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La sorveglianza non è più quindi monopolio delle burocrazie governative. Può spiegare come questo monopolio statale della sorveglianza è venuto meno? Nel volume lei parla di un circolo virtuoso tra privatizzazione del rischio
e aumento della sorveglianza ... ? Nel precedente libro, lei si diffondeva sul synopticon, cioè
su una proliferazione di tecnologie e istituzioni della sorveglianza. Su questo,
lei parla di una una orchestrazione sociale che tende a un aumento della sorveglianza.
Non è certo un "superpanopticon", quanto una forma
molto sofisticata di "synopticon". Lei che ne pensa?
Lei infatti scrive di "mutualità dilatabile" delle tecnologie digitali, cioè di tecnologie pensate per uno scopo e poi utilizzate anche per altri obiettivi. Si potrebbe quindi affermare che non c'è "società della sorveglianza" senza tecnologie digitali. È d'accordo? Si può parlare in forma moderna di sorveglianza solo in presenza
della metropoli. Nelle "informational cities", le élite
globali hanno bisogno di molte informazioni per garantire le loro "comunità
recintate". Quindi il digital divide non riguarda solo le diseguaglianze
tra Nord e Sud del mondo, ma anche le società capitaliste più
sviluppate. Può spiegare meglio come opera il digital divide nelle
metropoli occidentali?
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Hai detto: "il corpo diventa una sorgente così come un luogo per la sorveglianza." La sorveglianza comporta anche la scorporeizzazione delle persone e la costruzione dei loro cloni fatti solo di dati. È una progressiva perdita d'identità in favore del prevedibile delirio del potere.
Cosa significa davvero 'privacy' oggi? Dobbiamo modificare la nozione che intuitivamente avevamo, o rinforzarla attraverso nuove regole da rispettare?
Una volta hai affermato che "la sorveglianza è generata dal bisogno di prove d'attendibilità per incrementare le società private e privatizzate". Per cui la privatizzazione di tutto ciò che una volta era pubblico, e la perenne paura di perderlo, sono le cause principali dei 'bisogni' di sorveglianza? Non si tratta di un processo di progressivo isolamento dell'individuo che crea questo tipo di bisogni?
L'attuale modello 'SimCity' che tu hai accuratamente descritto, rappresenta il mondo reale in un contollo centralizzato che non può realizzarsi perfino nelle sue più oneste premesse. Come può cominciare un processo sociale di rifiuto delle tecnologie avanzate di sorveglianza? Ci dovrebbe forzare a collaborare fra di noi molto più di quanto facciamo ora?
Nella riconfigurazione delle relazioni del tempo e dello spazio, le immagini dal vivo delle telecamere di sorveglianza non sono solo un'illusione di predire i comportamenti di un mondo molto più complesso? E la sensazione di essere costretti e osservati non limita la nostra libertà, stimolando la nostra intelligenza ad aggirare queste limitazioni, come le persone hanno sempre fatto in passato (ad esempio nel caso del muro di Berlino)?
David Lyon
Intervista a David Lyon
di Benedetto Vecchi
pubblicata sul quotidiano il manifesto del 15 novembre 2002
Per prima cosa, dobbiamo partire dal fatto che sia il concetto di "sorveglianza" che quello di "privacy" sono profondamente mutati negli ultimi decenni. In passato, la sorveglianza era l'oggetto su cui concentravano il loro interesse solo e soltanto poche istituzioni. Mi riferisco essenzialmente alla forze di polizia. Ora, tutte le istituzioni, dalla polizia alle imprese, dagli operatori di marketing alla scuola e alla sanità, svolgono una continua opera di monitoraggio sui comportamenti quotidiani, dal consumo al lavoro, dalle scelte etiche o religiose alle preferenze sessuali. In altri termini, è la vita sociale e le forme di vita individuali che sono messe sotto controllo. Allo stesso tempo, anche il significato di privacy muta. E se storicamente la riservatezza era lo spazio al riparo dallo sguardo pubblico, cioè una zona di immunità dalle ingerenze della società nella propria vita privata, attualmente per privacy si intende la ripresa di controllo del flusso dei propri dati personali.
La parola chiave è appunto monopolio. Anche
in questo caso dobbiamo distinguere il presente dal passato. Nelle società
capitaliste, la sorveglianza è sempre stata di competenza dello stato-nazione
e coinvolgeva le forze di sicurezza interne, polizia, servizi segreti, in
alcuni casi l'esercito. Con il welfare state, il compito è stato
esteso alle istituzioni che erogavano i servizi sociali al fine di appurare
che fossero rispettate le norme per accedere appunto ai servizi sociali. Ora
non è più solo così. C'è sorveglianza sul luogo
di lavoro, non solo per misurare la produttività individuale, ma per
verificare che la vita extralavorativa corrisponda a standard di efficienza
e di sicurezza. Prendiamo una pratica molto diffusa nei paesi anglosassoni.
