Huye hombre huye è la storia dell'infinita
permanenza in carcere di Xosé Tarrío González, entrato in galera per
scontare un breve periodo detentivo e finito ad accumulare condanne su
condanne da scontare nelle peggiori carceri spagnole in regime Fies. È
anche la storia di un continuo tentativo di evsione, di una continua
ribellione e della scelta di non rassegnarsi mai alla prigionia, anche
quando il carcere sassume il volto di una vera e propria tomba per vivi.
Si avvertiva un clima prossimo alla violenza,
perciò ricevemmo la visita di un ispettore della Direzione Generale delle
istituzioni penitenziarie. Da ogni modulo vennero scelti due detenuti per
dialogare ed esporre i problemi di tutti gli altri. Io ed un altro
compagno andammo come portavoce del modulo 1. Il dialogo si svolse in un
ufficio dell'infermeria, il mio compagno entrò per primo mentre io
aspettavo scortato da un paio di secondini. Concluso il colloquio con il
mio compagno, entrai nell'ufficio.
Vi era un
uomo ben vestito e scrupolosamente pettinato che mi sorrideva apertamente
con un sorriso di facciata. Pretendeva creare un clima di fiducia tra noi.
Mi salutò:
- Salve, come va?
Mi sedetti di fronte a lui e gli risposi, cortese:
- Salve.
- Lei è Xosé Tarrìo, vero? - domandò
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2.
STATUTO DELL'ASSOCIAZIONE DEI DETENUTI IN REGIME
SPECIALE (ricostituita) - APRE (R)
Non ci sono dubbi sul fatto che il disinteresse e la
mancanza di coscienza sociale sulle tematiche carcerarie diano via libera
alla tortura, all'abuso, alla prepotenza e al delitto; procedure con le
quali si svolge l'attività carceraria. Tutto ciò da origine ad APRE(R).
La realtà del carcere la conoscono solo coloro che la soffrono: noi
detenuti. Purtroppo la popolazione reclusa si divide in due tipi di
detenuti: gli abituali, il cui unico obiettivo è quello di estinguere la
condanna nel più breve tempo possibile, in condizioni carcerarie
"comode" e noi, dell'APRE(R), denominati irrecuperabili, termine
che non smette di essere vero, visto che siamo irrecuperabilmente
coscienti della nostra condizione di esseri umani. Nostro obiettivo è
quello di scontare le nostre condanne, rinunciando alle comodità
carcerarie in difesa della nostra dignità e dei diritti che le leggi ci
riconoscono. APRE (R) ha attraversato due fasi, in una prima gli unici
obiettivi sono stati simbolici ed hanno solo migliorato le condizioni di
vita di alcuni, provocando la delusione e lo scoraggiamento di fronte a
nuovi progetti, distruggendo così l'associazione.
Ma con la casa a pezzi e con nuovi aderenti, l'associazione si è andata
ricostruendo, creando una struttura orizzontale, la cui attività è
diretta allo sradicamento dei maltrattamenti e all'ottenimento di
condizioni di vita degne nelle carceri, con la promozione della cultura,
della creatività, dello sport o di qualsiasi altra attività a fini
rieducativi.
Noi lottiamo per l'abrogazione del regime speciale previsto dall'art. 10
della L.O.G.P. (Legge Organica Generale Penitenziaria) e dagli articoli 32 e 46 del R.P. (Regolamento Penitenziario), volti all'instaurazione
dell'isolamento assoluto e all'annullamento della personalità dei
detenuti. Soffriamo un'assoluta restrizione dei diritti
Consideriamo che in democrazia non tutto è
ammissibile. La democrazia non è un patrimonio di alcuni che per il
proprio potere la degradano, agendo arbitrariamente, in diritto di casta e
di status, nell'incarico amministrativo che occupano nei poteri pubblici.
