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La cultura del controllo

David Garland

La reinvenzione del carcere

Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dal dopoguerra i tassi di detenzione sono diminuiti in rapporto al numero dei crimini registrati e dei rei condannati. All'interno del sistema penale assistenziale postbellico il carcere era considerato un'istituzione problematica cui ricorrere solo come ultima risorsa, controproducente e scarsamente orientata alle finalità correzionali. Gran parte dello sforzo prodotto dal sistema politico era volto a creare misure alternative alla detenzione e a incoraggiare chi era chiamato ad applicare le pene a farvi ricorso. Per gran parte del XX secolo, le pene pecuniarie, della probation e di svariate forme di controllo da parte della comunità sembrarono prevalere sulle pene carcerarie. Negli ultimi venticinque anni questa tendenza di lungo termine è stata ribaltata, dapprima e in modo radicale negli Stati Uniti, più tardi anche nel Regno Unito.
L'inversione di questa tendenza è stata seguita, negli Stati Uniti, dal maggiore incremento dei tassi di incarcerazione registrato a partire dalla nascita del carcere moderno, avvenuta nel corso del XIX secolo. Nel periodo che va dal 1973 al 1997, il numero di persone detenute negli Stati Uniti è aumentato del 500 per cento. Un aumento altrettanto significativo è stato rilevato nella frequenza relativa delle condanne a una pena detentiva (in rapporto a condanne a pene non detentive), e nella lunghezza media dei periodi di carcerazione, aumento che è continuato a lungo anche dopo che i tassi ufficiali di criminalità hanno cominciato a diminuire. Dopo un secolo che ha visto costantemente crescere i tassi di criminalità e diminuire quelli di detenzione, il periodo più recente ha registrato la comparsa, dapprima negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito, del fenomeno esattamente opposto: aumento dei tassi di carcerazione e caduta dei tassi di criminalità.
In aperto contrasto con il senso comune diffuso durante la fase storica precedente, l'assunto dominante della nostra epoca è che "il carcere funziona", non in quanto strumento di correzione o di rieducazione, ma come mezzo di neutralizzazione e punizione che soddisfa le istanze politiche popolari di sicurezza pubblica e di severità della condanna. Gli anni recenti hanno testimoniato un improvviso cambiamento nella sua fortuna. Un'istituzione contrassegnata da una lunga storia di aspettative utopiche e da ricorrenti tentativi di reinvenzione - dapprima come penitenziario, poi come casa di correzione e, più recentemente, come luogo deputato alla rieducazione - ha visto, infine, le sue aspirazioni azzerarsi ai livelli della neutralizzazione e della pena retributiva. Ma nel corso di questa caduta libera, il carcere si è ancora una volta trasformato. Nel corso di pochi decenni è passato dall'essere concepito quale istituzione correzionale screditata e in declino, a pilastro portante e apparentemente indispensabile dell'ordine sociale contemporaneo.

