Monelli banditi
Scenari e presenze della giustizia minorile in Italia

Il periodo storico
Alla fine del secondo conflitto mondiale l'Europa era popolata da milioni di ragazzi e bambini oppressi dalla povertà. L'Italia era fra i paesi più colpiti: un paese povero con tassi di analfabetismo e disoccupazione elevatissimi. Nel 1947 la popolazione d'età minore di 15 anni costituiva oltre un terzo della popolazione totale del paese e il tasso di mortalità infantile si attestava intorno al 72,2 per mille.
Adulti e bambini erano costretti ad arrangiarsi e vivevano di espedienti, cercando di approfittare, non sempre legalmente, delle risorse materiali e finanziarie che avevano iniziato ad affluire subito dopo la liberazione ad opera delle forze anglo-americane.
Le distruzioni lasciate alle proprie spalle dall'esercito tedesco durante la drammatica e lunga ritirata riguardavano anche il patrimonio edilizio dell'Amministrazione penitenziaria. Ad Avigliano gli Alleati nel corso della loro avanzata avevano insediato il proprio quartier generale e i ragazzi erano stati trasferiti in sedi di fortuna; a Roma il bombardamento del luglio 1943 aveva colpito l'Istituto di rieducazione "Aristide Gabelli" situato nel popolare quartiere di S. Lorenzo e i minori evacuati erano stati tutti concentrati presso l'antico Carcere di S. Michele; più a nord, i centri di rieducazione per i minorenni di Ancona e di Cairo Montenotte in provincia di Savona erano stati distrutti. Il Ministero di Grazia e Giustizia si trovava così ad affrontare una duplice emergenza, con l'aumento della popolazione ricoverata e la concomitante indisponibilità di molte strutture. Nel 1946 Vittorio De Sica, attraverso le riprese dal vero del Carcere minorile romano di S. Michele, nel film Sciuscià denunciava non solo le pessime condizioni materiali di vita dei ragazzi nei riformatori, ma soprattutto la crudeltà e le pratiche distorte che caratterizzavano il trattamento a cui essi erano sottoposti.
Il passaggio da un sistema autoritario come quello fascista a quello di uno Stato democratico aveva messo in crisi l'ideologia prevalentemente repressiva sottesa al sistema della giustizia minorile fino ad allora e aveva aperto la strada all'idea di rieducazione. Il concetto di "disadattamento" alle norme sociali che si sostituiva a quello di "traviamento" comportava un'attenzione completamente diversa per la personalità individuale del giovane sottoposto a trattamento.
Tra il 1951 e il 1962 fu varata la completa riforma della giustizia minorile caratterizzata dal decentramento amministrativo, dall'incardinamento del servizio sociale all'interno del Tribunale per i minorenni e del Centro di rieducazione, dall'introduzione negli istituti delle figure specializzate dell'assistente sociale e dell'educatore.
La vita degli istituti subì numerosi cambiamenti positivi: fu abolita la segregazione nei cosiddetti "cubicoli", scomparvero a poco a poco le divise e fu tralasciata la rasatura dei capelli.
Tuttavia, nonostante l'impegno generoso, profuso da molti giudici, dirigenti e operatori - si ricordano in particolare Uberto Radaelli e Giuseppe La Greca - le intenzioni del legislatore non potevano essere interamente attuate. Le condizioni di indigenza che ancora tormentavano buona parte della popolazione italiana, soprattutto nel Meridione, inducevano infatti la magistratura minorile a ricorrere troppo spesso all'internamento, in supplenza delle gravi carenze assistenziali delle famiglie e del sistema educativo e sociale. Di conseguenza, il sovraffollamento degli istituti e la disomogeneità delle caratteristiche dei soggetti internati impediva ancora, in molti casi, l'attuazione corretta ed efficace del previsto trattamento individualizzato del "minore irregolare nella condotta e nel carattere", al fine del suo reinserimento sociale.