Ne abbiamo piene le tasche del fatto che i prosseneti della democrazia
violino i nostri diritti fondamentali, pretendendo convertire i loro
"concittadini" in prostituti dello Stato di Diritto. Da un
decennio a questa parte, come conseguenza delle anomalie e deficienze
della gestione penitenziaria del governo socialista, si è ottenuto che
noi detenuti fossimo, costantemente e in maniera sistematica, facili
vittime di aggressioni fisiche, di abusi di potere e di arbitrarietà da
parte di alcuni secondini formatisi professionalmente sotto i più stretti
canoni del catto-fascismo, durante il precedente regime militarista che ha
dominato fino a 15 anni fa.
Coscientemente o meno, l'amministrazione
giuridico-penitenziaria mantiene in attività, nel corpo penitenziario.
questi elementi provenunti dal braccio secolare franchista. Alcuni di essi
praticando l'opportunismo politico delle tessere, sono ascesi ai ranghi
amministrativi e, con perfidia, hanno imposto direttive inquisitoriali,
aggiungendo a modo loro principi di sicurezza e metodi secondo i quali
devono essere diretti gli istituti penitenziari.
Questi sono stati trasformati nei propri feudi, in cui predominano
la violenza fisica praticata dai loro sicari, la terapia comportamentale
basata sul terrore, l'intimidazione e il ricatto per ottenere l'obbedienza
alle loro norme, violando in questa maniera le disposizioni legali e i
diritti dei detenuti. Frequenti sono i pestaggi per il solo fatto di
essere sorpresi a parlare attraverso le finestre o di stare sdraiati sul
letto. Con inganni e fatti inventati hanno avviato dei procedimenti, dei
quali abbiamo dovuto rispondere davanti a corrotte commissioni
disciplinari, composte per la gran parte da picchiatori, gli stessi
terapeuti del manganello, delle manette e degli spray, che hanno deciso la
nostra classificazione di grado nel trattamento penitenziario. Non
possiamo precisare con esattezza il numero dei compagni morti a causa di
un sistema penitenziario infernale e terzomondista, dovuto a contagi
intenzionali di AIDS, alla carenza di un'assistenza medica adeguata e
all'assenza di uno spirito umanitario nel cuore dello Stato. Ricordiamo i
nostri compagni: José Manuel Ruiz Verdugo, Francisco Carmona Gallardo,
Ramòn Cervera Carranza, luan José Piquero, Agustin Rueda Sierra (per
torture), Vicente Gigante Real... Hanno provocato così tante morti che
dovremmo avere una fabbrica di carta per riuscire a stampare tutti i nomi
dei nostri indimenticati compagni.
Abbiamo inviato migliaia di denunce, dirette ai
tribunali e alla D.G.I.P. (Direzione Generale degli Istituti
Penitenziari), sulle aggressioni fisiche, psichiche e morali delle quali
siamo oggetto, senza che fino ad ora si siano adottate delle misure
efficaci per sradicarle. Al contrario, le nostre denunce hanno comportato
l'incremento delle rappresaglie e dell'avversione da parte degli aguzzini.
Il continuo stato di assoluta indifferenza che sopportiamo e la
disperazione che questa comporta, ci hanno condotto in diverse occasioni a
dar vita a rivolte con sequestri di funzionari. Questi fatti non solo
hanno incrementato di molto le nostre condanne, ma hanno dato una piena
impunità ai boia, che così hanno sfogato le loro basse passioni di
istinto sadico su di noi. Siamo stati e siamo cavie per la sperimentazione
di metodi per la tortura psicologica, diretti ad annullare la personalità
dell'individuo.
La DGIP è venuta a conoscenza dei pestaggi e delle arbitrarietà che si
commettono su di noi, ma non si è data da fare per farli cessare, né ha
avviato delle indagini contro i responsabili. Continuano, invece, a
picchiarci con brutalità e, non soddisfatti del risultato ottenuto con le
punizioni psichica e fisica, ci ricattano e speculano sul nostro dolore.
Ci separano dai nostri ambienti familiare e affettivo, applicando
coscientemente l'allontanamento geografico come metodo per produrre lo
sradicamento sociale, senza alcuna giustificazione o criterio correttivo
per il rifiuto di un reinserimento che non ci viene offerto. In effetti il
reinserimento sociale non esiste, se non in termini astratti; mentre ciò
che si pratica su di noi è l'addestramento schiavista impartito da
sindacati del crimine, organizzati in équipes di trattamento, il cui
unico criterio terapeutico è l'ottenimento dell'assoluta sottomissione
del prigioniero nei confronti della classe dominante.