La trasformazione del pensiero criminologico

Le idee criminologiche che hanno modellato le politiche del periodo postbellico erano formate da un intreccio eterogeneo di psicologia della devianza e teorie sociologi che quali quelle dell'anomia, della deprivazione relativa, delle sottoculture e dell'etichettamento. La criminalità era intesa come un problema legato a soggetti e a famiglie deficitari o scarsamente adattati, o quale sintomo di bisogni, di ingiustizie sociali e dell'inevitabile conflitto di norme culturali all'interno di una società pluralista e tuttavia gerarchica. Volendo trovare un modello esplicativo comune, questo poteva essere rinvenuto nella deprivazione sociale, più tardi intesa come "deprivazione relativa". Gli individui diventavano delinquenti perché non potevano beneficiare di un'educazione adeguata e di una socializzazione familiare, di opportunità lavorative o di un trattamento consono alle loro condizioni psicologiche anomale. La soluzione al problema della criminalità risiedeva in un trattamento risocializzativo individualizzato, in un aiuto o in un controllo delle famiglie, in misure di riforma sociale, in particolar modo nel campo dell'istruzione, e nella creazione di opportunità di lavoro."
Il repertorio intellettuale della criminologia postbellica era sufficientemente ampio da contenere diverse ipotesi teoriche in conflitto. Ai criminologi e agli operatori esso sembrava, senza dubbio, privo di limiti precisi. Con uno sguardo retrospettivo sembra chiaro che questo modo di pensare, questa épisteme criminologica, era condizionato storicamente e strutturato in modo da adattarsi ai processi di individualizzazione della giustizia penale e alla razionalità sociale promossa dal welfare state.
A partire dagli anni settanta, nuove scuole di pensiero criminologico si affermano e influenzano le politiche governative. Le teorie che a partire da quell'epoca iniziano a configurare il modo di pensare e di agire ufficiale sono le diverse teorie del controllo, le quali, come è noto, concepiscono il crimine e la delinquenza non come problemi dovuti alla deprivazione ma, appunto, all'assenza di controlli adeguati. Controlli sociali, controlli situazionali, forme di autocontrollo: sono questi i temi dominanti della criminologia contemporanea e delle politiche di controllo della criminalità cui esse hanno dato origine?"
Le criminologie dell'epoca del welfare state partivano dal presupposto dell'esistenza di un soggetto perfettibile, da un'idea del crimine quale indice di un inadeguato processo di socializzazione, e da una concezione dello Stato quale istituzione per l'assistenza delle persone svantaggiate economicamente, socialmente e psicologicamente. Le teorie del controllo, invece, si basano su una lettura più negativa della condizione umana. Il loro presupposto è che gli individui siano fortemente attratti dal perseguire il proprio vantaggio e dalle condotte antisociali e criminali, a meno che non siano inibiti da controlli severi ed efficaci. TiesioginÄ— vadovų,i darbuotojų paieÅ¡ka, atranka ir mokymai: Primum Esse Le teorie del controllo conferiscono dunque all'autorità della famiglia, della comunità e dello Stato la funzione di stabilire e imporre divieti e restrizioni. Laddove la criminologia del passato si focalizzava quasi esclusivamente sull'intervento e sull' assistenza, quella più recente sottolinea l'importanza di esercitare stretti controlli e di mantenere la disciplina.
Ne consegue che la criminologia contemporanea è sempre più propensa a considerare i reati un fenomeno di routine diffuso nella società moderna, commesso da soggetti perfettamente normali sotto tutti i punti di vista. Definendo gli autori di reato quali soggetti razionali, totalmente responsabili delle loro condotte delittuose e capaci di rispondere positivamente a fattori disincentivanti, questa concezione ha contribuito ad appoggiare le politiche retributive e deterrenti. Ma per ciò che riguarda le questioni più generali legate alla prevenzione della criminalità, questa nuova épisteme ha prodotto ulteriori novità. Un tipo di teorie del controllo, che potremmo definire criminologie della vita quotidiana, comprende teorie come quelle della "scelta razionale", delle "attività di routine", del "crimine quale opportunità" e della "prevenzione situazionale" della criminalità. Negli ultimi vent'anni, queste nuove teorie sono diventate rapidamente una risorsa importante per i policy makers. L'assunto su cui si fondano è che il crimine sia un evento - o meglio una massa di eventi - che non richiede una speciale motivazione o predisposizione, la presenza di una patologia o di un'anomalia, in quanto esso è un fenomeno iscritto nelle pratiche della vita sociale ed economica contemporanea. In netta opposizione alle criminologie welfariste, che partivano dalla premessa che la criminalità fosse una deviazione da una condotta normale e civile, spiegabile in termini di patologia individuale, mancata socializzazione o disfunzioni sociali, queste nuove criminologie propongono di leggere il comportamento delittuoso senza soluzione di continuità rispetto alle normali interazioni sociali, e ritengono di poterlo spiegare facendo riferimento a tendenze motivazionali generali.
Un aspetto significativo di questo nuovo approccio è che esso impone di spostare l'intervento dalla criminalità e dall'autore di reato verso il fatto criminoso. L'attenzione è ora concentrata sulle opportunità criminali e sull'esistenza di "situazioni criminogenetiche", che si riprodurranno ogni qualvolta siano assenti forme di controllo e siano presenti obiettivi appetibili, indipendentemente dal fatto che gli individui abbiano o meno una "predisposizione criminale" (sulla quale, peraltro, è in ogni caso difficile intervenire). L'interesse, dunque, dovrebbe essere concentrato non tanto sugli individui, quanto sull'interazione sociale, sulle condizioni ambientali e sulla struttura dei controlli e dei fattori disincentivanti. Le nuove convinzioni politiche spingono a concentrarsi più sulla cura che sulla prevenzione, a ridurre le opportunità, ad aumentare i controlli situazionali e sociali, e a modificare le abitudini quotidiane. L'assistenza a gruppi sociali bisognosi, o l'attenzione a bisogni di individui disadattati passano dunque in secondo piano.