Gli istituti
Gli istituti ritratti nelle fotografie esposte non esauriscono il panorama del sistema della giustizia minorile che, nel 1951, era molto articolato, esteso sull'intero territorio nazionale e comprendeva oltre ai servizi governativi, anche un grande numero di istituzioni private, gestite soprattutto da religiosi.
Il patrimonio edilizio, del quale l'Amministrazione disponeva allora, si era andato formando nel corso del tempo, per lo più attraverso l'acquisizione e la ristrutturazione di fabbricati precedentemente destinati ad altri usi. La Casa di rieducazione di Eboli (Salerno) occupava il castello dei principi Colonna. Il Riformatorio di Avigliano (Potenza) era stato collocato nell'antico convento dei Francescani riformati, la cui chiesa è monumento nazionale per la maestosità della facciata e la presenza all'interno di altari lignei policromi. L'Istituto di Bosco Marengo (Alessandria) era stato insediato nel cinquecentesco Convento agostiniano, soppresso sotto l'impero napoleonico.
La Casa di rieducazione di Pallanza Verbania era stata istituita nella sede arcivescovile, già trasformata in carcere per religiosi all'epoca dell'occupazione delle truppe francesi di Napoleone Bonaparte e adibita a carcere per detenuti politici durante il Ventennio fascista.
Il primo esempio di un progetto politico e architettonico dedicato ai giovani "discoli e corrigendi" nel Settecento era stato, invece, l'antico Carcere correzionale di S. Michele a Roma dove, dopo il bombardamento di S. Lorenzo, aveva trovato ospitalità l'Istituto di rieducazione "Aristide Gabelli".
Il S. Michele "dei ragazzi" che aveva rappresentato per oltre due secoli, non solo in Europa ma anche Oltreoceano, il prototipo del carcere moderno, nel 1951 versava in un degrado tale da dover essere escluso dalla campagna fotografica nella quale furono ritratti solo i felici momenti del secondo campeggio estivo del reparto scout "La Tradotta", organizzato ad Assergi presso il Gran Sasso.
Origine preunitaria aveva anche il "Ferrante Aporti" di Torino insediato nella sede del tristemente famoso Penitenziario industriale-agricolo detto la Generala.
Altri istituti erano stati aperti subito dopo l'unità d'Italia, in seguito alla pubblicazione del "Regolamento generale per gli stabilimenti carcerari e pei riformatori governativi del Regno"
pubblicato nel 1891. Tra questi, l'Istituto di Bosco Marengo (Alessandria) ebbe una grande rilevanza sia per le sue dimensioni - 320 celle, 275 posti nel refettorio, 4 laboratori, un'officina per intagliatori, una scuola industriale, scuole elementari, sala conferenze, teatro e biblioteca - sia per l'importanza e la fama mantenuta ininterrottamente dal 1894 al 1989, anno della definitiva chiusura.
All'inizio del Novecento, risalgono i progetti e i lavori per la costruzione della Casa di rieducazione di Cairo Montenotte (Savona) e del Riformatorio femminile di Airola (Benevento). Si inaugura allora la tradizione di intitolare gli istituti a giuristi e pedagogisti: "Emanuele Gianturco" ad Avigliano, "Pietro Siciliani" a Bologna, "Carlo Boncompagni" a Bosco Marengo, "Gaetano Filangieri" a Napoli, "Pietro Thouar" a Pisa, "Aristide Gabelli" a Roma, "Raffaello Lambruschini" a San Lazzaro Parmense, "Andrea Angiulli" a Santa Maria Capua Vetere, "Nicolò Tommaseo" a Tivoli, "Ferrante Aporti" a Torino.
Un vero e proprio programma di edilizia penitenziaria, con particolare riguardo alle sedi da assegnare ai minorenni, era stato realizzato durante il periodo fascista, in concomitanza con l'attuazione della riforma penale. In questo periodo fervido di iniziative furono inaugurati nuovi istituti, in particolare il Riformatorio giudiziario femminile di Airola (30 giugno 1931), i Centri di rieducazione di Roma (8 novembre 1933), Torino (16 gennaio 1935), Catanzaro (31 marzo 1935), Milano e Arese (31 marzo 1935), il Riformatorio giudiziario agricolo di Nisida (18 luglio 1935), il Centro di rieducazione di Palermo (18 settembre 1935), la Casa di rieducazione di Pallanza Verbania (23 aprile 1936); i Centri di rieducazione di Venezia (21 gennaio 1938), S. Cataldo (17 febbraio 1939), Genova (15 maggio 1939), Eboli (25 giugno 1939), la Casa di pena per minori di Pesaro (10 Luglio 1939), il Centro di rieducazione di Ancona (16 luglio 1940). Si erano ristrutturati anche molti vecchi edifici, allo scopo di fornirli di laboratori, aule scolastiche, cappelle, ambulatori medici e infermerie, ma soprattutto di impianti igienici. Negli istituti, come per esempio ad Avigliano e a Bosco Marengo, le sale del teatro erano state trasformate in sale per l'ascolto della radio e la proiezione di filmati.
Un caso del tutto unico e particolare è infine costituito dalla Nave redenzione "Garaventa". La Nave Scuola "Redenzione" era entrata in attività nel 1883 per iniziativa del filantropo genovese Nicolò Garaventa che, preoccupato per la presenza di forme endemiche di delinquenza nel porto di Genova, aveva inteso adoperarsi attivamente per il recupero dei giovani. Successivamente, su questo esempio, la Marina militare italiana aveva provveduto a declassare una nave da guerra, per donarla al Ministero di grazia e giustizia come istituto di rieducazione adibito al ricovero dei ragazzi che si preparavano all'apprendimento dell'arte del mozzo sulle navi della marina mercantile. Dopo un periodo di addestramento su questa nave, molti venivano liberati dal Tribunale per i minorenni di Genova, nel momento in cui trovavano un imbarco sulle navi. Ad eccezione dell'apparato motore, si trattava di una vera nave ancorata nel porto di Genova. Nella struttura metallica, anziché muraria, si svolgeva un programma di rieducazione simile a quello degli altri istituti, caratterizzato da una rigida disciplina e dall'uso delle divise militari sia per il personale, sia per i ragazzi.

