Nel corso della storia non vi furono soltanto roghi celebri come Giovanna d’Arco
e Giordano Bruno, ma innumerevoli aneddoti di sventurate creature bruciate con
l’accusa di presunta stregoneria.
Noi, che viviamo nel 2002, giudichiamo spesso efferati i magistrati che torturavano
e condannavano le streghe, ma alla soglia del 1400 tutti credevano nella magia:
dalla povera gente ai dotti, dai sovrani ai papi.
Abbiamo prove di un processo del 1470 nel Biellese, nel periodo del ducato di
Amedeo IX, quando il Vescovo di Vercelli era Urbano Bonivardo e l’Inquisitore
e Vicario per la Diocesi di Vercelli era Nicola de Costantinis di Biella.
L’accusata era una certa Giovanna, moglie di Antoniotto Monduro di Miagliano,
abitante a Salussola.
Giovanna non era molto ben vista, né dai parenti né dai vicini
di casa, a causa della sua loquacità ed è forse per questo motivo
che nacquero le prime accuse.
Il 21 gennaio del 1470 a Salussola ebbe inizio l’istruttoria con la testimonianza
di Antonia, moglie di Guglielmino Monduro, la quale affermava che Giovanna,
l’estate precedente, aveva profetizzato che entro un anno sarebbe morto”
il meglio” della casa di Martino Monduro e, nel corso di un diverbio,
l’aveva maledetta.
In seguito a questa conversazione, soffocarono i suoi due figli e morì
Agostino, figlio di Martino.
I fratelli Martino e Guglielmino Monduro affermarono che la loro cognata malediceva
con facilità ed Elena di Monduro riferì che, in seguito alla morte
del suo bambino, Giovanna aveva sostenuto di sapere da tempo che egli non poteva
vivere.
Maddalena, un’altra strega, mentre era in prigione confessò di
avere incontrato Giovanna in “stregheria” (“stregheria”
altro non è che il sabba. Secondo le leggende del Vercellese e del Biellese
erano luoghi di incontri i boschi del Sesia presso Vercelli e soprattutto una
misteriosa landa nel Brianco. I sabba comunque avvengono sempre “in locis
sylvestribus, occultis, […] et peregrinis, ruinosis atque desertis, et
semper de noctis” [1]),
ma questa, quando si presentò davanti al Vicario, negò di esservi
andata.
Interrogata successivamente dal tribunale dell’Inquisizione, Giovanna
continuò ad affermare che le accuse erano false, che non era una strega,
non aveva mai praticato la magia e non si era unita al Diavolo, e, anche sotto
tortura sostenne sempre di essere innocente.
Il 18 febbraio ci fu un’altra accusa: tre figlie di Martino Monduro raccontarono
al Vicario che una volta uno sciame di api era entrato nel loro podere e poi
si era diviso in due: uno era stato raccolto in una cassetta, mentre l’altro
andò a fare grappolo vicino alla terra di Giovanna.
Quest’ultima, non potendo catturare lo sciame, affermò che se non
poteva averlo lei non lo avrebbero avuto nemmeno loro. Poi si era inginocchiata,
aveva pregato e sia le api della cassetta che le api del grappolo erano volate
via per sempre.
Il 20 febbraio di nuovo sottoposta a tortura, Giovanna infine confessò
raccontando la sua iniziazione alla magia avvenuta di notte.
La sua confessione in realtà risultò simile a molte altre ottenute
dall’Inquisizione nei processi alle streghe. Giovanna infatti non inventò
nulla di nuovo, ma rievocò il folklore stregonesco ampiamente diffuso
in Europa: disse di aver bevuto dal “bariletto” (il rito di bere
nel bariletto era conosciuto da tempo e ne parla nelle sue “Prediche”
S. Bernardino da Siena, riferendosi proprio alle genti del Piemonte: “[…]
piglieranno un tempo dell’anno un fanciullino, e tanto il gittano fra
loro de mano in mano che elli si muore, poi che è morto, ne fanno polvare
e mettono la polvare in un barilotto, e danno poi bere di questo barilotto a
ognuno; e questo fanno perché dicono che poi non possono manifestar niuna
cosa che ellino faccino” [2]),
di essersi unita con un diavolo di nome Zen, di aver calpestato la croce e di
aver rinnegato Dio.
Ammise anche di aver ucciso il figlio di Elena e Martino e di aver soffocato,
insieme alla strega Maddalena, i due figli di Antonio.
Affermò inoltre di aver agito mediante un “bastonetto” unto
con il grasso di un bambino, che poi aveva distrutto bruciandolo.
Sotto richiesta degli Inquisitori di denunciare le altre streghe, fece molti
nomi che, successivamente, quando non fu più sotto tortura, cercò
di rinnegare, adducendo come motivazione il fatto che nel momento in cui li
aveva pronunciati era intontita
Ammise anche di aver ucciso il figlio di Elena e Martino e di aver soffocato,
insieme alla strega Maddalena, i due figli di Antonio. Affermò inoltre
di aver agito mediante un “bastonetto” unto con il grasso di un
bambino, che poi aveva distrutto bruciandolo.
Sotto richiesta degli Inquisitori di denunciare le altre streghe, fece molti
nomi che, successivamente, quando non fu più sotto tortura, cercò
di rinnegare, adducendo come motivazione il fatto che nel momento in cui li
aveva pronunciati era intontita.
Giovanna fu bruciata viva il 17 agosto presso il ruscello ai confini di Miagliano.
Fonte: pubblicato su Internet all’indirizzo http://www.valsesiascuole.it/liceoborgosesia/multimediale/controriforma/index.htm
Note:
[1] da “Tractatus de sortileggis eorumque poenis in “Malleus
maleficarum…” di P. Grillandus. ini.
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[2] da Le prediche volgari di P. Bargell
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