Noi, di certo, consideriamo l'amministrazione
giuridico-penitenziaria responsabile dei danni che abbiamo sofferto e
soffriamo.
Valutiamo che i pestaggi che abbiamo ricevuto, le
celle di punizione, gli anni in regime di isolamento, le lesioni morali
che hanno causato a
noi e alle nostre famiglie, non sono equiparabili in riparazione con
qualsiasi risarcimento economico. Visto che questo "Stato di
Diritto" fino ad ora permette di leggere e di esprimere le proprie
opinioni, noi, alla luce di quanto previsto dall 'art. 121 della
costituzione spagnola, esigiamo per i danni che abbiamo sofferto:
1 - Riscatto della pena giorno per giorno, più
quattro mesi per ogni anno di condanna scontato, con carattere
retroattivo.
2-Indagini per il chiarimento e l'individuazione delle responsabilità di
coloro che ci hanno sanzionato disciplinarmente, in violazione dell'art.
15 della costituzione spagnola e dell 'art. 3 della convenzione europea
dei diritti umani.
3 - Immediata liberazione di tutti i detenuti con malattie incurabili
(AIDS), senza attendere che si trovino in fase terminale; ad essi deve
essere riconosciuto il diritto stabilito dall 'art. 60 del R.P.
4- Mantenere fuori dal contatto con la popolazione detenuta tutti quei
secondini che siano stati denunciati per maltrattamenti.
Siamo a conoscenza che la DGIP si propone di portare
avanti una
politica penitenziaria in cui predominerà il trattamento piuttosto che la
disciplina, la qual cosa consideriamo positiva per il riconoscimento del
ruolo rieducativo imposto dalla volontà popolare al corpo penitenziario.
Se questo progetto fosse stato portato a termine così come prevedono le
leggi, la maggioranza dei membri di APRE(R) avrebbe estinto le condanne o
una gran parte di esse, beneficiando degli avanzamenti di grado e dei
permessi di uscita. Tuttavia la realtà che ci è imposta, in cui ci
troviamo, non ci permette nemmeno di ottenere delle visite vis
a vis, il che implica la proibizione di realizzare l'atto sessuale e
l'impossibilità di abbracciare i nostri familiari. Conosciamo molti
detenuti con condanne superiori alle nostre, ad esempio i narcotrafficanti,
gli ex poliziotti, i violentatori e i terroristi di estrema destra, che
occupano posti di lavoro remunerati, hanno ottenuto straordinari sconti di
pena e riescono a vedere le loro famiglie. Altri casi, come quello di
golpisti del 23-F (6)
che
hanno attentato contro le libertà ed i diritti della nazione spagnola,
sono stati beneficiati dalla generosità della democrazia. Sappiamo della
immunità di cui godono diversi altri, per esempio i responsabili delle
morti nel carcere di Foncalent, nel gennaio 1987, delle prigioniere: Elena
Màrquez Vano, Isabel Plano Pèrez e Teresa Pedraza Gonzàlez. Per non
citare il "Caso GAL" il "Caso Nani", il "Caso
Agustìn Rueda", gli alti funzionari della sicurezza dello Stato e i
magistrati implicati nel narcotraffico, nelle falsificazioni di documenti
ufficiali, nei dubbi finanziamenti ai partiti politici e un lungo elenco
di scandali che si susseguono giorno dopo giorno, in un paese che si dice
costituzionale e democratico. Molto probabilmente questi signori non
conosceranno mai una cella di punizione. Noi, cari compagni, siamo stati
facili vittime dell'invasione di droga nel paese, siamo in grande
maggioranza delinquenti in seguito alle circostanze; tossicodipendenti
gettati in carcere, invece di essere curati. Proprio nel carcere, i cui
scopi principali sono lo sradicamento culturale e la diffusione della
droga. Ci hanno imposto delle pene astronomiche, totalmente
sproporzionate, per il solo fatto di appartenere ad una bassa classe
sociale. E triste ma, disgraziatamente per questo
paese, la democrazia esiste solo per pochi, mentre noi ci consumiamo nelle
celle di punizione per aver avuto il coraggio di reclamare i nostri
diritti. Siamo in molti ad avere l'AIDS e ci proibiscono di trascorrere la
fine dei nostri giorni con le famiglie.
