Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dal dopoguerra i tassi di detenzione sono
diminuiti in rapporto al numero dei crimini registrati e dei rei condannati.
All'interno del sistema penale assistenziale postbellico il carcere era considerato
un'istituzione problematica cui ricorrere solo come ultima risorsa, controproducente
e scarsamente orientata alle finalità correzionali. Gran parte dello
sforzo prodotto dal sistema politico era volto a creare misure alternative alla
detenzione e a incoraggiare chi era chiamato ad applicare le pene a farvi ricorso.
Per gran parte del XX secolo, le pene pecuniarie, della probation e di svariate
forme di controllo da parte della comunità sembrarono prevalere sulle
pene carcerarie. Negli ultimi venticinque anni questa tendenza di lungo termine
è stata ribaltata, dapprima e in modo radicale negli Stati Uniti, più
tardi anche nel Regno Unito.
L'inversione di questa tendenza è stata seguita, negli Stati Uniti, dal
maggiore incremento dei tassi di incarcerazione registrato a partire dalla nascita
del carcere moderno, avvenuta nel corso del XIX secolo. Nel periodo che va dal
1973 al 1997, il numero di persone detenute negli Stati Uniti è aumentato
del 500 per cento. Un aumento altrettanto significativo è stato rilevato
nella frequenza relativa delle condanne a una pena detentiva (in rapporto a
condanne a pene non detentive), e nella lunghezza media dei periodi di carcerazione,
aumento che è continuato a lungo anche dopo che i tassi ufficiali di
criminalità hanno cominciato a diminuire. Dopo un secolo che ha visto
costantemente crescere i tassi di criminalità e diminuire quelli di detenzione,
il periodo più recente ha registrato la comparsa, dapprima negli Stati
Uniti e poi nel Regno Unito, del fenomeno esattamente opposto: aumento dei tassi
di carcerazione e caduta dei tassi di criminalità.
In aperto contrasto con il senso comune diffuso durante la fase storica precedente,
l'assunto dominante della nostra epoca è che "il carcere funziona",
non in quanto strumento di correzione o di rieducazione, ma come mezzo di neutralizzazione
e punizione che soddisfa le istanze politiche popolari di sicurezza pubblica
e di severità della condanna. Gli anni recenti hanno testimoniato un
improvviso cambiamento nella sua fortuna. Un'istituzione contrassegnata da una
lunga storia di aspettative utopiche e da ricorrenti tentativi di reinvenzione
- dapprima come penitenziario, poi come casa di correzione e, più recentemente,
come luogo deputato alla rieducazione - ha visto, infine, le sue aspirazioni
azzerarsi ai livelli della neutralizzazione e della pena retributiva. Ma nel
corso di questa caduta libera, il carcere si è ancora una volta trasformato.
Nel corso di pochi decenni è passato dall'essere concepito quale istituzione
correzionale screditata e in declino, a pilastro portante e apparentemente indispensabile
dell'ordine sociale contemporaneo.
Le idee criminologiche che hanno modellato le politiche del periodo postbellico
erano formate da un intreccio eterogeneo di psicologia della devianza e teorie
sociologi che quali quelle dell'anomia, della deprivazione relativa, delle sottoculture
e dell'etichettamento. La criminalità era intesa come un problema legato
a soggetti e a famiglie deficitari o scarsamente adattati, o quale sintomo di
bisogni, di ingiustizie sociali e dell'inevitabile conflitto di norme culturali
all'interno di una società pluralista e tuttavia gerarchica. Volendo
trovare un modello esplicativo comune, questo poteva essere rinvenuto nella
deprivazione sociale, più tardi intesa come "deprivazione relativa".
Gli individui diventavano delinquenti perché non potevano beneficiare
di un'educazione adeguata e di una socializzazione familiare, di opportunità
lavorative o di un trattamento consono alle loro condizioni psicologiche anomale.
La soluzione al problema della criminalità risiedeva in un trattamento
risocializzativo individualizzato, in un aiuto o in un controllo delle famiglie,
in misure di riforma sociale, in particolar modo nel campo dell'istruzione,
e nella creazione di opportunità di lavoro."
