29-30 Marzo 2002
Società incivile
Immaginare una società senza Stato incute paura. La paura della libertà, la
paura di poter viversi indiscriminatamente, in qualsiasi istante la propria
sincera volontà è una delle violenze più atroci che viene imposta ad ogni
individuo.
Da sempre ci viene spacciata come verità assoluta la necessità di
una struttura governativa impersonificata dalle diverse istituzioni che si
sono susseguite durante il progresso della civiltà umana. Ci insegnano, e la
storia ne è la prova, che sempre sono esistiti re, principi, Stato e
padroni
e che la loro esistenza nasce dal bisogno dell'uomo di essere comandato.
L'uomo, come concetto astratto, non è capace di autogestire i rapporti con gli
altri, perché racchiude in sé una natura distruttiva e dannosa, e, lasciato in
libertà, vivrebbe nel caos più selvaggio, in un inferno dove vigerebbe
la "legge del più forte". Il paradosso di una simile frase, tanto
piacevolmente usata, sta proprio nel capovolgimento voluto del suo concetto:
in un'utopica libertà
si concretizza la sopraffazione, mentre nell'attuale schiavitù si
concretizza
la libertà.
Per legittimare la propria autorità, e quindi difendere e perpetuare i suoi
interessi e i suoi privilegi, la classe dominante ci ha fatto credere che
dove ci sono regole e leggi esiste convivenza civile, riuscendo a spacciarci
tutto questo come libertà. Siamo liberi di vivere in città che assomigliano
sempre più a galere, dove gli unici momenti di sfogo, come il sabato e la
domenica ricordano troppo amaramente l'ora d'aria del carcerato, e dove,
usciti dalle gabbie del lavoro, della scuola, della casa i detenuti urbani
vengono controllati, spiati, minacciati da sempre più tecnologiche
telecamere
e sempre più sbirri. Dentro o fuori, in carcere o in città la realtà è
sempre la stessa: chi sbaglia paga e viene punito; in famiglia, a scuola,
in chiesa, sul lavoro, per la strada la logica è comunque questa.
Non ci si può permettere passività e remissività di fronte ad uno Stato
che ha imposto per legittimare la propria autorità cos'è giusto o sbagliato,
ciò che è vero e ciò che non lo è, formando modelli standardizzati di
pensiero
e comportamento che creano controllo e consenso. Di fronte ad uno Stato
che ci governa senza pietà crediamo nell'azione diretta quotidiana. Chi
ci comanda si è appropriato di tutti gli aspetti della nostra vita, quindi,
concepire la distruzione totale della macchina repressiva significa
riprendersi la propria individualità, fondere pensiero e azione,
creare percorsi di autogestione e conflittualità, lottare per realizzare
i propri sogni e desideri.
Civiltà
La comparsa dell'istituzione carceraria ovvero della pena detentiva a
sostituzione della pena inflitta al corpo del condannato, tortura o pena di
morte, risale per l'Europa alla fine del XVIII secolo.
Queste importanti riforme del codice penale, questi cambiamenti del modo di
punire, non furono dovuti come venne e viene spacciato, ad una maggiore
umanità raggiunta dai governanti di allora, ad uno spirito filantropico o
alla volontà o speranza di recuperare e reinserire il detenuto nella
società "normale".
Questo cambio di trattamento nacque dalla necessità di rendere più esteso ed
efficace il controllo sociale per garantire gli interessi di un capitalismo
nascente ed in fase di cambiamento, punendo con decisione i reati contro la
proprietà, come il furto, e politici di sovversione all'ordine costituito,
ma garantendo impunità o pene minime all'illegalismo dei diritti ovvero
frodi, evasioni fiscali, operazioni commerciali irregolari.
Il carcere rappresenta l'arma più estrema di cui dispongono gli stati per
piegare l'individuo alla normalità sociale, per annientarlo e segregarlo
lontano dagli occhi di tutti, per creare di lui l'immagine del mostro.
Nessun discorso di recupero è valido o attendibile, come falsa è
l'abolizione
della tortura sul corpo del condannato, come dimostrano sia i casi eclatanti
di pestaggi di massa (Sassari 2000) sia ordinari commessi sul singolo
detenuto
come ci raccontano le innumerevoli testimonianze di chi è stato o è tuttora
in carcere.
