La guerra "globale" che gli Stati Uniti d'America, con al seguito
gli stati europei, hanno iniziato per liberare il mondo dal terrorismo - ossia
per consolidare le loro pratiche di rapina verso i detentori di fonti
energetiche e materie prime, per migliorare la loro presenza strategico-militare
nell'Asia Centrale e in altre parti del mondo e per rimodellare gli interni
assetti istituzionali al fine di fare i conti con i movimenti di opposizione -
si muove, come sappiamo, su più piani.
Qui, brevemente, intendo occuparmi del piano della normativa
penale, soprattutto per quanto riguarda l'ordinamento italiano.
Un nuovo reato: terrorismo internazionale
Il 18 ottobre 2001, "ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di
rafforzare gli strumenti di prevenzione e contrasto nei confronti del terrorismo
internazionale, prevedendo l’introduzione di adeguate misure sanzionatorie e di
idonei dispositivi operativi" è stato emanato il decreto legge n. 374 poi
convertito, con alcune modifiche, nella legge 15 dicembre 2001 n. 438, di cui
esaminiamo gli aspetti più significativi.
All’interno dell’art. 270 bis (introdotto nel codice
penale con il cosiddetto decreto Cossiga del dicembre 1979 e che già
puniva le associazioni con finalità di terrorismo) viene inserita espressamente
anche l’ipotesi dell’associazione con finalità di "terrorismo internazionale".
Le pene previste per la semplice partecipazione, già prima molto elevate,
sono ulteriormente inasprite (da 5 a 10 anni).
A questo punto - sembra paradossale! - viene da rimpiangere il
buon vecchio legislatore fascista che, con l’art. 306 del Codice Rocco, colpiva
con pene da 3 a 9 anni chi partecipava al ben più agguerrito sodalizio definito,
appunto, come "banda armata".
Ma il centro della questione è l’estrema vaghezza con cui viene
indicato il comportamento punito. Infatti l’associazione vietata può anche
soltanto "proporsi" il compimento di atti di violenza con le finalità in
questione, e quindi la soglia della punibilità ricomprende anche la semplice
intenzione.
Inoltre: che tipo di atti di violenza l’associazione dovrebbe
avere il fine di compiere? In assenza di specificazioni, la nozione è
amplissima, raggiungendo una vera e propria indeterminatezza su quale sia il
comportamento vietato, con grave violazione dell’art. 25 della Costituzione. Ma,
del resto, tale violazione già esisteva da tempo per il vecchio 270 bis, e ben
pochi se ne sono lamentati …
Colpire i movimenti di massa
Dalla riformulazione della nozione generale di finalità di terrorismo consegue
poi che per gli "atti di violenza … rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione
o un organismo internazionale" si applica l’aggravante prevista dall’art.1
del già ricordato decreto Cossiga, che determina un aumento di pena
della metà, con l’impossibilità per giunta di cancellare tale aggravante con
il riconoscimento di attenuanti, come succede invece per le aggravanti ordinarie.
Questa riformulazione sembra voler equiparare genericamente gli
atti di violenza contro uno stato estero o un organismo internazionale e le
finalità di terrorismo (con il conseguente inasprimento delle pene cui si è già
accennato), con l’obiettivo quindi di colpire non solo i membri di
associazioni ristrette bensì i partecipanti a movimenti di massa con
connotazioni internazionaliste (e quali mai saranno?…).
La nuova legge introduce poi nel codice penale l’art. 270 ter che
punisce, con pena fino a 4 anni, chi "fuori dei casi di concorso nel reato o di
favoreggiamento, dia rifugio o fornisca vitto, ospitalità, mezzi di trasporto,
strumenti di comunicazione" a chi partecipa non solo alle associazioni punite
dall’art. 270 bis ma anche alle "vecchie" associazioni sovversive previste
dall’art. 270 per colpire comunisti, socialisti massimalisti e anarchici.
