I "desaparecidos" di Bush
Bruce Jackson*, febbraio 2004
* Professore di cultura americana alla State University of New York di Buffalo
Dall'11 settembre 2001 il governo americano ha avviato larghe operazioni di detenzione di stranieri, arabi e musulmani. Gettandoli in un limbo senza uscita. Oggi si stima che almeno 5.000 persone siano state detenute negli Stati uniti. Senza accuse, senza prove, senza garanzie. E molti di loro sono ancora prigionieri
All'indomani dell'11 settembre 2001 e degli attacchi terroristici al World
Trade Center e al Pentagono, i funzionari del governo degli Stati Uniti avviarono
un'operazione di detenzione massiccia di cittadini stranieri arabi e musulmani.
La maggior parte dei fermi, se non tutti, fu giustificata con scuse inconsistenti
come la scadenza di un visto, problema che normalmente viene risolto con un
invito a presentarsi per prorogare il permesso. Rispetto alle persone fermate,
si è parlato di "detenzione" e non di "arresto".
Se, infatti, quegli stranieri fossero stati arrestati, sarebbero entrati a
far parte del sistema giudiziario penale e avrebbero avuto accesso alle sue
forme di protezione. Con la sola detenzione sono invece entrati in una sorta
di limbo, esattamente quello che vuole l'amministrazione Bush.
Nel giugno 2003, un rapporto di Aclu (American Civil Liberties Union)
riporta una ricerca dell'Ufficio dell'ispettorato generale del Dipartimento
di Giustizia, definita "di estrema importanza perché evidenzia
gli aspetti reali di quella detenzione preventiva, indiscriminata e a lungo
termine, messa in atto nel periodo successivo all'11 settembre ai danni di
alcuni immigrati", persone imprigionate senza che venisse loro contestata
alcuna accusa; in alcuni casi sono passati otto mesi prima del loro rilascio,
ed è stato negato loro ogni accesso agli avvocati. Centinaia di registrazioni
video sulle condizioni di prigionia sono state distrutte prima che le squadre
investigative potessero esaminarle. Il governo ha rifiutato di rivelare i
nomi dei detenuti, le cui udienze si sono svolte a porte chiuse, senza che
potessero intervenire né stampa, né pubblico. Ancora oggi, nessuno
conosce i nomi e il numero dei detenuti, né si sa quanti siano stati
deportati e quanti sono ancora prigionieri. Il rapporto è pronto già
da un anno, ma John Ashcroft, ministro della Giustizia, ne ha impedito la
pubblicazione perché, nella sua forma originale, il documento critica
alcuni importanti rappresentanti politici. Il testo è reperibile on
line all'indirizzo:
http://www.usdoj.gov/oig/special/0603/full.pdf.
Già in un precedente rapporto di Amnesty International venivano
espresse simili preoccupazioni: «[...] sebbene non siano imputati di
alcun crimine, molti detenuti arrestati dopo l'11 settembre sono trattenuti
in prigione in condizioni punitive, spesso insieme a imputati o condannati
per reati penali. Amnesty International ha raccolto alcune denuncie
per trattamenti inumani, come isolamenti prolungati, infiniti ammanettamenti
[con uso di catene e cinghie per le gambe] durante le visite o le udienze
in tribunale e mancanza di esercizio fisico adeguato. Ci sono accuse per abusi
fisici e verbali. Amnesty ha ascoltato i racconti di familiari che per settimane
non hanno saputo se e dove i loro cari fossero detenuti. Perfino ai legali
era impedito di sapere dove fossero trattenuti i loro clienti o quando dovessero
presentarsi davanti al tribunale dell'immigrazione. Un avvocato ha raccontato
di aver cercato di rintracciare un suo assistito mediante il nome e la data
di nascita e di essersi sentito rispondere che quella persona "non era
inserita nel sistema", benché fosse senz'altro incarcerata».