I Tribunali e i Centri di rieducazione per i minorenni
La ricostruzione della storia della rieducazione perseguita dallo Stato italiano nei confronti dei minorenni, dal punto di vista giuridico-legislativo inizia il 20 luglio 1934 con l'istituzione del Tribunale e del Centro di rieducazione per i minorenni, istituti giudiziari e penali tra loro strettamente collegati e specialmente destinati ai giovani minori di 18 anni in stato di abbandono o colpevoli di veri e propri reati.
I Tribunali per i minorenni, istituiti in ogni sede di Corte d'appello e aventi competenze penali, amministrative e civili, nel periodo qui rappresentato, erano composti da due giudici di carriera e da due cittadini con la funzione di giudici onorari, scelti fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, uno dei quali di sesso femminile.
I Centri di rieducazione aventi la stessa sede dei tribunali riunivano gli istituti e i servizi del Ministero di Grazia e Giustizia destinati alla rieducazione dei minorenni.
L'Istituto di osservazione era destinato ad accogliere e ospitare i minori abbandonati, fermati per motivi di pubblica sicurezza, in stato di detenzione preventiva, o comunque in attesa di un provvedimento dell'Autorità giudiziaria o di internamento in una casa di rieducazione, allo scopo di farne l'esame scientifico per stabilirne la vera personalità e segnalare le misure e il trattamento rieducativo più idoneo al riadattamento sociale.
La Casa di rieducazione era riservata ai minorenni "moralmente traviati", ricoverati per cattiva condotta o allontanati dal proprio ambito familiare su provvedimento del Tribunale.
Il Carcere minorile era destinato ai minorenni sottoposti a procedimento penale, in stato di carcerazione preventiva o in espiazione di pena per reati molto gravi e compiuti in piena capacità di intendere e di volere.
Il Riformatorio giudiziario era riservato ai ragazzi colpevoli di reato, ma non imputabili perché minori di 14 anni, riconosciuti dal giudice socialmente pericolosi e perciò sottoposti a misura di sicurezza.

Una giornata in istituto
La finalità principale del trattamento di rieducazione attuato negli istituti era suscitare nei ragazzi il senso della responsabilità dei propri atti e la consapevolezza dei propri doveri verso la società.
La scuola, il lavoro e l'istruzione religiosa erano considerati i metodi rieducativi più idonei alla promozione di un armonico sviluppo della loro personalità fisica, psichica e morale. Grande importanza rivestivano le attività ricreative che prevedevano il coinvolgimento dei giovani in eventi ludici e sportivi, come pure la fruizione di spettacoli teatrali e cinematografici e l'ascolto di trasmissioni radiofoniche. Faceva parte integrante del processo rieducativo anche il soddisfacimento di bisogni primari quali la pulizia personale, la nutrizione e il riposo.
La giornata tipo all'interno dell'istituto era articolata in modo da consentire lo svolgimento di tutte queste attività. La sveglia era sempre alle 7.00, sia che si trattasse di un giorno feriale o festivo; dalle 7.15 alle 8.00, il ragazzo si lavava e riordinava la propria camera. Espletate queste mansioni, si recava nel refettorio per la colazione che, solitamente, era a base di latte, caffè e pane; alle 8.30 entrava nelle officine dove veniva seguito dal maestro d'arte o nelle aule scolastiche per l'istruzione elementare e vi rimaneva fino alle 12.00.
Al termine dell'attività scolastica e lavorativa lo aspettava il pranzo, dopo il quale poteva recarsi in cortile per giocare; alle 14.30 rientrava nelle officine dove rimaneva fino alle 18.00; aveva poi nuovamente la possibilità di andare in cortile o nelle sale di ricreazione fino alle 19.00, ora in cui era servita la cena. Uscito dal refettorio si ritirava nella sua camera per riposare.
Durante i giorni festivi, eccettuate la sveglia e la ritirata, gli orari da osservare e le attività da svolgere erano completamente diversi. Lo studio e il lavoro lasciavano il posto alla messa, che si svolgeva alle 8.30 in punto, e alla passeggiata all'aperto. Il ragazzo, tornato in istituto, poteva ricevere la visita dei parenti. Dopo il pranzo, verso le 16.00, era prevista un'uscita in cortile o al campo sportivo. Alle 18.00 il rientro per assistere, talvolta, ad uno spettacolo cinematografico. L'andamento regolare delle giornate poteva essere interrotto dalle punizioni, che erano inflitte al ragazzo in modo da non danneggiare il suo sviluppo fisico e psichico. La punizione poteva infatti consistere nella esclusione dalle attività ricreative, nella negazione della passeggiata festiva, nell'isolamento nelle celle dette "cubicoli" e nei casi più gravi nel trasferimento in uno stabilimento speciale per minori di cattiva condotta.
In istituto il giovane era seguito dal personale sanitario e quando si ammalava poteva essere ricoverato, se necessario, in infermeria.
In estate i ragazzi di buona condotta o che necessitavano di cure balneari ed elioterapiche erano trasferiti in montagna o al mare, in campeggio o presso le colonie.