Per questo, con la coscienza sociale e lo spirito di
lotta che ci caratterizzano ed identificano, con l'appoggio morale e
materiale dall'esterno ogni volta più esteso, facciamo causa comune e di
fronte all'amministrazione
penitenziaria continuiamo a denunciare gli abusi degli agenti di
custodia nella seguente maniera. È socio di APRE(R) colui che ne
ha la legittimità morale. Faremo sempre in duplice copia le nostre
denunce, collettive o individuali, e le intesteremo con APRE(R). In esse
porremo in evidenza : tutti i
diritti calpestati; le richieste negate dei colloqui vis a vis;
l'applicazione di un rigore non necessario; la proibizione di utilizzare
dei locali per svolgere attività culturali, sportive e ricreative;
l'assenza e i ritardi delle visite mediche e dei controlli di laboratorio;
i rifiuti dei medici di far ricorso all'art.6O, che permetterebbe la
liberazione dei malati; l'assenza delle équipes di osservazione e
trattamento o il disinteresse delle stesse; la mancata realizzazione dei
colloqui informativi e dei test di personalità; il disinteresse delle
unità docenti a dare lezioni, specie agli interni di primo grado; e tutte
quelle situazioni che consideriamo ingiuste o illegali. In ogni carcere ci
sarà un incaricato a redigere le denunce e a raccogliere le firme,
incluse quelle dei simpatizzanti. Questi invierà una copia allamministrazione
Sebbene non siamo partigiani della violenza, non scartiamo le azioni
collettive armate se, esauriti tutti i ricorsi legali, non ci viene dato
quello che per diritto ci spetta.
Siamo coscienti che, secondo l'ordine politico stabilito, non è
eticamente lecito far uso della violenza per ottenere dei fini e neanche
noi giustifichiamo questi mezzi (vedi la massima di Machiavelli); ma,
quando nella più oscura clandestinità veniamo massacrati, è per istinto
di conservazione, nella legittima difesa del nostro diritto alla vita e
allintegrità fisica e morale, che diciamo:
ADESSO BASTA!!!
PRATICHIAMO LA DOTTRINA DI ZENONE
FORZA, COMPAGNI!!!
LA GIUSTIZIA E LA DEMOCRAZIA SONO DI TUTTL
Il coordinatore
Francisco Javier Àvila Navas
Herrera de La Mancha, gennaio 1991.
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3.
La
mattina del 18 marzo, Javier Avila Navas e i suoi compagni passarono dalla
teoria all'azione. La notizia fece il giro di tutto il paese, attraverso
la radio e la televisione, dal carcere di Herrera de La Mancha.
Un gruppo di detenuti aveva preso degli ostaggi e si era trincerato nel
modulo speciale. Tutto si svolse nella mattinata, mentre la dottoressa
visitava i detenuti nelle celle. Normalmente queste avevano un cancello,
che impediva qualsiasi contatto. Ma quel giorno, uno di quei cancelli era
stato segato e fissato solo da un filo di ferro per evitare che il
secondino se ne accorgesse. Una volta nella cella di Àvila Navas, questi,
armato di coltello, si avventò sui carcerieri e, dopo averli
immobilizzati e rinchiusi, si appropriò delle chiavi, correndo ad aprire
ai suoi compagni di modulo, Rivas Dàvila e Losa Lòpez.
Fuori, Sànchez Montanés e Laudelino Iglesias si occupavano del controllo
del patio, immobilizzando altri due secondini. In seguito, portandosi
verso la zona di sicurezza, riuscirono a sequestrare un secondino, un
agente ed un ufficiale della Guardia
Civil.
