturato, e, qualora confessi il delitto, la tortura sarà stata un mezzo istruttorio; qualora non confessi, essa sarà da considerarsi pena straordinaria (cioè non prevista dalla legge) che gli fu inflitta in luogo della pena capitale, di cui lo si riteneva meritevole. Ma vi è un altro caso di cui, a mio parere, la tortura deve considerarsi come pena autonoma, se pur accessoria: quello in cui essa viene adoperata nell'esecuzione della pena capitale, allo scopo di incrudelire contro il reo. Citerò alcuni esempi: l'esecuzione capitale sulla "ruota", in cui venivano spezzate braccia, reni, cosce e gambe ai rei, che venivano lasciati vivi sulla ruota per almeno sei ore, o per tutto il tempo che il Signore concedeva loro per pentirsi dei propri peccati (!); le tenaglie roventi, il taglio delle mani, la sospensione per le unghie, lo schiacciamento delle dita, lo stiramento da parte di quattro cavalli: tutto ciò (che, tanto per fare un esempio, fu applicato insieme con altre terribili torture, al Damiens feritore di Luigi XV nel 1757: cfr. CANTÈ, op. cit., p. 16) costituiva la pena della tortura accessoria alla pena capitale, quindi applicata non in sede istruttoria, ma di esecuzione.
4 - Non sarà forse molto piacevole per me descrivere e per il lettore seguire una descrizione dei tipi di tortura che la fervida fantasia umana escogitò nei secoli: ma forse sarà opportuno parlarne, non foss'altro per notare se anche in questo campo i popoli moderni si sono dimostrati più progrediti degli antichi. Mi sembra che si possa fare una prima distinzione fra tortura fisica e tortura morale. Una forma di tortura morale era costituita dalla promessa di impunità che i giudici potevano offrire al reo in cambio della sua delazione contro i complici del delitto; un esempio celebre si ebbe nel processo di Milano del 1630 contro gli untori, che è riportato per esteso in VERRI (Osservazione sulla tortura) e in parte in MANZONI (Storia della colonna infame): in questi casi, tale promessa non era altro che un tranello, dato che secondo i testi giuridici del tempo (BOSSI) essa non era vincolante per il giudice. Un'altra forma consisteva nella territio verbalis et realis, cioè nell' ammonire gli imputati e nel terrorizzarli col mostrar loro gli strumenti del supplizio e col descriverne gli effetti, prima di sottoporveli. Ma la forma più logorante della tortura morale era quella insita nell' incertezza sulla durata e sull'esito del processo: le lunghe attese e la solitudine portavano spesso al suicidio perché portano con sé i terribili e fieri tormenti dell'incertezza, che crescono col vigore dell'immaginazione e col sentimento della propria debolezza (BECCARIA XIX). Se si pensa poi che cosa erano i giorni e le notti che gli imputati trascorrevano fra una seduta di tortura e l'altra, a cui sapevano di dover soggiacere ancora, ci si può fare un'idea del logoramento di quell'attesa. La tortura fisica comprendeva sistemi svariatissimi; uno dei diletti dei giudici, secondo FARINACIO, era l'escogitare sempre nuovi tormenti. Un procedimento preliminare, che si accompagnava al taglio dei capelli, era spesso quello di somministrare al reo una "pozione espurgante", che, a differenza dell'olio di ricino di buona memoria, non aveva uno scopo ammonitorio, ma uno assai più ingenuo e storicamente giustificabile: quello di eliminare eventuali amuleti o patti col demonio, la cui sede si credeva potesse essere negli intestini. I locali destinati al carcere preventivo erano quanto di più lugubre, malsano, tetro si possa immaginare: le "segrete" dei castelli, i "piombi" di Venezia sono li a dimostrarlo. Non mi soffermo a descrivere, sia perché troppo noti, sia perché troppo macabri, i supplizi dei tratti di corda, del "canapo", dello "stivaletto", dell'eculeo, del fuoco (nelle sue varie forme delle candele accese in più parti del corpo; delle ustionature sotto le piante dei piedi e del "toro di bronzo") dei legni sotto le unghie, delle frustate, dell'acqua bollente fatta ingurgitare in gran copia, del "digiuno", della "sete", della "veglia", dei "sibili" (legni compressi fra le dita), del marchio rovente sulla guance e nei fianchi, delle "viti da pollice", del cuneo fra le ginocchia legate, e così via. Pochi e poco rispettati alcuni limiti che la dottrina stabiliva a favore degli imputati: neppure le puerpere erano escluse dai tormenti, purché non ne soffrisse il bambino (TABOR). Erano invece esclusi, per privilegio di nascita, i nobili; si disputava fra i giureconsulti se alla tortura i rei potessero venir sottoposti un numero illimitato di volte, fino a che non confessassero (BARTOLO), oppure se oltre la terza volta non fosse lecito andare (CLARO).