L'allargamento dell'infrastruttura per la prevenzione della criminalità e per la sicurezza comunitaria

Negli ultimi due decenni, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti il dibattito sulla criminalità si è focalizzato, a livello nazionale, sui temi della pena, del carcere e della giustizia penale. A livello locale, invece, si sono formate nuove infrastrutture che affrontano in modo inedito il problema della criminalità e del disordine. Questa rete di intese fra differenti istituzioni e di accordi fra soggetti pubblici e privati, sviluppata in Gran Bretagna per auspicio dell'Home Office, e negli Stati Uniti soprattutto su iniziativa dell'impresa privata e con l'impulso delle amministrazioni locali, è stata costruita per favorire la prevenzione della criminalità e la sicurezza a livello comunitario, avvalendosi soprattutto del coinvolgimento della comunità e della diffusione delle teorie e delle pratiche di prevenzione. Programmi di polizia comunitaria, commissioni per la prevenzione della criminalità, progetti di sicurezza urbana, programmi urbanistici finalizzati alla prevenzione, distretti industriali, programmi di vigilanza di quartiere, comitati amministrativi locali: tutte queste attività che si intersecano e collegano tra loro hanno inaugurato, nel loro insieme, la nascita di un nuovo sistema di controllo della criminalità, le cui pratiche si ispirano alle nuove criminologie della vita quotidiana. Sebbene questa nuova infrastruttura abbia precise relazioni con le istituzioni della giustizia penale,in modo particolare con le forze di polizia e con il sistema della probation, che sostengono e gestiscono le operazioni più importanti, essa non dovrebbe essere intesa semplicemente come una parte o un'estensione del sistema tradizionale di giustizia. Al contrario, la nuova infrastruttura è fortemente orientata verso un insieme di obiettivi e priorità - prevenzione, sicurezza, riduzione del danno, contenimento della paura che sono differenti da quelli tradizionali, tesi a perseguire i reati, a punire e a ristabilire giustizia. In definitiva, mentre le misure più importanti della politica del controllo della criminalità sono sempre più orientate verso la segregazione punitiva e una giustizia espressiva, va registrato, allo stesso tempo - soprattutto a livello locale - una nuova strategia che potremmo definire come partnership preventiva. Attualmente,, se da una parte è vero che le strategie più visibili del controllo della criminalità prevedono l'espulsione e l'esclusione, dall'altra esiste una serie di tentativi ripetuti e concreti volta ad aumentare i controlli all'interno dei quartieri e a incoraggiare le comunità a gestire autonomamente il controllo.