Per chi avesse questo tipo di intenzioni, alla luce
di questa norma risulta più conveniente fornire vitto e alloggio ai partecipi
di una banda armata (pena solo fino a 2 anni, in base all’art. 307 del codice
penale) …
Controllo totale
L’art. 3 della legge rende più celeri le procedure per le
intercettazioni telefoniche nei procedimenti relativi ai delitti previsti
dall’art. 270 bis e 270 e ai delitti con finalità di terrorismo. Anche in questo
ambito, inoltre, è estesa la possibilità di perquisire "blocchi di
edifici" e di sospendere "la circolazione di persone e di veicoli nelle aree
interessate". A questo punto, il riferimento mentale più spontaneo va alla
nozione di rastrellamento.
L’art. 5 prevede la possibilità anche per i reati con finalità di
terrorismo (oltre che per quelli di mafia) di intercettare preventivamente
"comunicazioni o conversazioni, anche in via telematica, nonché … comunicazioni
o conversazioni tra presenti", anche in domicili privati. Queste intercettazioni
sono autorizzate non nei confronti di chi è sottoposto a indagini, ma in via del
tutto generale "quando sia necessario per l’acquisizione di notizie concernenti
la prevenzione" dei delitti in questione. È quindi chiaro che tali
intercettazioni (utilizzabili a fini di polizia e non processuali) possono
colpire chiunque, e qualunque ambiente.
Insomma, il controllo tende – ove già non lo sia – a divenire
totale.
Infiltrati ufficialmente
L’art. 4 introduce, senza ipocrisie ma anche senza più pudore, la
disciplina delle "attività sotto copertura" della Polizia giudiziaria. Sono
disposte dal Capo della Polizia o dal Comandante generale dell’Arma dei
carabinieri o della Guardia di finanza ed effettuate dagli organismi
investigativi di tali corpi "specializzati nell’attività di contrasto al
terrorismo o all’eversione"; il Pubblico ministero deve soltanto esserne
preventivamente informato.
Il fine di tali operazioni è "acquisire elementi di prova in
ordine ai delitti commessi per finalità di terrorismo" e gli operanti non sono
punibili se "anche per interposta persona acquistano, ricevono,
sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero
cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato, o
altrimenti ostacolano l’individuazione della provenienza o ne consentono
l’impiego".
È cioè prevista espressamente l’attività di
infiltrazione/provocazione, con ampie previsioni di non punibilità. Ovviamente è
consentito l’utilizzo di identità e documenti di copertura e chiunque,
conoscendo la vera identità degli infiltrati, la divulgasse, è punito con la
reclusione da 2 a 6 anni. Le operazioni segrete devono restare segrete, che
diamine!
Parallelamente a ciò, pare che la riforma dei Servizi segreti in
corso di elaborazione attribuisca a tali agenti l’impunità per una gamma ben
superiore di delitti, da cui sarebbero esclusi solo gli omicidi e le lesioni
personali (cfr. "La Repubblica", 27/11/2001).
L’art. 10 bis, infine, compie un primo passo verso la creazione,
per i delitti in questione, di giudici "speciali", giacché stabilisce la
competenza di Pubblico ministero e Giudice delle indagini preliminari del
"capoluogo" del distretto in cui ha sede il giudice competente. Il che vuol dire
che se vi è competenza, ad esempio, del Tribunale di Monza, le indagini
preliminari saranno invece oggetto dell’attività di Pm e Gip di Milano e non di
Monza come per tutti gli altri reati.
In sintonia con la nuova legislazione europea
Ovviamente, tutta questa normativa inerente i reati con cosiddetta
finalità di terrorismo si intreccia con la definizione di terrorismo che sarà
data a livello europeo, a proposito della quale è più che lecito avanzare serie
preoccupazioni, considerato quel che si legge circa il riferimento, quali atti
di terrorismo, anche alle occupazioni abusive o ai danneggiamenti di
infrastrutture statali e pubbliche, mezzi di trasporto, luoghi pubblici e beni,
ovvero anche all’intralcio o interruzione della fornitura di acqua, energia o
altre risorse fondamentali (cfr. Commissione della Comunità Europea, Proposta
di decisione Quadro del Consiglio del 19/9/2001).