Lo stato moderno basato sul modello neoliberista ha sviluppato potenti mezzi
e strategie per reprimere qualsiasi tentativo di sovvertirlo, per garantire
una pace sociale utile solo agli interessi di banche, multinazionali,
imprenditori, politici e sciacalli vari.
Un individuo è tanto più manipolabile quanto più non percepisce la sua
condizione di sfruttato, e su questo piano grandi passi hanno fatto
le "democrazie" occidentali.
Il dominio è infatti esercitato nella sempre più accurata fabbricazione
dell'individuo attraverso le proprie istituzioni a partire dalla scuola,
dove vengono trasmessi i sani principi della meritocrazia, della
competizione, dell'autoritarismo e dove si finge un sapere sempre più a
portata di tutti, invece sempre più specialistico e selettivo, finalizzato
agli input necessari per rendere il lavoratore sempre più flessibile alle
esigenze del mercato.
Dal lavoro al tempo libero tutto deve essere disposto dall'alto, pronto
all'uso e teso ad eliminare ogni creazione individuale se non in linea con
i "sani" principi di sfruttamento e profitto.
Il nuovo tipo di umano dovrà essere un buon consumatore che si crederà
libero
nel comprare un paio di Nike o di Adidas, di cibo transgenico o biologico o
nel comprare oggetti in comode rate, adatti ad affermare il proprio status
di
persona "normale".
Il carcere è anche questo e non è facile vederne le sbarre.
La pena detentiva deve impaurire chi ostacola coscientemente o meno
l'esercizio del potere, allo stesso modo in cui l'improduttivo, il "folle",
il disadattato deve essere segregato, sedato con psicofarmaci, studiato e
giudicato dal merdoso psichiatra di turno.
Con ossequi a nome dei condannati a vita dallo stato
Viviamo in un regime di libertà obbligatoria, dove si è liberi di scegliere
da che parte stare.
L'unica cosa che si chiede subito è quella di accettare che sia lo stato, la
famiglia, la scuola o il partito a decidere.
L' individuo è il criminale, è il disumano, o il cresciuto in un ambiente dal
forte degrado, o allevato dal misticismo, se non vuole riprodurre i rapporti
sociali tali e quali gli vengono propinati.
E tutte le volte che la tranquillità urbana è travolta dal battersi in prima
persona, non per la santificazione del progresso, né per un nuovo sistema
statale, ma per il saldo immediato dei vecchi debiti o delle libertà
individuali comunque negate, l'impianto repressivo della classe dominante
apre
volentieri le porte delle carceri; e quand'anche i giudici non riescano a
svolgere il loro ruolo, allora il popolo pidocchioso, che è rimasto a
guardare, chiede l'intervento di dio o dei suoi paladini.
Lo stato, sia che rispecchi il carattere spettacolare-mercantile o
burocratico-
totalitario, sia esso gestito da un management-post-moderno e imperialista
oppure da una nomenclatura, sia che si regga sull'apartheid o sul
decervellamento consensuale degli attori sociali, sia che incarni il
mondialismo delle multinazionali o amministri il sottosviluppo all'insegna
di
una ideologia nazionalpopolare, sia che concorra alla realizzazione di
progetti faraonici oppure si limiti a coprire le nefandezze piccole o
grandi, legali o illegali dei commerci privati, distilla un'essenza schifosa:
la polizia.
Patrie galere
Il 24 novembre 2000, il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di
legge n. 341 nel quale vengono introdotte modifiche e novità per garantire il
controllo sociale ed affinare le armi della repressione. Tra i tanti spiccano
due punti.
Carcere italiano verso modello U.S.A.
Le ristrutturazioni in atto degli istituti penitenziari italiani e della
loro
legislazione a riguardo sono sempre più indirizzati verso una gestione del
conflitto socio-politico avente come modello guida quello statunitense.
Ciò che salta facilmente agli occhi è la dualità nel trattamento riguardo le
misure premio relative alla detenzione,che vengono concesse in base alla
collaborazione e indipendentemente dal reato
commesso.
