Discutendo sulla natura dell'utopia con la sua banda, i Fuorilegge, William
Brown immagina, negli anni Venti, un paradiso infantile nel quale, come egli
dice: "Ho intenzione di rompere dieci finestre al giorno. Scommetto che mi
divertirò più di chiunque altro al mondo". Un anarchico sosterrà forse che
in una società anarchica un atto di questo genere non sarebbe
necessariamente visto come un reato e che, una volta libero dalle
restrizioni degli adulti, l'eroe del romanzo di Richmal Crompton Just
William non sentirebbe più il bisogno di spaccare indiscriminatamente i
vetri delle finestre. Eppure, una delle principali obiezioni che si muovono
all'anarchismo è dettata dal timore del diffondersi del crimine. Anzi, l'uso
distorto del termine che normalmente si fa, intendendo per anarchia non un
ordine naturale, ma il caos, porta a considerare che in una società
anarchica il debole sia sempre vittima della violenza del più forte.
Errico Malatesta sosteneva che questa era un'obiezione da prendere sul
serio, proprio perché si riferiva a una convinzione tanto diffusa. Egli
affermava inoltre che il crimine "non scomparirà certamente da un momento
all'altro in seguito a una rivoluzione ... [e] potrebbe perfino essere causa
di sconvolgimento e di disintegrazione in una società di uomini liberi,
proprio come un insignificante granello di sabbia può bloccare il meccanismo
più perfetto" (Errico Malatesta: his life and ideas, a cura di Vernon
Richards, Freedom Press, Londra, 1984). Ciò nonostante, sembra che Malatesta
abbia avuto qualche difficoltà sulla questione del crimine (che egli
definiva un'azione che "viola il diritto altrui all'uguaglianza e alla
libertà") in una società anarchica, e le soluzioni che proponeva
comportavano un certo grado di fiducia in quello che potrebbe rivelarsi come
puro linciaggio, per non parlare delle misure eugenetiche da prendere nei
confronti di coloro che "procreano, se ci sono ragioni di credere che la
loro progenie non sia sana o felice".
Parte del problema sollevato da Malatesta deriva dal concetto di rivoluzione
anarchica raggiungibile attraverso uno o più interventi insurrezionali. Una
volta che l'insurrezione abbia trionfato e lo stato sia morto, i
rivoluzionari potranno stabilire nuovi rapporti basati sui principi
dell'anarchia. Tuttavia, come ammetteva Malatesta, questo non porterà
immediatamente alla scomparsa dei vecchi comportamenti, compreso quello
criminale. Anche quando fossero accettati i nuovi valori post-rivoluzionari
che portano alla scomparsa di quasi tutte le attività criminali, resterebbe
ancora il problema di quei "pochi [che] nascono o diventano mostri sadici e
assetati di sangue, la cui morte non sapremmo come piangere".
In altre parole, anche all'interno di un'utopia anarchica ci troveremmo
sempre davanti, forse, al serial killer o al pistolero folle. Ovvero,
l'anarchia dovrebbe ancora fare i conti con lo spettro del pazzo con la
scure in mano.
Quegli anarchici che, come Malatesta, hanno una fiducia
illimitata nel concetto di "insurrezione trionfante", si troveranno
inevitabilmente davanti al problema di un'esplosione criminale, dovuta alla permanenza di comportamenti presi nella precedente
situazione autoritaria. Chi deve ancora imparare che cosa sia la
responsabilità sociale, ne dimostrerà ben poca, come chi non ha preso ancora
coscienza dei vantaggi di un'organizzazione libertaria della società. In
questa situazione, gli anarchici si ritroverebbero ben presto a portarsi come
un sostituto delle forze di polizia, reagendo ai violenti attacchi antisociali
con la violenza.
Anche in questo caso Malatesta riconosceva
il problema, e teneva che "sotto ogni punto di vista l'ingiustizia,
la transitoria violenza popolare è preferibile alla plumbea norma,
alla lenza legalizzata di stato esercitata dalla magistratura e a polizia".
Un'idea che sembra molto vicina allo spirito da "giustiziere della
notte" e da linciaggio: chi può dire se quest'onere di intervento
poliziesco (la violenza popolare) sia davvero "transitoria"; in queste
misure "provvisorie" possono ben trovarsi i germi di un nuovo stato.
