Bronislaw Geremek
Ospedale Maggiore: la "grande reclusione" in Francia.

Tratto da: La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa.
Edizioni Laterza, Bari, 2001.

Le istituzioni centralizzate di assistenza sociale dell'età moderna consideravano il lavoro come principale strumento di adattamento dei poveri alle esigenze di vita sociale. Nel retroterra socio-psicologico della politica di reclusione del XVII secolo era radicato non solo il concetto penitenziario di isolamento ma anche, come scriveva Michel Foucault, un particolare "mito di felicità sociale" che univa saldamente l'ordine poliziesco ai principi di armonia religiosa. Le vicende della "grande reclusione" dei poveri nella Francia cattolica del XVII secolo lo testimoniano con chiarezza.
Le esperienze sociali delle città francesi nel corso del XVI secolo, come anche i progetti di politica sociale formulati in quel periodo, portavano ad unire l'isolamento dei poveri alla costrizione al lavoro. Barthélemy de Laffémas, il quale nei primi anni del XVII secolo diventò l'economista di corte della monarchia francese, proponeva un'azione decisa contro mendicanti e vagabondi: ipotizzava la loro reclusione in due "villaggi pubblici" (separatamente per donne e uomini) dove avrebbero dovuto lavorare volontariamente o costretti. I progetti di isolamento dei poveri trovano una realizzazione coerente solo sotto forma di "ospedali generali" nel XVII secolo. Un prodromo di tale istituzione fu il tentativo, intrapreso ai tempi di Maria dei Medici, di rinchiudere i mendicanti parigini nei tre ospizi appositamente designati dal nome comune di Ospedale dei Poveri Rinchiusi (Hôpital des Pauvres Enfermés). Nell'autunno del 1611 in città venne proclamato il divieto di accattonaggio, ai forestieri fu ordinato di lasciare la città, mentre ai vagabondi locali fu ordinato di intraprendere immediatamente un lavoro oppure di presentarsi nel giorno fissato in piazza Saint Germain, da dove sarebbero stati portati agli ospizi. In un libretto di sei anni più tardi, che relazionava sulle sorti dell'iniziativa, leggiamo che questo ordine

"spaventò talmente tutti i suddetti mendicanti che di otto o diecimila - tanti ne potevano essere in città - sulla detta piazza se ne trovarono appena 91". (Nota 1)