Scattò l'allarme.
Scartata l'idea dell'evasione, i detenuti si barricarono nei corridoi dei
moduli con materassi e porte e prepararono anche delle bottiglie molotov,
con le quali incendiare il modulo in caso di assalto. Gli ostaggi vennero
condotti in differenti celle e spostati costantemente, al fine di evitare
la loro localizzazione da parte delle forze speciali, le quali non
tardarono ad arrivare. Si era disposti ad andare fino in fondo.
Da parte sua, la Guardia
Civil penetrò
all'interno del carcere e prese posizione attorno al modulo speciale,
circondandolo.
Cominciava il braccio di ferro. Era come una corda tirata con forza da
entrambi i lati, senza mezzi terminj: chi avrebbe ceduto di un millimetro,
avrebbe perso.
Iniziarono le trattative. Queste si condussero in
situ, attraverso le
barricate. L'amministrazione, per negoziare aveva inviato tre ispettori
della Direzione Generale di Madrid. Su richiesta dei detenuti
asserragliati presenziava inoltre la giudice di sorveglianza.
In rappresentanza dei detenuti, Àvila Navas lesse a voce alta la lista di
rivendicazioni che aveva dato origine a quel sequestro:
Fine delle torture in
tutte le carceri.
Immediata sospensione dei secondini che ci proposero ad Alcalà-Meco di
formare all'interno del carcere un gruppo volto ad assassinare i
prigionieri politici di maggior peso, in cambio di miglioramenti
penitenziari.
Si adegui debitamente il Centro penitenziario dei minori di Madrid, dove
stanno per essere trasferite le detenute di Yeserìas.
Fine delle torture, dei pestaggi e dei maltrattamenti nel carcere
psichiatrico di Alicante (Foncalent), dove si legano gli internati per
mesi, obbligandoli a fare le loro necessità fisiologiche addosso, senza
accesso alle loro cose, con la piena responsabilità della dottoressa Mari
Angeles Lòpez.
Indagine veritiera ed individuazione dei responsabili delle impiccagioni
che si sono prodotte nelle carceri di Stato, per la diretta negligenza dei
secondini che hanno ricattato altri interni con privilegi, in modo da non
contribuire alla spiegazione di questi omicidi. Che si seguano le denunce
per contagi intenzionali di AIDS, perché ci trattengono le lamette da
barba e le mischiano, dopo l'uso, senza alcun tipo di controllo.
Immediata scarcerazione di tutti i detenuti con malattie mortali, ai sensi
dell'art. 60 del regolamento penitenziario.
Che ai detenuti malati di AIDS venga applicato l'art. 60 quando la
malattia si trova in una fase stazionaria e non quando sono cadaveri, come
proposto lo scorso anno dal procuratore generale dello Stato, Leopoldo
Torres. Conosciamo molto bene il suo spirito umanitario. Si sospenda
immediatamente l'art. 10 della LOGP, nel suo primo comma relativo ai
detenuti in attesa di giudizio e nel secondo comma per noi definitivi, che
abbiamo alle spalle anni ed anni di primo grado in prima fase, equivalenti
a 22 ore d'isolamento al giorno.
Che le sanzioni di isolamento nelle celle non siano di un massimo di 42
giorni; 14 giorni sono già una barbarie ed hanno il solo effetto di
rendere i detenuti invulnerabili alla punizione.
Che l'attuale governo non si accanisca contro i delinquenti dovuti alle
circostanze (tossicodipendenti), vittime dell'invasione della droga nel
paese e che si tengano in considerazione la loro malattia e le dimensioni
del problema. I malati non si condannano, si curano.
Che la politica penitenziaria non sia solo progressista di fronte alla
società; che il reinserimento come tale non sia un termine astratto e che
si vigili per la vita e l'integrità fisica degli interni, rispettando i
loro ideali. Che si tenga in conto anche la radice sociale dei detenuti in
modo che possano scontare le loro condanne in centri vicini ai loro luoghi
di residenza.
Che si rispetti il diritto alla cultura, allo sport e che si organizzino
più attività e lavoro remunerato.