[Stati Uniti d'America: Appello di Amnesty International sulle detenzioni
successive all'11 Settembre negli Stati Uniti - 14 marzo 2002]
Alcuni dei fermati per scadenza dei visti hanno di fatto richiesto nei modi
e nei tempi previsti l'estensione degli stessi, ma il Servizio di Immigrazione
e Naturalizzazione non ha risposto in tempo, motivando l'inadempienza con
il sovraccarico di lavoro. Questi visitatori hanno fatto esattamente ciò
che era loro richiesto dalla legge statunitense, ma nonostante ciò
sono stati trattenuti in condizioni disumane per un lungo periodo e, in un
numero imprecisato di casi, trasferiti nottetempo, con nient'altro che i vestiti
che indossavano, senza avere l'opportunità di parlare con le famiglie
per dire che erano vivi e che stavano più o meno bene.
In principio, il ministro della Giustizia John Ashcroft si è anche
gloriato del numero di detenuti, ma dopo il 5 novembre del 2001, quando si
è raggiunto un totale di 1.182 fermati, non ha più parlato.
David Cole, autore di un recente e interessante libro sugli abusi perpetrati
ai danni degli stranieri da parte di militari e funzionari della giustizia
penale [Enemy Aliens: Double Standards and Constitutional Freedoms in the
War on Terrorism; New York - The New Press, 2003], afferma che a maggio
del 2003 il totale era salito ad almeno 5.000 unità. La cifra è
tuttora approssimativa, perché il governo continua a rifiutare di rivelare
i nomi dei prigionieri o il loro numero totale. E si giustifica con la motivazione
della "sicurezza nazionale".
Subito dopo l'11 settembre 2001, scrive Cole, «il governo ha sottoposto
in maniera selettiva i cittadini stranieri a interrogatori, registrazioni,
detenzioni automatiche ed espulsioni solo sulla base delle origini arabe o
musulmane; ne ha fermati migliaia, in patria e all'estero; li ha processati
in segreto e si è rifiutato di ascoltare o processarne altri; li ha
interrogati per mesi e mesi in condizioni di coercizione e isolamento estremi,
senza nessun contatto con gli avvocati; ne ha autorizzato l'allontanamento
sulla base delle sole parole; li ha giudicati passibili di espulsione per
far parte di associazioni, innocenti dal punto di vista politico, non gradite;
e ne ha autorizzato la detenzione a tempo indefinito solo perché "l'ha
deciso il procuratore generale"».
E qual è il risultato di queste migliaia di detenzioni, imprigionamenti
ed espulsioni straordinarie? Secondo Cole, "solo cinque detenuti [tre
senza cittadinanza americana, arrestati durante la prima ondata, e due fermati
successivamente come testimoni chiave] sono stati accusati di crimini legati
al terrorismo. Di questi cinque, uno è stato condannato per cospirazione
a sostegno di atti terroristici; due sono stati assolti da ogni imputazione
per atti di terrorismo; lo stesso è avvenuto con il quarto, non appena
si è dichiarato colpevole di reati minori, e il quinto deve ancora
essere processato".
Prigionieri
Non è certo la prima volta che, durante un periodo di minacce ravvisate,
il governo degli Stati Uniti decide di incarcerare delle persone soprattutto
sulla base dell'etnia di appartenenza. Durante la seconda guerra mondiale, per
esempio, più di 110.000 nippo-americani furono segregati in campi di
concentramento, in base all'ordine esecutivo numero 9012. Inoltre, 2000 persone
di origini giapponesi vennero deportate con la forza negli Stati Uniti dall'America
Latina, e furono anch'esse imprigionate.
Ciò che accadde a queste persone fu un atroce abominio, ma se non altro
non passò inosservato e i detenuti non vennero segregati. Furono ingiustamente
imprigionati, ma non scomparvero. Tutti sapevano dove erano incarcerati e quando
la guerra finì furono liberati.
Lo stesso non succede per le migliaia di cittadini stranieri detenuti o imprigionati
senza nessuna notizia dall'11 settembre del 2001 in poi. Restano imprigionati
senza una ragione, segregati agli avvocati che potrebbero aiutarli o alle famiglie
che vivono nell'angoscia per la loro inspiegabile scomparsa. Bush e Ashcroft
sono alle prese con un evento mai visto prima in America.
