Il film di Steven Spielberg, Minority Report, presenta un mondo in cui gli assassini sono arrestati ancor prima di commettere i loro crimini... Fantascienza? Non solo, visto che da oltre un secolo criminologi e polizia tentano di mettere a punto un metodo "scientifico" per la prevenzione dei delitti e l'identificazione degli "assassini nati". Dall'antropometria alla classificazione delle razze, l'illusione della prevenzione assoluta ha sempre dimenticato le responsabilità sociali.
Minority Report è ambientato nel 2054 a Washington. Tre medium
o "pre-cog" in grado di predire il futuro, "vedono" gli
omicidi prima che siano commessi, e trasmettono agli investigatori, su uno
schermo gigante, i dati che porteranno all'arresto: ritratto della persona
sospetta, scena del delitto e via dicendo. Tom Cruise e i suoi colleghi della
Precrime sono allora impegnati in una autentica corsa contro il tempo
per individuare il potenziale assassino e identificare il luogo esatto del
delitto prima che scocchi l'ora fatidica.
A prima vista, l'ultimo film di Steven Spielberg appartiene al mondo della
fantascienza, ma le moderne indagini di polizia si avvalgono già di
tecniche sempre più sofisticate. La medicina legale, ad esempio, è
ormai in grado di risalire al Dna in base alle tracce lasciate su un bicchiere,
una cicca di sigaretta, un frammento di stoffa, e via dicendo. L'identikit
criminale consente di elaborare ritratti psicologici straordinariamente precisi
dei serial killer. Infine, le più recenti tecniche "biometriche"
sono in grado di identificare un volto nella folla. Il primo confronto fra
le "impronte facciali" delle telecamere di vigilanza e una banca
di dati fotografici di delinquenti è stato effettuato nel 1998 nel
quartiere di Newham a Londra. Il responsabile del progetto riteneva che tale
"identificazione facciale" avrebbe ridotto di un terzo il tasso
di criminalità. Si può pensare che il tempo necessario per identificare
un criminale in futuro si ridurrà costantemente. Ma l'idea che sia
possibile individuare un assassino ancor prima che proceda dalle intenzioni
all'atto sembra ancora al di là delle capacità delle forze dell'ordine.
E tuttavia, i maestri della fantascienza quali Philip K. Dick (l'autore del
racconto che ha ispirato Minority Report) o lo stesso Steven Spielberg
non sono stati i soli a cullare tali illusioni. Alcuni ricercatori prevedono
di servirsi dell'elettroencefalografia (Eeg), che misura l'attività
elettrica del cervello, per prevedere l'esistenza di "pensieri colpevoli"
(a lungo termine, si tratta di installare negli aeroporti questa tecnologia
messa a punto dalla Nasa, per poter individuare eventuali terroristi). O ancora,
in una variante della macchina della verità, l'Eeg sarebbe in grado
di prevedere - in base alle anomalie dell'attività elettrica - non
soltanto se un sospetto mente, ma anche se è a conoscenza di cose che
dovrebbe ignorare...
Lo sviluppo di questa tecnologia si basa sull'ipotesi che l'atto criminoso
possa essere previsto, proprio perché i criminali avrebbero in comune
alcune "tare" fisiologiche che sarebbe possibile identificare e
perfino visualizzare.
L'idea non è nuova. Fin dalla prima metà del XIX secolo, le
teorie sulla fisiognomonica dello studioso svizzero Johan K. Lavater, e sulla
frenologia del medico tedesco Franz Joseph Gall, molto diffuse in Europa,
avevano dato una parvenza scientifica alle vecchie idee secondo cui "il
volto è lo specchio dell'anima", in quanto la malvagità
interiore si riflette nei tratti del viso o nella conformazione del cranio...
Altri precursori di Minority Report si trovano nelle opere - ancora
oggi poco conosciute - pubblicate negli anni '70 del XIX secolo da due britannici:
Edmund Du Cane (1830-1903), presidente della commissione carceri, direttore
del sistema penitenziario, e Francis Galton (1822-1911), cugino di Charles
Darwin, cartografo, antropologo, statistico e futuro teorico dell'eugenetica
(1).
Insieme tentarono di definire un mezzo rivoluzionario di prevenzione dei crimini:
identificare i delinquenti ancor prima che venisse commesso l'atto criminoso.
In breve, la Precrime in versione vittoriana...
