Una donna nordcoreana ripercorre i tre mesi trascorsi in una prigione cinese. Fu arrestata nel 2001, mentre cercava di fuggire, attraverso la Cina, in Corea del Sud.
I suoi ricordi sono fermi a due anni fa, a quei tre mesi trascorsi in carcere. Aveva tentato di fuggire dalla fame e dalla povertà. Ma la polizia l’aveva catturata. Kim Ok Joo aveva passato il confine tra la Corea del Nord (il suo Paese) e la Cina settentrionale con un passaporto falso. Kim fu arrestata alla fine del 2001, mentre attraversava la provincia cinese dell’Inner Mongolia. Una volta in carcere, i poliziotti cinesi le portarono via ogni risparmio. “Avevo nascosto alcuni soldi nei vestiti”, ricorda.
“La polizia cinese ci torturava, chiedendoci di dire chi ci aveva aiutato a scappare”, racconta alla Radio Free Asia dalla capitale sudcoreana, Seoul, dove è arrivata nel corso del 2003. “Se ci rifiutavamo di rispondere – continua – ci appendevano ai pali della luce fuori. Era inverno. Faceva freddo. Ci tolsero anche le scarpe”.
Il timore più grande era quello di essere rimpatriati. “Credevamo che ci avrebbero condannato a morte una volta tornati in Corea del Nord”. Per questo chi aveva più forze, un gruppo di uomini, cercò una via di fuga . “Fecero un buco nel tetto e uscirono. Ma furono presi quasi subito”, spiega Kim. “Li picchiarono con dei tubi elettrici. Li ho sentiti urlare”.
“Le guardie non ebbero pietà neanche di una donna incinta”,
dice Kim.
“La giovane ruppe le acque intenzionalmente. Pensava che l’avrebbero
rilasciata per partorire. Invece, la picchiarono. Iniziò a sanguinare
e finì in ospedale”.
Passarono tre mesi e la rilasciarono. Tornò a casa per un anno circa. Poi abbandonò di nuovo la sua terra nel gennaio 2003 e riuscì a raggiungere Seoul.
Sono almeno 30mila i nordcoreani che hanno oltrepassato la frontiera cinese illegalmente. Dicono di scappare dalla miseria e dalla repressione. La Cina continua a rifiutare di dargli asilo politico. Una volta rimandati in Corea del Nord, vengono di solito torturati o reclutati nei campi di lavoro. Come ha denunciato Amnesty International nel suo ultimo rapporto, Pechino continua a non rispettare la Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951, firmata anche dalla Cina. Nell’ultimo anno la repressione contro gli esuli nordcoreani è stata intensificata ed estesa alle persone sospettate di averli aiutati. Sempre secondo Amnesty, i metodi di tortura più comuni nelle carceri cinesi comprendono scosse elettriche, incatenamento, sospensione per le braccia, privazione del cibo e del sonno, percosse, calci.