Riflessioni sulla giustizia, le classi, il movimento
Domenico de Simone
28 novembre 2002
La giustizia è di classe. Questa frase l'abbiamo sentita
tante volte che è divenuta uno slogan, ma essa esprime una verità
profonda. Il sistema giudiziario e la giustizia in sé sono strumenti
del potere, qualunque esso sia e da chiunque sia esercitato. Questo concetto
è noto non solo ai marxisti ma a chiunque abbia un po' di dimestichezza
con la filosofia. Heidegger ha dimostrato il legame profondo che intercorre
tra la giustizia ed il potere, fino al punto che la "verità"
è il vittorioso dopo lo scontro e il "falso" è
lo sconfitto. Falso è colui che cade (fallit) di fronte al comando
(jus) vittorioso. È questo il senso della giustizia nel mondo
occidentale. Pensare che esista una giustizia assoluta e delle leggi assolute
che la regolano in qualunque tempo o sotto qualsiasi latitudine è un
errore imperdonabile. Si tratta, appunto, di cattiva metafisica.
La giustizia è quindi un prodotto della storia e non un assoluto. In
quanto tale, in epoca di conflitti di classe, la giustizia è di classe.
Essa difende il potere ed i privilegi della classe dominante. Diceva Bernard
Shaw che la giustizia punisce con ugual rigore il borghese ed il povero che
dormono sotto i ponti. In quanto strumento del potere la giustizia è
un atto di violenza. Ogni procedimento giudiziario si può concludere
con un provvedimento di costrizione di uno o più uomini. Ma è
in sé che il procedimento giudiziario si traduce in un atto di violenza,
poiché mette a nudo l'essenza degli uomini che sono sottoposti al procedimento.
Insomma, la violenza della giustizia non si esprime solo con il provvedimento
finale, ma è connaturata all'atto del giudizio. Il giudizio, che noi
riteniamo essere proprio dell'uomo, in realtà esprime la prevaricazione
di un uomo su un altro uomo. Non mi riferisco (solo) agli errori giudiziari
che nella storia sono stati innumerevoli, ma che possono essere giustificati
come conseguenza dei limiti di comprensione umana. Dico proprio che è
l'atto del giudizio, il giudizio in sé, a presupporre una prevaricazione,
una violenza.
La logica del potere esige la "giustizia" e la "verità".
Combattere contro la logica del potere significa combattere contro la giustizia
e contro la verità. Non dico contro "questa" giustizia
e "questa" verità, ma contro la giustizia e la verità
come strumento e risultato del processo di prevaricazione insito nella relazione
di potere. Insomma non esiste una giustizia "giusta" così
come non esiste un'altra "verità". Entrambe sono figlie
del potere.
Mi rendo conto che è un discorso difficile da digerire, questo. Tutti
noi siamo nati e siamo stati educati a perseguire la giustizia e cercare la
verità. Ma è lo stesso ragionamento che ci induce a rifiutare
il potere "giusto", che ci porta ad escludere che siano possibili
una giustizia giusta ed una verità vera.
Queste espressioni sono entrambe tautologie. La giustizia è per definizione
giusta e la verità è per definizione vera. L'aggiunta dell'aggettivo
vale ad escludendum, nel senso che ci fa presupporre che una giustizia possa
non essere giusta ed una verità possa non essere vera. E chi stabilisce
se la giustizia è giusta e la verità vera? Appunto, il potere.
La giustizia rovescia il senso della legge. La legge unisce, mette insieme,
affratella. La giustizia, in quanto decide, taglia, recide, appunto decide
(da de-caedere che in latino significa tagliare). Quello che la legge
unisce con il legame, la giustizia taglia con la spada, che è uno degli
strumenti del potere (lo strumento originario).
Che cos'è una società senza giustizia e senza verità?
Sento già rumori di guerra, dietro queste mie parole, ma non li temo.
Gli antichi greci non conoscevano la verità eppure vivevano benissimo.
E finché fu possibile, essi vissero anche senza giustizia e senza legge.
Poi, queste divennero necessarie quando le risorse divennero scarse e fu necessario
evitare che gli uomini si uccidessero tra loro per prenderle. Ci pensavano
le legioni a prenderle e distribuirle tra tutti. Perché credete che
il diritto romano abbia dominato la storia del pensiero giuridico per duemila
e più anni? Perché era portato dalle legioni, insieme alle spade,
alle aquile, alle strade, agli acquedotti ed agli anfiteatri.
Dico che ora giustizia e verità non sono più necessarie, anzi,
più passa il tempo e più esse mostrano il loro aspetto peggiore,
la loro vera natura che è quella di essere strumenti di potere. E non
sono più necessarie perché le risorse non sono più scarse
e non dobbiamo più ucciderci per sopravvivere. Non ci servono le legioni
di cesare né i rambo di Bush.
È verità quella delle multinazionali, del FMI, della televisione?
Eppure è quello il mondo com'è rappresentato oggi. È
giustizia quella "infinita" di Bush, quella dei tribunali, quella
economica? Oppure è giustizia quella dei talebani, di Bin Laden o di
Saddam?
È giustizia quella degli arabi o quella degli occidentali? Non uccidono
entrambi, forse? E non si tratta di poteri contrapposti, di una "parte"
(o un partito) che pretende di essere il "tutto" annientando
l'altra parte? E non è questa forse, la giustizia, l'esclusione dall'ethos
comune, e la condanna, per questo, all'annientamento?
È la giustizia che brucia le streghe, condanna gli eretici, decapita
i ribelli in tutto il mondo. In base a leggi che sono sentite come giuste
da alcuni e che a noi appaiono ripugnanti. È la stessa giustizia che
condanna le adultere alla lapidazione, i ladri al taglio della mano, i blasfemi
al taglio della testa. O pensate che sia un'altra giustizia? Il meccanismo
è sempre lo stesso, la legge "giusta" in forza della
quale emettere una sentenza "giusta".
