Viaggio nelle carceri francesi
Uno stato che sorveglia e punisce
di Edgar Roskis *
Le Monde diplomatique - Luglio 2001
Le indecenti condizioni di detenzione dei militanti del gruppo terroristico Action Directe sono sintomatiche dell'arbitrio amministrativo che regna nella carceri francesi. Se la situazione varia da prigione a prigione, il quadro complessivo è desolante e mostra un ritratto di una società che di fatto nega il principio di riabilitazione dei detenuti e usa le carceri come strumento di vendetta sociale.
In Francia ci sono 187 carceri e 187 regolamenti carcerari diversi. Ossia una totale assenza di regolamenti. Ne sanno qualcosa i detenuti che, quando vengono assegnati o trasferiti a un determinato carcere, pregano di non finire in qualche inferno. È un fatto risaputo: la vita quotidiana di uno stabilimento carcerario è innanzitutto l'immagine speculare della personalità del direttore del carcere. In pratica dopo essere stato sottoposto al giudizio, se viene condannato a una pena detentiva, l'imputato lascia l'aula del tribunale tra due poliziotti, e contestualmente abbandona la sfera del diritto per entrare in una zona grigia, quella dell'arbitrio amministrativo. Ecco come Jacques Lerouge racconta di essere stato accolto nella prigione centrale di Clairvaux . Il direttore del carcere, dall'alto di un podio, fiancheggiato dal suo vice e dal sorvegliante capo sentenzia: «Noi abbiamo sempre ragione e le suggerisco di imparare la lezione rapidamente». E il sorvegliante capo incalza: «Bisogna rispondere: "Sì, signor direttore" altrimenti significa che non si è d'accordo. Ma non è possibile non essere d'accordo» (1). La prigione di Caen è tutt'altra cosa, molto più gradevole (2). Lerouge viene autorizzato perfino a metter su un'orchestra. Un'iniziativa di cui, dall'esterno, è difficile immaginare le difficoltà. Anche il direttore della prigione di Toul, ove viene trasferito successivamente, è una persona garbata. Tuttavia: «L'altro giorno avevo ordinato i jack della chitarra e la guardia responsabile delle perquisizioni mi aveva portato solo i cavetti maschi dicendo che le femmine erano vietate! Da non crederci... (3)» Jean-Marc Rouillan racconta esperienze analoghe. «In carcere subisci un rifiuto dopo un altro "impossibile per motivi di sicurezza". Il piumino, autorizzato dappertutto, qui è vietato. "Impossibile per motivi di sicurezza" E le sbarre parallele per fare esercizi in cortile: "Impossibile per motivi di sicurezza"(4)». Nel gennaio 1989 e nel giugno 1994, dopo una serie di processi punteggiati da incidenti, Jean-Marc Rouillan, Nathalie Ménigon, Joëlle Aubron e Georges Cipriani, i quattro capi «storici» del ramo francese del gruppo terroristico Action Directe (5) vengono condannati definitivamente all'ergastolo, con l'aggravante di 18 anni di carcere di massima sicurezza. Condannati dalla Corte d'assise di Parigi «appositamente costituita» da sette giudici togati (6). Capi d'imputazione: assassinio del presidente della Régie Renault Georges Besse (novembre 1986), del generale René Audran, direttore delle relazioni internazionali presso il ministero della Difesa (gennaio 1985), tentato omicidio del controllore generale dell'esercito Henri Blandin (giugno 1985) e del vicepresidente della Confindustria francese (Cnpf) Guy Brana (aprile 1986), infine attentati contro i locali dell'Interpol e dell'Unione dell'Europa Occidentale (maggio 1986). A partire da febbraio 1987, Jean-Marc Rouillan era stato messo in cella d'isolamento nel carcere di Fresnes, su richiesta dei giudici Vuilemin e Bruguière. Nel maggio 1987 viene posto in regime di «semi-isolamento»: solo in cella ma con due compagni per l'ora d'aria. In agosto, brutta notizia per il detenuto: viene rimesso in isolamento con misure di massima sicurezza. Chi decide, a che livello, quando, secondo quali criteri e in base a quali direttive? È evidente che non si tratta certo di giustificare il fatto di aver commesso un reato o un omicidio, né di offendere le vittime, ma di chiedersi dove sia andato a finire lo stato di diritto. Dal dicembre 