Tutto quello che Mehmet, di otto anni, aveva da dare a sua madre era un piccolo mazzo di fiori raccolti nei campi intorno al campo profughi dove è stato prigioniero nel corso delle ultime tre settimane. Un poliziotto armato si è mosso verso il bambino per impedirgli di spingere i fiori attraverso un foro nel recinto. Dall'altro lato, un'altra guardia macedone urlava a sua madre, Miradije, di 36 anni, di allontanarsi dal filo spinato che separa questa famiglia e le numerose altre trattenute a Brazde.
Mehmet e suo fratello più piccolo vengono portati qui ogni giorno. Per ore, come molte altre famiglie divise dalla guerra, stanno in fila attendendo che per un caso le guardie si voltino un attimo, per correre e toccare le punte delle dita di loro madre attraverso il recinto con filo spinato. I bambini non sanno mai quanto durerà il loro incontro. Per rompere la monotonia del loro servizio di guardia, i poliziotti di tanto in tanto liberano i loro cani lasciandoli correre lungo il perimetro del campo, facendo così fuggire nella polvere i bambini dei Krasniqi e tutti gli altri.
Indipendentemente dal grado di successo che avrà la diplomazia, ci vorranno mesi prima che questa famiglia e migliaia di altre siano riunite in Kosovo. Fino a quando non torneranno a casa, i profughi di Brazde continueranno a lamentarsi di essere imprigionati, e non accolti come profughi. Le famiglie non possono portare loro pacchetti con cibo o vestiti, perché le autorità macedoni hanno dato il permesso a commercianti locali di vendere tarli articoli in una serie di chioschi appena dentro le entrate principali. Si possono vedere molti parenti che, per rendere la vita più sopportabile ai loro cari trattenuti dietro il filo spinato, cercano di fare pervenire loro denaro dentro pacchetti di sigarette o nascosto in involucri per tavolette di cioccolato. Le guardie sanno di questi traffici e, come in una lotteria per coloro che all'interno del campo fanno affidamento su tale denaro per acquistare il cibo, li lasciano passare. Ma non per lungo tempo. Senza preavviso, le uniformi effettuano retate, sequestrano quanto "contrabbandato" e se lo intascano. I profughi sanno che è assolutamente inutile protestare.
Il comportamento della polizia a Brazde dimostra che, indipendentemente dagli impegni presi dal governo macedone con il segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, riguardo alla propria disponibilità a dare riparo ai profughi dal Kosovo, la maggior parte dei suoi cittadini non vuole albanesi in Macedonia. Si possono sentire le guardie farsi beffe di coloro che sono in fila lungo il filo spinato, chiedendogli quando la NATO verrà a salvarli. Quando una ragazzina cerca di dare una saponetta a suo padre, due poliziotti la trascinano via, provocando il padre con allusioni riguardo a quello che avrebbero fatto a sua figlia. La ragazzina è scappata in lacrime. Gli operatori umanitari stanno ancora conducendo indagini su una coppia di ragazzi che è stata ricoverata in ospedale, recentemente, dopo essere stata picchiata dalle guardie.
I profughi si aggirano nel campo impauriti dai poliziotti, che diventano più aggressivi man mano che l'oscurità si avvicina. La polizia ha imposto ai 37.000 profughi un coprifuoco in virtù del quale entro le 10 di sera devono essere tutti nelle loro tende. Chi viene trovato in giro dopo tale ora, ivi incluse le giovani coppie in cerca di un attimo di intimità, viene pesantemente maltrattato.
Nessuno può uscire dal campo di Brazde, se non per uno dei voli di evacuazione che trasportano i profughi all'estero. Più a Ovest, nel più grande dei campi, quello di Cegrane, i profughi possono andare e venire a loro piacere, anche se hanno molto meno possibilità dei loro colleghi di Brazde di ottenere un posto su un aereo.
Risulta ovvio, da dietro il filo spinato di Brazde, che Miradije Krasnici non voleva essere divisa dai suoi figli. Nel caos della fuga dal Kosovo ha messo suo figlio su un treno insieme a suo zio. Nel panico e nella confusione è stata spinta a gomitate fuori dal vagone e così ha dovuto attendere la successiva evacuazione da Pristina. Arrivata infine al confine, non è riuscita a sapere dove fossero finiti i suoi figli.