Le questioni da riprendere
Giovanna Del Giudice
ottobre 2003

Soffermiamoci su tre punti particolarmente critici: OPG, psicofarmaci, contenzione

Ospedali Psichiatrici Giudiziari e salute mentale in carcere
Riteniamo inutile ribadire in questa sede l'assurdità e la violenza dell'OPG. Non è possibile un OPG migliore, l'OPG va definitivamente superato. Permane da alcuni anni pressocché stabile il numero di internati/e nei 6 OPG, circa 200 per ogni Istituto, con una lieve flessione verso l'alto, in particolare per le donne; da anni i disegni di legge per il superamento degli attuali OPG rimangono senza alcun riscontro legislativo. Permane, pur a fronte di piccoli e stabili numeri una cultura pronta a re-invadere la convivenza civile, che pretende di continuare ad assimilare pericolosità e diversità. Di contro ai dibattiti, alle ricerche e alle prese di posizioni sugli artt. 88 e 89 del C.P. (capacità di intendere e di volere), appare carente un impegno operativo per il superamento degli OPG, e questo oggi vogliamo sottolineare.
Esiste un grande margine di azione da parte degli operatori/trici dei Dipartimenti di Salute Mentale sia per una presa in carico dell'utente che ha commesso reato per evitare l'invio in OPG, sia per la dimissione degli attuale internati/e negli OPG attraverso specifici progetti individuali di deistituzionalizzazione.
A questo proposito va ricordato l'impegno di gruppi regionali che in Campania e in Sicilia da 2 anni stanno lavorando per la dimissione dei ricoverati dagli OPG di Aversa, Napoli, Barcellona.
Riteniamo oggi di poter dire che gli OPG permangono anche per responsabilità dei DSM. La questione dell'OPG necessita di essere significativamente affrontata da parte dei DSM attraverso la presa in carico dei loro pazienti internati, da primo affrontando le situazioni più immediate e possibili (già il Ministero di Giustizia afferma che il 20% dei ricoverati siano internati per reati minori e con indice di pericolosità del tutto "evanescente") e insieme impedendo nuove ammissioni e bloccando il flusso di invio dal carcere.
Un impegno particolare investe quelle ASL nel cui territorio insistono gli OPG, cadendo su di loro la residenza anagrafica dei lungo-degenti; pertanto vanno immaginati progetti finalizzati regionali che impieghino fondi aggiuntivi per affrontare programmi di deistituzionalizzazione.
La questione della salute mentale in carcere, ad eccezione di poche situazioni italiane, risente a tutto campo della non applicazione del decreto n.230 del 1999 per il riordino della medicina penitenziaria, anche nelle 6 regioni individuate per la sperimentazione.
Il Forum vuole ribadire il proprio dissenso contro ogni forma di doppio binario, ed affermare la necessità di un rapido trasferimento delle competenze dalla medicina penitenziaria a quella ordinaria, contro tutte le resistenze di ordine preminentemente economico-corporativo.

Gli psicofarmaci
Riteniamo che la "questione degli psicofarmaci", sottovalutata nella sua complessità anche nelle pratiche più avanzate, vada riproposta all'attenzione proprio perché intorno agli psicofarmaci le multinazionali del farmaco in perverso intreccio con le Università hanno ricostruito, dopo la riforma, l'artefatto della divisione tra psichiatria biologico-istituzionale e psichiatria sociale, assegnando alla prima il compito di fornire e legittimare l'idea di avere le chiavi e la conoscenza dell'organo, e il modo con cui aggiustarlo, e alla seconda il compito di sostenere l'uso indifferenziato ed esteso degli psicofarmaci nella popolazione, integrandosi con i medici di medicina generale. Alla produzione partecipa la psichiatria biologica universitaria, la vendita è promossa dalla psichiatria dei servizi e dai medici di base.
Nella prassi dei servizi di salute mentale, l'uso di farmaci di ausilio alla cura si trasforma nell'intervento principale, che declassa tutto il resto a puro intervento satellite, a mera pratica di supporto alle terapie farmacologiche stesse. Si crea un circolo vizioso in cui la necessità (vera o presunta) di somministrare farmaci giustifica persino pratiche repressive come la contenzione.
Il preteso primato della terapia farmacologica si abbatte su altre istituzioni: sul carcere, dove gli psicofarmaci vengono usati a sproposito per mille ragioni tra cui alcune connesse alle pratiche detentive e punitive; sulle case di riposo, dove servono ad adattare comportamenti disturbanti e noiosi da sindrome istituzionale degli anziani; sul sistema scolastico persino con i più piccoli, sui centri di permanenza temporanei per extracomunitari ed infine sulla società in generale.

La contenzione
La buona pratica non parte da un gesto generoso del medico verso la persona sofferente, gesto che può essere tradito mille volte al giorno da un dolore più o meno nascosto, da un'aggressività con o senza giustificazione, da una violenza che ferisce. La buona pratica è il risultato di una volontà collettiva di partire comunque dal rispetto e dalla libertà della persona che spesso proviene da una storia in cui questo rispetto e questa libertà sono venuti meno o non sono mai esistiti. Blu-ray discs are no longer needed when there is 4K site 4kmovies.co for download digital 4K movies.
La contenzione invece blocca questo sviluppo nell'atto stesso che parte dal massimo dell'umiliazione e della mortificazione della persona e ripropone la copertura della nostra incapacità ad affrontare diversamente la sofferenza e la violenza.
La contenzione blocca ogni passo successivo. Contamina e rafforza il sopravvivere di vecchie tradizioni nelle case di riposo per anziani, negli istituti per handicappati, nei reparti di geriatria, negli istituti per minori, in carcere... per facilitare l'immobilità, per preservare dal danno, per semplificare il lavoro di medici e di infermieri.


Fonte: estratto dal documento preparato da Giovanna Del Giudice per la presentazione del Forum Salute Mentale (ottobre 2003) www.forumsalutementale.it