Parole, dietro alle quali si nasconde, senza alcuna vergogna, una sola verità:
la giustizia è uno strumento di potere. La sua logica è quella
della vendetta, in questo non molto dissimile dall'ordalia barbarica. D'altra
parte questa è la logica di un mondo il cui senso è la sopraffazione
per la propria sopravvivenza o per il proprio benessere. È il mondo
in cui la ricchezza si divide perché è scarsa. È il mondo
in cui pochi possono stare bene e molti devono soffrire per il benessere dei
pochi. È il mondo in cui tutti sono contro tutti, e solo la legge,
con la sua minaccia di punizione, impedisce il conflitto generalizzato.
Ma allora interroghiamoci. Noi siamo così? Vogliamo davvero la giustizia?
Vogliamo davvero la verità? Il movimento non è quello che non
vuole né Bush né Bin Laden, che non vuole la logica della vendetta,
che non vuole la legge dell'ordine capitalista?
E la terza via, se c'è, non è al di fuori della logica stretta
della contrapposizione di verità vere e giustizie giuste? Perché
non crediamo che vista dal lato degli israeliani la loro sia verità,
come quella dei palestinesi? E che l'Islam non abbia la sua giustizia come
Bush e gli americani?
Ma noi, come possiamo parlare di giustizia e di verità se rifiutiamo
la loro giustizia e la loro verità?
La giustizia è di classe. In base a questa ovvietà, nei paesi
di socialismo reale, è stata fatta giustizia. Massacrando milioni di
persone.
La giustizia è di classe. In base a questa ovvietà le carceri
dei paesi occidentali sono piene di poveracci che non ce la fanno a vivere
nel teatrino mediatico in cui gli eroi hanno tutto e loro non hanno niente,
nemmeno i sogni, che a quelli ci pensa la televisione. Non qualche poveraccio,
ma milioni di poveracci che la giustizia esamina, giudica e condanna. È
una condanna già scritta da una società che li ha esclusi sin
dalla nascita. Appunto, la giustizia borghese punisce con ugual rigore il
ricco e il povero che dormono sotto i ponti.
Se dobbiamo ricostruire il mondo, dobbiamo cominciare dalla violenza che è
in noi. Cominciare ad estirparla, perché è insensato combattere
la violenza con la violenza. È insensato combattere il potere con il
potere. È proprio quello che vuole il potere in sé. Al quale
non importa nulla il colore dei capelli di chi lo esercita e nemmeno quello
della sua divisa. Non importa chi vince, importa che si combatta, esso vuole
il terrore, il sangue, la morte, la vendetta, altra morte, in una spirale
infinita. Al potere interessa solo vivere attraverso gli uomini, ad esso interessa
il colore dell'anima degli uomini, quello che la divisa nasconde, ma non cambia.
Al fronte si muore tutti nello stesso schifosissimo modo, buoni e cattivi,
eroi e vigliacchi, si muore con la faccia nella terra, nelle pozzanghere,
nell'odore del sangue e delle feci, si muore nel freddo dell'odio e nel buio
dell'indifferenza. Il potere grida forte la sua verità, ha sete della
sua giustizia, pretende l'odio di tutti. Perché dentro e dietro la
verità e la giustizia c'è l'odio e non l'amore. Il potere è
una strada lastricata di odio e di sopraffazione, di violenza e di miseria,
materiale e morale.
Se non vogliamo il potere, dobbiamo gridare forte che non vogliamo né
verità né giustizia. Che la vita degli esseri umani è
al di sopra di ogni verità e ogni giustizia e non il contrario, che
la legge che unisce è una legge d'amore e non di odio.
Dobbiamo ripensare profondamente la società, le relazioni, la sicurezza,
il mondo intero. La società della verità e della giustizia è
la società del profitto. Il profitto è una prevaricazione, una
violenza in sé. Dobbiamo reagire con l'indifferenza al profitto, costruendo
un mondo di relazioni in cui non ci sia profitto. Possiamo farlo a partire
da noi stessi, così come possiamo costruire un mondo di relazioni che
non viva nella violenza della verità e della giustizia. La giustizia
e la verità sono il residuo metafisico di un uomo impaurito dalla sua
stessa natura. Sono i fantasmi della nostra paura di vivere, di essere compiutamente
umani. Certo, occorre difendersi dalla violenza, occorre soprattutto prevenirla
ed estirparne le radici. Che sono nell'ignoranza, nell'incoscienza, nel nichilismo
di chi non riconosce la vita come valore. Noi dobbiamo caricarci sulle nostre
spalle il dolore di un mondo che reclama libertà e amore. E dobbiamo
dargli libertà e amore, non giustizia e verità.
Possiamo farlo, subito. Basta cominciare, nel mondo, nei luoghi più
sperduti del mondo, c'è molta più umanità di quanto non
appaia da una rappresentazione che gode del dolore e della sofferenza e nega
l'esistenza della solidarietà e dell'amore. Se c'è una ragione
per cui dobbiamo fare controinformazione è proprio questa, battere
questo mondo che per il proprio profitto sbatte in prima pagina il mostro
e nasconde i mille gesti d'amore che ogni giorno sono compiuti da mille eroi
sconosciuti.
"Non ho bisogno di nessuna rivoluzione che mi aspetti. Uno la rivoluzione ce l'ha dentro e se la porta di qua e di là, come i bagagli."
Paco Ignacio Taibo II
Fonte: pubblicato sul sito personale di Domenico de Simone all'indirizzo http://it.geocities.com/domenicods/