Dopo aver gestito i bagni penali di sua Maestà, Du Cane è stato
responsabile del sistema penitenziario. L'inefficacia del carcere come mezzo
per arginare la crescita della criminalità aveva suscitato un ampio
dibattito in Gran Bretagna. Il persistere di uno zoccolo duro di recidivi,
irrecuperabili a qualsiasi tentativo, dimostrava il fallimento del costoso
programma di costruzione di nuove carceri. Du Cane tentava di tagliare il
collegamento tra malfattori di piccolo calibro e la grande criminalità,
e voleva essere in grado di riconoscere in anticipo i futuri autori di gravi
delitti (2).
Carcere preventivo ai ladri potenziali
Lavorando con il dottor William Guy, in occasione di un censimento medico
della popolazione penitenziaria, Du Cane si persuase che a ogni categoria
di delitto corrispondeva una fisionomia specifica del deviante. Scrisse a
Galton: "Le forme specifiche della criminalità hanno tutte un
volto caratteristico tipico; (...) certamente l'hanno i delitti di sesso e
violenza (3)".
Esisteva quindi un volto caratteristico del ladro, dello stupratore, dell'assassino...
Se fosse stato possibile identificare tali volti, si sarebbe potuto isolare
l'autore di un crimine fra le varie persone sospette. Meglio ancora, poiché
il futuro omicida recava già sul volto le stimmate del suo delitto,
doveva essere sottoposto a sorveglianza... L'opera delle forze dell'ordine
sarebbe stata ben più efficace, grazie a un controllo capillare della
popolazione "a rischio". Una carcerazione "preventiva"
avrebbe permesso di evitare qualsiasi eventuale tendenza pericolosa. Onde
eliminare una "gran parte" della delinquenza, Du Cane aveva auspicato,
fin dal lontano 1875, di mettere in prigione fino a 40 anni di età
le persone sospette dotate di "tendenze criminose evidenti".
Nel 1877, Du Cane chiese a Francis Galton di esaminare una serie di fotografie
di forzati, per stabilire quali visi fossero associati a reati specifici.
Galton era una specie di scelta obbligata, considerando la sua prestigiosa
carriera. Era stato membro della British Association for the Advancement
of Science, responsabile dei problemi "antropometrici e razziali".
Si era impegnato in un programma di classificazione delle diverse "razze"
delle isole britanniche, e aveva già preso le misure antropometriche
di alcuni forzati.
Galton, inoltre, era anche affascinato dal potenziale valore scientifico della
nuova tecnologia fotografica, soprattutto da quella che definitiva l'«immagine
composita» creata con la sovrimpressione di più lastre fotografiche.
Aveva già tentato di sovrapporre alcuni schizzi di conformazioni craniche,
ognuno tracciato su carta da ricalco, per arrivare a una impressione d'insieme.
Sfogliando i ritratti di forzati forniti da Du Cane, a Galton venne l'idea
di sovrapporre più stereotipi di volti umani, allo scopo di far emergere
i tratti salienti di ogni categoria di criminali. Perforò gli occhi
di ogni immagine con una spilla, onde allineare con la massima precisione
possibile i contorni del volto. Dopo di che procedette alla proiezione di
"una serie di ritratti, uno dopo l'altro, sulla stessa lastra fotografica
sensibilizzata". Ogni ritratto fu così rifotografato sulla stessa
lastra, riducendo i tempi abituali di ripresa. Galton si aspettava che questi
"ritratti compositi" rivelassero un "criminale tipo" dai
tratti più precisi rispetto ai semplici ritratti individuali. Si spinse
addirittura a suggerire che i tratti più frequenti - e quindi più
importanti - si dovevano trovare al centro dell'immagine, mentre le particolarità
meramente individuali venivano spinte ai margini...
Nel 1878 Galton presentò i risultati dei suoi esperimenti presso l'Istituto
antropologico di Londra. Suo malgrado, dovette riconoscere che il "criminale
tipo" tanto desiderato rimaneva del tutto inafferrabile.
Le sue "statistiche visive" si erano scontrate con un problema insuperabile:
"I segni di Caino sono molteplici; e quindi, i tratti particolari di
ogni criminale scompaiono, invece di rafforzarsi, nell'immagine composita".