Quando si fa una domanda di lavoro, ci sono alcune quesiti a cui bisogna rispondere
che riguardano la propensione o meno ad assumere sostanze stupefacenti, alcol,
le convinzioni religiose o le preferenze sessuali. Oppure le imprese cercano
di appurare lo stato di salute del dipendente o se, nella sua famiglia di
provenienza, ci siano stati casi di deficit genetico. Puoi ovviamente non
rispondere, ma è una scelta che depone a tuo sfavore, perché
giudicata poco collaborativa. Fin qui siamo comunque nel campo della ricerca
di informazioni. Il discorso diventa ancor più inquietante se l'impresa
richiede informazioni al servizio sanitario nazionale o alle banche per accertare
le condizioni del tuo conto individuale o della tua biografia "sanitaria".
Lo stesso accade per quanto riguarda le preferenze culturali o di consumo.
Si acquista una merce al supermercato, pagandola con una carta di credito:
quei dati vengono memorizzati e spesso venduti a società che pianificano
il marketing di determinate imprese. Anche in questo caso, ad esercitare la
sorveglienza non è più solo lo stato-nazione. Il salto verso
la società della sorveglianza si ha però quando le banche-dati
che hanno acquisito i dati individuali possono essere collegate tra loro.
Lo stesso si può dire per tutto ciò che riguarda la sicurezza.
Le telecamere diffuse per le strade, nei supermercati, nei centri commerciali
tendono a creare una rete di controlli al fine di prevenire furti o rapine.
Ma anche in questo caso è sempre più frequente che i sistemi
di sicurezza privati sono collegati alle banche dati delle forze di polizia.
Voglio inoltre sottolineare un fenomeno di cui, però, non si riesce
ancora a tracciare i confini precisi. Mi riferisco al rafforzamento dei sistemi
di sorveglianza della polizia e delle forze di sicurezza dopo l'attentato
dell'11 settembre alle Torri Gemelle. Al di là dei singoli provvedimenti
presi da questa o quella nazione, è sicuro che quel fatto sta modificando
profondamente la società della sorveglianza.
Si può parlare di circolo virtuoso solo nel senso che la privatizzazione del rischio accelera il monitoraggio della vita quotidiana. Dobbiamo però partire anche da un altro punto di vista se vogliamo comprendere come funziona il circolo virtuoso al quale accennava. Quando i rischi - e le conseguenti informazioni che possono rappresentare un business per le imprese - sono definiti, c'è una variabile che entra in campo: tutte le tecnologie della sorveglianza hanno un legame diretto con le paure e i timori di una parte della popolazione di una minaccia dell'ordine sociale o di una possibile limitazione dei loro consumi. In sintesi, tutti noi siamo continuamente classificati in categorie che determinano strategie e obiettivi delle istituzioni preposte alla sorveglianza. Strategie e obiettivi che sono perseguiti spesso con la nostra complicità.
Nella mia attività di studioso ha cercato
sempre di comprendere come operassero le differenti varietà di tecnologie
della sorveglianza. Questo mi ha portato ad affermare che non ci troviamo
di fronte né al vecchio panopticon descritto dal filosofo e
ingegnere inglese Jeremy Bentham, né a una sua superfetazione. Nel
caso del modello proposto da Bentham eravamo di fronte a un potere esercitato
da un oscuro osservatore. Nel panopticon, quindi i pochi osservano
i molti. Quello che intendevo sottolineare nel libro L'occhio elettronico
è che ci troviamo di fronte a una situazione in cui i molti scrutano
e controllano i pochi. Un mutamento nelle forme di controllo che ha delle
ripercussioni profonde nel tessuto sociale. Quando scrissi quel libro, ho
definito, assieme ad altri, questa dinamica di controllo sociale come synopticon.
Ora, sto lavorando a un libro sulla "Sorveglianza
dopo l'11 settembre" nel quale riprendo questo concetto. Le immagini
dell'attacco e del crollo del World Trade Center sono state ossessivamente
riproposte per mesi dai media. È un chiaro esempio dei molti che vedono
i pochi. E tuttavia ritengo che il crollo delle Twin Towers abbiano allo stesso
tempo rafforzato le richieste di maggiore misure di sorveglianza che ricordano
proprio il modello centralizzato di controllo. Tutto ciò per dimostrare
che la società della sorveglianza prevede diverse modalità di
controllo sociale, da quello tradizionale - l'oscuro osservatore che scruta
i molti senza essere visto - a quello synoptico - i molti che scrutano i pochi.