La società civile e la commercializzazione del controllo della criminalità

Una delle caratteristiche più interessanti di questo nuovo insieme di pratiche preventive e delle autorità a esse preposte sta nel fatto che coinvolgono pubblico e privato, e che estendono il controllo della criminalità al di là dei confini istituzionali "dello Stato". Per gran parte degli ultimi due secoli le istituzioni statuali deputate all'amministrazione della giustizia hanno dominato il campo, e concepito la criminalità come un problema da governare attraverso il mantenimento dell'ordine, il controllo, la denuncia e la punizione dei criminali. Oggi, abbiamo di fronte agli occhi un'evoluzione fondata sulla partecipazione attiva dei cittadini, della comunità e delle imprese, che si esprime in una concezione più estesa del controllo e nell'uso di tecniche e strategie diverse da quelle tradizionalmente usate dalle istituzioni della giustizia penale.
Questa evoluzione è ora sempre più incentivata dalle agenzie governative e da organizzazioni e gruppi che operano all'interno della società civile. Da un lato, specialmente nel Regno Unito, il governo centrale ha concertato politiche del controllo e della riduzione dei tassi di criminalità coinvolgendo non solo le istituzioni deputate all'amministrazione della giustizia, ma anche singoli cittadini, le comunità, le imprese commerciali e altri soggetti appartenenti alla società civile. In netta contrapposizione alla consolidata tendenza alla monopolizzazione del controllo della criminalità da parte delle agenzie governative specializzate, queste ultime hanno iniziato a "indifferenziare" la risposta sociale, vale a dire a estendere la funzione del controllo a soggetti diversi dalle organizzazioni statali specializzate che un tempo ne detenevano il monopolio.
Nello stesso arco di tempo abbiamo assistito a una notevole espansione dell'industria dei dispositivi di sicurezza per i privati, nata originariamente all'ombra dello Stato, ma ora sempre più considerata dai suoi apparati quale partner nella produzione di sicurezza e controllo della criminalità, finanziata oggi da un'economia mista di interventi pubblici e privati. Basti pensare che molte funzioni di routine della gestione della sicurezza sono appaltate in misura sempre più rilevante a forze di polizia private, e che un numero sempre maggiore di imprese e di famiglie investe in impianti di sicurezza e in servizi di vigilanza offerti dalle imprese che operano nel campo della sicurezza. Un'economia ibrida tra pubblico e privato sta iniziando a diffondersi anche nel settore penale, con la crescita esponenziale delle carceri private, tutto ciò dopo più di un secolo durante A quale l'amministrazione delle istituzioni penali era stata saldamente in mano agli apparati statuali, che ritenevano inconcepibile la presenza di interessi economici e privati in questo settore.
Fino a non molto tempo fa, era condivisa l'idea che il sistema di controllo della criminalità e quello correzionale fossero di responsabilità dello Stato, e che dovessero essere affidati a funzionari governativi che li amministravano nell'interesse pubblico. Queste divisioni tra pubblico e privato non sono più così nette. Le agenzie del settore pubblico (carceri, probation, parole, istituzioni giudiziarie ecc.) sono ora rimodellate in base ai valori e alle prassi vigenti nell'industria privata. Interessi commerciali hanno iniziato a giocare un ruolo decisivo nello sviluppo e nell'esercizio delle politiche penali, un fatto che solo vent'anni prima sarebbe stato impensabile. Ciò che abbiamo di fronte è una ridefinizione dei confini tra le sfere pubbliche e quelle private, tra la giustizia penale statuale e i controlli messi in atto da parte della società civile. Il campo del controllo penale moderno si sta rapidamente riconfigurando, secondo modalità che decentrano non solo le istituzioni specializzate dello Stato, ma anche i principi politici e criminologici su cui si fondavano.

