Quanto ci interessano le torture dei carcerieri americani sui detenuti iracheni,
e quanto ce ne infischiamo invece delle torture inflitte dagli aguzzini russi
ai combattenti ceceni prigionieri. Vorrei chiarire di cosa sto parlando. I soldati
federali in Cecenia, come gli americani in Iraq, girano spesso dei video - per
se stessi e per i loro familiari. È una tradizione. Ed è così
che si è formata un'intera videoteca sui crimini della seconda guerra
cecena.
Più di un mese fa, la Novaja Gazeta ha pubblicato alcune inquadrature
di un video di cui la redazione era entrata in possesso. Non abbiamo ricevuto
neanche una telefonata da un giornalista televisivo o da un rappresentante di
un qualunque canale televisivo di Mosca e della Russia interessato ad avere
il nastro. Magari non per mandarlo in onda, ma solo per averlo in archivio.
L'unica richiesta di questo tipo ci è arrivata da un canale privato francese,
ma anche loro si sono comportati in modo strano e mi hanno rimproverato perché
la registrazione non era stata fatta con una telecamera professionale.
Naturalmente questa non vuole essere una lamentela su come va il mondo, ma una
semplice osservazione. Lo scarso interesse dell'opinione pubblica non ha fermato
il lavoro sul nastro: io ho continuato la mia inchiesta, ho incontrato testimoni,
anche oculari, ho cercato di chiarire i particolari, di sapere cosa ne è
stato delle persone che apparivano nel video.
Annientare le personalità
Questo è il racconto di un testimone oculare. Lo chiameremo Arsbi. È
stato detenuto a Cernokozovo, un carcere di isolamento ceceno dove sono stati
portati i prigionieri e i combattenti amnistiati della zona di Komsomolskoe.
Ci siamo incontrati su mia richiesta in una capitale europea, dove Arsbi ha
trovato rifugio.
Prima l'ho pregato di cercare di riconoscere qualcuno sul nostro video. Ma poi
la conversazione è proseguita e si è ampliamo. Ecco la sua testimonianza.
"Mi hanno portato a Cernokozovo il 12 aprile 2000. Eravamo sotto il controllo
di un reparto speciale del ministero della giustizia. Nella prigione erano in
corso dei lavori di ristrutturazione che venivano fatti da detenuti provenienti
dal circondari di Stavropol: Ogni giorno di lavoro valeva per tre. Nella mia
cella c'erano prigionieri della zona di Grozny. Appartenevano al gruppo Jihad.
È così che si definivano. Wahhabiti. In un'altra cella - ma i
detenuti venivano spostati di continuo per non dargli il tempo di fare amicizia
- sono stato insieme ai combattenti di Komsomolskoe. La musica era la stessa
per tutti: io non avevo combattuto, però mi picchiavano come gli altri.
Da Cernokozovo sono uscito con addosso una maglietta. Sul rovescio ci avevamo
scritto i nomi dei miei compagni di prigionia. Mi sono messo la maglietta e
mi sono avviato all'uscita - i sorveglianti non hanno pensato che potesse contenere
delle informazioni. Ho deciso di conservare la maglietta per la storia.
Tra i combattenti della cella numero 10 c'era un russo - Aleksandr Lisnjakov,
classe 1961, della regione di Perm. Era arrivato in Cecenia tra le due guerre.
Si era convertito all'islam ed era rimasto a combattere come volontario. Poi
era stato preso prigioniero. Sasha e io siamo stati nella stessa cella per quasi
tre settimane.
A Cernokozovo lo picchiavano continuamente e molto duramente, ma lui era di
tempra più salda dei ceceni. Sono stato anche nella prigione di Pjatigorsk,
due mesi. Ma ecco, a Cernokozovo distruggevano la personalità. Un uomo
era considerato meno di una bestia. In cella non potevamo neppure parlare e
guardarci in faccia. Non potevamo sbirciare dallo spioncino della porta. Ed
era vietato pregare. Bisognava stare seduti con la testa china e gli occhi bassi.
Qualsiasi altro comportamento era considerato un tentativo di fuga.
Pregavamo di nascosto. A turno. Camminavamo pian piano nella cella in modo che
chi pregava desse le spalle allo spioncino e potesse muovere le labbra. A Cernokozovo
non resta che sperare in Dio: prima di finire in prigione non pregavo, ho cominciato
in carcere - me lo hanno insegnato i wahhabiti in cella con me.