Per aumentare la tassonomia del controllo sociale possiamo anche annotare
ciò che io definisco comopticon.
Si tratta di un fenomeno abbastanza recente che ha a che fare con la diffusione di Internet e con la tendenza a mettere telecamere che registrano la vita di tutti i giorni e che, collegandosi ad alcuni siti Internet, possono essere viste. In questo caso si tratta di una forma di controllo dove i pochi osservano altri pochi. Possono essere immagini che riguardano la vita sessuale di chi è ripreso, oppure sit-com realiste di una normale vita domestica.
In ogni caso, c'è una forte convergenza tra differenti tipi di sorrveglianza che non esistenvano in passato e questo accade per la crescente integrazione di diverse tecnologie, sia che si tratti di database che reti di computer, di telecamere digitali che di telefoni cellulari. Tuttavia, ritengo che tale convergenza ha molto a che fare con l'esercizio del potere nella società capitalista e con il conflitto sociale nelle società capitaliste.
Mi ripeto. Il concetto di una società della sorveglianza suggerisce l'idea che la vita è scrutata in ogni suo aspetto da una o più istituzioni sia pubbliche che private. Questo non sarebbe possibile senza le tecnologie digitali. Le reti telematiche di computer non solo la rendono possibile, permettendo il collegamento tra diverse banche dati, ma rafforzano le pratiche di controllo sociale, fornendo di volta in volta gli strumenti adatti. Tuttavia, non possiamo dimenticare che ci sono altre tecnologie che concorrono alla sorveglianza. Mi riferisco alle videocamere che riprendono volti, corpi, i quali a loro volta possono essere ridotti a un ammasso di bit e fornire la morfologia di un soggetto a rischio. È quanto sta facendo Scotlan Yard, ma anche la polizia americana o canadese. Tutto ciò sposta il discorso a un altro lievello: come controllare i controllori?
C'è un digital divide che riguarda i differenti livelli di accesso alle informazioni. È quello che riguarda le differenza tra il Nord e il Sud del mondo. C'è inoltre anche un altro digital divide. Mi spiego meglio. Le differenze di classe, razziali, sessuali e le ineguaglianze sono rafforzate dalle nuove pratiche della sorveglianza. E questo lo vediamo meglio proprio nelle grandi metropoli. Prendiamo ad esempio la videosorveglianza nelle metropoli americane. Scrutano quasi ossessivamente tutti i movimenti dei giovani, in particolar modo se sono afroamericani. Lo stesso si può dire di come funzionano le polizze di assicurazione o sanitarie, che cambiano a seconda dei quartieri: più un quartiere è considerato a rischio, meno la polizza di assicurazione garantisce indennizzo o copertura in caso di rapina o malattia. Ma questo si ripercuote anche sugli spostamenti di capitale all'interno delle metropoli: chi mai investirà in un quartiere considerato a rischio? Pochi, accentuando così il suo degrado. In altri termini, le tecnologie di sorveglianza riproducono le differenze sociali, ampliandole. Certo, non è un fenomeno lineare. Possiamo infatti tranquillamente dire che alcune persone possono ottenere buoni servizi dalle imprese più facilmente di altre perché l'"algoritmo di sistema" li ha sorteggiati in base ad alcune parametri che stabiliscono le "categorie privilegiate". Ma questa casualità non contrasta però la tendenza di fondo, cioè che le tecnologie della sorveglianza acuiscono le differenze di classe, razziali, sessuali.
Intervista a Davis Lyon
Pubblicata su neural, numero 19 (ottobre 2002)
Pensi che la percezione del nostro corpo stia allo stesso tempo mutando? Tutto questo porta a prenderci cura in maniera ossessiva del corpo stesso? Che ne pensi del vecchio motto cyberpunk secondo cui il corpo è obsoleto?
Paradossalmente il corpo diventa un luogo per la sorveglianza proprio nel momento
in cui la comunicazione, inclusa la sorveglianza, diventa meno personificata.
Ma in un certo senso, si tratta già di dati estratti dal nostro corpo
che circolano attraverso i sistemi di sorveglianza. Ed è così
perché il corpo è diventato un luogo di stile e di cura personale
all'interno del capitalismo consumistico contemporaneo che sembra essere minacciato
dal momento in cui è stata sviluppata la sorveglianza biometrica. Sfortunatamente
l'idea che gli umani sono persone 'incarnate' con caratteristiche multiple è
stato frammentato cosicché alcuni sembrano idolatrare il corpo mentre
altri lo considerano mera carne. Mentre bisogna riconoscere che la percezione
del nostro corpo cambia nel tempo, continua ad essere utile notare che il concetto
di persone incarnate è un buon punto di partenza per la critica sia dell'ossessione
per il corpo incoraggiata dal consumismo, sia della negazione del corpo, incoraggiata
dai cyberpunk e dai teorici della virtualità così come dai sistemi
di sorveglianza.