Un programma alternativo prenderebbe in considerazione
la realizzazione graduale dell'anarchia, in modo da potervi arrivare
in seguito a un lungo processo di apprendimento, che toccherebbe forse
più generazioni, fino a scavalcare e ad abbandonare i vecchi
metodi di organizzazione sociale. Un processo che rispecchierebbe la
famosa frase di Gustav Landauer, secondo il quale "lo stato non è
qualcosa che si possa distruggere con una rivoluzione, ma è una
condizione, un certo rapporto tra esseri umani, una modalità
del comportamento umano: lo distruggiamo stabilendo nuove relazioni,
comportandoci in modo diverso". Il punto centrale qui non è il
trionfo di una serie di insurrezioni, ma il successo dell'educazione
e della propaganda anarchica e del diffondersi della convinzione che
l'anarchia sia una visione positiva da offrire al posto del caos universale
di oggi, prodotto dallo statalismo e dal libero mercato. Perciò
la rivoluzione anarchica segnerebbe la realizzazione di una modifica
sostanziale della cultura civile, e non sarebbe una realizzazione parziale,
nella quale vasti campi della vita sociale resterebbero ancora sotto
il dominio dei vecchi valori. La trasformazione della cultura civile,
che è un prerequisito alla conquista dell'anarchia, vedrebbe
la fine delle culture caratterizzate dall'accettazione di valori relativi
allo stato, all'autorità, alla competitività, alla gerarchia
e alla divisione sociale. Al contrario la cultura civile dell'anarchia
sarebbe contrassegnata dai valori libertari, egualitari, di cooperazione,
comunità e unità. Certamente, qui siamo davanti al presupposto
che il trionfo di questa cultura civile garantisca che non si manifestino
più quegli atti di violenza chiamati crimini. Tutto quanto sostenuto
fino a questo punto è semplicemente che raggiungendo l'anarchia
attraverso un processo di crescita e non con una rivoluzione insurrezionale
eviteremmo quel genere di intervento poliziesco di cui parla Malatesta.
Ma l'anarchia, comunque raggiunta, saprà vedere la scomparsa
del pazzo con la scure in mano?
La maggior parte delle vittime di omicidi è costituita da persone conosciute
dai propri assassini, per esempio nel caso molto diffuso di omicidi
familiari; oppure si diventa vittime per una ragione specifica, come
l'appartenenza a una banda rivale. I delitti di questo genere possiedono,
entro certi limiti, una base razionale e si verificano in ambiti ristretti e
con frequenza limitata. Invece, i delitti che riguardano quello che abbiamo
scherzosamente definito il pazzo con la scure in mano appartengono a una
categoria a parte, che comprende i serial killer e i solitari che si
dedicano agli omicidi di massa, scegliendo di solito come vittime persone
che essi conoscono poco o niente e nei confronti delle quali non hanno
particolari motivi di astio. Ci sono parecchi casi recenti e celebri di
questo tipo. In Inghilterra c'è quello di Michael Ryan, che da solo aggredì
a fucilate gli abitanti di Hungerford, uccidendo o ferendo chiunque gli si
parasse davanti; episodi di questo genere si sono ripetuti con una certa
frequenza negli ultimi anni sia negli Stati Uniti sia in Australia. Peter
Suteliffe, lo "Squartatore dello Yorkshire" è il caso tipico di assassino
maschio che sceglie le sue vittime solo perché sono donne; un caso ancora
peggiore è quello dell'americano Ted Bundy, che uccise più di trenta donne.
Fra gli assassini di omosessuali possiamo ricordare lo scozzese Dennis
Nielsen, che ammazzò quindici o sedici ragazzi, per lo più omosessuali, e,
in America, Bob Berdella, violentò, torturò e uccise sei giovani di sesso
maschile. Il caso più grave di omicida a sfondo sessuale, in questo caso con
vittime
occasionali di entrambi i sessi, è stato quello di Andrei Chikatilo, il
"Macellaio di Rostov", che abusò sessualmente, violentò, uccise e in certi
casi divorò pezzi delle sue cinquantadue vittime.
In Italia la polizia ha annunciato di recente l'arresto del supposto "Mostro di Firenze", Pietro Pacciani che si sarebbe specializzato nel brutale
omicidio di giovani coppie sorprese insieme: sedici casi in quattordici anni.
La domanda si pone è: l'anarchia, una volta affermatasi, saprebbe affrontare
questo genere di delitti con più efficacia delle attuali età dotate di
governo?
Uno dei celebri cartoni della serie "Wildcat" di Donald fa vedere un
piedipiatti che chiede maggiori finanziamenti, giustificandosi col fatto che
"gli incendi dolosi,
rapine e gli omicidi sono in aumento": ottiene quanto vuole, poi procede
all'arresto di zingari, drogati, prostitute e immigrati, in effetti di
chiunque, tranne i piromani, i rapinatori e gli assassini. La semplice
verità, come può dirvi qualsiasi poliziotto, è che la polizia può fare ben
poco contro gli omicidi occasionali. Dalla fine dell'estate del 1992 ci sono
state numerose spaventose uccisioni di donne in Inghilterra: quelle di Ieri
Gorrie, di Rachel Nickell, di Katie Rackliff, di Joanna
Yung e di Claire Tilman, tutte vittime di aggressioni casuali. Sembra che la
polizia non abbia fatto grandi progressi nelle indagini sugli omicidi in
nessuno di questi casi.