Ma sulle strade di Parigi il controllo venne eseguito rigorosamente, e alla fine la miseria costrinse i mendicanti a presentarsi agli ospedali designati. Dopo sei settimane già 800 poveri si trovarono reclusi, e nel 1616 il loro numero raggiunse la cifra di 2200. L'offerta di elemosine era punita con un'ammenda, le donne sorprese in flagrante a mendicare erano punite con delle frustate in pubblico e con la rasatura della testa, mentre gli uomini venivano portati in prigione.
Lo statuto dei "poveri reclusi" prevedeva che gli uomini sarebbero stati collocati in un ospedale, le donne ed i bambini di ambo i sessi fino agli otto anni in un altro; inoltre era previsto un ospedale a parte per i malati. Nei due primi vigeva l'obbligo di lavoro dall'alba fino a sera (durante l'estate i poveri erano svegliati alle 5 del mattino, mentre d'inverno alle 6). Gli uomini dovevano lavorare nei mulini, nelle fabbriche di birra, nelle segherie e "svolgere altri lavori pesanti", mentre le donne ed i bambini erano impiegati nelle filande, nella produzione di calze e di bottoni e in altre occupazioni. Chi non eseguiva il lavoro affidato dal sorvegliante, veniva punito la prima volta con la riduzione a metà della razione alimentare, mentre la seconda volta veniva cacciato dall'ospedale e messo in prigione insieme ai mendicanti forestieri. Oltre che agli amministratori e ai controllori, l'ordine negli ospedali era affidato anche a mendicanti designati appositamente (uno per ogni gruppo di venti persone). Gli imprenditori edili potevano prelevare dagli ospedali uomini per lavorare, e questi dovevano ricevere solo un quarto della paga, mentre il resto andava a favore dell'ospedale. L'ordine negli ospedali e l'osservanza del divieto di accattonaggio dovevano essere affidati alle apposite guardie: per aver catturato e portato in prigione vagabondi spettava un premio.
Ma questo microcosmo di concentramento fu trattato chiaramente come un'opera di carità. È ben visibile che l'accesso all'ospedale costituisce una specie di privilegio, dal quale sono esclusi i mendicanti forestieri; lo conferma il fatto che essere mandati via dall'ospedale sia considerato una punizione. A dire il vero, quest'ultimo caso può essere visto come una semplice gradazione delle pene: essere buttati fuori dall'ospedale implicava il trasferimento da una prigione ad un'altra, ancora peggiore, dato che i vagabondi arrestati erano portati a Parigi nei sotterranei dello Châtelet. L'articolo primo degli statuti dei "poveri rinchiusi" determinava chiaramente la fondamentale differenza fra coloro che si venivano a trovare nell'ospedale dopo aver provato con relativi documenti di essere nati a Parigi, e tutti gli altri che "verranno riconosciuti forestieri e saranno puniti". Il libretto menzionato, che raccontava le vicende della prima reclusione parigina, sottolineava che lo scopo di questa era di offrire ai mendicanti un lavoro, nonché un'educazione religiosa ed una preparazione professionale. La presenza del fattore religioso e caritatevole nelle iniziative della "reclusione" è una questione essenziale. Nelle precedenti considerazioni abbiamo rivolto l'attenzione al fatto che dietro alle iniziative religiose e caritative in favore dei poveri c'erano motivazioni sociali e un certo tipo di decisioni politiche; nel caso della "grande reclusione", quando le iniziative severe e minacciose si rivestono chiaramente di forme poliziesche e repressive, occorre al contrario ricordare l'altro aspetto del problema: che alla base della politica repressiva c'erano sentimenti cristiani ed una tendenza ad assicurare ai poveri la possibilità di una vita degna. Era un voler rendere gli uomini felici per forza: la storia delle ideologie e delle attività umane offre molti altri esempi di tale situazione. Il dimenticare o il sottovalutare le intenzioni rende impossibile capire che la politica repressiva nei confronti della povertà incontra sia proteste e ostilità sia calorosi appoggi uniti all'impegno di vasti strati della società.
Nella Francia del XVII secolo le correnti controriformiste, che rendevano più attiva la vita religiosa del paese all'indomani delle guerre di religione, iscrissero nel programma di rinnovamento del cattolicesimo la questione della carità e dell'assistenza ai poveri. La Compagnia del Santo Sacramento, organizzata negli anni Venti del XVII secolo come un'efficiente struttura politico-religiosa ramificata e operante in forme segrete in tutto il paese, proclamò la guerra santa ai "pericoli del tempo"; fra questi il vagabondaggio e la mendicità, considerati come il "disordine dei poveri", occupavano un posto di rilievo. Dal 1631 la Compagnie du Saint-Sacrement fece suo il programma di reclusione dei poveri negli ospedali generali. Questo doveva garantire l'efficacia delle attività caritative, offrire cioè ai poveri un'assistenza reale a costi possibilmente bassi e al tempo stesso eliminare il pericolo costituito, nell'epoca della Fronda, da una possibile rivolta sociale, fomentata dal vagabondaggio.

"Il povero, il quale per la sua nascita dovrebbe servire il ricco" - affermava un libretto che presentava il progetto dell'ospedale generale di Tolosa - è soggetto ad un depravazione indelebile, se passa la giovinezza mendicando, oziando e vagabondando.

