Il criminale nella società libertaria
di Stephen Cullen

Come difendersi da un individuo che uccide molte persone o perché colto da raptus omicida o perché odia i suoi simili? Grazie alla metafora del pazzo con la scure in mano che distrugge tutto e tutti quelli che incontra, Stephen Cullen analizza il problema di questa particolare forma di devianza nella società libertaria. Cullen insegna economia politica nell'inglese Open University. Recentemente ha pubblicato Children in Society: A Libertarian Critique.

Discutendo sulla natura dell'utopia con la sua banda, i Fuorilegge, William Brown immagina, negli anni Venti, un paradiso infantile nel quale, come egli dice: "Ho intenzione di rompere dieci finestre al giorno. Scommetto che mi divertirò più di chiunque altro al mondo". Un anarchico sosterrà forse che in una società anarchica un atto di questo genere non sarebbe necessariamente visto come un reato e che, una volta libero dalle restrizioni degli adulti, l'eroe del romanzo di Richmal Crompton Just William non sentirebbe più il bisogno di spaccare indiscriminatamente i vetri delle finestre. Eppure, una delle principali obiezioni che si muovono all'anarchismo è dettata dal timore del diffondersi del crimine. Anzi, l'uso distorto del termine che normalmente si fa, intendendo per anarchia non un ordine naturale, ma il caos, porta a considerare che in una società anarchica il debole sia sempre vittima della violenza del più forte.
     Errico Malatesta sosteneva che questa era un'obiezione da prendere sul serio, proprio perché si riferiva a una convinzione tanto diffusa. Egli affermava inoltre che il crimine "non scomparirà certamente da un momento all'altro in seguito a una rivoluzione ... [e] potrebbe perfino essere causa di sconvolgimento e di disintegrazione in una società di uomini liberi, proprio come un insignificante granello di sabbia può bloccare il meccanismo più perfetto" (Errico Malatesta: his life and ideas, a cura di Vernon Richards, Freedom Press, Londra, 1984). Ciò nonostante, sembra che Malatesta abbia avuto qualche difficoltà sulla questione del crimine (che egli definiva un'azione che "viola il diritto altrui all'uguaglianza e alla libertà") in una società anarchica, e le soluzioni che proponeva comportavano un certo grado di fiducia in quello che potrebbe rivelarsi come puro linciaggio, per non parlare delle misure eugenetiche da prendere nei confronti di coloro che "procreano, se ci sono ragioni di credere che la loro progenie non sia sana o felice".
     Parte del problema sollevato da Malatesta deriva dal concetto di rivoluzione anarchica raggiungibile attraverso uno o più interventi insurrezionali. Una volta che l'insurrezione abbia trionfato e lo stato sia morto, i rivoluzionari potranno stabilire nuovi rapporti basati sui principi dell'anarchia. Tuttavia, come ammetteva Malatesta, questo non porterà immediatamente alla scomparsa dei vecchi comportamenti, compreso quello criminale. Anche quando fossero accettati i nuovi valori post-rivoluzionari che portano alla scomparsa di quasi tutte le attività criminali, resterebbe ancora il problema di quei "pochi [che] nascono o diventano mostri sadici e assetati di sangue, la cui morte non sapremmo come piangere".
     In altre parole, anche all'interno di un'utopia anarchica ci troveremmo sempre davanti, forse, al serial killer o al pistolero folle. Ovvero, l'anarchia dovrebbe ancora fare i conti con lo spettro del pazzo con la scure in mano.
     Quegli anarchici che, come Malatesta, hanno una fiducia illimitata nel concetto di "insurrezione trionfante", si troveranno inevitabilmente davanti al problema di un'esplosione criminale, dovuta alla permanenza di comportamenti presi nella precedente situazione autoritaria. Chi deve ancora imparare che cosa sia la responsabilità sociale, ne dimostrerà ben poca, come chi non ha preso ancora coscienza dei vantaggi di un'organizzazione libertaria della società. In questa situazione, gli anarchici si ritroverebbero ben presto a portarsi come un sostituto delle forze di polizia, reagendo ai violenti attacchi antisociali con la violenza.
     Anche in questo caso Malatesta riconosceva il problema, e teneva che "sotto ogni punto di vista l'ingiustizia, la transitoria violenza popolare è preferibile alla plumbea norma, alla lenza legalizzata di stato esercitata dalla magistratura e a polizia". Un'idea che sembra molto vicina allo spirito da "giustiziere della notte" e da linciaggio: chi può dire se quest'onere di intervento poliziesco (la violenza popolare) sia davvero "transitoria"; in queste misure "provvisorie" possono ben trovarsi i germi di un nuovo stato.
