Uno degli argomenti prediletti dalla propaganda contro la Colonna di Ferro è il fatto che di essa facessero parte parecchi detenuti comuni.
"Questa colonna "intransigente" si era lungamente opposta alla nuova politica centralista e autoritaria della CNT-FAI. Per questo motivo si trovò sottoposta a un'intensissima campagna denigratoria. Uno dei pretesti più spesso utilizzati in questa campagna fu che i militanti anarchici che la formavano avevano aperto a Valenza le prigioni della città, liberando tanto i detenuti politici quanto quelli comuni. Un certo numero di detenuti comuni si erano aggregati come volontari nella Colonna di Ferro, che combatté, durante tutto questo periodo, sul fronte di Teruel (nel sud dell'Aragona). La presenza, in seno alla colonna, di ex detenuti comuni non poteva, beninteso, che scandalizzare tutti i partigiani dell'ordine borghese. Ma permettere a dei borsaioli, a dei ruffiani di quartiere, e ad altra gente del genere di diventare dei combattenti rivoluzionari non è forse un modo come un altro di 'cambiare la vita'?" (C.S. Maura, op. cit., pag. 199).
Gomez Casas è più cauto.
Alla Colonna di Ferro "partecipavano anche alcuni delinquenti comuni, liberati dal penitenziario di San Miguel de los Reyes, dove, durante la convivenza con i prigionieri sociali, si erano guadagnati la loro stima. La concezione rivoluzionaria degli anarchici, che imputava prima di tutto alla società la responsabilità di ogni degenerazione umana, concesse un'occasione a uomini che non sempre furono degni della fiducia che veniva loro offerta". (Juan Gomez Casas, Storia dell'Anarcosindacalismo Spagnolo, Jaca Book, Milano, 1975, pag. 353).
Ecco una relazione del Comitato di Guerra della Colonna di Ferro comparsa su Nosotros del 16 febbraio '37.
"…Dovevano esser rimessi in libertà e qualcuno doveva assumersi la responsabilità di avviarli al fronte. Noi, che avevano sempre considerato la società responsabile delle loro debolezze, li consideravamo nostri fratelli; con noi rischiarono la vita e combatterono al nostro fianco per la libertà. Se il carcere li aveva fatti disprezzare dalla società, noialtri restituimmo loro la libertà e l'occasione di riabilitarsi. Chiedemmo il loro aiuto ed offrimmo loro una possibilità di redenzione sociale". (Burnett Bolloten, Il grande inganno, ed. Volpe, Roma, 1966, pag. 241).
Bolloten giudica la questione dei delinquenti sfavorevolmente ma la riporta nei termini reali, per quel che riguarda il rapporto fra la Colonna di Ferro e la CNT dei comitati e dei 'militanti influenti', sviluppando i punti posti all'inizio del capitolo da Maura: dissidenza della colonna nei confronti delle gerarchie CNT-FAI (ministri, Comitato Nazionale, Comitati Regionali), conseguentemente attrito e ricerca, da parte del potere insidiato, di pretesti per infamare i dissidenti, pretesti che, singolarmente, fanno appello ai sentimenti più regressivi dell'ideologia piccoloborghese e della sottocultura di massa. È fin troppo facile osservare, a questo punto, che l'uso del potere bolscevizzava i dirigenti libertari.
"Sebbene alcuni di essi avessero sinceramente abbracciato gli ideali anarchici, la stragrande maggioranza dimostrarono di non essere altro che dei criminali incalliti, senza alcun desiderio di redenzione e di essersi arruolati nella colonna solo per convenienza, accettando l'etichetta anarchica come un semplice paravento. Benché la cattiva fama che la Colonna di Ferro si era creata, a causa della presenza nelle sue file di tanti malfattori, fosse stata cagione di profondi dissidi tra il suo Comitato di Guerra e il Comitato Regionale della CNT di Valenza, occorre sottolineare che la ragione più importante di tale discordia consisteva nel fatto che, mentre il Comitato Regionale appoggiava la politica adottata dai dirigenti nazionali della CNT e della FAI, la Colonna di Ferro la criticava aspramente e sosteneva che l'entrata al governo del movimento libertario era servita solo a rafforzare l'autorità dello Stato e dare maggior peso ai decreti governativi". (ibid., pagg. 241-242).
Questo succulento soggetto, tanto reclamizzato dai calunniatori della colonna, è riferito puntualmente dagli storici più codini. Essi si limitano a citare la presenza dei delinquenti comuni fra gli anarchici come più che eloquente.
"Sul fronte di Teruel, la cosiddetta "colonna di ferro", formata in gran parte di anarchici e di detenuti per reati comuni liberati dal penitenziario di San Miguel de Los Reyes, si rifiutò d'ottemperare all'ordine…". (Gabriel Jackson, La Repubblica spagnola e la guerra civile, ed. Il Saggiatore, Milano, 1°ed. 1967, pag. 405).
"In tutta la regione, la confusione crebbe alla fine di agosto per il rilascio dei prigionieri di un vicino penitenziario. Questi si unirono per lo più al Battaglione di ferro della CNT che assediava Teruel". (Hugh Thomas, Storia della guerra civile spagnola, ed. Einaudi, Torino, 1963, pag. 257).
Aggiungiamo che per gli anarchici spagnoli la liberazione di tutti i carcerati era la prima azione di ogni moto insurrezionale.
Citiamo a conferma di questo la testimonianza di Mika Etchebere capitano dell'esercito repubblicano, aderente al POUM (marxisti antistalinisti).
Fra le prime milizie che andarono a combattere "vi fu molta gente che era appena stata liberata dalle prigioni. Quando gli anarchici entravano nelle prigioni, via, tutti fuori.
Anche noi ne abbiamo avuti tre o quattro così nella nostra colonna, combattevano splendidamente. Al principio eravamo diffidenti, poi stando insieme, hanno aderito alle nostre idee, e non si poteva più dire che avevano rubato o roba del genere". (ANCR, Torino, 1976, intervista a Mika Etchebere, pagg. 16-17).