La motivazione dell'"addestramento sociale" era qui esposta esplicitamente, e le iniziative concrete, previste dal programma e realizzate a Tolosa a partire dal 1647, servivano egregiamente allo scopo. Il lavoro era previsto per quasi tutti i poveri, sin dalla adolescenza; la loro reclusione e l'eliminazione delle elemosine individuali dovevano diventare una regola.
L'iniziativa più importante della Compagnia fu la creazione di un ospedale generale nella capitale della monarchia. I precedenti tentativi di organizzare questo tipo di istituzione avevano permesso di acquisire una notevole esperienza. La nuova situazione sociale aveva reso più pressante il problema dei poveri: uno storico parigino del XVII secolo, Henri Sauval, scriveva che il numero dei mendicanti in città era cresciuto fino a raggiungere il numero di 40.000. La Compagnia del Santo Sacramento organizzò la distribuzione di elemosine unitamente all'insegnamento religioso, creò un magazzino caritativo (Magasin Général Charitable), raccomandò alle associazioni caritative parrocchiali una regolare assistenza ai poveri. Nell'Ospedale Maggiore di Parigi, fondato in seguito al provvedimento regio del 4 maggio del 1656, i membri della compagnia occupavano quasi la metà dei 26 posti dell'amministrazione dell'ospedale. Una delle prime misure della nuova amministrazione fu l'assunzione di apposite guardie che dovevano arrestare mendicanti e vagabondi. Fu annunciato che l'accattonaggio sarebbe stato punito con la frusta; per i recidivi ci sarebbe stata la deportazione sulle galere. L'Ospedale Maggiore di Parigi realizzò una ennesima reclusione dei poveri.
Nel 1657 l'ospedale contava circa seimila reclusi, la maggior parte dei quali si era presentata spontaneamente; solo una parte era costituita dai mendicanti-prigionieri. La minaccia di pene e la sparizione di aiuti individuali si rivelarono una pressione efficace. Uno studioso del problema della reclusione dei mendicanti, Emanuel Chill, osserva giustamente che la carità tradizionale e l'assistenza ai poveri si manifestavano nelle iniziative individuali e nell'attività - piena di sacrificio e di abnegazione - dei devoti membri della compagnia del Santo Sacramento, nonché nella letteratura religiosa, ma non nelle severe, tetre e minacciose costruzioni dell'Ospedale Maggiore. L'ospedale non poteva contenere tutti i poveri, ma doveva intimorirli tutti con le condizioni di vita carcerarie. Gli amministratori avevano il diritto di condannare i reclusi alle pene di frusta, gogna o di reclusione nei sotterranei per infrazione della disciplina di lavoro o per il mancato adempimento dei precetti religiosi. I poveri rinchiusi nell'ospedale dovevano indossare vesti grigie con cappuccio; sulle vesti avevano l'emblema dell'ospedale e, cucito sopra, il numero individuale. L'opera sopravvisse ai suoi fondatori. La Compagnia del Santo Sacramento, chiamata dai suoi avversari la "cabala dei bacchettoni", fu liquidata de Mazzarino, ma l'Ospedale Maggiore parigino continuò ad esistere e ad ampliare il suo raggio d'azione.
I singoli ospedali e ospizi, facenti parte dell'Ospedale Maggiore, man mano si specializzarono. L'ospedale detto "Pitié", nel quale si trovava la direzione di tutta l'istituzione, offriva il ricovero principalmente alle ragazze ed ai bambini (nel 1663 vi si trovavano circa 1300 persone, di cui 236 gravemente malate, 687 rinchiuse nelle botteghe, 351 ragazze e 120 ragazzi che frequentavano la scuola). L'ospedale Salpêtrière (cioè "fabbrica di salnitro", perché quest'ospedale si avvaleva di un ex Arsenale, costruito ai tempi di Luigi XIII) nei 463 letti poteva ospitare 628 mendicanti, ed era destinato esclusivamente alle donne. In seguito vennero aggiunti nuovi locali (fra questi un riformatorio per le prostitute) e nel 1666 erano ricoverati qui oltre 2300 poveri; nel 1679, circa quattromila. Bicêtre, costruito un tempo come ricovero per gli invalidi di guerra, divenne un ospizio per gli uomini, il cui numero oscillava fra il migliaio e i 1400. Nella Savonnerie venne organizzato un ospizio per i ragazzi in età scolare; nella cosiddetta Casa di Scipione vennero ricoverate le donne in attesa di partorire ed i neonati. Nell'insieme la popolazione povera, rinchiusa nelle varie istituzioni dell'Ospedale Maggiore parigino, ammontava alla fine del XVII secolo a circa diecimila unità.
Nel 1666 negli ospizi dell'Ospedale Maggiore parigino vennero organizzate le botteghe artigiane. Un libretto, pubblicato proprio in quell'anno, afferma che:

malgrado ogni sorta di resistenze, in nessuna delle case dell'Ospedale ci sono dei poveri che non siano occupati, ad eccezione dei malati gravi o di quelli completamente invalidi. Vengono costretti a lavorare persino vecchi, storpi o paralitici, e da quando è stato introdotto questo lavoro diffuso, c'è più disciplina, più ordine e più devozione fra i poveri.

