16 anni, si è tolto la vita nel carcere di Roma. Una scazzottata. Era questo il motivo per cui lo avevano arrestato. Secondo la legge non sarebbe neppure dovuto finire al Casal del Marmo.
L'avevano arrestato per una scazzottata. Tutto quello che si sa di lui è
che aveva sedici anni ed era di nazionalità rumena. In tre giorni è
finito nel carcere minorile di Casal del Marmo a Roma e dopo neppure ventiquattrore
dentro, lunedì notte, si è impiccato. La sua storia inizia alla
stazione di Pescara venerdì scorso. Insieme ad altri tre ragazzi, tutti
minorenni come lui e tutti di nazionalità rumena, aveva avuto da ridire
con un passante. Ne era nata una lite, poi la rissa, quindi l'intervento della
polizia che aveva portato tutti e quattro davanti al giudice minorile dell'Aquila.
Questo ha deciso di trasferire i ragazzi in galera, probabilmente perché
le strutture di accoglienza che generalmente ospitano i minorenni in questi
casi erano tutte piene: due di loro sono finiti nel carcere dell'Aquila e gli
altri due a Roma. Sembra che lui, il giovane che si è tolto la vita due
notti fa, avesse detto «portatemi pure dentro, ma non separatemi dai miei
amici». Sembra, perché durante l'incontro con il giudice minorile
le sue parole non sono state tradotte da un mediatore culturale ma da una donna,
rumena pure lei, che lavora nel tribunale come addetta alle pulizie. Niente
mediatori culturali e niente psicologi con cui parlare, dunque, dato che i tagli
ai fondi dedicati alla giustizia per i minorenni voluti dal ministro Castelli
non hanno fatto sconti a nessuno.
«Il carcere per minori andrebbe abolito comunque, perché i giovani
non hanno bisogno di galere ma di strumenti educativi - dice Lillo Di Marco,
presidente della consulta penitenziaria di Roma e coordinatore del piano cittadino
sul carcere - In questo caso però quello che è successo è
ancor più paradossale. Perché la legge, il Dpr 448, prevederebbe
che i giovani che hanno compiuto reati non gravissimi, anche se arrestati in
flagranza, possano usufruire del provvedimento che prevede la messa alla prova.
E invece, grazie ai tagli al sistema della giustizia minorile, non solo non
si riesce a comprendere le esigenze di questi giovani immigrati, che arrivano
da realtà di disperazione estrema, come la Romania, ma addirittura i
provvedimenti previsti dalla legge non vengono più applicati per mancanza
di fondi». Se le cose fossero andate come prevede la legge, il giovane
rumeno non sarebbe mai finito in carcere. Il testo del Dpr 448, infatti, prevede
che l'arrestato minorenne incontri il giudice entro quarantotto ore dal fermo
e che quest'ultimo, salvo reati particolarmente gravi, lo affidi a un centro
di accoglienza, o alla famiglia, con un provvedimento di «messa alla prova»,
che è quasi sempre la partecipazione ad un progetto sociale, come l'assistenza
agli anziani, la partecipazione ad un corso di avviamento al lavoro o simili.
Se il giovane rispetta la prescrizione, molto spesso il processo non si celebra
del tutto. «Ma una volta che un ragazzo finisce nel carcere minorile rimane
lì fino al momento del processo e tutto questo sistema non può
partire», conclude Di Marco.
La notizia della morte del ragazzo è stata diffusa ieri dall'assessore
al lavoro del comune di Roma, Luigi Nieri, dal garante dei diritti dei detenuti,
Luigi Manconi e da Patrizio Gonnella, portavoce dell'associazione Antigone.
«Nonostante tutti i progetti educativi attivi a Casal del Marmo - ha spiegato
Gonnella alla fine della visita - il carcere non potrà mai essere una
struttura adatta agli adolescenti. Per questo motivo bisogna lavorare a una
riforma che renda residuali queste strutture».