Guantánamo
Oltre alle 5000 e più detenzioni interne, circa 650 afgani, inglesi,
australiani e persone di altre nazionalità sono prigioniere nella base
militare statunitense di Guantánamo Bay, a Cuba. Gli Stati Uniti hanno
invaso l'Afghanistan perché considerato una presunta base dell'organizzazione
Al Qaeda di Osama Bin Laden, responsabile degli attacchi dell'11 settembre.
I talebani, fondamentalisti religiosi che sottomettevano le donne e distruggevano
le opere d'arte, non sono mai piaciuti a nessuno, e nessun governo è
sembrato troppo preoccupato del fatto che gli Stati Uniti occupassero il paese
intenzionati a rovesciarne il potere. Per quanto detestabili possano essere
i talebani agli occhi degli occidentali, restano tuttavia seri dubbi sulla
legittimità della deportazione da parte degli americani di centinaia
di persone - anche di soli 13 anni - nelle celle isolate di una base navale
statunitense a Cuba, dove vivono in condizioni di brutale coercizione, senza
che sia loro consentito di avere contatti con i legali o con ogni altro visitatore,
imprigionati senza accusa formale per un periodo che avrà fine solo
quando lo decideranno i carcerieri.
Perché questi uomini e questi bambini sono ancora in catene? Sono prigionieri
di guerra o sono vittime di un sequestro? Per quale ragione vengono trattenuti?
Vengono interrogati per ottenere informazioni su Bin Laden? Quante notizie
utili sulle attività e sul domicilio attuale di Bin potranno mai avere?
Vengono torturati? Visto che nessuno al di fuori del governo sa esattamente
quante persone sono state portate a Cuba, nessuno saprà mai quante
sono morte, i loro corpi sepolti in fosse senza nome o gettati dalle navi
in mare aperto con il favore delle tenebre. Organizzazioni per i diritti umani
quali Amnesty International e Human Rights Watch hanno denunciato
la situazione cubana, ma l'amministrazione Bush continua a fare ostruzionismo
verso ogni forma di critica.
La logica di Bush
All'inizio, l'amministrazione Bush ha giustificato il proprio comportamento
sulla base della gravità del pericolo, aggiungendo che le persone così
brutalmente trattate non erano comunque cittadini statunitensi e perciò
non avevano diritto al livello di protezione garantito agli americani. Anche
se nella Costituzione non c'è accenno a distinzioni tra chi possiede
o meno la cittadinanza quando si parla di diritti umani - rappresentanza legale,
processi veloci e punizioni crudeli e inumane - negli anni, e soprattutto
in tempo di guerra, i tribunali hanno mostrato una certa negligenza nell'applicare
con costanza gli stessi standard ai non cittadini, in particolare a quelli
di paesi avversari in guerra.
Bush sostiene che azioni e poteri di questo tipo sono necessari alla sua guerra
contro il "terrorismo". Ma il terrorismo è un comportamento,
una strategia, non una nazione o un gruppo. Sappiamo dove sono i confini di
un paese e chi sono i suoi cittadini; possiamo invece dire quali siano i confini
o gli abitanti di un comportamento o di una strategia? Una guerra senza un
nemico è un conflitto senza fine. E così questi poteri straordinari
in tempo di guerra sono diventati, senza che né il Congresso né
la stampa se ne siano praticamente accorti, poteri permanenti. Bisognerà
lavorare duro per liberarsene.
L'amministrazione Bush giustifica le detenzioni segrete spiegando che se il
governo rendesse noti i nomi e il numero dei prigionieri e dei deportati,
Al Qaeda verrebbe a sapere quali tra i suoi agenti negli Usa sono ora
in prigione o fanno parte dei deportati. La spiegazione sembra assurda e probabilmente
lo è. La teoria presume che i leader di Al Qaeda non sappiano
fare le semplici operazioni matematiche, che non siano in grado di sottrarre
il numero di chi manca da quello di chi dovrebbe esserci, e che quindi non
arrivino a capire chi è rimasto e chi invece non c'è più.
È già avvenuto nel 1968 in Vietnam, durante l'offensiva del
Tet: l'esercito statunitense tenne segrete le stime delle vittime del Fronte
di liberazione nazionale. Ma di certo il Fln sapeva quanti soldati avevano
partecipato all'operazione e quanti erano riusciti a tornare, e altrettanto
certamente sapeva fare le sottrazioni.