     Un programma alternativo prenderebbe in considerazione la realizzazione graduale dell'anarchia, in modo da potervi arrivare in seguito a un lungo processo di apprendimento, che toccherebbe forse più generazioni, fino a scavalcare e ad abbandonare i vecchi metodi di organizzazione sociale. Un processo che rispecchierebbe la famosa frase di Gustav Landauer, secondo il quale "lo stato non è qualcosa che si possa distruggere con una rivoluzione, ma è una condizione, un certo rapporto tra esseri umani, una modalità del comportamento umano: lo distruggiamo stabilendo nuove relazioni, comportandoci in modo diverso". Il punto centrale qui non è il trionfo di una serie di insurrezioni, ma il successo dell'educazione e della propaganda anarchica e del diffondersi della convinzione che l'anarchia sia una visione positiva da offrire al posto del caos universale di oggi, prodotto dallo statalismo e dal libero mercato. Perciò la rivoluzione anarchica segnerebbe la realizzazione di una modifica sostanziale della cultura civile, e non sarebbe una realizzazione parziale, nella quale vasti campi della vita sociale resterebbero ancora sotto il dominio dei vecchi valori. La trasformazione della cultura civile, che è un prerequisito alla conquista dell'anarchia, vedrebbe la fine delle culture caratterizzate dall'accettazione di valori relativi allo stato, all'autorità, alla competitività, alla gerarchia e alla divisione sociale. Al contrario la cultura civile dell'anarchia sarebbe contrassegnata dai valori libertari, egualitari, di cooperazione, comunità e unità. Certamente, qui siamo davanti al presupposto che il trionfo di questa cultura civile garantisca che non si manifestino più quegli atti di violenza chiamati crimini. Tutto quanto sostenuto fino a questo punto è semplicemente che raggiungendo l'anarchia attraverso un processo di crescita e non con una rivoluzione insurrezionale eviteremmo quel genere di intervento poliziesco di cui parla Malatesta. Ma l'anarchia, comunque raggiunta, saprà vedere la scomparsa del pazzo con la scure in mano?
     La maggior parte delle vittime di omicidi è costituita da persone conosciute dai propri assassini, per esempio nel caso molto diffuso di omicidi familiari; oppure si diventa vittime per una ragione specifica, come l'appartenenza a una banda rivale. I delitti di questo genere possiedono, entro certi limiti, una base razionale e si verificano in ambiti ristretti e con frequenza limitata. Invece, i delitti che riguardano quello che abbiamo scherzosamente definito il pazzo con la scure in mano appartengono a una categoria a parte, che comprende i serial killer e i solitari che si dedicano agli omicidi di massa, scegliendo di solito come vittime persone che essi conoscono poco o niente e nei confronti delle quali non hanno particolari motivi di astio. Ci sono parecchi casi recenti e celebri di questo tipo. In Inghilterra c'è quello di Michael Ryan, che da solo aggredì a fucilate gli abitanti di Hungerford, uccidendo o ferendo chiunque gli si parasse davanti; episodi di questo genere si sono ripetuti con una certa frequenza negli ultimi anni sia negli Stati Uniti sia in Australia. Peter Suteliffe, lo "Squartatore dello Yorkshire" è il caso tipico di assassino maschio che sceglie le sue vittime solo perché sono donne; un caso ancora peggiore è quello dell'americano Ted Bundy, che uccise più di trenta donne. Fra gli assassini di omosessuali possiamo ricordare lo scozzese Dennis Nielsen, che ammazzò quindici o sedici ragazzi, per lo più omosessuali, e, in America, Bob Berdella, violentò, torturò e uccise sei giovani di sesso maschile. Il caso più grave di omicida a sfondo sessuale, in questo caso con vittime occasionali di entrambi i sessi, è stato quello di Andrei Chikatilo, il "Macellaio di Rostov", che abusò sessualmente, violentò, uccise e in certi casi divorò pezzi delle sue cinquantadue vittime.
     In Italia la polizia ha annunciato di recente l'arresto del supposto "Mostro di Firenze", Pietro Pacciani che si sarebbe specializzato nel brutale omicidio di giovani coppie sorprese insieme: sedici casi in quattordici anni. La domanda si pone è: l'anarchia, una volta affermatasi, saprebbe affrontare questo genere di delitti con più efficacia delle attuali età dotate di governo?
     Uno dei celebri cartoni della serie "Wildcat" di Donald fa vedere un piedipiatti che chiede maggiori finanziamenti, giustificandosi col fatto che "gli incendi dolosi, rapine e gli omicidi sono in aumento": ottiene quanto vuole, poi procede all'arresto di zingari, drogati, prostitute e immigrati, in effetti di chiunque, tranne i piromani, i rapinatori e gli assassini. La semplice verità, come può dirvi qualsiasi poliziotto, è che la polizia può fare ben poco contro gli omicidi occasionali. Dalla fine dell'estate del 1992 ci sono state numerose spaventose uccisioni di donne in Inghilterra: quelle di Ieri Gorrie, di Rachel Nickell, di Katie Rackliff, di Joanna Yung e di Claire Tilman, tutte vittime di aggressioni casuali. Sembra che la polizia non abbia fatto grandi progressi nelle indagini sugli omicidi in nessuno di questi casi.