Il repertorio intellettuale della criminologia postbellica era sufficientemente
ampio da contenere diverse ipotesi teoriche in conflitto. Ai criminologi e agli
operatori esso sembrava, senza dubbio, privo di limiti precisi. Con uno sguardo
retrospettivo sembra chiaro che questo modo di pensare, questa épisteme
criminologica, era condizionato storicamente e strutturato in modo da adattarsi
ai processi di individualizzazione della giustizia penale e alla razionalità
sociale promossa dal welfare state.
A partire dagli anni settanta, nuove scuole di pensiero criminologico si affermano
e influenzano le politiche governative. Le teorie che a partire da quell'epoca
iniziano a configurare il modo di pensare e di agire ufficiale sono le diverse
teorie del controllo, le quali, come è noto, concepiscono il crimine
e la delinquenza non come problemi dovuti alla deprivazione ma, appunto, all'assenza
di controlli adeguati. Controlli sociali, controlli situazionali, forme di autocontrollo:
sono questi i temi dominanti della criminologia contemporanea e delle politiche
di controllo della criminalità cui esse hanno dato origine?"
Le criminologie dell'epoca del welfare state partivano dal presupposto dell'esistenza
di un soggetto perfettibile, da un'idea del crimine quale indice di un inadeguato
processo di socializzazione, e da una concezione dello Stato quale istituzione
per l'assistenza delle persone svantaggiate economicamente, socialmente e psicologicamente.
Le teorie del controllo, invece, si basano su una lettura più negativa
della condizione umana. Il loro presupposto è che gli individui siano
fortemente attratti dal perseguire il proprio vantaggio e dalle condotte antisociali
e criminali, a meno che non siano inibiti da controlli severi ed efficaci. Tiesioginė vadovų,i darbuotojų paieška, atranka ir mokymai: Primum Esse Le
teorie del controllo conferiscono dunque all'autorità della famiglia,
della comunità e dello Stato la funzione di stabilire e imporre divieti
e restrizioni. Laddove la criminologia del passato si focalizzava quasi esclusivamente
sull'intervento e sull' assistenza, quella più recente sottolinea l'importanza
di esercitare stretti controlli e di mantenere la disciplina.
Ne consegue che la criminologia contemporanea è sempre più propensa
a considerare i reati un fenomeno di routine diffuso nella società moderna,
commesso da soggetti perfettamente normali sotto tutti i punti di vista. Definendo
gli autori di reato quali soggetti razionali, totalmente responsabili delle
loro condotte delittuose e capaci di rispondere positivamente a fattori disincentivanti,
questa concezione ha contribuito ad appoggiare le politiche retributive e deterrenti.
Ma per ciò che riguarda le questioni più generali legate alla
prevenzione della criminalità, questa nuova épisteme ha prodotto
ulteriori novità. Un tipo di teorie del controllo, che potremmo definire
criminologie della vita quotidiana, comprende teorie come quelle della "scelta
razionale", delle "attività di routine", del "crimine
quale opportunità" e della "prevenzione situazionale"
della criminalità. Negli ultimi vent'anni, queste nuove teorie sono diventate
rapidamente una risorsa importante per i policy makers. L'assunto su cui si
fondano è che il crimine sia un evento - o meglio una massa di eventi
- che non richiede una speciale motivazione o predisposizione, la presenza di
una patologia o di un'anomalia, in quanto esso è un fenomeno iscritto
nelle pratiche della vita sociale ed economica contemporanea. In netta opposizione
alle criminologie welfariste, che partivano dalla premessa che la criminalità
fosse una deviazione da una condotta normale e civile, spiegabile in termini
di patologia individuale, mancata socializzazione o disfunzioni sociali, queste
nuove criminologie propongono di leggere il comportamento delittuoso senza soluzione
di continuità rispetto alle normali interazioni sociali, e ritengono
di poterlo spiegare facendo riferimento a tendenze motivazionali generali.
