Oliare il macchinario della morte
La punizione capitale negli Stati Uniti
Bruce Jackson * (2003)

Numeri

Cominciamo coi numeri, il conteggio dei morti e delle persone che il governo ha deciso, dopo ampia e accurata considerazione, che devono essere uccise. I numeri, e gli esseri umani che ciascun numero rappresenta, sono la cosa reale in tutto questo. Il resto è descrizione e teoria.
Al primo di ottobre 2002 le carceri speciali, che nel sistema carcerario americano sono destinate a contenere persone che i governi statali o federale progettano di mettere a morte, contenevano 3697 uomini e donne. Alcune di queste carceri speciali hanno nomi locali ma in genere vengono tutte chiamate death row, il braccio della morte.
Alla testa della graduatoria era la California, che da quando ha reintrodotto la pena di morte ha giustiziato dodici persone; deteneva, alla data, 613 prigionieri nel braccio della morte. Seguivano il Texas con 454 detenuti (286 esecuzioni), la Florida con 386 (53 esecuzioni) e la Pennsylvania con 244 (3 esecuzioni). Le forze armate detenevano sette uomini che speravano di uccidere e il ramo civile del governo federale ne deteneva 26 (2 esecuzioni).
Nel 1968, quando la popolazione degli Stati Uniti era di duecento milioni, nei bracci della morte di tutto il paese c'erano 517 abitanti. La popolazione degli Stati Uniti, attualmente di 280 milioni, è quindi aumentata del 40 per cento; nello stesso arco di tempo, la popolazione dei condannati a morte è aumentata di oltre il 700 per cento. Oggi negli Stati Uniti si condannano a morte più persone e per più tipi di reato di quanto non sia mai avvenuto da quando si è smesso di impiccare la gente per il furto di un cavallo.
Dei trentotto stati in cui è legale la pena di morte, diciassette fissano l'età minima a diciotto anni, cinque a diciassette, e sedici sono autorizzati a giustiziare anche persone che hanno compiuto i sedici anni.
La crescita della popolazione dei bracci della morte è parallela alla crescita della popolazione carceraria. Sebbene i tassi di criminalità siano diminuiti sensibilmente negli ultimi vent'anni, i tassi di carcerazione hanno continuato ad aumentare dal 1973 in poi e sono oggi i più alti nella storia degli Stati Uniti. (1) Attualmente sono due milioni gli individui che scontano pene detentive nelle prigioni o nei penitenziari.
Con poche eccezioni, è raro che i politici statunitensi riducano le pene. (2) Impotenti davanti a un'economia incontrollabile, incapaci di affrontare o anche soltanto di comprendere la complessità dei problemi globali, alieni dall'impegnarsi a riforme significative sul sistema elettorale o sul comportamento delle aziende, hanno a disposizione un unico mezzo per dimostrarsi potenti e fare i duri verso la criminalità, accusandosi sistematicamente l'un l'altro di essere "morbidi verso il crimine". La pena di morte è spesso il Viagra di una campagna elettorale stagnante.
Candidati governatori, perfettamente consapevoli del fatto che la pena di morte non ha alcun effetto sui tassi di criminalità, proclamano vigorosamente che con loro gli assassini saranno giustiziati a norma di legge o che, se lo stato non ha ancora la pena di morte, loro la introdurranno.