Che non si proibisca, ai sanzionati:, l'acquisto di articoli di economato.
Che si abbia il dovuto rispetto dei familiari dei detenuti quando si
trovano all'interno degli istituti penitenziari.
Che nella riforma del codice penale si includa la possibilità di
permettere la libertà agli interni che abbiano scontato più di 5 anni di
prigione effettiva.
Che durante l'espletamento delle pratiche disciplinari, gli interni
possano consigliarsi con i testimoni, gli avvocati e il procuratore; visto
che nelle corrotte commissioni di regime, i secondini sono nello
La mancanza di difesa viola la Costituzione spagnola nei suoi artt. 24 e
119.
Che la politica penitenziaria progressista sia più generosa con i
detenuti pericolosi; che semplicemente chiedono giustizia, e che non
esaurisca la sua generosità solo con i terroristi di estrema destra e con
i narcotrafficanti.
Che non ci processino per i precedenti sequestri di secondini, visto che
sempre siamo stati incitati a farlo dal cattivo funzionamento
dell'amministrazione della giustizia.
L'amministrazione, una
volta messa al corrente delle richieste dei detenuti, si rifiutò di
renderle pubbliche. La sua linea era di occultare quelle denunce, che
facevano tremare, sulla situazione carceraria nel territorio spagnolo. Non
poteva permettere che la società venisse a conoscenza di quel sottomondo,
dove la dittatura continuava il suo corso.
Si ordinò l'avvio di una campagna di disinformazione.
Così i giornali più importanti, con l'eccezione di Egin,
e diversi programmi
radiofonici non perdettero tempo né aggettivi nel qualificare i detenuti
come pazzi, irresponsabili e molto pericolosi. Nessuno di questi fenomeni
dell'informazione chiarì,
tuttavia, che il regime speciale a cui erano sottoposti quegli uomini era
illegale, ed era stato abrogato dal decreto reale 787/84.
Era la stessa commedia di sempre. Non si rispettava la legge, ma se la
infrangeva qualcuno che non fosse dalla parte dello Stato, allora veniva
accusato di essere pazzo e di essere fascista. Ipocrisia, ingiustizia,
demenza. La prostituzione dei massmedia era semplicemente schifosa e
ripugnante.
Non si parlava di Herrera de La Mancha, tristemente famosa per le torture
e gli abusi li commessi contro i detenuti della C.O.P.E.L.
In quel carcere dal 79
all'81, nell'assoluta impunità dei secondini, i detenuti, ammanettati,
ricevevano tremendi pestaggi al fine di estorcere confessioni o delazioni
contro i loro compagni, o contro i militanti reclusi dell'E.TA.
Come potevano lo Stato e i massmedia sostenere che quegli uomini
sovversivi erano dei pericolosi psicopatici senza cuore, se quelle
rivendicazioni erano dirette ai cittadini, con tutta la solidarietà che
emanava ognuna di quelle parole? Quale giustificazione poteva darsi lo
Stato se un tale atto di solidarietà veniva occultato e sottoposto a
repressione?
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4.
Nel pomeriggio, ricevetti la
sgradevole visita di un secondino che conoscevo dal carcere di Zamora. In
quel carcere mi aveva picchiato assieme ai suoi colleghi e, adesso,
pretendeva costringermi al ricordo di quel fatto, per lui eroico.
- Che succede, figlio di puttana? - mi disse attraverso lo spioncino
- Non sei stanco di ricevere bastonate? Oggi sto io di guardia, quindi
stai attento perché alla minima le prendi, o non ti ricordi di me?
Mi ricordavo perfettamente.
- Certo che mi ricordo - gli risposi, avvicinandomi alla porta.x
- Bene, perché non ti voglio ascoltare per tutto il pomeriggio.
D'accordo?
Non risposi alla provocazione.
Un'ora dopo quella visita, vennero ad aprirmi per l'ora d'aria. In una
delle mie scarpe da tennis avevo nascosto un piccolo coltello di ferro di
mia fabbricazione. Quel figlio di cagna l'avrebbe pagata una volta per
tutte.