Trovò conforto nel fatto che le sue lunghe ore di lavoro nel laboratorio
fotografico gli avevano permesso di evidenziare le caratteristiche del "tipo
di volto che tende ad accompagnare le tendenze criminose, prima (...) che
i tratti vengano abbrutiti dal crimine". Descrisse la sua dura fatica
in Inquiries into Human Faculty and its Devolopment ("Indagini
sulle facoltà umane e il loro sviluppo"), pubblicato nel 1883.
"Per un certo periodo non ho compreso a sufficienza quanto fosse grande
la degenerazione delle loro espressioni. Infine, l'ho colta, e adesso non
posso più maneggiare i ritratti senza dover compiere un grosso sforzo
per superare l'avversione che mi ispirano (4)".
Questa avversione per il volto criminale, per quello che egli definiva "una
delle deformazioni più tristi di tutta la civiltà moderna",
rievoca decisamente quel senso di curiosità piena di disgusto dei lettori
de Lo strano caso del Dr. Jekyll, allorché Robert Louis Stevenson presentò
- tre anni più tardi - Mr. Hyde, personaggio dai tratti scimmieschi
e dal comportamento atavico.
Edmund Du Cane doveva ancora sormontare l'enorme problema del recidivismo.
Fin dal 1869 esistevano enormi registri di delinquenti che erano stati dichiarati
colpevoli di reati e di particolari delitti. Nel 1875 i nomi e le foto segnaletiche
di circa 150.000 criminali erano già schedati negli archivi di Scotland
Yard. A partire dal 1876, nell'intento di rendere più maneggevoli
tali dati, ci si limitò a schedare i criminali recidivi (le dimensioni
dell'archivio si ridussero così a "soltanto" 8.000 nomi).
Ma la quantità crescente di informazioni continuava a rendere impossibile
la gestione di tale sistema. Spesso occorrevano parecchi giorni di lavoro
soltanto per ritrovare un individuo fra i dati d'archivio. Più tardi,
i britannici seguirono l'esempio del francese Alphonse Bertillon, con le sue
schede segnaletiche corredate da numerose misure antropometriche, prima di
adottare definitivamente il criterio delle impronte digitali (processo elaborato,
almeno in parte, grazie al già citato Francis Galton).
Ma la speranza di stroncare in nuce la criminalità sembrava allontanarsi
sempre di più. L'obiettivo di fornire alle forze dell'ordine identikit
di assassini nati, obiettivo che doveva rappresentare un progresso considerevole
rispetto alle tesi di Lavater e Gall (o alla teoria dell'italiano Cesare Lombroso,
con il suo elenco di "stigmate" anatomiche e fisiognomiche) sembrava
più lontano che mai. Al posto di identikit ci si contentò di
distribuire circolari con i ritratti di "criminali famigerati".
Una sorta di "riconoscimento facciale" in versione vittoriana.
In seguito, la criminologia studierà altri mezzi di prevenzione della
delinquenza, ma i tentativi di Edmund Du Cane e di Francis Galton, che avevano
il pregio di non porre in discussione la responsabilità della società
vittoriana nei comportamenti devianti, sarebbero rimasti nel cassetto per
ottant'anni, prima di essere destati dal loro sonno grazie a Minority Report...
Fonte: Le monde diplomatique, dicembre 2002. Traduzione di R. I.
Note:
* Professore incaricato, università di Parigi VII.
Torna
su
(1) A proposito di Francis Galton, si legga Daniel J. Kevles, Au nom de l'eugénisme:
génétique et politique dans le monde anglo-saxon, Puf, Parigi,
1995; Nicholas W. Gillham, A Life of Sir Francis Galton : From African Explorer
to the Birth of Eugenics, Oxford University Press, Oxford. 2001.
Torna
su
(2) Per inquadrare il contesto, leggere Neil Davie, ""Entre le fou
et le sauvage": les théories scientifiques du criminel en Angleterre
(1850-1914)", in Corps Etrangers, Michel Prum (a cura di), Syllepses, Parigi,
di imminente pubblicazione.
Torna
su
(3) Sir Edmund Du Cane a Francis Galton, 12 febbraio.1880, Galton Papers Archivi
della biblioteca dell'University College di Londra.
Torna
su
(4)Francis Galton, Inquiries into Human Faculty and its Development, 2a edizione,
Dent, Londra,1907, pp. 12-13. In questo libro inoltre è citato per la
prima volta il termine "eugenics" (eugenetica), definita come "la
scienza del miglioramento della razza" (p.17).
Torna
su