Si lavorava anche negli ospizi per bambini o nella Casa di Scipione, ove le puerpere tessevano o lavoravano a maglia.
Nelle case ospedaliere c'erano tre forme di organizzazione del lavoro: una parte di botteghe era amministrata dall'ospedale per conto proprio, una parte su base societaria ed un'altra infine era amministrata dai mercanti, che stipulavano un contratto con l'ospedale. Questi contratti prevedevano il pagamento di certe somme in favore dell'ospedale da parte dei mercanti; così era anche nel caso in cui gli ospiti dell'ospedale venivano "ceduti" per lavori edilizi o altri: due terzi della loro paga dovevano essere consegnati all'ospedale.
E qui arriviamo ad una questione particolarmente importante per il fenomeno degli ospedali generali francesi: il lavoro nelle botteghe ospedaliere non comportava alcun profitto.

"Non bisogna credere - leggiamo in una pubblicazione del 1666 - che le manifatture possano ora o mai assicurare la manutenzione dell'ospedale o procurargli entrate più consistenti".

In realtà la forzata occupazione dei poveri nelle botteghe non solo non portava all'ospedale generale nessuna entrata, ma costitutiva persino un ulteriore appesantimento del suo bilancio. D'altronde la costrizione al lavoro doveva realizzare i compiti di educazione socio-religiosa e non quelli economici di sfruttamento della manodopera: si trattava, precisamente, di un'educazione al rispetto del lavoro. Il libretto citato scrive così a proposito dei risultati di queste iniziative:

Molti poveri si affezionarono al lavoro e si può dire che tutti ne fossero capaci, ma le loro abitudini all'ozio e alla malvagità spesso prendevano il sopravvento sulle loro promesse e assicurazioni, come anche sugli sforzi dei direttori e del personale dell'ospedale. (Nota 2)