Un aspetto significativo di questo nuovo approccio è che esso impone
di spostare l'intervento dalla criminalità e dall'autore di reato verso
il fatto criminoso. L'attenzione è ora concentrata sulle opportunità
criminali e sull'esistenza di "situazioni criminogenetiche", che si
riprodurranno ogni qualvolta siano assenti forme di controllo e siano presenti
obiettivi appetibili, indipendentemente dal fatto che gli individui abbiano
o meno una "predisposizione criminale" (sulla quale, peraltro, è
in ogni caso difficile intervenire). L'interesse, dunque, dovrebbe essere concentrato
non tanto sugli individui, quanto sull'interazione sociale, sulle condizioni
ambientali e sulla struttura dei controlli e dei fattori disincentivanti. Le
nuove convinzioni politiche spingono a concentrarsi più sulla cura che
sulla prevenzione, a ridurre le opportunità, ad aumentare i controlli
situazionali e sociali, e a modificare le abitudini quotidiane. L'assistenza
a gruppi sociali bisognosi, o l'attenzione a bisogni di individui disadattati
passano dunque in secondo piano.
Negli ultimi due decenni, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti il dibattito sulla criminalità si è focalizzato, a livello nazionale, sui temi della pena, del carcere e della giustizia penale. A livello locale, invece, si sono formate nuove infrastrutture che affrontano in modo inedito il problema della criminalità e del disordine. Questa rete di intese fra differenti istituzioni e di accordi fra soggetti pubblici e privati, sviluppata in Gran Bretagna per auspicio dell'Home Office, e negli Stati Uniti soprattutto su iniziativa dell'impresa privata e con l'impulso delle amministrazioni locali, è stata costruita per favorire la prevenzione della criminalità e la sicurezza a livello comunitario, avvalendosi soprattutto del coinvolgimento della comunità e della diffusione delle teorie e delle pratiche di prevenzione. Programmi di polizia comunitaria, commissioni per la prevenzione della criminalità, progetti di sicurezza urbana, programmi urbanistici finalizzati alla prevenzione, distretti industriali, programmi di vigilanza di quartiere, comitati amministrativi locali: tutte queste attività che si intersecano e collegano tra loro hanno inaugurato, nel loro insieme, la nascita di un nuovo sistema di controllo della criminalità, le cui pratiche si ispirano alle nuove criminologie della vita quotidiana. Sebbene questa nuova infrastruttura abbia precise relazioni con le istituzioni della giustizia penale,in modo particolare con le forze di polizia e con il sistema della probation, che sostengono e gestiscono le operazioni più importanti, essa non dovrebbe essere intesa semplicemente come una parte o un'estensione del sistema tradizionale di giustizia. Al contrario, la nuova infrastruttura è fortemente orientata verso un insieme di obiettivi e priorità - prevenzione, sicurezza, riduzione del danno, contenimento della paura che sono differenti da quelli tradizionali, tesi a perseguire i reati, a punire e a ristabilire giustizia. In definitiva, mentre le misure più importanti della politica del controllo della criminalità sono sempre più orientate verso la segregazione punitiva e una giustizia espressiva, va registrato, allo stesso tempo - soprattutto a livello locale - una nuova strategia che potremmo definire come partnership preventiva. Attualmente,, se da una parte è vero che le strategie più visibili del controllo della criminalità prevedono l'espulsione e l'esclusione, dall'altra esiste una serie di tentativi ripetuti e concreti volta ad aumentare i controlli all'interno dei quartieri e a incoraggiare le comunità a gestire autonomamente il controllo.
Una delle caratteristiche più interessanti di questo nuovo insieme di
pratiche preventive e delle autorità a esse preposte sta nel fatto che
coinvolgono pubblico e privato, e che estendono il controllo della criminalità
al di là dei confini istituzionali "dello Stato". Per gran
parte degli ultimi due secoli le istituzioni statuali deputate all'amministrazione
della giustizia hanno dominato il campo, e concepito la criminalità come
un problema da governare attraverso il mantenimento dell'ordine, il controllo,
la denuncia e la punizione dei criminali. Oggi, abbiamo di fronte agli occhi
un'evoluzione fondata sulla partecipazione attiva dei cittadini, della comunità
e delle imprese, che si esprime in una concezione più estesa del controllo
e nell'uso di tecniche e strategie diverse da quelle tradizionalmente usate
dalle istituzioni della giustizia penale.
Questa evoluzione è ora sempre più incentivata dalle agenzie governative
e da organizzazioni e gruppi che operano all'interno della società civile.