5 - Non sto qui a criticare le giustificazioni etiche che i fautori della tortura portavano a suffragio della loro tesi: sfonderei una porta aperta. Prima di passare ai torturatori moderni, è necessario però esaminare brevemente i risultati pratici a cui portava l'antica tortura usata a scopo istruttorio. Qui la risposta ce la dà, lapidaria, il BECCARIA: "questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati, e di condannare i deboli innocenti": infatti, l'antica superstizione secondo la quale solo coloro che erano senza colpa potevano ricevere da Dio la forza di reggere alla tortura e di continuare sotto i tormenti a protestarsi innocenti, non necessitava di molte prove per dimostrarsi falsa: e innumerevoli furono i deboli condannati e poi riconosciuti innocenti, nonché i robusti assolti e poi riscontrati rei. La prova migliore, secondo me, del fatto che coloro stessi che sostenevano la necessità della tortura in istruttoria non ritenevano di considerare sicura prova la confessione fatta sotto gli strumenti di tormento, è data dalla norma universalmente seguita che disponeva essere necessario che la confessione stessa fosse dall'imputato ripetuta e ratificata dopo la cessazione della tortura, in modo da costituire un simulacro di volontà libera dal vizio di violenza fisica: ciascun vede, naturalmente, quanto poco potesse essere libera la volontà degli imputati, che, non ratificando la confessione, sapevano che sarebbero stati sottoposti a nuovi tormenti: per altre due volte almeno, se avevano la fortuna di trovare un giudice seguace di CLARO, per un numero indefinito di volte, se erano tanto disgraziati da dover seguire la dottrina di BARTOLO. Non si capisce davvero come l'elementare constatazione che la tortura in istruttoria non dava affatto la certezza della colpevolezza dell'imputato confesso, e quindi provocava spesso l'impunità del vero reo latitante; non si capisce, dico, come questa semplice verità abbia tardato tanto a farsi strada.
6 - Veniamo ora alla tortura dei nostri tempi, Cercherò di dare uno sguardo agli scopi, ai tipi ed ai risultati di essa, nell'applicazione che i fascisti e i nazisti ne fecero in cosi larga scala. Il duplice scopo della tortura, che abbiamo messo in luce relativamente ai tempi antichi, lo ritroviamo oggi: come mezzo istruttorio, la vediamo adoperata nei processi politici e nella prassi poliziesca nazista contro le forze della resistenza: i patrioti venivano tutti torturati perché "parlassero", cioè appunto per ottenere confessioni e nomi di complici. Come pena accessoria, pur non esistendo oggi la purgazione d'infamia, essa è pure adoperata contro gli stessi patrioti, contro gli ostaggi presi per rappresaglia o per motivi di parentela con persone ricercate, e contro gli ebrei di tutto il mondo: tutti sanno che non era facile, nelle prigioni naziste, raggiungere la pace della morte senza aver sofferto in precedenza le più gravi pene corporali. Il calvario dei polacchi, degli ebrei, dagli italiani e dei patrioti europei cominciava in un luogo qualunque e terminava spesso dopo mesi od anni in una fossa di un lontano campo di concentramento, per raggiungere il quale erano occorsi mesi di marce forzate a piedi, o viaggi in carri sigillati. Voglio solo notare che, a differenza dell'antica, la novella tortura è stata applicata oggi, come pena accessoria, su di una scala non paragonabile a quella di un tempo. Se una volta le esecuzioni capitali, in alcuni stati, raggiungevano i cinque o dieci casi al mese, si rabbrividiva al pensare quanto frequenti fossero le torture che si accompagnavano ad esse. Cosa sono queste cifre di fronte ai procedimenti sommari fondati su di una fantastica teoria di responsabilità collettiva, familiare o razziale, secondo una presunzione di colpevolezza contro persone unite da vincoli di sangue, o di cittadinanza, o di lontana stirpe, al presunto reo od ai presunti responsabili di fatti specifici o addirittura di fatti generici, quali l' antifascismo? Cosa sono quelle cifre mensili di fronte ai due milioni e mezzo di ebrei trucidati freddamente nelle camere a gas di Maidanek? Un'altra osservazione circa la tortura accessoria alla pena capitale. Così come gli antichi adoperavano talvolta il supplizio della ruota, i tedeschi moderni e le brigate nere hanno inventato l'impiccagione dei patrioti col gancio da macellaio sotto la mandibola. Le nuove trovate non hanno davvero niente da invidiare alle antiche.