Nuovi stili di gestione e nuove prassi di lavoro

Come dicevamo, gli ultimi decenni hanno registrato cambiamenti significativi rispetto agli obiettivi, alle priorità e alle ideologie delle più importanti organizzazioni che operano nell'area della giustizia penale. La polizia si pone ora come un servizio pubblico a disposizione dei cittadini, finalizzato a contenere la paura, il disordine e l'inciviltà più che come una forza impegnata a combattere la criminalità, e nel dettare la propria agenda si dichiara attenta agli stati d'animo della comunità. Le autorità penitenziarie concepiscono il loro mandato in termini di "protezione dei cittadini", assumendosi la responsabilità di garantire la sicurezza della detenzione, senza più pretendere di ottenere esiti rieducativi nei confronti della maggioranza dei detenuti. Gli uffici preposti alla libertà vigilata e sulla parole hanno ridimensionato l'ethos assistenziale che contraddistingueva il loro operato, proclamandosi erogatori di sanzioni poco dispendiose, implementate con il coinvolgimento della comunità, e orientate al monitoraggio dei rei e alla gestione del rischio. Soprattutto negli Stati Uniti, la commisurazione della pena è cambiata e ha perso quella natura discrezionale che consentiva di tener conto delle caratteristiche individuali, per divenire molto più rigida e meccanica, dovendo attenersi a linee guida precise, e dovendo rispettare standard minimi obbligatori.
Inoltre, un nuovo managerialismo imperante caratterizza ogni aspetto della giustizia penale. All'interno delle singole agenzie e organizzazioni, la discrezionalità professionale è stata fortemente limitata dall'introduzione di indici di rendimento e di strategie gestionali che hanno ridefinito capillarmente le prassi lavorative. L'intero sistema è stato sottoposto a nuove forme di monitoraggio, con l'introduzione di tecnologie informatiche e con la certificazione del bilancio. In tal modo, la centralizzazione del controllo si è estesa a un processo che un tempo erano meno coordinato e fortemente resistente alle forme di controllo gestionali.
Questa attenzione alla gestione dei rischi e delle risorse ha prodotto un sistema che è diventato sempre più selettivo nelle sue risposte alla criminalità. Esistono oggi obiettivi ben focalizzati, come i delinquenti "professionisti", i soggetti plurivittimizzati e i delinquenti altamente pericolosi; vi sono norme volte a escludere l'esercizio dell'azione penale per i reati bagatellari (a eccezione di quelli che creano seri problemi alla sicurezza pubblica); infine, si è andata diffondendo una consapevolezza di come devono essere ripartite le risorse economiche nel campo della giustizia penale, cioè a dire nel campo investigativo, in quello giudiziario, in quello del controllo per i casi di probation e in quello dell'edilizia penitenziaria. La diversion, il cautioning (diffida da parte della polizia), le pene pecuniarie, le pene fisse e, di fatto, la decriminalizzazione dei reati bagatellari incarnano questa tendenza volta a destinare le risorse economiche stanziate per il controllo della criminalità verso i reati più gravi e i delinquenti più pericolosi.
Vi sono, ovviamente, esempi paradigmatici che dimostrano come questi principi di efficienza economica e queste strategie manageriali sembrano essere stati disattesi. La crescita esponenziale della popolazione carceraria - dapprima negli Stati Uniti e, più di recente, anche in Gran Bretagna - costituisce un esempio concreto di restrizione fiscale che si arrende di fronte a interessi politici di matrice populista. Le leggi che prevedono condanne a pene minime obbligatorie sono state introdotte senza badare alla necessità di non intaccare le scarse risorse destinate alle spese per l'applicazione delle pene, o per lo meno di impiegarle per la gestione dei casi più allarmanti. Iniziative definite "qualità della vita" e "tolleranza zero" sembrano contraddire la logica di stabilire obiettivi selettivi nel mantenimento dell'ordine, o per lo meno sembrano definire priorità in modi radicalmente nuovi. Le politiche più recenti hanno revocato la fiducia da sempre accordata alle misure penali economicamente poco onerose e di scarso impatto, spesso in nome della sicurezza pubblica o in risposta a qualche scandalo che ne aveva evidenziato le contraddizioni. Le limitazioni riguardanti la possibilità di ottenere la concessione della libertà provvisoria su cauzione, di ricorrere in modo reiterato alla diffida da parte della polizia o alla liberazione anticipata sono solo alcuni esempi. Questi esempi mostrano chiaramente il livello delle tensioni e delle contraddizioni che continuano ad attraversare il campo. Di fatto, il taglio della spesa in quei settori della giustizia penale (programmi di trattamento per i tossicodipendenti, prevenzione a livello di comunità, rieducazione carceraria, centri di reinserimento sociale ecc.) che molti esperti reputano fondamentali nel lungo periodo, unitamente a un dispendio irrazionale di risorse a favore di misure che raccolgono il consenso popolare, ma la cui efficacia è decisamente molto più incerta (incarcerazione di massa, "guerra alle droghe", le leggi riguardanti la condanna a pene minime obbligatorie ecc.) è una fonte incessante di tensioni tra professionisti che operano a livello comunitario ed esponenti politici.

Fonte: La cultura del controllo, David Garland, casa editrice il saggiatore, anno di pubblicazione 2001, pagg. 74-83.