Sospensione e ripartenza
Nel 1972, con la sentenza Furman v. Georgia, la Corte Suprema degli Stati Uniti sospese tutte le esecuzioni. I giudici non dichiararono illegale la pena di morte, ma ne proibirono la gestione incoerente e maldestra. Il voto fu di cinque a quattro: i giudici Douglas, Brennan, Stewart, White e Marshall scrissero motivazioni individuali a favore della decisione; i giudici Burger, Blackmun, Powell e Rehnquist scrissero motivazioni individuali a sfavore.
Diversi stati si misero subito all'opera per adeguare le leggi sulla pena di morte alle condizioni indicate nella sentenza della Corte Suprema. Per anni, queste leggi furono messe alla prova nei tribunali. Alcune furono respinte dai tribunali, al che gli stati le rividero in modo da renderle apparentemente inattaccabili. A metà degli anni Novanta, un condannato che volesse sporgere appello doveva farlo o sulla base di nuova lettura creativa della legge o, più spesso, su qualche perversione della giustizia nella trattazione del proprio specifico caso. La prima esecuzione successiva alla sentenza Furman fu quella di Gary Gilmore, un assassino dell'Idaho che rifiutò di fare appello, impedendo così che la legge sulla pena di morte in Idaho fosse messa in discussione. Fu fucilato da un plotone d'esecuzione nel 1976. Norman Mailer scrisse su questo evento una docufiction di mille pagine, The Executioner's Song, che divenne prima un docudrama televisivo con Tommy Lee Jones e Rosanna Arquette, poi un film distribuito in Europa. Per quanto mi è dato di notare, l'unica differenza fra il docudrama e il film visto in Europa è che nel film mancano le dozzine di spot pubblicitari che punteggiavano le due puntate dell'originale, mentre è stata aggiunta una lunga scena di nudo con la Arquette.
La seconda esecuzione post-sentenza Furman fu molto sgradevole e nessun famoso romanziere si prese il disturbo di scriverci un libro, né ci fu un docudrama con attori famosi che si spogliavano nella versione europea. John Spenkelink si oppose con tutte le forze alla propria esecuzione, fino a quando i funzionari dello stato della Florida non lo legarono alla sedia elettrica il 25 marzo 1979 e abbassarono la leva.
Dopo i casi Gilmore e Spenkelink fino al 14 novembre 2002 negli Stati Uniti sono stati messi a morte 807 uomini e donne. Il Texas guida la classifica con 286, seguito dalla Virginia con 87. La maggior parte delle esecuzioni, 658, ha avuto luogo nel Sud. L'Ovest ne conta 59, il Midwest 87, il Nordest tre.

Parlarne
È raro che i discorsi sulla pena di morte negli Stati Uniti facciano uso delle funzioni principali del cervello. Il linguaggio è più viscerale, parte dal cuore e dallo stomaco. La gente si tocca il petto e dice "so che funziona, e basta"; o si dà pacche sulla pancia e dice "credo profondamente nella necessità di una giustizia retributiva". È come quando Achille, che visse molto prima che si sapesse a che serve il cervello, diceva "lo so nel mio thumos".
Non si discute con gente che "sa" che funziona o che "crede profondamente" nella giustizia retributiva, come non si discute con chi crede che l'aborto sia un omicidio o non crede che Dio si prende cura dei gigli del campo. Quando le premesse sono così radicate nel cuore o nelle budella la ragione, da una parte e dall'altra, non ha appigli.
Alcuni sostenitori della pena capitale parlano della funzione retributiva della pena, ma l'argomento più diffuso è che funge da deterrente contro la violenza criminale. Nessuno ha mai potuto fornire prove dell'attendibilità di un'affermazione del genere in America. Non esiste una correlazione dimostrabile fra i tassi di omicidio negli stati in cui vige la pena di morte e quelli in cui non c'è, né fra stati con tassi di esecuzione elevati e stati con tassi più ridotti. Negli ultimi venticinque anni gli stati con la pena di morte hanno avuto un tasso di omicidi leggermente più alto di quelli senza (9,3 contro 9). È forse perché gli stati con più omicidi sono più portati a passare leggi sulla pena capitale? Di nuovo, no: non c'è nessuna correlazione neanche in questo caso. La sola correlazione sistematica che sia mai stata trovata fra la pena capitale e i tassi di omicidio è che l'esecuzione sembra avere un effetto di "alone": per qualche giorno o qualche settimana, dopo un'esecuzione particolarmente ben pubblicizzata, nello stato in questione si verifica un picco di assassini insoliti e, solo col tempo, si ritorna al tasso ordinario.
Ci vogliono quasi dieci anni per eseguire una condanna a morte, anche negli stati che hanno varato leggi in proposito subito dopo la sentenza Furman. Questo è dovuto al fatto che il procedimento è costellato di errori e le conseguenze di un'uccisione sbagliata appaiono orribili anche a chi pensa che lo stato faccia bene a uccidere persone che sono già sottoposte a un controllo totale. Con pochissime eccezioni, anche i più accesi sostenitori della pena di morte vogliono che lo stato uccida quelle che gli sembrano le persone giuste e non chiunque capiti.