Il tutto si lega anche alla creazione dello spazio giuridico
europeo in tema di "mandato di arresto", con vanificazione delle precedenti
procedure di estradizione.
E, a questo proposito, sia consentito sottolineare la miopia di
chi ha accusato questo pernicioso e infame governo anche per il fatto che
avrebbe ostacolato l’ingresso dell’Italia in tale desiderabile (!?) spazio. Il
discorso, infatti, doveva essere diversamente sviluppato, contro questo governo
e i suoi miserabili interessi in materia, ma anche, ed essenzialmente, contro la
riduzione degli spazi di libertà.
Comunità "nemiche"
La produzione legislativa italiana legata alla guerra ricomprende
anche le normative concernenti le "Disposizioni sanzionatorie per le violazioni
delle misure adottate nei confronti della fazione afghana dei Talebani" (Decreto
Legge 28/9/2001 n. 353 convertito con legge 27/11/2001 n. 415).
Tali norme sono di derivazione europea (Regolamento CE 6/3/2001
n.467): quello che colpisce è il loro riferirsi a una collettività
"politico/religiosa" e il loro disporre misure contro specifiche persone fisiche
nominativamente individuate.
Tutto questo desta in chi scrive assai sgradevoli
sensazioni, dal momento che è escluso dal consorzio civile chi è appartenente
a una comunità "nemica", essendo – con norme di legge – indicato nominativamente
dopo una fase di individuazione svolta al di fuori di ogni garanzia giurisdizionale
dal "comitato per le sanzioni". In tutto ciò vi è qualcosa di déjà vu,
ma anche qualcosa che sa di oscuro presagio …
USA e Gran Bretagna
Che le speciali normative italiane si innestino in un modus procedendi
deciso a livello internazionale è risaputo. Ricordiamo soltanto come gli Usa
costituiscano l’avanguardia anche in questo campo, raggiungendo il vertice,
oltre che della caduta delle garanzie democratiche, anche dell’"imperialismo
giudiziario" attraverso la creazione di Tribunali militari con competenza
sull’intero globo: "lo Stato penale statunitense tenderebbe così a convertirsi
nelle forme di un Impero penale, impegnato a giustiziare i nemici che non
siano stati direttamente eliminati con le armi o dai servizi segreti" (così
Danilo Zolo, in Dallo Stato di diritto all’Impero penale, "il Manifesto",
16/11/2001).
La fidata Gran Bretagna, seguendo un più basso profilo, pare aver
seguito le procedure previste dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che nel suo art. 15 stabilisce
che "in caso di guerra o in caso di altre pubbliche calamità che minacciano la
vita della nazione, ogni altra parte contraente può prendere misure che
deroghino agli obblighi già previsti di questa Convenzione", e ha quindi
disapplicato l’art. 5 in tema di controllo dell’autorità giudiziaria sulla
privazione della libertà, ricorrendo alla detenzione amministrativa per i
"sospetti", così cancellando secoli di civiltà giuridica.
Infine: i Tribunali militari!
Un ultimo dato va affrontato: con decreto legge 1 dicembre 2001 n. 421 (Disposizioni
Urgenti per la partecipazione di personale militare all’operazione multinazionale
denominata "Enduring Freedom") si è stabilito (art.8) che "Al corpo
di spedizione italiano che partecipa alla campagna per il ripristino ed il
mantenimento della legalità internazionale (sic!) denominata ‘Enduring
Freedom’ … si applica il codice penale militare di guerra, approvato con
regio decreto 20 febbraio 1942 n. 303".
"Corpo di spedizione", "Regio decreto", "Codice militare di
guerra", antichi vocaboli acquistano nuovo vigore e splendore: la guerra non è
più un tabù e può essere (a differenza che nelle precedenti aggressioni all’Iraq
e alla Serbia) finalmente rivendicata, anche se - per ora - con gli eufemistici
riferimenti al mantenimento della legalità internazionale.
Siamo insomma entrati in una fase nuova, di guerra globale, e di
queste esigenze di guerra anche il diritto, ben lungi dal contrastarle, si fa
portatore.