Infatti, la legge Gozzini (1986), relativa al pentitismo e alla
collaborazione/delazione con gli organi di giustizia degli
accusati/condannati, ha permesso la costruzione di uno spartiacque tra chi
viene considerato irriducibile/irrecuperabile e quindi meritevole di misure
restrittive (art. 41 bis) e chi invece può accedere a misure alternative
(permessi premio, semilibertà, ammissione in prova ai servizi sociali).
Un altro spettro che si aggira è quello del carcere privato, che negli U.S.A.
già da tempo rappresenta
un grosso business.
Guarda caso il privato che si è proposto per il primo esperimento sul suolo
italiano è un nome ben noto.
L'istituto in questione è l'ex casa di lavoro di Castelfranco Emilia
(MO), struttura destinata a chi ha commesso reati a causa della sua
condizione
di tossicodipendenza.
Questa è stata ristrutturata dallo stato alcuni anni fa e comprende al suo
interno un'azienda agricola.
Il nome ben noto è Muccioli, questa volta il figlio dell'aguzzino
Vincenzo, famoso avvoltoio senza scrupoli.
Dopo il 13 Maggio il progetto al quale stavano lavorando governo, regione ed
enti locali si interrompe e proprio in quei giorni Muccioli avanza la sua
candidatura.
Lo scorso Agosto, come spiegò l'ex sottosegretario alla giustizia, Franco
Corleone,
Muccioli ricevette 5 miliardi dall'U.E. per finanziare questa proposta.
Per informazione il sostentamento di un tossicodipendente a S. Patrignano è
di
60/70.000 lire al giorno.
Le strutture penitenziarie di Stato, sia pure attenuate, prevedono una quota
individuale che arriva a 300.000 lire al giorno.
Speculazione sulle sofferenze altrui?
Ma figuriamoci, lo spessore morale dei Muccioli ha ormai largamente dato
prova di sé e forse un giorno troveremo il nome di questi benefattori sui
libri di storia.
Carcere made in U.S.A.
Negli U.S.A. le carceri private speculano sulle teste di circa 100.000
detenuti su una popolazione carceraria composta in totale da due milioni di
persone.
Pur risalendo alla fine dell'ottocento la comparsa dei primi istituti
privati, il vero boom si è registrato sotto le due amministrazioni Clinton
nell'ambito di un'iniziativa che ha incoraggiato il Dipartimento di
Giustizia a trasferire immigrati illegali e detenuti di minima sicurezza in
prigioni gestite da privati.
Le due più grandi società che detengono il business di costruzione e
gestione
di istituzioni penitenziari sono la CCA (Correction Corporation of America) e
la WCC (Wackenut Corrections Corporation).
La CCA gestisce il 52% delle carceri s.p.a. con 78 prigioni sparse in 25
stati contenenti 63.000 detenuti.
La WCC rappresenta un braccio della Wackenut Private Security Service che
prende il nome dal suo fondatore, l'ex agente dell'F.B.I., George Wackenutt.
Questa multinazionale si è distinta in passato per attività legate alla
difesa di impianti nucleari.
I contratti della WCC sono distribuiti tra Nord America, Europa, Africa,
Australia e Nuova Zelanda e sono relativi anche ad istituti di igiene
mentale, unità mediche carcerarie, trasporto dei prigionieri e monitoraggio
elettronico per i detenuti a casa.
I posti letto dei lager sono 40.732 di cui 17.000 negli Stati Uniti.
Accanto a questi due giganti vi sono almeno altre sedici società che si
contendono questo mercato.
Lo Stato che si rivolge al servizio privato paga per ogni detenuto una cifra
giornaliera che oscilla dai 25 ai 60 $.
La concorrenza tra privati è considerata molto positivamente in termini di
profitto per l'intera economia nazionale.
L'industria carceraria si è rivelata un mercato molto florido, i detenuti,
una merce molto utile, ma soprattutto un esercito di manodopera a basso
costo
per industrie statali e private, da cui attingere senza scrupoli.
L'FPI (Federal Prisons Industries) è l'istituzione che gestisce il lavoro
dei
detenuti e che ricerca partners commerciali attirati da sicuri guadagni.
La paga di un detenuto è di circa 23 cent. l'ora, che tradotti in lire sono
circa 500.
Tutto è spacciato all'opinione pubblica con la menzogna del reinserimento
sociale più sicuro del condannato.