Un sistema a pezzi
Tutte le persone che conosco nell'industria della giustizia criminale, che siano contro o a favore della pena di morte, dicono che la pena capitale è un disastro. Ne sono prova la massa di processi arretrati nei tribunali statali e federali e la popolazione crescente dei bracci della morte. Ma nessuno si rese conto di quanto fosse grave la situazione fino al giugno del 2000, quando un gruppo di ricerca diretto da James S. Liebman, professore di diritto alla facoltà di giurisprudenza della Columbia University, pubblicò A Broken System: Error Rates in Capital Cases, 1975-1995 ("Un sistema a pezzi: tassi di errore nei casi di pena capitale"), uno studio dettagliato di 5760 processi in cui era in gioco la pena di morte e di 4578 appelli ai tribunali statali e federali.
Nei ventitré anni di cui si occupa lo studio di Liebman, si sono verificati errori gravi e reversibili nel 68 per cento delle sentenze capitali, con una media di quasi sette su dieci. I tribunali statali hanno rovesciato il 47 per cento dei verdetti e i tribunali federali hanno individuato errori reversibili nel 40 per cento dei casi che i tribunali statali avevano ritenuto impeccabili. "I processi capitali producono così tanti errori che per individuarli ci vogliono tre gradi di revisione giudiziaria", scrive Liebman, "e c'è da dubitare che si riesca a individuarli tutti".
Una delle cause principali della revisione delle sentenze (37 per cento dei casi) è il fatto che gli accusati erano stati difesi da avvocati incompetenti, che a volte non si erano nemmeno presi il disturbo di cercare possibili prove della loro innocenza o di dimostrare che, se erano colpevoli, non erano passibili di pena di morte. Un'altra causa invalidante (19 per cento) sono i pubblici ministeri e gli agenti di polizia che hanno tenuto nascoste alla difesa e alla giuria prove a discarico. In altre parole, il 56 per cento dei processi sono stati annullati perché gli imputati non avevano avvocati in grado di fare neanche un'ombra di difesa o perché si trovavano davanti a un'accusa talmente decisa a ottenere una condanna a morte da essere disposta a dimenticarsi della giustizia. Anche la seconda di queste ragioni di invalidità è in parte un effetto della prima: è più facile che la polizia e la pubblica accusa vadano oltre i limiti se sanno di trovarsi davanti un'opposizione inetta. Gli altri processi sono stati annullati per confessioni estorte, elenchi di giurati razzialmente distorti, informatori che avevano rivelato conversazioni confidenziali fra imputati e avvocati e pregiudizi o errori dei giudici.
I tribunali di grado più alto non annullano le sentenze per il solo fatto di avere rilevato degli errori nel procedimento; è necessario che l'errore possa avere alterato l'esito del processo. Quindi quel 68 per cento di annullamenti riguarda solo i casi in cui gli avvocati difensori sono stati in grado di convincere le corti d'appello che l'errore o la manipolazione erano talmente gravi da contaminare l'intero procedimento. Un manager aziendale il cui lavoro dovesse essere rifatto nel 68 per cento dei casi sarebbe licenziato in tronco.
I risultati di queste revisioni delle sentenze sono altrettanto spaventosi. Quando le corti d'appello statali hanno rimandato indietro i processi per gravi errori nel primo procedimento, l'82 per cento degli imputati ha ricevuto sentenze diverse dalla pena capitale e il 7 per cento è stato riconosciuto del tutto innocente. L'intera procedura, dal verdetto alla revisione, è durata in media fra gli otto e i nove anni, il che significa che la maggior parte delle persone che passano quasi un decennio nel braccio della morte non ci sarebbero dovute entrare nemmeno per un giorno.
Gli uomini e le donne condannati a morte negli Stati Uniti hanno diritto a tre gradi di appello (appello diretto statale, appello statale post-condanna e habeas corpus federale), ma in molti stati e a livello federale le risorse per rendere possibili questi appelli sono state seriamente ridotte. I fondi dei gruppi di difesa che potrebbero aiutare i condannati a formulare i ricorsi stanno diminuendo dappertutto; eppure, nonostante la riduzione delle risorse, gli avvocati d'appello ottengono lo stesso tasso di annullamenti di cinque o dieci anni fa. Questo significa che anche se i difetti del sistema sono ormai noti, gli errori vengono ancora commessi e scoperti con la stessa frequenza.
Certi stati hanno tassi di annullamento più alti di altri, ma si sono verificati annullamenti in tutti gli stati. Tre in particolare (Kentucky, Maryland, Tennessee) hanno un tasso di annullamento del 100 per cento: tutte le condanne a morte emesse in questi stati sono state annullate. Dopo che si scoprì che tredici condannati a morte in Illinois erano stati condannati ingiustamente, e dopo che gli studenti di un corso universitario di giornalismo dimostrarono l'innocenza di una persona a meno di due giorni dall'esecuzione, il governatore dell'Illinois - il repubblicano George Ryan - ha sospeso tutte le esecuzioni, ha nominato una commissione per rivedere tutto il sistema e ha ordinato sedute di clemenza per 142 degli attuali 159 condannati a morte in Illinois. Il governatore del Maryland ha sospeso le esecuzioni e ordinato uno studio dei casi passibili di pena di morte dal 1978 a oggi, per verificare se la razza era stata un fattore decisivo (il suo successore, Robert Erlich, che entrerà in funzione il prossimo gennaio, ha annunciato che revocherà la moratoria, quali che siano i risultati dello studio).
In tutto il paese crescono movimenti per la moratoria. Quello che chiedono non è tanto l'abolizione della pena capitale, quanto una maggiore equità del procedimento. Harry Blackmun, uno dei quattro giudici della Corte Suprema che avevano dissentito dalla sentenza Furman, ha finito col pentirsene, non solo perché si è convinto che la pena di morte è in sé inaccettabile, ma più ancora perché si è reso conto che non c'è modo di applicare con giustizia i requisiti della sentenza Furman, per quanto accurate siano le leggi e per quanto sinceri coloro che cercano di applicarIe. Blackmun ha espresso con chiarezza questo suo ripensamento in un'altra opinione di minoranza, nel caso Callins v. Collins, il 22 febbraio 1994, poche ore prima che Bruce Edwin Callins fosse giustiziato dallo stato del Texas:

Da oggi in poi, non mi occuperò più del macchinario della morte. Per quasi vent'anni ho cercato - anzi, ho lottato - insieme con la maggioranza della Corte, per istituire regole procedurali e sostanziali che conferissero alla pena di morte una giustizia che non fosse solo apparente. Non posso più continuare a condividere l'illusione di questa Corte, che il livello desiderato di giustizia sia stato raggiunto e la necessità di regolazione esplorata a fondo. Mi sento piuttosto moralmente e intellettualmente costretto a riconoscere che l'esperimento della pena di morte è fallito. Penso che non abbia virtualmente più bisogno di dimostrazioni il fatto che nessuna combinazione di regole procedurali o sostanziali può mai riscattare la pena di morte dalle sue carenze costitutive. La domanda fondamentale, se il sistema riesca in modo accurato e coerente a decidere quali imputati "meritano" di morire, non può ricevere una risposta affermativa. Questa Corte ha autorizzato l'applicazione di circostanze aggravanti generiche, l'esclusione di specifiche circostanze attenuanti, e il blocco di revisioni giudiziarie di importanza vitale; ma il problema più grave è che gli errori fattuali, legali e morali, sono talmente inevitabili che, come ormai sappiamo per certo, questo sistema è destinato a uccidere ingiustamente alcuni imputati e non è in grado di emettere le sentenze capitali giuste, coerenti e affidabili, come richiede la Costituzione.