La rieducazione
L'istruzione scolastica aveva la finalità di rendere il ragazzo consapevole dell'errore commesso "disertando la via del dovere" e del modo in cui poteva ritornare a vivere degnamente nella società.
Molti ricoverati erano analfabeti o semianalfabeti e presentavano quasi sempre una carriera scolastica irregolare, con precedenti disciplinari. Per loro l'istruzione elementare impartita all'interno degli istituti era obbligatoria e i certificati di studio erano rilasciati senza alcuna indicazione o accenno alla casa di rieducazione nella quale erano stati conseguiti.
In alcune sedi erano istituite sezioni per studenti di scuole medie, oppure i ragazzi frequentavano le lezioni presso le scuole pubbliche.
Si tenevano anche corsi di lingue straniere, di musica, di canto, di disegno. A Bologna, per esempio, il corpo bandistico della Casa di rieducazione teneva concerti in pubblico, eseguendo anche musica classica e brani d'opera.
In alcuni istituti esistevano sezioni per i ragazzi che avessero mostrato una eccezionale tendenza allo studio delle belle arti, del canto, della musica e della recitazione. Presso ogni casa di rieducazione era istituita una biblioteca con sala di lettura e servizio di prestito.
"Si utilizzavano le tecniche della didattica moderna ispirate ai principi dell'individualizzazione dell'insegnamento..." - ricorda la signorina Angiolina Freda, maestra elementare con oltre quarant'anni di insegnamento nelle istituzioni minorili - "...la scuola, pur seguendo i programmi delle scuole pubbliche, si differenziava da quella tradizionale che adoperava il libro di testo, l'abbecedario, la penna e il quaderno. La didattica attiva si applicava a tutte le materie e consisteva nel partire da una forma di sintesi per arrivare all'analisi; il ragazzo veniva a contatto direttamente con la natura, piantando semi, vedendo spuntare le piante nell'orto. Molti istituti usavano il giornalino per rispondere ai bisogni dei ragazzi non sempre compresi".
Il lavoro era riconosciuto come mezzo rieducativo di primaria importanza, al quale venivano avviati tutti quegli allievi che non frequentavano la scuola. Era distinto in lavoro agricolo o lavoro industriale.
L'addestramento dei minorenni veniva ripartito in corsi che comprendevano i seguenti indirizzi: corsi per fabbri meccanici, corsi per falegnami-ebanisti, corsi per calzolai, corsi per intagliatori in legno, corsi per sarti e corsi di agraria.
Il lavoro dava al ragazzo fiducia in se stesso e nelle sue capacità.
Nelle case di rieducazione femminili l'istruzione professionale era volta essenzialmente all'insegnamento dei lavori "donneschi", di sartoria, di ricamo, cucito, stireria, maglieria.
Vigeva un'autonomia di mercato interna ai vari istituti: i ragazzi confezionavano da sé le loro divise, i camici da lavoro e le mantelline per la libera uscita.
In ogni casa di rieducazione l'adempimento delle pratiche religiose e l'insegnamento religioso erano affidate al cappellano. La religione era considerata uno dei più importanti mezzi di educazione morale. Ciascun istituto disponeva di una cappella per la celebrazione della messa e delle altre funzioni. Alla sera, prima di andare a letto e a volte anche a mensa, i ragazzi recitavano le preghiere: un "Pater", un "Ave" e un "Gloria".

Fonte: scritti tratti dal catalogo della mostra fotografica Monelli banditi, scenari e presenze della giustizia minorile in Italia (2003)

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