L'FPI è tra i maggiori fornitori di equipaggiamento militare per l'esercito
statunitense.
Il carcere di Marion produce cavi elettronici e per la comunicazione,
essenziali per le moderne tecnologie belliche. Questo, insieme a quello di
Florence è l'unico a imporre come condizione di lavoro quello per l'FPI.
Infatti in tutte le altre prigioni federali il detenuto può scegliere tra
altre attività che riguardano l'assistenza, il mantenimento o i
corsi "rieducativi". Solo il 26% ha scelto finora di lavorare per l'FPI.
Un altro esempio di come gli istituti penitenziari possano risollevare un'intera economia è dato dal caso di Pelican Bay, nella contea di Del Norte
area economicamente depressa.
Nel giro di pochi anni la ripresa è stata veloce, grazie soprattutto allo
sfruttamento dei detenuti di primo livello all'interno di infrastrutture
pubbliche, impiegati dalla costruzione di edifici, alla pulizia delle
strade.
La riurbanizzazione del territorio è stata così ottenuta grazie ad un
carcere. Diversa è la situazione italiana, ma comunque in lento adeguamento.
Anche se si è passati da un 37,9% di detenuti lavoratori del 1990 al 23,1%
del 1999, si deve riflettere
sull'entrata in vigore di un regolamento che risolve il problema di una
norma
che autorizzava le prestazioni lavorative solo a chi aveva accesso a misure
di pena alternative.
Un protocollo di intesa firmato nel Febbraio 2001 dai ministri Salvi e
Fassino
(Lavoro e Giustizia[!!!]) rende operativo il ddl conosciuto come "legge
Smuraglia".
Questo sancisce il "diritto" anche degli internati ad accedere ai servizi
delle cooperative sociali di reinserimento lavorativo.
Le aziende e le associazioni private che usufruiranno a loro volta di questo
servizio godranno di sgravi fiscali oltre ad assicurare paghe più che da
fame
ai dipendenti.
Difficilmente i risultati di questo provvedimento si faranno attendere.
Lager di stato
Lo stato ha come massima rappresentazione della sua arroganza repressiva il
carcere; ed è importante sottolineare: massima rappresentazione poiché
quotidianamente siamo sottoposti ad un addomesticamento a livello di
istituzioni scolastiche e non, di religione, di famiglia, di perbenismo,
ecc, ecc. che mira a mutare l'individuo in un numero produttivo e a fare
della sua rabbia la ricchezza del padrone.
Ritengo questa una norma repressiva in piena regola. Inoltre il controllo
sociale è talmente presente che è come se fossimo in un carcere, ma la
differenza da quest'ultimo è che possiamo far finta di non rendercene conto,
mentre il carcere è fatto solo di mura e di violenza e rappresenta la
punizione per chi lotta e trasgredisce.
Vi sono carceri speciali, lager, ove si viene deportati senza neanche aver
avuto il piacere di commettere un reato, poiché il reato, per lo stato, è
essere viandanti. Questi lager vengono detti anche "centri di detenzione
temporanea" e "centri di accoglienza".
Ti prendono anche per il culo; bell'accoglienza: sequestrato, detenuto e
rispedito da dove vieni (senza tener conto che hai speso tutti i soldi messi
da parte durante la vita per raggiungere l'Italia). Quando, come se non
bastasse, nella maggior parte dei casi è stata proprio la loro politica,
unita a quella degli altri paesi "civili" a convincerti per fame, guerra e
miseria a lasciare la tua terra e i tuoi affetti. Gli stati "civili" hanno
paura e devono avere paura, è per questo che vorrebbero avere controllo ed è
per questo che tu migrante li spaventi. Sono deboli, se non possono saper
chi
sei, dove sei, cosa fai tu, piccolo, esile vagabondo diventi un serio
pericolo da allontanare.
I lager per migranti sono ormai presenti in tutta Italia ed hanno iniziato a
prendere vita nel '98 con i decreti legislativi riguardanti: "la disciplina
sull' immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero" e nello
specifico dall'allora ministro dell'interno Napolitano. Nel passaggio di
governo dalla sinistra alla destra le cose sono andate di male in peggio.