Da un lato, specialmente nel Regno Unito, il governo centrale ha concertato
politiche del controllo e della riduzione dei tassi di criminalità coinvolgendo
non solo le istituzioni deputate all'amministrazione della giustizia, ma anche
singoli cittadini, le comunità, le imprese commerciali e altri soggetti
appartenenti alla società civile. In netta contrapposizione alla consolidata
tendenza alla monopolizzazione del controllo della criminalità da parte
delle agenzie governative specializzate, queste ultime hanno iniziato a "indifferenziare"
la risposta sociale, vale a dire a estendere la funzione del controllo a soggetti
diversi dalle organizzazioni statali specializzate che un tempo ne detenevano
il monopolio.
Nello stesso arco di tempo abbiamo assistito a una notevole espansione dell'industria
dei dispositivi di sicurezza per i privati, nata originariamente all'ombra dello
Stato, ma ora sempre più considerata dai suoi apparati quale partner
nella produzione di sicurezza e controllo della criminalità, finanziata
oggi da un'economia mista di interventi pubblici e privati. Basti pensare che
molte funzioni di routine della gestione della sicurezza sono appaltate in misura
sempre più rilevante a forze di polizia private, e che un numero sempre
maggiore di imprese e di famiglie investe in impianti di sicurezza e in servizi
di vigilanza offerti dalle imprese che operano nel campo della sicurezza. Un'economia
ibrida tra pubblico e privato sta iniziando a diffondersi anche nel settore
penale, con la crescita esponenziale delle carceri private, tutto ciò
dopo più di un secolo durante A quale l'amministrazione delle istituzioni
penali era stata saldamente in mano agli apparati statuali, che ritenevano inconcepibile
la presenza di interessi economici e privati in questo settore.
Fino a non molto tempo fa, era condivisa l'idea che il sistema di controllo
della criminalità e quello correzionale fossero di responsabilità
dello Stato, e che dovessero essere affidati a funzionari governativi che li
amministravano nell'interesse pubblico. Queste divisioni tra pubblico e privato
non sono più così nette. Le agenzie del settore pubblico (carceri,
probation, parole, istituzioni giudiziarie ecc.) sono ora rimodellate in base
ai valori e alle prassi vigenti nell'industria privata. Interessi commerciali
hanno iniziato a giocare un ruolo decisivo nello sviluppo e nell'esercizio delle
politiche penali, un fatto che solo vent'anni prima sarebbe stato impensabile.
Ciò che abbiamo di fronte è una ridefinizione dei confini tra
le sfere pubbliche e quelle private, tra la giustizia penale statuale e i controlli
messi in atto da parte della società civile. Il campo del controllo penale
moderno si sta rapidamente riconfigurando, secondo modalità che decentrano
non solo le istituzioni specializzate dello Stato, ma anche i principi politici
e criminologici su cui si fondavano.
Come dicevamo, gli ultimi decenni hanno registrato cambiamenti significativi
rispetto agli obiettivi, alle priorità e alle ideologie delle più
importanti organizzazioni che operano nell'area della giustizia penale. La polizia
si pone ora come un servizio pubblico a disposizione dei cittadini, finalizzato
a contenere la paura, il disordine e l'inciviltà più che come
una forza impegnata a combattere la criminalità, e nel dettare la propria
agenda si dichiara attenta agli stati d'animo della comunità. Le autorità
penitenziarie concepiscono il loro mandato in termini di "protezione dei
cittadini", assumendosi la responsabilità di garantire la sicurezza
della detenzione, senza più pretendere di ottenere esiti rieducativi
nei confronti della maggioranza dei detenuti. Gli uffici preposti alla libertà
vigilata e sulla parole hanno ridimensionato l'ethos assistenziale che contraddistingueva
il loro operato, proclamandosi erogatori di sanzioni poco dispendiose, implementate
con il coinvolgimento della comunità, e orientate al monitoraggio dei
rei e alla gestione del rischio. Soprattutto negli Stati Uniti, la commisurazione
della pena è cambiata e ha perso quella natura discrezionale che consentiva
di tener conto delle caratteristiche individuali, per divenire molto più
rigida e meccanica, dovendo attenersi a linee guida precise, e dovendo rispettare
standard minimi obbligatori.