Una volta al giorno ci portavano a fare una passeggiata - noi commentavamo,
scherzando 'Mettiamoci il giubbotto antiproiettile'. Fare la passeggiata significa
mani dietro il capo, testa bassa, e all'ordine 'Via' devi metterti a correre.
Non puoi rallentare, bisogna correre in corridoio e in cortile. Se cadi o rallenti
il passo, te le suonano.
Lo slalom e le corse
Quando arrivava 1'ora della passeggiata, tutto il personale di Cernokozovo si
radunava in cortile. Si disponevano a scacchiera e tutti avevano qualcosa in
mano: manici di vanga, bastoni, manganelli... per picchiarti. Di giorno è
l'unico divertimento. Tu fai lo slalom e tutti ti pestano. Fino al cortile della
passeggiata. Anche là bisogna correre, ma in cerchio. Se qualcuno inciampava
lo bastonavano. Ma se uno cadeva tutti gli altri finivano addosso a lui, perché
non si poteva rallentare e nessuno riusciva a vedere bene davanti a sé:
la testa doveva essere china.
E così uno cadeva, gli altri gli finivano addosso - e loro pestavano
tutti. Il principio era sempre lo stesso: più uno è forte più
bisogna suonargliele.
Nella cella numero 2 sono stato con Umarov Magomed, che aveva combattuto per
Komsomolskoe. Classe 1978. Wahhabita. Era stato ferito a una gamba. Lo gonfiavano
da far paura. Con Umarov sono rimasto per circa quattro settimane, poi mi hanno
trasferito.
I wahhabiti le guardie li chiamavano 'waha'. Gridavano 'Sei waha?'. Uno prima
non capiva cosa volessero dire, e rispondeva: "No, mi chiamo Magomed".
I secondini andavano in bestia e lo picchiavano. Ricordo Ajndi, sedici anni,
del villaggio di Valerik. Ajndi era uno di quelli che puoi picchiarlo finché
vuoi, ma non si piega. Era privo di qualsiasi istruzione. Non era mai andato
a scuola. Non sapeva scrivere. Quando arrivò in cella aveva la testa
coperta di cicatrici. Aveva combattuto a Komsomolskoe.
A Cernokozovo sono stato anche con gli uomini di Gantamirov - un leader ceceno
che si era schierato con i russi, ma poi ha preso le distanze da Kadyrov. Gli
avevano dato l'articolo 105, omicidio. Erano quelli che avevano attaccato Grozny,
i primi a penetrare in città; poi i russi li avevano messi a difendere
il posto di blocco. Dopo c'è stato un misterioso incidente con i federali.
E a quel punto li hanno arrestati.
A Cernokozovo ho visto anche delle donne - dodici in tutto. C'era una russa,
la moglie di un comandante di campo. L'hanno fucilata. Aveva con sé la
figlia, una ragazzina di 16 anni. Però le donne non le picchiavano. Le
fucilavano e basta. Lena gridava dalla sua cella, ogni volta che sentiva picchiare
gli altri: 'Fascisti! Belve! Smettetela!'. E batteva freneticamente i pugni
sulla porta. Dicevano di averla uccisa durante un tentativo di fuga.
Nella cella numero 3 ho incontrato Aleksej Beljakov di Karaganda. Il suo nome
da musulmano era Sulman. Aveva combattuto. Diceva di essere stato campione olimpico
di biathlon, Poi era finito in un giro di racket a Karaganda, e si era ritrovato
in Cecenia con loro. Si era convertito all'islam, aveva combattuto ed era stato
catturato. Non so che fine abbia fatto.
I passatempi della notte
Una volta portarono delle persone massacrate di botte. Ci tirarono fuori dalle
celle per scaricarli. Erano molto sporchi, ma ancora vivi. Alcuni di loro erano
coscienti. Non potevamo parlare, solo scambiarci delle occhiate. Ci dissero
di ammucchiarli in una stanza. Poi morirono.
Di notte ci facevano uscire spesso dalle celle. Cominciava la parte 'più
interessante', come dicevano i secondini. La porta si apre - sulla soglia appaiono
sei uomini. Ti picchiano, ti trascinano nelle loro stanze e ti picchiano ancora.