     Nonostante la caccia ostinata allo "Squartatore delloYorkshire" per esempio, è stato l'intervento di due poliziotti in normale servizio di pattuglia che ha portato alla cattura e all'arresto di Peter Suteliffe. Qualcuno potrebbe forse dire che questo è allora necessario avere una società ancor più poliziesca. Eppure il peggiore serial killer degli ultimi anni, Andrei Chikatilo, il "Macellaio di Rostov" operava nella società più poliziesca d'Europa, nell'Urss. Perciò rafforzare il servizio di polizia non è la risposta giusta contro il pazzo con la scure in mano, ma il problema va affrontato all'origine e può darsi che l'origine di questi delitti si ritrovi nella natura stessa della società. Un'argomentazione contro la tesi che attribuisce a vari aspetti della società, e soprattutto alla cultura civile prevalente, la responsabilità della creazione di mostri come Chikatilo, è quella che sostiene che questi uomini, perché soprattutto di uomini si tratta, sono malati congeniti. Se le cose stanno così, gli anarchici si trovano davanti a quello che risulta essere un problema insormontabile.
     Se, per colpa di una disfunzione genetica individuale, l'utopia anarchica fosse rovinata da questi assassini, un intervento sarebbe indispensabile. Che cosa farebbero gli anarchici: ucciderebbero gli assassini, li segregherebbero? Se si operasse una di queste scelte, la società anarchica sarebbe minata dall'esistenza di boia o di prigioni anarchiche.
     Ma si tratta davvero di scelte? Invece, può darsi che il folle con la scure sia davvero e soprattutto il prodotto di forme non libertarie di organizzazione sociale. I pluriomicidi che abbiamo citato prima sembrano tutti presentare alcune evidenti caratteristiche, nella loro personalità e/o nella natura dei crimini commessi. E queste caratteristiche sembrano essere tutte in rapporto con certi riflessi dell'organizzazione sociale, laddove la cultura civile si manifesta come competizione, emarginazione sociale, autoritarismo, militarismo e sessismo.
     Pare che Michael Ryan, il "pistolero di Hungerford", sia stato, come molti pluriomicidi, un individuo particolarmente isolato. L'isolamento e la solitudine sembrano aspetti tipici delle società a capitalismo avanzato. In Gran Bretagna, per esempio, la maggior parte dei nuclei familiari è costituita da persone che vivono sole. Certo, questo non vuol dire che quelle persone siano tutte dei tipi solitari, o che siano più portate all'omicidio di altre. Anzi, date le alte percentuali di violenza e di omicidi che si verificano all'interno dell'ambito familiare, si potrebbe sostenere proprio il contrario. Comunque l'organizzazione della società, al momento presente, fa sì che molte persone siano più vulnerabili alla depressione e alla frustrazione provocate dalla solitudine. Quella specie di odio indistinto nei confronti dei suoi concittadini di Hungerford, dimostrato da Ryan, deve essere stato in qualche misura un riflesso del suo isolamento e del suo disagio sociale. Ciò nondimeno, altri fattori hanno chiaramente avuto un ruolo nella vicenda.
     Il più importante fra questi è un tratto abbastanza comune molti folli sparatori: l'interesse nelle attrezzature belliche, nell'organizzazione e nella vita militare. Questo è un chiaro riflesso di quella specie di militarismo che pervade la società. In Inghilterra c'è una lunga tradizione militare, che ha conservato un notevole fascino e un consenso popolare, soprattutto per il fatto, spesso fortuito, che l'Inghilterra non ha più perso a guerra dopo quella per l'indipendenza americana.
     Due secoli di vittorie militari, oltre al prestigio dell'impero, hanno reso la società britannica molto più militarista di quanto molti non siano disposti ad ammettere. E negli anni recenti il paese si è trovato coinvolto in una serie di avventure militari, dalle Falkland al Golfo persico, che hanno rafforzato posizione dei militari all'interno della società. Non a caso i killer del tipo di Ryan sono spesso ossessionati dalle attività e dall' armamentario degli assassini con licenza di uccidere che sono gli uomini del Sas. Quando la società attribuisce un'attrattiva alle attività delle squadriglie di bombardieri e degli agenti provocatori, le scusa e le sostiene, non dobbiamo sorprenderci se poi ci sono individui che cercano di concretizzare proprie fantasie omicide, che derivano, almeno in parte, dal militarismo della società.