In entrambi i casi - il Vietnam nel 1968 e gli Stati Uniti nel 2003 - le cifre
vengono tenute nascoste al popolo americano e non a qualche nemico reale o
ipotetico. Ma perché?
Un uomo chiamato Padilla
cittadini che diventano stranieri
C'è un terzo gruppo [oltre ai "nemici combattenti" e agli
immigrati] di desaparecidos dell'amministrazione Bush: sono cittadini
americani per i quali Bush e Ashcroft hanno semplicemente stabilito la condizione
di terroristi o implicati con questi ultimi. Il presidente ha affermato di
avere il potere di dichiarare i cittadini americani agenti di potenze nemiche,
e di conseguenza individui per i quali non hanno valore le leggi internazionali,
quelle nazionali statunitensi o le leggi di guerra. Nessun presidente americano
ha mai rivendicato per sé un'autorità di questo genere. Piliarozes kaimo turizmo sodybos nuoma Kauno rajone
Finora, Bush ha esercitato questo nuovo e straordinario potere presidenziale
nei confronti di due cittadini americani, ognuno dei quali è stato
dichiarato "nemico combattente" e pertanto soggetto alla legge militare
piuttosto che a quella civile. Yasir Hamdi, arrestato in Afghanistan, e José
Padilla, arrestato a Chicago, sono stati imprigionati in carceri militari
dalle quali non possono accedere agli avvocati, ai familiari o a qualsiasi
altro contatto con il mondo esterno; presumibilmente, entrambi verranno sottoposti,
nella massima segretezza, a processi militari, a imprigionamenti successivi
post-processo e forse anche all'esecuzione capitale.
Padilla non è imputato di alcun capo d'accusa. Il governo sostiene
che offrire a quest'uomo un avvocato interferirebbe con gli interrogatori
continui a cui è sottoposto, e fin qui i tribunali hanno cercato di
difenderlo. Inizialmente Padilla è stato arrestato come testimone chiave.
Quando il giudice federale ha deciso che aveva diritto a un avvocato e ha
espresso il suo biasimo nei confronti del Dipartimento di Giustizia per essersi
rifiutato di garantirne uno, l'amministrazione lo ha dichiarato "nemico
combattente", togliendolo così dalla giurisdizione del tribunale.
I legali, con i quali Padilla non può comunicare, sono ricorsi in appello.
In breve, Bush si è appropriato del potere di dichiarare che alcuni
cittadini non hanno diritto alla protezione della legge. Solo per questa sua
dichiarazione, perciò senza processo o altro tipo di procedimento legale,
americani o visitatori normali possono essere immediatamente privati di ogni
diritto civile garantito dalla Costituzione degli Stati Uniti e dalle leggi
internazionali. Se qualcuno è al di fuori della legge, niente di quello
che viene compiuto ai suoi danni è illegale. È una nozione molto
simile a quella medievale di "messa al bando". Mi ricorda quello
che scrisse Svetonio a proposito dei carnefici ai tempi di Tiberio, i quali
dovettero confrontarsi con il problema delle vergini condannate a morte. La
condanna doveva essere eseguita per strangolamento, ma strangolare le vergini
era considerato un atto empio. Perciò, prima i boia violentavano le
vittime, poi le strangolavano. Anche Hitler si assicurò che ogni suo
atto fosse legale. Fece riscrivere le leggi, per legittimare quello che desiderava
fare, e i tribunali tedeschi si comportarono di conseguenza. A volte le più
grandi atrocità vengono compiute sotto il manto protettivo della legge.
E in futuro?
Ci sono altri desaparecidos dei quali nulla si sa perché non
hanno una famiglia che continua a chiamare alla ricerca dei propri figli,
fratelli o padri scomparsi? Che ne è stato di coloro che hanno chiesto
l'amnistia, deportati in segreto e poi consegnati alle autorità ostili
di paesi nei quali sono stati incarcerati, torturati o giustiziati? Da questi
paesi non arrivano le rassegne stampa e neanche loro, come George Bush, permettono
ai prigionieri e ai condannati di telefonare a casa. Fino ad oggi, la reazione
pubblica alla straordinaria presa di potere giurisdizionale da parte di Bush
e Ashcroft è stata minima.