Faccia al muro, manette - e giù con i martelli di legno, dove vogliono.
Con quegli stessi martelli ci facevano correre da una stanza all'altra. Ci guidavano
come somari. Ti picchiano a destra - corri a sinistra. Ti bastonano a sinistra
- corri a destra. La testa deve essere sempre china. E così arrivi in
un posto dove è seduto un uomo, uno che ci gode a tormentare gli altri.
Chiede: 'Dov'è Maskhadov?'. Risposta: 'Non ne ho la più pallida
idea'. E allora succede di tutto. Giù con le pinze. Con la corrente elettrica
in tutto il corpo. Oppure alza il cane della pistola: 'Se mi dici dov'è
Maskhadov ti salvi la pelle. Altrimenti muori subito'. C'era un tipo piccoletto,
rosso. Ce la metteva tutta. Cercava di farti più male possibile. Ti veniva
una voglia terribile di reagire e morire subito. Quando prendevano qualcuno
per portarlo nelle stanze, gli altri cominciavano a pregare. La cosa peggiore
era sentirli pestare qualcuno. I lamenti, le urla, i gemiti si sentivano benissimo.
Era terribile soprattutto quando toccava ai più giovani. Ma l'uomo si
abitua a tutto... Una volta ci fanno uscire di cella e ci ordinano: 'Gridate:
Allah è un maiale!'. E noi abbiamo gridato... Sasha Lisnjakov prima di
Cemokozovo era stato a Khankala, e diceva: 'Qui è meglio'. Là
era rimasto nudo, a febbraio, in una fossa piena di cadaveri. Diceva: 'In un
primo momento non ce l'ho fatta, ma poi mi sono seduto e sono rimasto lì
sui cadaveri - non c'era niente da fare. Ci tiravano fuori dalle fosse - e ci
colpivano sulle gambe con dei tubi'.
Ci sognavamo il pane - da mangiare non c'era quasi niente. Acqua calda nella
ciotola e un pezzo di pane al mattino. A pranzo una specie di polentina. E la
sera soltanto acqua calda. Adesso voglio solo vivere. È una grande fortuna
essere vivi, mentre gli altri sono morti. Bisogna saperlo apprezzare. Mi hanno
rilasciato il 5 ottobre 2000. L'ordine di liberazione era stato redatto due
settimane prima. Mi dissero di firmare una dichiarazione che non avevo reclami
da sporgere".
La Novaja Gazeta denuncia
La Novaja Gazeta si è interessata a vari casi di persone scomparse in
Cecenia. Anzitutto i fratelli Arbi e Adam Citaev, arrestati nell'aprile del
2000 nella loro casa di Ackha-Martan, tenuti in carcere a Cernokozovo e torturati.
Diversamente dal solito, però, la loro famiglia si è rivolta alla
Corte europea di Strasburgo per i diritti dell'uomo, che sta esaminando il caso
(numero 593334/00). Il governo russo ha risposto alle richieste scritte della
Corte negando ogni abuso. La Novaja Gazeta ha pubblicato l'appello dei familiari,
che cercano persone in grado di testimoniare. Ali Eldiev, nato nel 1970, è
stato prelevato per strada vicino a casa sua (città di Argun, via Kavkazkaja),
1'11 marzo 2001 da un gruppo di militari. Durante il rastrellamento sono stati
sequestrati 30 uomini, cinque dei quali sono stati in seguito ritrovati morti
con segni di atroci torture, mentre altri undici, fra cui Arbi, risultano scomparsi.
Si sa solo che furono caricati su un elicottero militare. Non si hanno più
notizie di Magomad Buvajsar, prelevato il 27 ottobre 2002 nel villaggio di Mesker-jurt.
Il 5 marzo 2004 un gruppo di militari con il viso coperto ha prelevato dalla
sua casa nella città di Shali il ventisettenne Islam Bazaev, disabile,
che è stato sottoposto a interrogatori, ripetutamente picchiato e torturato
prima di essere abbandonato in un campo. Bazaev ha sporto denuncia alla procura
di Shali. Nessuna reazione.
Fonte: pubblicato in italiano su Internazionale, n. 542, giugno 2004 con il titolo "L'altra Abu Ghraib", traduzione di Giuseppina Cavallo