“I soldati americani, purtroppo, non sono i soli”. Questo l’amaro
commento del Comitato Pubblico contro la Tortura in Israele (Pcati), un’organizzazione
per i diritti umani indipendente fondata nel 1990 che monitorizza l’applicazione
della legge nelle carceri e, da tempo, si batte per l’abolizione della
tortura durante gli interrogatori da parte delle autorità israeliane
e palestinesi. "Condanniamo fermamente gli abusi di cui hanno sofferto
i detenuti iracheni per mano di soldati britannici e statunitensi", si
legge nel loro comunicato. "E, al tempo stesso, chiediamo al governo israeliano
di porre fine al maltrattamento di prigionieri palestinesi da parte delle forze
di sicurezza".
Secondo quanto diffuso ultimamente dalla stampa, soldati britannici e americani
picchiavano sistematicamente, maltrattavano, abusavano sessualmente e sodomizzavano
i detenuti iracheni. Una pratica, quella della tortura, che sembra tuttavia
non conoscere limiti geografici o di tempo. Il Pcati ha infatti ricevuto numerosissime
proteste riguardanti l'abuso di detenuti palestinesi da parte di soldati dell'Esercito
israeliano e della polizia di frontiera durante la fase dell'arresto e nei luoghi
di detenzione. Il quadro che ne esce, è il maltrattamento dei prigionieri
come una procedura standard di violenza e umiliazioni, come una parte inseparabile
dell'esperienza detentiva dei palestinesi in condizioni disumane.
Le forme di maltrattamento descritte dai detenuti comprendono: percosse, schiaffi
e calci, intimidazioni, minacce, l’uso di manette di plastica che causano
gonfiori, tagli e dolori intensi ai polsi; i prigionieri a volte vengono poi
costretti a correre bendati. Spesso sono sistemati all’aperto o in "gabbie"
esposte al caldo, al freddo e alla pioggia. Le celle sono sovraffollate, senza
letti, lenzuola, coperte e servizi igienici. Inoltre ai detenuti viene negato
accesso regolare alle toilettes, alle docce e, per settimane, non è consentito
loro un cambio di vestiti. Il cibo è poco e di scarsa qualità,
e manca un'assistenza medica.
Questa è la storia di Khader Rais, arrestato l'11 gennaio 2004. In una
deposizione scritta e giurata raccolta dall'avvocato Labib Habib, Rais sostiene
che i soldati che l'hanno arrestato, l'hanno spinto giù da una lunga
rampa di scale, con le mani bloccate dietro la schiena da un paio di manette,
e gli occhi bendati. Rais è stato poi portato al Centro di Detenzione
russo a Gerusalemme; mentre i soldati lo conducevano là, gli sferravano
calci sulle gambe.
Un altro incidente è stato riportato da Ahmed Atallah, arrestato dalla
polizia di frontiera il 27 agosto 2003. In una deposizione giurata raccolta
dall’avvocato Inas Younes, Atallah afferma che i poliziotti l’hanno
fatto salire su una loro camionetta, dove l’hanno picchiato ripetutamente;
lui era ammanettato e la camicia gli copriva la faccia, in modo che non potesse
vedere.
Un mese prima del suo arresto, Atallah aveva riportato una ferita da arma da
fuoco a una spalla, la ferita non si era ancora del tutto rimarginata. Lo ha
detto ai poliziotti, ma questi hanno continuato a colpirlo. Uno di loro ha addirittura
appoggiato il fucile sulla spalla ferita di Atallah e ha sparato, mirando fuori
dalla camionetta. Atallah, a quel punto, non è più riuscito a
sostenere il dolore ed è svenuto. I poliziotti l’hanno scosso finché
non ha ripreso conoscenza e poi hanno tentato di costringerlo a cantare: “One
humus one ful, I love you ‘Mishmar Hagvul’ (polizia di frontiera)”.
Lui si è rifiutato, e loro hanno ripreso a picchiarlo.
Un poliziotto l’ha quindi portato in un Centro di detenzione presso la
sede della Brigata Binyamin, dove gli abusi sono continuati. Tre soldati, che
Atallah conosce per nome (Erez, Oz e Kruz), avevano l’abitudine di bestemmiare,
urlare e picchiare, anche se non provocati.
In tutti e due i casi, è stata fatta una protesta formale al magistrato
dell’Esercito, il generale Menachem Finkelstein.
Le informazioni sulle torture praticate da soldati americani e britannici hanno
scatenato un mare di polemiche sia negli Stati Uniti che in Europa, e sono state
largamente coperte da giornali e tv. Al contrario, molte denunce riguardanti
azioni simili da parte di soldati israeliani sono state accolte dai media e
dall’opinione pubblica israeliana nella più totale indifferenza
e silenzio.
Per questa ragione, il Comitato Pubblico contro la Tortura in Israele si rivolge
– come spesso ha già fatto in passato – alle autorità
israeliane, chiedendo: di aprire immediatamente delle inchieste a partire dalle
denunce presentate; di punire i soldati e i loro comandanti, sia diretti che
superiori, che hanno tollerato queste pratiche.