La reclusione e la costrizione al lavoro nell'istituzione dell'ospedale generale devono dunque affermare l'ethos del lavoro e assicurarne la diffusione attraverso la paura, la minaccia e la violenza. Il carattere spettacolarmente repressivo, assunto dall'assistenza sociale nei tempi moderni, ha una sua funzione ideologica. L'opera di fondazione dell'Ospedale Generale, come anche il suo funzionamento, furono accompagnati da un diffuso clima di ostilità e di inquietudine di fronte ad un carattere manifestamente penitenziario della nuova istituzione. Le perplessità toccarono anche la cerchia dei suoi fondatori diretti. Vincenzo de' Paoli, legato alla Compagnia del Santo Sacramento, vedeva con molta riserva la politica di espulsione dalle città dei poveri "forestieri". Anche l'idea dell'Ospedale Maggiore, che agli inizi appoggiava (san Vincenzo destinò a tale scopo gli edifici di due ospizi parigini: la Bicêtre e la Salpêtrière, dei quali disponeva), man mano che veniva realizzata, cominciava a risvegliare in lui dei dubbi. Egli rifiutò la direzione dell'Ospedale Maggiore, dubbioso se la politica di reclusione dei poveri fosse conforme alla volontà di Dio. Del resto questa politica, sia nel XVII che nel XVIII secolo, fu continuamente contestata da vari ambienti dell'opinione religiosa francese. Essa incontrava anche l'ostilità degli ambienti popolari, i quali più volte si pronunciarono apertamente a favore dei mendicanti che si opponevano alla reclusione. Negli atti di fondazione degli ospedali generali veniva ripetuto continuamente che non era permesso maltrattare i fanti ospedalieri, ai quali a volte si permetteva di portare armi. Uno studioso di storia dell'assistenza sociale in Francia, Jean-Pierre Gutton, nel constatare che nelle file di persone che danno l'inizio a tumulti e sommosse in difesa dei poveri c'erano artigiani, servitori, camerieri, operai, sottolinea la diversità delle motivazioni: un sentimento di comune appartenenza sociale, l'irritazione per la sleale concorrenza delle botteghe ospedaliere, o, infine, il gusto dell'insubordinazione e l'avversione verso i rappresentanti del potere; ma, al tempo stesso, anche il perdurare di un tradizionale atteggiamento di compassione verso la miseria e una consacrazione religiosa della condizione del povero. Va rivolta anche l'attenzione alla situazione del mercato del lavoro e al carattere dell'occupazione in quel periodo. Sulla condizione di una massa di gente che viveva di lavoro occasionale gravava continuamente l'instabilità dell'impiego: vivere di aiuti costitutiva una tappa importante dell'esistenza; di qui anche il sentimento di solidarietà della popolazione operaia urbana verso i mendicanti. Questo tipo di situazioni traspare dagli atti di polizia di Parigi del XVIII secolo, riguardanti le sommosse e le risse originate da azioni d polizia contro i mendicanti, che sono stati studiati da Arlette Farge. Un gruppo di 250 lastricatori, nel 1758, andando a riscuotere la paga, libera un mendicante dalle mani della polizia; un'altra volta un mendicante fermato chiama aiuto: "muratori, a me!", oppure: "ragazzi, qui!". Ecco un reparto di guardie ospedaliere che porta un mendicante sessantenne storpio, arrestato mentre chiedeva l'elemosina. Uno dei testimoni, un artigiano edile, grida: "Quelle canaglie arrestano uno che ha avuto disgrazia di cadere dal tetto mentre lavorava, e non fanno nulla agli altri mendicanti". La reclusione dei mendicanti, nell'animo della gente dell'epoca, si associava alle iniziative carcerarie di vario genere: i mendicanti figuravano anche fra i delinquenti, deportati nelle galere. Con una sentenza del prevosto di Orléans nel 1704 fu deportato sulle galere un contadino di Jussy-en-Bourbonnais come "vagabondo e mendicante valido che minacciava di bruciare le case alle persone che si rifiutavano di fargli l'elemosina oppure di farlo pernottare": condannato a tre anni, morì nell'ospedale dei galeotti nel 1707. L'ambivalenza della reclusione dei mendicanti, che nei suoi principi ispiratori non era una punizione ma doveva essere una manifestazione di sentimenti caritatevoli, suscitava ovviamente manifestazioni di protesta. Nei giorni della Rivoluzione Francese, all'inizio del settembre 1789, la folla parigina invase le prigioni, linciando alcuni e liberando altri. Penetrò anche nelle case dell'Ospedale Generale che sembravano avere lo stesso carattere tetro e carcerario di cento anni prima. Restif de la Bretonne, un "osservatore notturno" della vita parigina, ci ha lasciato la descrizione della sanguinosa resa di conti col personale ospedaliero e della liberazione delle donne della Salpêtrière (in quegli anni nell'ospedale si trovavano circa 8000 ricoverati, in prevalenza donne). Interessante la descrizione dell'ospizio per ragazze di quell'ospedale:

Quegli esseri infelici conducono qui una triste vita. Sempre a scuola, sempre alla portata della frusta della vigilante, condannate all'eterno celibato, ad un cibo cattivo e repellente, possono solo sperare in un caso fortunato: che qualcuno le prenda a servizio o ad imparare qualche mestiere faticoso. Ma anche allora, che razza di vita! Basta una piccola lamentela di un datore di lavoro ingiusto e vengono riportate all'ospedale per essere punite... [ecco] degli esseri offesi che, se anche il caso li gettasse nella vita sociale, occuperebbero la più infima delle posizioni. (Nota 3)

