Thomas Mathiesen
Perché il carcere?

Prefazione
di Amedeo Cottino (Università di Torino)

Presentare al pubblico italiano Thomas Mathiesen significa, per cominciare, spendere alcune parole sul suo paese, la Norvegia, questa nazione che può vantare un'indipendenza intellettuale e politica raramente riscontrabile altrove nel vecchio continente. Ciò non è un caso, perché il più piccolo dei paesi scandinavi ha avuto, a partire dalla metà del secolo scorso, una storia sociale e politica segnata da un "geist" (nota 1) mai altrettanto intenso nelle nazioni limitrofe. Ricordo soltanto alcuni esempi.
La Norvegia è innanzitutto il paese dove la rivoluzione industriale si è sviluppata attraverso un forte scontro di classe che ha lasciato tracce profonde nella storia del movimento operaio norvegese e che costituisce una delle ragioni principali della sua radicalizzazione (nota 2). È un paese che si è liberato da vari domini: ultimo quello svedese. È, insieme alla Danimarca, ma con una mobilitazione più ampia e una lotta più dura, il paese che ha maggiormente cercato di contrastare l'occupazione nazista. È infine la nazione che ha deciso di votare contro l'adesione alla Comunità europea.
Sarebbe peraltro un errore interpretare quest'atteggiamento come un indice di chiusura del paese rispetto al mondo esterno e, in particolare, rispetto alla cultura europea. Non c'è nulla di «leghista», di sciovinista nella storia della Norvegia. In realtà, se ci limitiamo anche soltanto al campo delle scienze politiche e sociali, questo paese può vantare studiosi che si sono affermati internazionalmente proprio per la loro capacità di riflettere sui problemi in una prospettiva mondiale. Basterà ricordare due nomi: lo studioso della scienza politica Stein Rokkan e il sociologo, fondatore dell'Istituto di ricerche sulla pace di Oslo, Johan Galtung.
È quindi soltanto apparente questa contraddizione tra un «fare conto sulle proprie forze» da un lato e una grande apertura verso il mondo dall'altro lato. Emblematico in tal senso è lo sviluppo delle discipline socio-giuridiche, che sono cresciute grazie a un continuo scambio di riflessione teorica e confronto con i problemi concreti, reso possibile anche da un elevato grado di autonomia rispetto alle pastoie dei paradigmi dominanti. Così, ad esempio, a differenza della Svezia, che ha subito a lungo l'egemonia della sociologia americana, soprattutto nelle forme più estreme di neopositivismo, gli scienziati sociali norvegesi e, in particolare, i sociologi del diritto, hanno fin dall'inizio guardato con scetticismo all'esaltazione ingenua del valore in sé della metodologia e dell'approccio quantitativo in quanto unici garanti di scientificità. Fu per me, laureato di fresco in sociologia presso l'università di Stoccolma, una scoperta sentirmi dire dall'allora direttore dell'Institutt for samfunnsforskning (Istituto di ricerche sociali) dell'università di Oslo, Vilhelm Aubert, che non erano i metodi a selezionare i problemi bensì il contrario e che se poi nessun manuale fosse stato in grado di fornire suggerimenti metodologici adeguati a quel determinato problema, ebbene allora uno il metodo se lo sarebbe inventato.
Questa libertà che non significava anarchia ma il giusto equilibrio tra rigore da un lato e creatività dall'altro ha dato i suoi frutti in settori vitali per la società come quello della giustizia e quello della politica.
È in questo contesto, in questo tipo di comunità scientifica, che va collocato Thomas Mathiesen.

Di lui, come persona politicamente e scientificamente impegnata sul fronte del carcere, scrive approfonditamente Ruggiero nell'introduzione a questo volume. Qui desidero toccare altri aspetti della produzione scientifica di Mathiesen, in particolare due ambiti di indagine che considero significativi.
Mi riferisco, per cominciare, alla sua ricerca sulla giustizia e sull'uguaglianza di fronte alla legge penale (nota 3). Questo tema, di regola trattato in termini di correlazioni tra alcune variabili indipendenti come la classe sociale e l'appartenenza etnica da un lato e vari aspetti del trattamento processuale (ad esempio l'esito del processo) dall'altro, viene affrontato da Mathiesen con una serie di riflessioni e considerazioni importanti. Così egli si domanda dove sia, concretamente, quella sfera pubblica che era stata una delle conquiste della giustizia. Le sue osservazioni sul campo rivelano, in realtà, la fragilità di questo rapporto tra il pubblico, più o meno coinvolto, più o meno dolente, dei dibattimenti e le questioni, gli interessi che sono realmente in gioco.
Esiste poi un secondo aspetto su cui Mathiesen pone l'accento e cioè la capacità/disponibilità del giudice di svolgere il proprio compito non in termini burocratici e/o di giustizia astratta. Qui si vorrebbe un giudice, per così dire, di tipo nuovo: non soltanto quindi una persona che sia animata dal desiderio di scoprire un innocente e non dalla volontà di trovare un colpevole, ma anche orientato a considerare la pena - in particolare la pena detentiva - come un male a cui ricorrere il meno possibile.

Il tema del controllo sta al centro anche di una seconda area di ricerca, quella che ha come oggetto i vari media nel loro rapporto con il potere.
Questo tema, lungi dall'essere lontano da quelli del carcere e dell'uguaglianza, trova invece con questi una significativa continuità. Perché, come si afferma nelle conclusioni del volume "Makt og Medier" (nota 4), è doveroso chiedersi, se la funzione dello stato del benessere, quella di intervenire sulle differenze socio-economiche garantendo maggiori risorse a chi ne ha meno, viene svolta anche nel campo dei media. Con le parole di Mathiesen:

«I media svolgono una funzione 'di compenso' nel senso, appunto, che la debolezza di coloro che dispongono di scarse possibilità di esprimersi viene compensata, oppure svolgono una funzione 'cumulativa' in quanto consentono il cumulo ed il rafforzamento delle risorse di coloro che già sono favoriti in partenza?» (nota 5)

La risposta, non del tutto inattesa, è che vale la seconda ipotesi. Nel rapporto media-potere si crea un effetto a spirale: il potere che, come tale, significa accesso ai media, esce rafforzato da tale disponibilità.

Concludo unendomi all'auspicio dell'autore che afferma:

«Vivo in una società molto piccola, alla periferia dell'Europa, dove le riflessioni bene argomentate hanno tuttora qualche probabilità di successo. Ma se le argomentazioni di questo tipo incidono di più in una società di questo tipo che nelle più ampie società occidentali, allora, forse, queste ultime hanno qualcosa da imparare dalla prima attraverso un libro come questo» (nota 6).

Torino, 25 aprile 1996

Note:

1. Le lingue scandinave amano questa parola mutuata dal tedesco a significare uno spirito forte e combattivo.

2. Nel confronto con i movimenti operai e le socialdemocrazie degli altri paesi scandinavi, sindacato e partito socialdemocratico in Norvegia hanno avuto, di regola, linee programmatiche e di azione più radicali.

3. T. Mathiesen, "Skjellig grunn til mistanke?", Pax, Oslo 1989.

4. Makt og medier. En innföring i mediesostologi, Pax, Oslo 1986

5. Id., Makt og Medier, Pax, Oslo 1986.

6. Id., Makt og Medier, Pax, Oslo 1986.