Con
la legge sull'immigrazione "Bossi-Fini" - che sembra un documento scritto da
negrieri del 1850 - : gli extracomunitari che entrano in Italia oltre a dover
avere un contratto di lavoro, subiranno delle restrizioni anche per quanto
riguarda il ricongiungimento con i propri familiari.
Meccanismi della riforma Bossi-Fini
Il regnante ministro dell'interno decide un massimo di "schiavi" da far
entrare nel paese. Le famiglie borghesi e gli imprenditori aguzzini possono
richiedere la manodopera straniera ad uno sportello in prefettura che
spedirà
le richieste ai consolati, ove i futuri sfruttati si recheranno se vogliono
lavorare. In alternativa l'imprenditore può richiedere un certo numero di
persone da utilizzare, fortunatamente dovrà dare loro vitto e alloggio. Ma da
buoni patrioti fascisti quali sono la domanda dell'imprenditore passerà
prima
dai "centri provinciali dell'impiego" così da garantire all'italiano per
primo la possibilità di lavorare. Accertato che lo straniero possa entrare
in
Italia, avrà 8 giorni per presentare il "contratto di soggiorno" che sarà
valido solo per il periodo di sfruttamento concordato. Se l'immigrato avrà sempre un lavoro regolare e produrrà per lo stato
padrone, senza commettere reati, in piena passività, potrà restare in Italia
per un tempo indeterminato.
All'inizio i contratti non devono superare uno o due anni con un massimo di
sei - gli si potrebbero dare troppe garanzie - dopo dieci anni di
sottomissione il migrante avrà la possibilità di diventare "cittadino
italiano".
Un altro cambiamento fondamentale riguarda il ricongiungimento familiare:
Carcere minorile
Un mese fa, con la sicurezza di chi ha tanta voglia di fare e la presunzione di chi pensa di avere sempre ragione, un drappello di ministri approva un disegno di legge che graverà per i prossimi anni sulla vita di milioni di adolescenti. Il progetto passa senza scalpori, senza polemiche e senza incontrare opposizioni. Sembra tutto normale, fattibile e necessario perché il male da curare è un fenomeno incontrollato, pericoloso e soprattutto che colpisce dritto nel cuore delle città, dei quartieri, delle famiglie. Cambiano le leggi dunque, perché la società che crea i baby-criminali ha bisogno di punire e regalare quella tranquillità che milioni di elettori passivi chiedono ogni giorno ai loro rappresentanti.
È passato poco più di un mese da quando il fenomeno della criminalità minorile è stato oggetto di discussioni approfondite e seriose da parte del consiglio dei ministri. Un mese di silenzio che ci ha fatto riflettere nonostante le nostre energie fossero concentrate sulle mobilitazioni di Barcellona e Roma [reclaim your media]. Sono trascorsi giorni, settimane, ma la cosa ci riguarda da vicino e merita quantomeno un accenno d'analisi e qualche doveroso commento.
Questo quindi non vorrà essere un comunicato generico, uno studio libertario da contrapporre a quello di qualche professionista, non è e non vuole essere un sermone, un documento politico o un'analisi perfetta. Ciò che abbiamo scritto è solo il nostro punto di vista rispetto ai cambiamenti che il controllo e la repressione sociale hanno imposto per invadere, controllare e distruggere quello che per molti è "uno dei mali incurabili della societa contemporanea".
Molto spesso l'approccio paternalistico che l'autorità ha nei confronti
della devianza giovanile nasconde l'esigenza di recuperare individui
altrimenti incompatibili con i canoni anestetizzati ed anestetizzanti di
questa società. Da anni sociologi e psicologi studiano i fenomeni e i
comportamenti legati alla microcriminalità, al teppismo giovanile, al
fenomeno delle baby gang e del branco. L'esigenza è quella di capire, di
individuare il virus che catapulta milioni di adolescenti dentro quelle
dinamiche di illegalità che il sistema non riesce a controllare.
Per questo fin ora alla punizione veniva sempre affiancata un opera di
recupero sociale che prevedeva il reinserimento del giovane attraverso un
accurato ed efficace lavaggio del cervello. Dunque si studia, si
forniscono dati e statistiche agli organi di repressione e si elaborano
le pratiche più efficaci per sopire l'animo turbolento dei piccoli
criminali.