A prescindere dalla prosecuzione di questa istituzione, nel corso del XVIII secolo avvenne un sostanziale mutamento della politica sociale. L'unione di repressione e carità, realizzata negli ospedali del XVII secolo, divenne oggetto di una diffusa critica nel secolo successivo. La riforma umanitaria dell'assistenza sociale doveva isolare i vagabondi di mestiere, punirli, come delinquenti, con la prigione e separarli dai poveri che avrebbero dovuto ricevere aiuti organizzati e occupazione: il lavoro libero doveva diventare una regola, in contrasto col lavoro coatto e con le manifatture ospedaliere. La funzione dell'ospedale generale parigino adesso era svolta, nelle altre parti del paese, da nuove istituzioni: i dépôts de mendicité.
La legislazione regia, nel XVIII secolo, trattò per molto tempo gli ospedali generali come i principali elementi organizzativi della politica sociale. La dichiarazione del 1724 continuò a trattare il problema del lavoro come fondamentale e ordinò ai mendicanti senza lavoro di presentarsi negli ospedali, i quali avrebbero trovato loro una qualche occupazione (soprattutto nei lavori pubblici). L'accattonaggio fu trattato come un reato: la prima volta era comminata la reclusione nell'ospedale generale per almeno due mesi; la seconda, la reclusione per almeno tre mesi e la marchiatura con la lettera M (da mendiant, mendicante); per la terza volta agli uomini toccavano cinque anni sulle galere, alle donne cinque anni di reclusione nell'ospedale generale (i tribunali potevano aumentare la pena fino all'ergastolo). Le dichiarazioni degli anni 1764 e1767 rivolte contro i vagabondi facevano apparire questi ultimi come delinquenti; come criterio vennero adottate l'assenza di lavoro per oltre sei mesi e la mancanza del certificato di buona condotta. Al posto degli ospedali generali comparvero i dépôts de mendicité come luoghi di internamento dei vagabondi e dei "mendicanti validi" (mentre gli ospedali generali dovevano accettare i poveri di ogni genere). Nel 1784 Necker stimò che nei 33 dépôts c'erano circa 7-8 mila posti. Fino al 1773 nel distretto di Parigi (Généralité de Paris) vennero arrestati 18.523 mendicanti, dei quali 11.895 riacquistarono la libertà, 88 si arruolarono nell'esercito, 3158 morirono reclusi e 1963 evasero. Nei dépôts i mendicanti dovevano trovare solo un ricovero provvisorio in attesa che li reclamasse la famiglia o un qualche datore di lavoro. Più a lungo erano trattenuti solo i vagabondi ed i mendicanti di professione (un provvedimento del 1785 prevedeva che si potevano condannare ad una reclusione di molti anni nei dépôts). Tutti i detenuti erano obbligati a lavorare dall'alba al tramonto e ogni dépôts era dotato a tale scopo di botteghe artigiane. Le sommosse e le agitazioni che periodicamente avevano luogo in quegli agglomerati di mendicanti assumevano spesso il carattere di aperte e sanguinose rivolte (come a Rennes, nel 1782). Al tempo stesso mancavano i mezzi per mantenere i dépôts: se ne lamentavano tutte le province. I quaderni di lamentele degli stati (cahiers de doléances) rivolgono attenzione, fra l'altro, anche alla inefficacia dell'istituzione dei dépôts nella lotta contro il flagello dei mendicanti. Lo scoppio della rivoluzione segnò la fine dei dépôts.
Le esperienze della "grande reclusione" ebbero un'importanza, che non è facile valutare, nei processi di formazione delle moderne società dell'Europa. Incrociando in un modo singolare gli intenti caritatevoli e la rigidità della repressione, esse realizzavano l'affermazione dell'ethos del lavoro. Indipendentemente dalla diversità di forme o tempi, sia nei paesi protestanti che in quelli cattolici, sia nelle zone di industrializzazione avanzata che nelle società agrarie in attesa di rivoluzione industriale, il lavoro diventò una forma di educazione o di socializzazione. L'unione di carcere e manifattura nelle moderne iniziative ospedaliere getta una luce particolare sulla nascita della moderna fabbrica: l'organizzazione di questa, il regolamento interno, le norme di disciplina del lavoro o, infine, l'aspetto esteriore - del quale ha conservato le tracce il paesaggio urbano industriale, a volte fino al XX secolo - hanno ancora alcune caratteristiche comuni al penitenziario.

Note:

  1. Ch. Paultre, De la répression de la mendicité et du vagabondage en France sous l'Ancien régime, Paris 1906, p. 138.
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  2. Ivi, p. 189.
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  3. Restif de la Bretonne, Les nuits de Paris, scelta a cura di P. Boussel, Paris, 1963, p. 287.
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