7 - I tipi della tortura moderna a scopo istruttorio non si differenziano gran che dai modelli classici. In materia di tortura morale, c'è però qualcosa di più raffinato, come sto per dire. Si ritrova l'antica promessa di liberazione, in cambio di confessioni e di delazioni; promessa che, di regola, non viene mantenuta, ma che può costituire una buona esca per gli ingenui e per i meno resistenti: proprio come negli antichi processi penali esisteva la promessa di impunità per il reo, che confessasse i nomi dei correi: e anche allora, come abbiamo veduto, tale promessa non era vincolante per il giudice. Spesso, si accompagnava l'offerta di essere assunti a servizio delle stesse S. S., o come informatori segreti o come membri attivi, con tutti i vantaggi economici e alimentari che ne derivano, oltre alla libertà dal timore. Queste offerte venivano fatte nei momenti più critici, nei momenti di rilassamento, dopo giorni e notti di tensione per gli interrogatori; magari in presenza di familiari delle vittime, che le rivedevano per la prima volta dopo i giorni angosciosi susseguenti alla cattura: e agli uni e alle altre si faceva balenare la liberazione a quelle condizioni come secondo corno di un dilemma, di cui il primo era la fucilazione o l'internamento in Germania. Chi scrive ha un'esperienza diretta in proposito. Si ritrova la territio verbalis et realis; come pure il logoramento dato dall'incertezza dell'esito dell'arresto e dal languire per settimane, mesi e talvolta, come in Francia, anni sotto le grinfie delle croci uncinate. Ma la novità saliente in questo campo, a cui alludevo poco fa, è costituita dalle rappresaglie verso i familiari, bambini compresi, in caso di rifiuto di confessione. A questo tipo di tortura morale si possono anche ricondurre gli arresti collettivi di intere famiglie, allo scopo ricattatorio di ottenere che i latitanti si costituissero, in cambio della liberazione dei propri cari. Ciò fu eretto a sistema, in Italia, nella ricerca di coloro che si rifiutavano di portare le armi nazi-fasciste: e costituisce, ripeto, una vera "trovata" dei nazisti. Quasi tutti i mezzi di tortura fisica conosciuti nell'antichità furono adoperati dai moderni torturatori, i quali ebbero spesso la pazienza di ricostruire, pezzo per pezzo, le ruote, gli eculei ed altri strumenti del genere. Tutto il tempo che i prigionieri trascorrevano nelle carceri tedesche o fasciste (queste ultime peggiori delle prime; ancora una volta mi sia permesso di citare la mia esperienza personale) era una tortura continua: ad alcuni di loro si negava il vitto per giorni consecutivi, si tenevano legati mani e piedi per un tempo lunghissimo, senza la possibilità di adempiere, in modo men che da bestie, alle funzioni fisiologiche dell' organismo; si rinchiudevano in celle dove, per la ristrettezza dello spazio, non era possibile stare né ritti né distesi; si tenevano svegli per notti consecutive, con l'ausilio di potenti lampade che restavano sempre accese; né le donne avevano un trattamento diverso. I tratti di corda, il fuoco sotto i piedi, i legni sotto le unghie; le frustate, l'acqua bollente furono applicati anche qui a Firenze, in Via Bolognese. Ma la novità saliente in questo campo è costituita dalle percosse, che non hanno mai fatto parte, come tali, della tortura ammessa negli antichi processi. Il che dimostrava, se ve ne fosse bisogno, quanta parte di sadismo, di brutale malvagità vi fosse nelle schiere dei nazisti, per i quali il "picchiare" costituiva una gioia selvaggia. In altri tempi, era il boia che aveva il macabro incarico di torturare i rei; nessun altro, per nessun motivo, gli avrebbe dato man forte in un mestiere che per definizione era infamante. Oggi, invece, i prigionieri politici dei nazi-fascisti vengono "picchiati" da masse di bruti, che si eccitano col bere e col numero, alla vista del sangue, e che operano scientificamente, svolgendo la loro azione direttamente sulle parti più delicate del corpo: sugli occhi, nella testa, sul naso, sulle mandibole, nello stomaco, nel basso ventre, agli stinchi. Gli interrogati sono di regola ammanettati dietro la schiena e talvolta posti in posizioni particolarmente scomode. Gli aguzzini picchiano colle mani, con frustini, con randelli, con pugni di ferro, con guanti da boxe (i prediletti di Carità). Talvolta sfoderavano i pugnali e li conficcavano per piccole profondità in più punti del corpo, oppure facevano le mosse di tagliare la gola o le orecchie, producendo vaste emorragie: metodi tristemente noti ai prigionieri del Battaglione Muti di Firenze, di cui molti furono miei compagni alla Fortezza da basso. Gli interrogatori duravano varie ore e venivano eseguiti prevalentemente di notte, interrompendo il sonno dei malcapitati cinque, sei, dieci volte per notte. Questa tortura intesa come sfogo dei più bassi istinti di gruppi d'uomini, naturalmente, non conosce limiti di sorta: e non perché essi conoscano BARTOLO e lo preferiscano a CLARO. I prigionieri dei nazisti sanno, oggi, che cosa vuol dire andare alla tortura cinque, dieci volte di seguito, nello spazio di poche settimane. Qui hanno offerto tipi di giochi come le applicazioni e hanno visto i friv giochi online, che vengono riprodotti su dispositivi e gadget, come laptop, telefoni cellulari e altri. Molti di questi giochi divertenti possono essere trovati su vari siti Web e alcuni sono gratuiti.