1987 all'aprile 1988, per cinque mesi Rouillan fa un primo sciopero della fame, che lo porterà in ospedale - sempre in isolamento totale - per poi ricondurlo automaticamente al carcere di Fresnes in una cella d'isolamento. Nel luglio 1988, il nuovo guardasigilli Pierre Arpaillange dichiara in Parlamento che non sarà «un ministro della tortura». Annuncia che tutti i detenuti politici (7) verranno trasferiti dal regime di isolamento al regime ordinario, con un provvedimento urgente. Rouillan viene messo in una cella normale. Ma i secondini inscenano una manifestazione davanti alla sua cella e anche la destra protesta. Michel Rocard, all'epoca primo ministro, cede. Rouillan farà parte di un gruppetto di otto detenuti che verranno rimessi in isolamento totale. A conti fatti, Rouillan avrà trascorso ben sette anni in isolamento. «Una seconda pelle» Ma cos'È l'isolamento? Una cella individuale fornita di radio e televisore, il diritto di ricevere i giornali - a condizione di essere abbonati - e la posta, che viene naturalmente censurata. A volta si ha diritto a una matita e a fogli di carta. Ma la cosa più drammatica è la totale assenza di interlocutori, ad eccezione dei propri carcerieri. «Vi sentite invischiati in una palude nebbiosa, senza contorni, senza punti di riferimento, mentre i giorni passano. Molti non resistono all'isolamento, spesso si tolgono la vita o escono di senno, come il mio compagno Cipriani. Si pensa molto. Si pensa tutto il giorno. Il cervello è sempre in moto. È un viaggio all'interno di se stessi. I muri della cella diventano una seconda pelle. E il pensiero diventa circolare. Rarissimi gli stimoli durante il giorno. Così il passato, il presente e le fantasie si confondono, in una riflessione interminabile che si avvita su se stessa, spesso con sofferenza. Perciò si parla di tortura. La gente non capisce come si possa equiparare a tortura il fatto di dover restare immobili su uno sgabello. Ma è una autentica tortura. È una tortura perché sei solo»(8). C'è di che diventare pazzi. E Cipriani lo è diventato, mentre era in carcere. «Era un tipo a posto, orgoglioso. L'ho rivisto qualche giorno fa, era distrutto. Non parla più con nessuno, vaga, i capelli e la barba incolti, sporco, ha problemi d'incontinenza. Non è in condizioni di stare in carcere», racconta un sorvegliante della prigione centrale di Ensisheim (Alto-Reno), segretario regionale del sindacato Cgt (9). Nel 1993 Cipriani viene ammesso in un ospedale psichiatrico e successivamente viene rinviato nel suo penitenziario. Non gli viene prestata nessun altra cura, come non viene sottoposta a cure Nathalie Ménigon che soffre di disturbi cardiovascolari. Questa è la rivendicazione principale di Jean-Marc Rouillan ora che è riuscito ad ottenere condizioni pressoché normali di comunicazione con Nathalie Ménigon, con cui si è sposato in carcere: chiede che il caso di Georges Cipriani venga affrontato nel modo adeguato sul piano medico. È questa la giustizia invocata dalle famiglie Besse e Audran, vittime del gruppo terrorista Action Directe? È questa la risposta alla richieste di parte civile? Sono queste le misure di riparazione per la morte di un familiare - se mai vi fosse modo di porvi riparo? È solo questo ciò che una società civile è in grado d'offrire sia alle vittime che ai colpevoli: sorvegliare e punire nelle condizioni più atroci? Eliminare i rifiuti della società Al termine delle recenti vicende del carcere di Fresnes (maggio 2001), quando sono falliti un tentativo di evasione a mezzo di elicottero e una rivolta massiccia di detenuti, l'attuale guardasigilli francese, Marylise Lebranchu, ha detto di essere preoccupata dall'insufficiente controllo nei confronti di mezzi di evasione come gli elicotteri. Intervenendo sotto la spinta di Force Ouvrière, il sindacato delle guardie carcerarie, giustamente sensibile alle lagnanze dei funzionari che, come si diceva in un'intervista realizzata da France-Info nello stesso periodo, sono «uomini responsabili della custodia di altri uomini», al ministro è sfuggita la testimonianza