L'opinione pubblica
Nell'opinione pubblica cresce il numero di quanti cominciano a pensarla come Blackmun. Nel gennaio 2000, un sondaggio della rete televisiva ABC ha mostrato che il 64 per cento degli statunitensi erano a favore della pena di morte per omicidio ma che il consenso cala al 48 per cento se si propone l'alternativa dell'ergastolo senza possibilità di libertà provvisoria. Questa tendenza dell'opinione pubblica è costante da sei anni a questa parte: declino del consenso alla pena di morte in sé, ancora più accentuato quando è posta in alternativa all'ergastolo. Neppure il massacro commesso dal reduce del Golfo Timothy McVeigh in OkIahoma e la serie di omicidi commessi a Washington dal reduce del Golfo John Allen Muhammad con il suo giovane complice, hanno influito significativamente su questa tendenza.
Nell'ottobre 2002, la Gallup dava il sostegno alla pena di morte al 70 per cento, contro un 72 per cento a maggio dello stesso anno e un 80 per cento nel 1994. Il punto più basso è stato raggiunto nel maggio 2001 col 67 per cento; l'attacco dell'11 settembre ha prodotto un leggero incremento. Ma è difficile dire in che misura questo picco, che appare già in discesa, derivi dal fatto che gli americani hanno più voglia di uccidere e in che misura sia semplicemente una risposta alle dosi massicce di retorica politica del presidente Bush e del ministro della giustizia Ashcroft sulla necessità di catturare e giustiziare i malvagi. Come già nel 2000, quando si propone l'alternativa dell'ergastolo il sostegno scende al 50 per cento; i due terzi degli adolescenti preferiscono la soluzione non letale.
Altri sondaggi hanno dato gli stessi risultati. Secondo il Pew Research Center, a marzo del 2002 il 67 per cento degli statunitensi era a favore della pena di morte per omicidio, contro il 66 per cento nel marzo 2001 e il 78 per cento nel giugno 1996. In altre parole, mentre il sostegno dell'opinione pubblica alla pena capitale diminuisce, aumenta il numero degli uomini e delle donne che i tribunali spediscono nei bracci della morte.

Ancora i tribunali
Le leggi sulla pena di morte sono fatte dai parlamenti, ma il procedimento si conclude nelle corti federali. Dalla sentenza Furman in poi, fino a poco tempo fa, i tribunali federali hanno per lo più evitato di mettere in discussione le basi della pena capitale in America. Si sono mostrati disponibili a esaminare casi singoli di procedura scorretta o imperfetta, ma sono riluttanti a esaminare il sistema in quanto tale.
Cinque casi recenti, due al livello più basso del sistema federale e tre al più alto, suggeriscono che forse questo atteggiamento sta cambiando. (3)

  1. Il 10 luglio 2002, il giudice distrettuale federale Jed S. Rakoff ha dichiarato incostituzionale il Federal Death Penalty Act, la legge federale sulla pena di morte. "In breve", ha scritto, "questa Corte ritiene che le prove disponibili indichino che persone innocenti vengono condannate a morte e giustiziate molto più spesso di quanto si supponesse in precedenza e che spesso le prove della loro innocenza non vengono alla luce se non molto tempo dopo la condanna. È pertanto prevedibile che verrà giustiziato un numero non trascurabile di innocenti che, se ne avessero avuto il tempo, avrebbero potuto provare la propria innocenza. Ne segue che l'applicazione del Federal Death Penalty Act non solo priva persone innocenti di una decisiva opportunità di dimostrare la propria non colpevolezza, e pertanto viola proceduralmente il giusto processo, ma crea anche un rischio indebito di giustiziare persone innocenti, e quindi lo viola anche sostanzialmente".
  2. Il 24 settembre, il giudice distrettuale federale William Session ha dichiarato incostituzionale la stessa legge in Vermont, perché nega agli imputati il diritto di controinterrogare i testimoni nella fase decisionale.
    Il primo di questi due verdetti non si applica alla legge sulla pena di morte dello stato di New York; in Vermont, la legge sulla pena di morte non esiste. Il governo federale ha fatto appello contro entrambi.
  3. Nel caso Ring v. Arizona, concluso il 24 giugno 2002, la Corte Suprema ha deliberato che sono le giurie, e non i giudici, a essere competenti per decidere tra pena di morte e altre forme di condanna applicabili.
  4. Nel caso Atkins v. Virginia (20 giugno 2002), la Corte Suprema ha deliberato che l'esecuzione di persone mentalmente ritardate è crudele e inusuale e pertanto proibita dalla Costituzione.
  5. Il 19 novembre 2002, la Corte Suprema ha acconsentito a rivedere il caso di Kevin Wiggins, in Maryland. I difensori di Wiggins affermano che l'imputato è stato privato dei suoi diritti costituzionali a causa di un'assistenza legale inadeguata. La Corte discute pochi processi l'anno, per cui il fatto che abbia preso in considerazione l'inadeguatezza dell'assistenza legale è un passo importante: l'ultima volta che lo aveva fatto risale al caso Strickland v. Washington nel 1984. In quel caso, tuttavia, furono fissati requisiti talmente bassi da rendere possibili molti errori nei processi capitali in Texas (come gli avvocati difensori che si addormentavano durante le testimonianze).

