Nelle nostre leggi sono contemplate normative per i soggetti definiti "criminali
di professione". Come ulteriore deterrente, la normale condanna emessa
dal tribunale viene "corredata" da tutta una serie di misure di
sicurezza che variano da tipo di reato a tipo di condanna. Esempio: la recidività
fa scattare automaticamente misure di sicurezza aggravate e spesso disumane.
L'abitualità a delinquere o l'abitualità specifica per lo stesso
reato, se commesso più volte nell'arco di cinque anni fa scattare un'ulteriore
misura penale, cioè il soggiorno obbligato in una "casa di lavoro"
o "colonia agricola", dove il detenuto al termine della pena inflitta
dal tribunale deve soggiornare per un tempo stabilito dal giudice. L'assegnazione
a tali strutture ha una durata minima di un anno. Per i "delinquenti
abituali" la durata minima è di due anni, per i "delinquenti
professionali" è di tre anni e di quattro anni per i "delinquenti
per tendenza" (art. 217 c.p.).
A questo punto scatta un meccanismo perverso: chi vi entra non sa quanto tempo
trascorrerà all'interno di queste case di lavoro sottoposte al rigido
regime dei regolamenti penitenziari, poiché per porre fine alla detenzione
egli deve essersi garantito un appoggio dall'esterno, ad esempio una famiglia
o un lavoro. Assicurarsi ciò risulta assai difficoltoso, tant'è
che i reclusi, dei quali dovrebbe essere responsabile il Ministero di Grazia
e Giustizia, tentano di crearsi una possibilità di inserimento contattando
i vari servizi socio-assistenziali nella speranza di evitare di andare ad
aggiungersi alla già numerosa e disperata popolazione di ex detenuti
disagiati ed emarginati.
Va sottolineato che in questo meccanismo vanno a finire le fasce sociali più
deboli, e questi luoghi diventano ricettacoli di quegli individui già
abbandonati dalle istituzioni, venendo di fatto condannati a ciò che
si può tranquillamente definire "ergastolo bianco".
All'interno di questi luoghi detentivi, non vengono certamente reclusi i cosiddetti
"criminali pericolosi" facenti parte del "crimine organizzato",
ma nelle maglie della rete finisce chi ha già passato anni dietro le
sbarre per il proprio disagio e difficoltà di vivere, a causa della
propria tossicodipendenza o per i troppi sogni dovuti al bere. E basta, al
rientro da un permesso, un test positivo all'alcool, alla droga o agli psicofarmaci
perché l'iter ricominci da capo dietro le sbarre in un gioco perverso
e senza fine.
Fonte: pubblicato su Polvere, giornale di strada (Torino, giugno 2000) http://digilander.libero.it/polvere3/index.htm