Non ebbi problemi con il coltello, alla perquisizione che solevano farmi
ogni volta che uscivo dalla cella. Egli si trovava all'altezza della porta
che dava accesso al patio. La sua faccia rifletteva la tipica prepotenza
di chi si sente protetto da un'uniforme, da una placca e da tutto un
sistema, di chi sa che può agire impunemente, senza timore della
giustizia o della legge. Si avvicinò per dirmi qualcosa, quando il mio
pugno lo colpì in faccia, facendolo cadere a terra. Totalmente sorpreso
che un detenuto si fosse azzardato ad alzare le mani su di lui, si mise
prima carponi e poi si incamminò verso la garitta dalla quale tornò
armato di manganello.
- Ti farò cagare - gridò furioso e minaccioso mentre si gettava su di
me.
Mi chinai ed estrassi il coltello dalla scarpa da tennis. Nel vederlo si
fermò, gettò il manganello e alzò le mani, mostrandomi che non offriva
resistenza.
- Stai calmo, Tarrìo, per favore...
Mi avvicinai, lo afferrai al bavero della camicia, e lo feci inginocchiare
davanti a me. Gli lanciai una coltellata all'altezza della testa, che si
fermò in una delle sue mani con le quali si stava proteggendo.
- Che c'è? Non fai più il duro? - gli gridai, fuori di me.
- O sei coraggioso solo quando stai davanti ad un fanciullo nudo ed
indifeso? - aggiunsi con una chiara allusione al pestaggio di Zamora.
- Stai calmo, uomo, tranquillo. Aggiustiamo tutto questo con calma, eh? -
gridava una guardia dall'altra parte del modulo.
- Non fare stronzate, Tarrìo, per favore, calmati...
Guardai il mio ostaggio. Avevo voglia di ucciderlo, ma desistetti per
timore delle conseguenze che quellazione avrebbe potuto causarmi, per
cui alla fine lo liberai.
- Guarda, maiale, questa volta ti libero. Se un giorno tentassi di
prenderti la rivincita o ti azzardassi a picchiarmi di nuovo, giuro che ti
ammazzo senza pensarci su. Ti è chiaro?
- Sì, Tarrìo. Te lo prometto, non succederà nulla
Mi diressi alla cella e mi disfeci del coltello, che passai a Caamano
dalla finestra. Mi sdraiai sul letto, teso per le possibili conseguenze.
Poco dopo, diversi secondini vennero da me, mi ammanettarono e mi
trasferirono in un'altra cella. Non mi picchiarono, nè mi minacciarono,
semplicemente si limitarono a cambiarmi di cella. Mi chiesero del coltello
ed io risposi che l'avevo buttato nel water. Mi lasciarono solo,
ammanettato, in una cella vuota.
Più tardi venne il secondino che avevo pugnalato. Aveva la mano bendata
ed era in borghese, per cui supposi che lo avevano sospeso. Parlammo dallo
spioncino.
- Guarda, Tarrìo, so che quello di Zamora non andava bene, ma obbedivo
agli ordini come il resto degli altri agenti. - si scusò Quanto accaduto oggi mi ha fatto vedere le
cose in un'altra maniera, sul
serio. Ho parlato con i miei colleghi, affinché non effettuino
rappresaglie contro di te.
- Bene... - gli risposi, sorpreso per il suo atteggiamento.
- Col tempo tutti noi ci abbrutiamo; non credere che per me sia facile
lavorare qui, ma di qualcosa si deve pur mangiare.
È preferibile fare la fame, che torturare per evitarla - risposi.
Sì, però qualcuno deve fare questo lavoro ... Senti, non c'era sangue o
qualcosa del genere sul coltello, vero? Lo dico per via degli anticorpi
dell'AIDS, siccome sei sieropositivo.
- No, era pulito.
- Devo andarmene. Mi dispiace molto che sia andata così.
-È il carcere - risposi, riassumendo tutti i mali possibili con quella
fatidica parola, istituzione che gli uomini e le donne del mondo avrebbero
fatto bene ad eliminare dalla faccia della terra, qualche giorno non
lontano.