Che succederà adesso?
La Corte Suprema sembra divisa in parti più o meno uguali sulla questione della pena di morte. Alcuni giudici hanno dubbi sulla sua utilità e validità; uno o due sono da molto tempo del tutto contrari. Altri, favorevoli alla pena di morte quando sono entrati a far parte della Corte, sembra che adesso ci stiano ripensando e considerando impossibile applicarla in modo equo, ritengono che, utile o meno, debba sparire.
Sulle questioni della legge e della giustizia, Bush è a rimorchio della destra estrema. Il suo ministro della giustizia, John Ashcroft, è un fondamentalista cristiano che parla con la pacata sicurezza dello zelota istruito: con buone maniere ma con la certezza di chi si sente depositario del bene e del male, per cui nessuno può dire o fare niente per influenzarlo. Non ho dubbi che, se potesse, Ashcroft sostituirebbe il Bill of Rights coi Dieci Comandamenti. È raro che Bush faccia una nomina giudiziaria sia pur vagamente centrista; anche su questo, favorisce la destra estrema, compresi i fondamentalisti cristiani.
Gli oppositori della pena di morte temono che, se Bush avrà l'opportunità di sostituire qualcuno dei pochi liberali che restano nella Corte Suprema, anche l'attuale divisione tra i giudici sulla pena di morte scomparirà per decenni. Suo padre ha lasciato la presidenza con uno scherzo crudele all'America, designando Clarence Thomas alla Corte Suprema sul posto un tempo ricoperto da un grande giurista e sostenitore dei diritti civili, Thurgood Marshall. All'epoca della sua nomina, Thomas sembrava un mediocre uomo della destra con pochissima esperienza. Da allora, ha scritto poche sentenze e per lo più si è limitato a condividere le opinioni scritte dall'altro giudice nominato da Bush senior, Antonin Scalia, giurista coltissimo e uomo fortemente di destra. Per la famiglia Bush, i tribunali sono strumenti ideologici e questa è una cosa terrificante, perché le nomine giudiziarie sono a vita.
A breve termine è prevedibile che la Corte Suprema e gli stati, anziché abolire la pena di morte, si limitino a ripulirla, appianando le imperfezioni più evidenti. Il parlamento dell'Illinois farà proprie alcune delle ottantacinque proposte della commissione nominata dal governatore Ryan, ma non eliminerà la pena di morte in quanto tale. Il Texas non potrà più giustiziare gli psicotici, o gli imputati che hanno avuto avvocati peggiori della mancanza di avvocato, ma non smetterà di giustiziare una quantità di altre persone. Il 10 gennaio 2003, il governatore dell'Illinois, Ryan, ha concesso il perdono giudiziale a quattro detenuti che, ha concluso, si trovavano in carcere solo in base a false confessioni ottenute con la tortura dalla polizia di Chicago. Il giorno dopo, compiendo il più spettacolare atto di sfida alla legittimità della pena di morte in America da trent'anni in qua, ha commutato le condanne a morte di 167 uomini e donne in Illinois perché, ha detto, il sistema non era equo né giusto, e il fatto che da tre anni a questa parte il parlamento statale avesse rifiutato di cercare di migliorarlo lo ha convinto che ai politici non interessa la giustizia.
La frequenza delle sentenze capitali è diminuita negli ultimi anni, in parte a causa di una diminuzione del tasso di omicidi, in parte perché pubblici ministeri e giurie sono stati indotti a essere più cauti dal numero crescente di casi in cui le sentenze sono state smentite dalla prova del DNA. Solo gli ipocriti più appassionati possono continuare a sostenere che la pena di morte è equa o accurata.
Una volta fatte queste revisioni di facciata, la Corte Suprema esaminerà il sistema e deciderà che la morte di stato non può mai essere giusta ed equa, oppure che questi ritocchi marginali l'hanno resa accettabile. Come hanno mostrato le elezioni presidenziali del 2000, quando si arriva al dunque la Corte Suprema è un organo politico come tutti gli altri. Nessuno può prevedere che cosa farà, in questi tempi di febbrile paranoia guerresca e xenofobica e di crescente interferenza del governo federale in tutti gli aspetti della vita dei cittadini.