David Cole [l'autore di Enemy Aliens, un interessante libro sugli abusi
dei militari ai danni degli stranieri] attribuisce questa assenza di indignazione
al semplice fatto che la maggior parte degli interessati è straniera
o non residente, soprattutto arabi e musulmani. I due casi di cittadini americani
ai quali sono stati sospesi i diritti per ordine presidenziale hanno generato
qualche scarno commento sulla stampa, ma poche voci dell'opinione pubblica
sembrano consapevoli di quanto stia accadendo.
Accade raramente che un governo restituisca un potere di cui si è appropriato.
Quale sarà la prossima mossa di Bush e Ashcroft? Se possono imprigionare
José Padilla in una non meglio precisata nave da guerra, possono, in
teoria, imprigionare chiunque. Non possiamo sapere fin dove hanno intenzione
di spingersi.
Nella sua sorprendente decisione di appoggiare l'amministrazione nel suo rifiuto
di concedere a Hamdi gli ordinari diritti costituzionali, il tribunale d'appello
del Quarto Circuito ha dichiarato: "La Costituzione conferisce ai tribunali
un compito generico di controllo giuridico delle detenzioni presumibilmente
illegittime, ma non contempla nello specifico alcun ruolo delle corti relativamente
alla condotta di guerra o alla politica estera in generale. [...] La condizione
di cittadinanza di Hamdi, per quanto importante possa essere, non può
far deviare il nostro ordine costituzionale o il ruolo dei tribunali dall'ambito
previsto dall'estensore della legge. Il controllo giurisdizionale non viene
meno in tempo di guerra, ma il riesame delle condizioni dei prigionieri fatti
sul campo di battaglia nei conflitti oltreoceano deve tener conto delle esigenze
nazionali in tempo di guerra. [...] L'attribuzione costituzionale dei poteri
di guerra consegna al presidente un'autorità estremamente vasta in qualità
di comandante in capo dell'esercito e impone ai tribunali l'assunzione di una
posizione deferente nel controllo dell'esercizio di tale autorità. Il
potere esecutivo riveste la posizione più consona per valutare lo stato
di un conflitto, e la cessazione delle ostilità risulta essere una questione
di competenza politica tanto quanto la loro dichiarazione". [Hamdi contro
Rumsfeld, Corte d'appello del Quarto Circuito, 8 gennaio 2003].
Tutto ciò per dire che se il governo decide che si è in guerra,
i tribunali non possono obiettare; se il governo afferma che i diritti civili
devono essere sospesi per alcuni individui, i tribunali non possono interferire.
Volete vedere un tribunale che capitola al potere? Leggete la sentenza Hamdi
contro Rumsfeld.
Negli Stati Uniti - mi ricorda Elaine Cassel, avvocato che si batte per i diritti
civili - vigono tre rami di potere che, in teoria, convivono in un equilibrio
perfetto, poiché ognuno impedisce agli altri di cedere agli eccessi.
Questo equilibrio, fa notare, non esiste più quando due dei rami abdicano
alle proprie responsabilità, esattamente ciò che è accaduto
rispetto all'appropriazione del potere da parte dell'amministrazione nella sua
guerra malamente definita e senza fine al terrorismo. Il potere giudiziario,
afferma Elaine, "ha avallato senza discutere le rivendicazioni del potere
amministrativo, accettando che lo stato viva una guerra permanente, un conflitto
senza fine contro un nemico privo di forma, che di volta in volta assume l'aspetto
che il potere decide. E anche il Congresso reagisce pigramente: ogni tanto ha
qualche blanda reazione, ma mai abbastanza da fare la differenza".
Ora che l'amministrazione Bush è riuscita ad arrogarsi il diritto di
creare i suoi desaparecidos e che i tribunali e il Congresso si sono
dimostrati incapaci di reagire a tale presa di potere, possiamo affermare
che il governo degli Stati Uniti sta causando al paese un danno ben peggiore
di quello provocato o immaginato dai cospiratori dell'11 settembre, o dai
loro eventuali successori.
Fonte: pubblicato sulla rivista "Latinoamerica e tutti i sud
del mondo" n. 85, febbraio 2004