Nonostante la caccia ostinata allo "Squartatore delloYorkshire" per
esempio, è stato l'intervento di due poliziotti in normale servizio di
pattuglia che ha portato alla cattura e all'arresto di Peter Suteliffe. Qualcuno potrebbe forse dire che questo è
allora necessario avere una società ancor più poliziesca. Eppure il peggiore
serial killer degli ultimi anni,
Andrei Chikatilo, il "Macellaio di Rostov" operava nella società più
poliziesca d'Europa, nell'Urss. Perciò rafforzare il servizio di polizia non
è la risposta giusta contro il pazzo con la scure in mano, ma il problema va
affrontato all'origine e può darsi che l'origine di questi delitti si
ritrovi nella natura stessa della società. Un'argomentazione contro la tesi
che attribuisce a vari aspetti della società, e soprattutto alla cultura
civile prevalente, la responsabilità della creazione di mostri come
Chikatilo, è quella che sostiene che questi uomini, perché soprattutto di
uomini si tratta, sono malati congeniti. Se le cose stanno così, gli
anarchici si trovano davanti a quello che risulta essere un problema
insormontabile.
Se, per colpa di una disfunzione genetica individuale, l'utopia anarchica
fosse rovinata da questi assassini, un intervento sarebbe indispensabile.
Che cosa farebbero gli anarchici: ucciderebbero gli assassini, li
segregherebbero? Se si operasse una di queste scelte, la società anarchica
sarebbe minata dall'esistenza di boia o di prigioni anarchiche.
Ma si tratta davvero di scelte? Invece, può darsi che il folle con la scure
sia davvero e soprattutto il prodotto di forme non libertarie di
organizzazione sociale. I pluriomicidi che abbiamo citato prima sembrano
tutti presentare alcune evidenti caratteristiche, nella loro personalità e/o
nella natura dei crimini commessi. E queste caratteristiche sembrano essere
tutte in rapporto con certi riflessi dell'organizzazione sociale, laddove la
cultura civile si manifesta come competizione, emarginazione sociale,
autoritarismo, militarismo e sessismo.
Pare che Michael Ryan, il "pistolero di Hungerford", sia stato, come molti
pluriomicidi, un individuo particolarmente isolato. L'isolamento e la
solitudine sembrano aspetti tipici delle società a capitalismo avanzato. In
Gran Bretagna, per esempio, la maggior parte dei nuclei familiari è
costituita da persone che vivono sole. Certo, questo non vuol dire che
quelle persone siano tutte dei tipi solitari, o che siano più portate
all'omicidio di altre. Anzi, date le alte percentuali di violenza e di
omicidi che si verificano all'interno dell'ambito familiare, si potrebbe
sostenere proprio il contrario. Comunque l'organizzazione della società, al
momento presente, fa sì che molte persone siano più vulnerabili alla
depressione e alla frustrazione provocate dalla solitudine. Quella specie di
odio indistinto nei confronti dei suoi concittadini di Hungerford,
dimostrato da Ryan, deve essere stato in qualche misura un riflesso del suo
isolamento e del suo disagio sociale. Ciò nondimeno, altri fattori hanno
chiaramente avuto un ruolo nella vicenda.
Il più importante fra questi è un tratto abbastanza comune molti folli
sparatori: l'interesse nelle attrezzature belliche, nell'organizzazione e
nella vita militare. Questo è un chiaro riflesso di quella specie di
militarismo che pervade la società. In Inghilterra c'è una lunga tradizione
militare, che ha conservato un notevole fascino e un consenso popolare,
soprattutto per il fatto, spesso fortuito, che l'Inghilterra non ha più
perso a guerra dopo quella per l'indipendenza americana.
Due secoli di vittorie militari, oltre al prestigio dell'impero, hanno reso
la società britannica molto più militarista di quanto molti non siano
disposti ad ammettere. E negli anni recenti il paese si è trovato
coinvolto in una serie di avventure militari, dalle Falkland al Golfo
persico, che hanno rafforzato posizione dei militari all'interno della
società. Non a caso i killer del tipo di Ryan sono spesso ossessionati dalle
attività e dall' armamentario degli assassini con licenza di uccidere che
sono gli uomini del Sas. Quando la società attribuisce un'attrattiva alle
attività delle squadriglie di bombardieri e degli agenti provocatori, le
scusa e le sostiene, non dobbiamo sorprenderci se poi ci sono individui che
cercano di concretizzare proprie fantasie omicide, che derivano, almeno in
parte, dal militarismo della società.