Fonte: Pubblicato su Ácoma 25, Rivista Internazionale di Studi Nordamericani, inverno 2003, pubblicazione quadrimestrale, Shake edizioni undeground, traduzione di Alessandro Portelli.

* Bruce Jackson è Distinguished Professor e Samuel P. Capen Professor of American Culture alla State University of New York a Buffalo. Autore di molti libri, è inoltre curatore e regista, con Diane Christian, di Death Row (1979), libro e documentario sulla vita quotidiana degli uomini in attesa di esecuzione nelle carceri del Texas.
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Note:

1. Le prigioni statali e federali scoppiano per il numero di piccoli spacciatori condannati a sentenze epiche. Nel 1965 il Texas teneva chiusi in prigione circa diecimila suoi cittadini; ad aprile del 2002 le prigioni del Texas ne contenevano centocinquantamila. La California ha 239.000 detenuti. Gran parte della popolazione carceraria è "non bianca": circa l'11 per cento dei maschi neri fra i venti e trent'anni sono in carcere, a fronte di un 4 per cento degli ispanici e di un 1,5 per cento dei bianchi. Questo dato non è privo di profonde conseguenze politiche: in molti stati, fra cui la Florida, le persone condannate non possono votare, indipendentemente da quanto lieve sia il reato o da quanto tempo sia trascorso. Nel 2000, in Florida molti non bianchi sono stati esclusi dal voto a causa di condanne penali. Molti degli esclusi in realtà non erano nemmeno stati condannati: gli è stato negato il voto per sciatteria o errori della burocrazia statale. Se gli esclusi avessero potuto votare, la Corte Suprema degli Stati Uniti non avrebbe avuto la possibilità di designare George Bush alla presidenza degli Stati Uniti.
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2. Certi politici sembrano adorare la pena di morte. Gli accusati della recente serie di delitti dei cecchini nell'area di Washington D.C. John Allen Muhammad, di 41 anni, e Lee Malvo di 17, potevano essere processati in Maryland o in Virginia. I delitti commessi in Maryland erano di più, e il procuratore distrettuale del Maryland aveva depositato per primo gli atti processuali. Il ministro della giustizia John Ashcroft è intervenuto e, con una serie di intricate manovre legali, ha ordinato che i processi si svolgano in Virginia. Perché i delitti commessi in Virginia sono provati in modo più convincente? No: ha detto che in Virginia c'erano più possibilità di arrivare a una sentenza capitale. La Virginia può giustiziare legalmente i diciassettenni, e ha eseguito molte più condanne a morte del Maryland (86 a 3). Da quando è ministro della giustizia, Ashcroft ha insistito almeno una dozzina di volte che i pubblici ministeri federali chiedessero la pena di morte, anche quando gli stessi pubblici ministeri ritenevano che sentenze detentive fossero perfettamente adeguate. In un caso, ha persino annullato un concordato che tutti, compreso il giudice, ritenevano giusto e ragionevole.
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3. Esistono tre gradi di tribunali penali federali. I processi sono condotti dalle 94 corti distrettuali che hanno anche la facoltà di emettere ordini su materie come la segregazione scolastica e le condizioni carcerarie per il proprio distretto. Il primo grado di appello sono le 13 corti d'appello federali (ne esiste anche una per i casi di origine militare). Il livello più alto, il tribunale con giurisdizione finale per le questioni penali e tutte le questioni legali, è la Corte Suprema, composta di nove giudici.
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