     Tre famosi pluriomicidi, Peter Suteliffe, Ted Bundy e l'assassino di New York, Arthur Shawcross, sceglievano le loro vittime solo tra le donne. La frequenza di pluriomicidi che mirano solamente alle donne è un'altra importante caratteritica di questo genere di delitti, che ha anche sollecitato attenzione critica da parte delle femministe.
     Pur essendoci molte teorie contrastanti che cercano di piegarne i particolari, la realtà di fondo è che le donne non sono trattate come eguali in una società dominata dai maschi. Le donne sono disprezzate e diventano l'oggetto su cui gli uomini scaricano le proprie frustrazioni, attribuibili alla personale mancanza di potere oppure di natura sessuale. Il brutto è che l'odio per le donne è una condizione comune nelle società autoritarie. Gli aspetti culturali di questo fenomeno sono molteplici, e gli esempi estremi rappresentati dai Sutcliffe, dai Bundy e dai Shawcross di tutto il mondo non sono che i peggiori di una cultura che tende a non considerare molte donne come esseri umani.
     Le origini del sessismo in occidente, che ha prodotto uomini del tipo di Bundy, sembrano potersi ritrovare negli imperativi etici del cristianesimo, che ha costruito una nuova ideologia nella forma della tradizione giudaico-paolina, definendo i rapporti di potere tra uomini e donne. Altre religioni importanti, come l'ebraica o l'islamica, hanno svolto lo stesso ruolo, legittimando le strutture anti-femminili e il disprezzo nei confronti delle donne. Nel mondo occidentale c'è chi sostiene che stiamo oramai vivendo in un'epoca post-cristiana. Sarà forse vero nel senso che pochi stati ritengono di doversi sottomettere alla religione organizzata (anche se le recenti esibizioni pubbliche di Bill Clinton in preghiera davanti alla tomba di John Kennedy e l'affermazione di George Bush, secondo la quale i bombardieri americani che ammazzavano gli iracheni "facevano il lavoro di Dio", lasciano qualche dubbio anche su questo), ma l'eredità di duemila anni di disprezzo nei confronti delle donne non è facile da cancellare, come non lo sono le innaturali restrizioni etiche del cristianesimo, con le sue assurde convinzioni sulla castità, l'affermazione dell'incredibile idea di una vergine madre e la sua omofobia.
     Molti di coloro che non si dichiarano più cristiani praticanti (come fa il sessanta per cento degli americani, per esempio) sono ancora segnati da questo moralismo repressivo. Può darsi benissimo che i sei omicidi compiuti da uomini come Nielsen e Berdella siano dovuti a una combinazione di senso di colpa omosessuale e di sessualità repressa. E se è davvero così, ancora una volta, possiamo vedere gli effetti parziali della società in cui questi omicidi a sfondo sessuale si sono svolti.
     Se il pluriomicida, il pazzo con la scure in mano, è sostanzialmente un prodotto della società come tale, la realizzazione di una società anarchica dovrebbe dare soluzione al problema. Perché quella anarchica è una società caratterizzata da una cultura civile libertaria, ugualitaria, cooperativa, comunitaria, pacifista. Certo, la strada verso la meta dell'anarchia ha la sua importanza. Se, come pensava Malatesta (che scriveva in epoca diversa e con una prospettiva differente), la strada scelta deve passare attraverso i metodi insurrezionali, gli anarchici vedranno senza dubbio i propri sogni rovinati da chi non è ancora convinto dell'anarchia e, cosa che sarebbe ancora più negativa per il programma anarchico, dagli anarchici stessi. Perché essi sarebbero costretti, come ammetteva Malatesta, a compiere azioni violente, coercitive e a svolgere organizzate di tipo poliziesco e carcerario.
     Se invece si accetta l'analisi di Landauer, e si pensa di dover stabilire altri rapporti e comportamenti l'utopia anarchica verrà poco a poco realizzata e si svilupperà sempre di più una cultura civile che contrasta gli effetti corrosivi di quella attuale. C'è sempre la possibilità che qualcuno tra la schiera dei folli con la scure sia un delinquente congenito: un fenomeno che presenterebbe la peggiore prospettiva. In questo caso, o che si tratterebbe di un'infima minoranza, infiammata dalla natura autoritaria della società odierna. Se pur continuassero a esistere e non fossero trasformati da una positiva influenza sociale, si correrebbero gli stessi rischi sia nello stato poliziesco sia nell'utopia anarchica. Il che lascerebbe un problema ridotto rispetto a quello dell'attuale cultura omicida, pur sempre presente. C'è qualcuno che ha una risposta?

Fonte: pubblicato sulla rivista Volontà, antologia monografica del 1994 Delitto e Castigo.

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