Le cifre, relativamente significative, evidenziano l'aumento
in Italia dei reati commessi da minori. La criminalità minorile sembra
essere
più diffusa al Nord (40%) meno al Sud (23%). Le cause sono sempre le stesse:
furti, rapine, detenzione di stupefacenti, lesioni,
danneggiamenti. Le pene sempre più articolate e restrittive servono
all'opinione pubblica per guadagnare almeno l'illusione di un mondo
quieto, pulito e finalmente liberato dall'immondizia che insudicia le città.
Con un approccio simile si fa presto a raggiungere l'equazione adolescente =
criminale. Ed è proprio da questa equazione che parte il
disegno di legge (ddl) approvato il 1 marzo 2002 dal consiglio dei ministri.
Un ddl che prevede un radicale inasprimento delle pene e che sembra
privilegiare la vendetta sociale contro l'illegalità rispetto all'ipocrisia
del recupero e del reinserimento. La legge, fortemente
voluta dal ministro Castelli, prevede l'abolizione dei tribunali per
minorenni, sostituiti da sezioni specializzate presso i tribunali ordinari e
l'unificazione delle competenze civili in materia di famiglia e minori.
Venuto a mancare il concetto di recupero sociale il
ruolo degli psicologi, dei neuropsichiatri infantili ecc. diventa
assolutamente marginale. Gli scienziati che per anni hanno fatto i soldi
usando come cavie ragazzi e ragazze a cui imporre test, analisi, colloqui
informali e altre stronzate inutili, non affiancheranno più i
giudici prima della sentenza. Il loro ruolo sarà da oggi solo quello di
consulenti esterni. Verranno inoltre diminuite le attenuanti per i minori
che
commettono reati (da un terzo ad un quarto) e una volta
raggiunti i 18 anni di età per i detenuti si apriranno le porte del carcere
normale ovvero gli stessi istituti dove vengono reclusi i maggiorenni. La
riforma prevede inoltre l'esclusione dell'istituto della messa in prova per
i
reati ritenuti particolarmente gravi come
l'omicidio o la violenza carnale. Con queste rifiniture il sistema repressivo
nazionale si adegua ai
canoni delle più moderne ed evolute democrazie occidentali non solo
investendo miliardi in gabbie di acciaio e cemento armato, ma
ristrutturando,
speculando sull'allarme microcriminalità, le norme che
regolano giuridicamente le problematiche legate al mondo giovanile. Secondo
Castelli quindi i ragazzi non possono più essere trattati come adolescenti
che sbagliano, ma come veri e propri criminali. Il Guardasigilli giustifica poi così la riforma approvata al consiglio dei ministri:
"La delinquenza minorile è cambiata. Non si tratta più di teppistelli, ma ci
sono ormai ragazzi di 16 anni che reati gravi come
gli adulti. Era necessaria quindi una restrizione delle previsioni
attenuanti". Non è tutto. "L'impianto penalistico in vigore - ha aggiunto
il
ministro - era stato pensato su un tipo di delinquenza che non esiste più.
Gli esperti ormai sono concordi nel dire che la realtà è un'altra [...] siamo
quindi intervenuti su alcuni punti, restringendo la diminuente prevista dal
codice da un terzo a un quarto". Si invoca il carcere, la detenzione, la
pena
e l'inquisizione. Si elaborano punizioni esemplari. Si invoca giustizia e
legalità in nome di una pace sociale che nutrendosi di vite e coscienze
prova
a scagliarsi con ogni mezzo contro tutto ciò che non si riesce a controllare
e normalizzare.
In un paese dove fobie ed isterie allarmistiche determinano violente
campagne
repressive a 360°, questa riforma è passata quasi sotto silenzio. E mentre
girotondi, fiaccolate e grottesche adunate chiedono a gran voce ancora più
legalità e controllo, fuori, nelle strade, continua il gioco pericoloso e
violento che vede guardie e ladri scontrarsi dentro ad un'interminabile
esplosione di eventi.
Il materiale che ci ha aiutato nella realizzazione di queste pagine è stato
tratto dai siti:
www.senzacensura.org
www.tmcrew.org/mw4k
www.geocities.com/grupo_libertad
www.ecn.org/filiarmonici