8 - E i risultati della moderna tortura? Non potevano essere diversi dall' antica, evidentemente: è sempre una questione di forza fisica. Ma gran peso si è visto avere oggi la forza morale, la forza della resistenza, della giustizia contro la barbarie. Chi combatte fra i volontari della libertà possiede un animo ben preparato, e assai raramente si sono visti casi di debolezza. Non si deve dimenticare, poi, che l'unica arma che restasse a chi cadeva nelle mani tedesche era il silenzio: che poteva salvare non solo amici e compagni, ma anche, talvolta, se stessi. Il tradire gli altri significava anche confessare le proprie attività clandestine, col risultato di fornire ai nemici la piena prova della propria colpevolezza di fronte alla legge marziale tedesca. È vero che i barbari nazisti non avevano bisogno della confessione dell' imputato per farne ciò che volevano; ma un ostinato silenzio impediva almeno che essi venissero in possesso dei nomi degli altri congiurati: e questa era la cosa più importante per i tedeschi e, naturalmente, per chi di noi elideva la cattura. Non contano le proprie persone, in questi casi: quel che conta è l'organizzazione: e la resistenza europea ha sopravvissuto ai tedeschi e vede e partecipa alla loro definitiva distruzione.
9 - Il velario della storia sta per scendere sul presente squarcio di barbarie: ma l'esperienza della novella tortura non può e non deve essere dimenticata nell'epoca che sta per iniziarsi. Essa ha dimostrato di quanto possa regredire l'umana civiltà quando taluni cardini di ordine morale siano posti nel nulla. L'osservazione conclusiva, che impressiona maggiormente, è la seguente: i torturatori antichi erano una piccolissima frazione di umanità, composta di mestieranti in servizio dello stato, che esercitavano il loro mestiere, pur ritenuto socialmente indispensabile, sotto un marchio d'infamia: erano i "carnefici". I moderni torturatori sono invece schiere, legioni, interi reparti, intere divisioni di S.S., divisioni corazzate, paracadutisti, Gestapo, brigate nere, milizia e cosi via. Si tratta di un fenomeno gigantesco di diseducazione morale, insomma; tutt'un popolo, e dietro di essi i simpatizzanti stranieri, hanno saputo dimenticare i principi più elementari della solidarietà umana, e vivere solo in funzione di un cieco attivismo, distruttore di ogni valore ideale. Il compito più gravoso che si profila per i vincitori è l'educazione della Germania. Si potranno raddrizzare le coscienze dei superstiti giovani tedeschi? È, se ciò sarà possibile, quanto tempo ci vorrà per distruggere il veleno che dodici anni di nazismo hanno seminato nel cuore di un popolo? I vincitori hanno dinanzi a sé un compito immane. Solo se, affiancati da tutti gli uomini di buona volontà, riusciranno a vincere questa seconda battaglia, essi avranno vinto la guerra e la pace e potrà evitarsi un altro ricorso di barbarie.
Fonte: Il Ponte - Giugno 1945, ripubblicato su http://www.gliargomentiumani.com/
Nota: La purgazione d’infamia, non è rettamente
intesa dal BECCARIA, nel cap. XII della sua opera capitale. Vedi l’esatta
definizione in VERRI GABRIELE, citato dal CANTÙ (Beccaria e il diritto
penale, Firenze, 1862 p. 222).
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