Tre famosi pluriomicidi, Peter Suteliffe, Ted Bundy e l'assassino di New York,
Arthur Shawcross, sceglievano le loro vittime solo tra le donne. La frequenza
di pluriomicidi che mirano solamente alle donne è un'altra importante
caratteritica di questo genere di delitti, che ha anche sollecitato
attenzione critica da parte delle femministe.
Pur essendoci molte teorie contrastanti che cercano di piegarne i
particolari, la realtà di fondo è che le donne non
sono trattate come eguali in una società dominata dai maschi. Le donne sono
disprezzate e diventano l'oggetto su cui gli uomini scaricano le proprie
frustrazioni, attribuibili alla personale mancanza di potere oppure di
natura sessuale. Il brutto è che l'odio per le donne è una condizione comune
nelle società autoritarie. Gli aspetti culturali di questo fenomeno sono
molteplici, e gli esempi estremi rappresentati dai Sutcliffe, dai Bundy e
dai Shawcross di tutto il mondo non sono che i peggiori di una cultura che
tende a non considerare molte donne come esseri umani.
Le origini del sessismo in occidente, che ha prodotto uomini del tipo di
Bundy, sembrano potersi ritrovare negli imperativi etici del cristianesimo,
che ha costruito una nuova ideologia nella forma della tradizione
giudaico-paolina, definendo i rapporti di potere tra uomini e donne. Altre
religioni importanti, come l'ebraica o l'islamica, hanno svolto lo stesso
ruolo, legittimando le strutture anti-femminili e il disprezzo nei confronti
delle donne. Nel mondo occidentale c'è chi sostiene che stiamo oramai
vivendo in un'epoca post-cristiana. Sarà forse vero nel senso che pochi
stati ritengono di doversi sottomettere alla religione organizzata (anche se
le recenti esibizioni pubbliche di Bill Clinton in preghiera davanti alla
tomba di John Kennedy e l'affermazione di George Bush, secondo la quale i
bombardieri americani che ammazzavano gli iracheni "facevano il lavoro di
Dio", lasciano qualche dubbio anche su questo), ma l'eredità di duemila anni
di disprezzo nei confronti delle donne non è facile da cancellare, come non
lo sono le innaturali restrizioni etiche del cristianesimo, con le sue
assurde convinzioni sulla castità, l'affermazione dell'incredibile idea di
una vergine madre e la sua omofobia.
Molti di coloro che non si dichiarano più cristiani praticanti (come fa il
sessanta per cento degli americani, per esempio) sono ancora segnati da
questo moralismo repressivo. Può darsi benissimo che i sei omicidi compiuti
da uomini come Nielsen e Berdella siano dovuti a una combinazione di senso
di colpa omosessuale e di sessualità repressa. E se è davvero così, ancora
una volta, possiamo vedere gli effetti parziali della società in cui questi
omicidi a sfondo sessuale si sono svolti.
Se il pluriomicida, il pazzo con la scure in mano, è sostanzialmente un
prodotto della società come tale, la realizzazione di una società anarchica
dovrebbe dare soluzione al problema. Perché quella anarchica è una società
caratterizzata da una cultura civile libertaria, ugualitaria, cooperativa,
comunitaria, pacifista. Certo, la strada verso la meta dell'anarchia ha la
sua importanza. Se, come pensava Malatesta (che scriveva in epoca diversa e
con una prospettiva differente), la strada scelta deve passare attraverso i
metodi insurrezionali, gli
anarchici vedranno senza dubbio i propri sogni rovinati da chi non è ancora
convinto dell'anarchia e, cosa che sarebbe ancora
più negativa per il programma anarchico, dagli anarchici stessi. Perché essi
sarebbero costretti, come ammetteva
Malatesta, a compiere azioni violente, coercitive e a svolgere organizzate
di tipo poliziesco e carcerario.
Se invece si accetta l'analisi di Landauer, e si pensa di dover stabilire
altri rapporti e comportamenti l'utopia anarchica verrà poco a poco
realizzata e si svilupperà sempre di più una cultura civile che contrasta
gli effetti corrosivi di quella attuale. C'è sempre la possibilità che
qualcuno tra la schiera dei folli con
la scure sia un delinquente congenito: un fenomeno che presenterebbe la
peggiore prospettiva. In questo caso,
o che si tratterebbe di un'infima minoranza, infiammata
dalla natura autoritaria della società odierna. Se pur continuassero a
esistere e non fossero trasformati da una positiva influenza sociale, si
correrebbero gli stessi rischi sia nello stato
poliziesco sia nell'utopia anarchica. Il che lascerebbe un problema ridotto
rispetto a quello dell'attuale cultura omicida, pur sempre presente. C'è
qualcuno che ha una risposta?
Fonte: pubblicato sulla rivista Volontà, antologia monografica del 1994 Delitto e Castigo.