resa, voltando le spalle all'operatore, da una delle guardie prese in ostaggio dai due forsennati : «Non posso dire di aver simpatizzato con loro. No, simpatizzare non è il termine giusto. Tuttavia a contatto con loro mi sono reso conto che le «condanne lunghe» sono fonte di disperazione per quei detenuti e di conseguenza era prevedibile che commettessero gesti estremi». È un «secondino» ex ostaggio a dirlo. E a mettere in luce, più di quanto faccia il sindacato cui appartiene (tradizionalmente abbarbicato su questioni di sicurezza) più di quanto faccia il ministro responsabile, sopraffatto dagli eventi, la reale problematica dell'universo carcerario: qual è l'obiettivo che ci si propone? Il reinserimento, una volta scontata la pena, dei delinquenti nel circuito sociale? Questo tipo di preoccupazione è del tutto assente nella maggior parte degli stabilimenti penitenziari, ove l'unica regola che vige è quella di sorvegliare e punire. Fare piazza pulita dei «rifiuti» della società, con qualunque mezzo. In questo modo il successo è assicurato. «La commissione d'inchiesta ha constatato che nel complesso le condizioni dei detenuti nelle carceri erano spesso indegne di un paese che si vanta di essere un paladino dei diritti umani e che più volte è stato condannato dalle istanze europee giustamente severe in questi ambiti.» È il risultato di una commissione del senato, un organo certo non sospetto di idee progressiste (10). La pena di morte è stata abolita in Francia vent'anni fa. Non il suicidio.
Note:
* Giornalista, professore associato presso il dipartimento d'informazione e comunicazione dell'Università Paris-X (Nanterre).
(1) In Le Condanné à mort, di Jacques Lerouge, Stock, Parigi, 1996. Jacques Lerouge, dopo un omicidio, viene condannato a morte nel 1971. La condanna viene poi commutata in carcere a vita. Oggi è libero. Secondo Lerouge la prigione di Clairvaux è una delle più temute per le condizioni particolarmente disumane.
(2) In Francia ci sono tre tipi di stabilimenti penitenziari. Le «centrali», destinate alle condanne lunghe, in cui i detenuti dovrebbero teoricamente fruire di quattro mezze giornate di visita alla settimana. Ci sono poi le prigioni, dove, insieme agli imputati in attesa di giudizio, vi sono quelli condannati a pene brevi. Il diritto di visita per questi ultimi viene ridotto a mezz'ora la settimana. Infine, i centri di detenzione ospitano i condannati a pene intermedie.
(3) Jacques Lerouge, op. cit.
(4) Jean-Marc Rouillan, Je hais les matins, Denoël, Parigi, 2001
(5) All'epoca Action directe aveva legami soprattutto con il gruppo italiano di Prima Linea e la Rote Armee Fraktion tedesca.
(6) L'unica volta in cui Rouillan è stato giudicato da una giurisdizione
ordinaria (corte d'assise della Senna) è stato nel marzo 1981, per
le vicende dei Groupes d'action révolutionnaire internationalistes
(Gari). Sarà l'unico a essere condannato. Benché considerati
anch'essi colpevoli, i suoi complici vennero prosciolti, poiché i giurati
riconobbero loro (e solo a
loro) che «le circostanze della lotta contro una dittatura imponevano
l'illegalità delle loro attività».
(7) La categoria di detenuto politico non è comunque riconosciuta in Francia.
(8) Tratto dall' intervista realizzata per telefono nel marzo 2001 dalla prigione di Arles da Antoine Mercier e Laure de Vulpian per France-Culture, tramite Cathérine Vieu-Charier, rappresentante comunista del XX arrondissement di Parigi e membro della commissione Giustizia del Partito comunista francese (Pcf). Trasmessa giovedì 8 marzo nell'ambito del programma «Dispute» (dopo che Laure Adler , direttrice di rete era stata autorizzata da Jean Marie Cavada, presidente di Radio-France), tale colloquio, malgrado le promesse dell'amministrazione, ha comportato per la Vieu-Charier una sospensione di parlatorio di un mese.
(9) Citato da Dominique Simonnot in Libération, martedì 30 novembre 1999.
(10) Prisons: une humiliation française pour la République, rapport n° 449, 1999-2000, La Documentation française, Parigi. Si veda anche www.senat.fr (Traduzione di C. M.)