Inoltre, un nuovo managerialismo imperante caratterizza ogni aspetto della giustizia
penale. All'interno delle singole agenzie e organizzazioni, la discrezionalità
professionale è stata fortemente limitata dall'introduzione di indici
di rendimento e di strategie gestionali che hanno ridefinito capillarmente le
prassi lavorative. L'intero sistema è stato sottoposto a nuove forme
di monitoraggio, con l'introduzione di tecnologie informatiche e con la certificazione
del bilancio. In tal modo, la centralizzazione del controllo si è estesa
a un processo che un tempo erano meno coordinato e fortemente resistente alle
forme di controllo gestionali.
Questa attenzione alla gestione dei rischi e delle risorse ha prodotto un sistema
che è diventato sempre più selettivo nelle sue risposte alla criminalità.
Esistono oggi obiettivi ben focalizzati, come i delinquenti "professionisti",
i soggetti plurivittimizzati e i delinquenti altamente pericolosi; vi sono norme
volte a escludere l'esercizio dell'azione penale per i reati bagatellari (a
eccezione di quelli che creano seri problemi alla sicurezza pubblica); infine,
si è andata diffondendo una consapevolezza di come devono essere ripartite
le risorse economiche nel campo della giustizia penale, cioè a dire nel
campo investigativo, in quello giudiziario, in quello del controllo per i casi
di probation e in quello dell'edilizia penitenziaria. La diversion, il cautioning
(diffida da parte della polizia), le pene pecuniarie, le pene fisse e, di fatto,
la decriminalizzazione dei reati bagatellari incarnano questa tendenza volta
a destinare le risorse economiche stanziate per il controllo della criminalità
verso i reati più gravi e i delinquenti più pericolosi.
Vi sono, ovviamente, esempi paradigmatici che dimostrano come questi principi
di efficienza economica e queste strategie manageriali sembrano essere stati
disattesi. La crescita esponenziale della popolazione carceraria - dapprima
negli Stati Uniti e, più di recente, anche in Gran Bretagna - costituisce
un esempio concreto di restrizione fiscale che si arrende di fronte a interessi
politici di matrice populista. Le leggi che prevedono condanne a pene minime
obbligatorie sono state introdotte senza badare alla necessità di non
intaccare le scarse risorse destinate alle spese per l'applicazione delle pene,
o per lo meno di impiegarle per la gestione dei casi più allarmanti.
Iniziative definite "qualità della vita" e "tolleranza
zero" sembrano contraddire la logica di stabilire obiettivi selettivi nel
mantenimento dell'ordine, o per lo meno sembrano definire priorità in
modi radicalmente nuovi. Le politiche più recenti hanno revocato la fiducia
da sempre accordata alle misure penali economicamente poco onerose e di scarso
impatto, spesso in nome della sicurezza pubblica o in risposta a qualche scandalo
che ne aveva evidenziato le contraddizioni. Le limitazioni riguardanti la possibilità
di ottenere la concessione della libertà provvisoria su cauzione, di
ricorrere in modo reiterato alla diffida da parte della polizia o alla liberazione
anticipata sono solo alcuni esempi. Questi esempi mostrano chiaramente il livello
delle tensioni e delle contraddizioni che continuano ad attraversare il campo.
Di fatto, il taglio della spesa in quei settori della giustizia penale (programmi
di trattamento per i tossicodipendenti, prevenzione a livello di comunità,
rieducazione carceraria, centri di reinserimento sociale ecc.) che molti esperti
reputano fondamentali nel lungo periodo, unitamente a un dispendio irrazionale
di risorse a favore di misure che raccolgono il consenso popolare, ma la cui
efficacia è decisamente molto più incerta (incarcerazione di massa,
"guerra alle droghe", le leggi riguardanti la condanna a pene minime
obbligatorie ecc.) è una fonte incessante di tensioni tra professionisti
che operano a livello comunitario ed esponenti politici.
Fonte: La cultura del controllo, David Garland, casa editrice il saggiatore, anno di pubblicazione 2001, pagg. 74-83.