Privacy significa cose differenti in diversi momenti della storia e nelle diverse nazioni intorno del mondo. L'attuale forma è spesso un prodotto della scissione nel mondo moderno fra spazi pubblici e spazi privati, e dei cittadini che hanno il diritto di essere protetti dall'intrusione dello stato. Poiché sono in molti a basare la loro critica su alcuni aspetti della sorveglianza sulla privacy io rispetto questo come un modo per entrare in argomento. Ma è inadeguato perché suppone che il problema sia primariamente individuale, non una questione sociale, e quindi per questo scarica l'onere sull'individuo di proteggere sé stesso in accortezza e nella legge.
Invece, gli aspetti negativi degli attuali sistemi di sorveglianza dovrebbero essere discussi in termini di diritti umani e, cosa ancora più importante in termini di giustizia sociale. È importante controllare il flusso dell'informazione su qualcuno (questo è un principio di informational privacy) ma è ugualmente importante che tutti coloro che processano dati privati siano pronti a rendere conto di quello che fanno.
La sorveglianza odierna riguarda la divisione sociale e cerca pratiche che siano sensibili a chi viene diviso, per quali scopi e con quali conseguenze. È facile assumere per esempio che la video sorveglianza può essere usata per frenare il terrorismo, ma negli aeroporti e ai confini questo significa l'invocazione di categorie pregiudizievoli nei confronti della razza.
Sì, la mia argomentazione (che segue in parte quella di Steven Nock) é che la privacy causa la sorveglianza (e non solo il viceversa!). E questo si verifica perché abbiamo creato un mondo dove la gente vuole sempre di più essere privata, nel senso di autosufficiente e autonoma in maniera individuale, tanto che dobbiamo avvalerci di modalità per compensare la mancanza di conoscenza sociale reciproca che esiste dove ci sono più relazioni interdipendenti. Questa è anche la ragione per cui non dobbiamo pensare a tutta la sorveglianza come necessaria o maligna. Si tratta di una caratteristica nell'organizzazione del mondo moderno. Come ogni istituzione o attività umana, comunque, essa può mostrare qualità negative e distruttive, sulle quali siamo chiamati ad essere costantemente vigili. Naturalmente ci sono anche altri livelli in cui questa situazione può essere affrontata. Incoraggiare la crescita di relazioni sociali non individualistiche può essere fatto in molti contesti!
Come dicevo nella risposta precedente, il tipo di società individualizzate che stiamo creando nel ventunesimo secolo hanno conseguenze parecchio negative per molti che, sebbene non abbiano commesso nessun errore di per sé sono lasciati fuori, o marginalizzati, o in alcuni casi svantaggiati.
Il modello SimCity è uno che parte dal presupposto che il software possa organizzare le cose in maniera adeguata, e che con il giusto algoritmo, molte delle forme di pianificazione urbana (fiscale, ambientale, sociale, ed altre) possano funzionare bene.
Ma la vita sociale del mondo reale è molto più complicata! E, sì, coinvolge comunicazioni lente e stabili, la costruzione della fiducia, la formazione delle relazioni, e collaborazioni a lungo termine, tutte cose che il mondo veloce delle connessioni istantanee, o ad alta velocità, scoraggia!
Sì, certamente! Non ho mai assunto la visione che la 'tecnologia' o
le 'autorità governative' fossero in una qualche maniera capaci di
'controllare' i nostri destini. Questo tipo di determinismo è un grande
errore. Tutti i sistemi di sorveglianza dipendono per le operazioni dalla
condiscendenza di coloro che sono osservati. Alcune persone non accondiscendono,
altre negoziano (fornendo informazioni false quando aprono un account
su hotmail, per esempio), mentre altre ancora resistono. A New York la proliferazione
di telecamere di controllo in posti pubblici ha portato alla nascita di gruppi
che effettuano delle performance teatrali di fronte a queste telecamere, e
altri stanno formando siti web per mostrare le dislocazioni esatte di tutte
le telecamere.
Anche le persone le cui vite sono indagate da sistemi di benessere a largo raggio, mostra una grande ingenuità nel proteggere le proprie vite e quelle delle loro famiglie attraverso queste intrusioni per il loro benessere. Il punto è che ogni nuova costrizione della nostra libertà va riconosciuta per quello che è e affrontata adeguatamente.