Società incivile
raccolta di critiche, cronache, sfoghi e riflessioni per la distruzione di ogni tipo di carcere
Pubblicato su Mw4klist, Aprile 2002

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Volantino distribuito durante un'iniziativa per i due anni di occupazione e autogestione dell'ateneo occupato. I fondi che abbiamo raccolto sono destinati a benefit pro detenut@

Questo documento, nato come critica e analisi del sistema carcerario in tutte le sue forme, viene fuori da una serie di incontri tra varie individualità antiautoritarie, anarchiche e non, con l'intento di sviluppare una solidarietà attiva e rivoluzionaria.
     L'appoggio ai detenuti in lotta e il supporto che diamo loro dall'esterno è il percorso di lotta che abbiamo scelto e che in questo caso si è concretizzato in un' iniziativa di due giorni nel posto nel quale viviamo da due anni: l'Ateneo occupato, collaborando con individualità anarchiche esterne.
     Questo genere di iniziativa rientra in un progetto di liberazione e riappropriazione delle nostre vite che con fermezza e dignità portiamo quotidianamente avanti, sempre al di fuori delle istituzioni e contro ogni forma di delega.
     Per l'autorità e la legge che ci reprime ed incarcera nutriamo un profondo odio e non abbiamo nessuna pietà nel combatterli, vendicando tutti/e i/le compagni/e imprigionati/e ed assassinati/e ed autodeterminando la nostra esistenza.
     Il carcere è la punta massima della violenza di stato, una violenza che si perpetua ogni giorno contro chi non assume quegli atteggiamenti sottomissivi che sono le basi di tutti i governi. Con l'incarcerazione lo stato applica i suoi criteri "assoluti" di giusto e sbagliato e valuta le adeguate pene in relazione ai reati commessi; e se per i più tutto ciò è normale, lo è solo perché la logica della punizione ci è stata inculcata fin dall'infanzia in un perfetto piano di controllo sociale fatto di educazione familiare, scolastica e religiosa.
     L'attacco nei confronti del carcere, inteso in tutte le sue sfaccettature, deve essere radicale e deciso, così come la presa di coscienza che muove la nostra mano è quella di chiunque non si assoggetta a nessuna forma di dominio e sfruttamento. Distruggere le logiche che ci vogliono schiavi e contenti, ed esternare l'odio ed il disgusto verso l'autorità che annulla le coscienze e le controlla attraverso la violenza e la paura. Colpire le strutture e rendere la vita difficile agli uomini e alle donne che fanno sì che il carcere sia sempre più forte e sempre più colonna portante di un sistema che ha molto da temere e da difendere.
     Colpire le attività lavorative collegate al sistema carcerario che umiliano ulteriormente i/le detenuti/e che, nonostante la prigionia, si ritrovano a prendere parte al processo produttivo e per di più con una retribuzione che suscita ancora più sdegno.
     Ma non è forse il lavoro esso stesso carcere, con i suoi reparti, le sue divise, le sue gerarchie, le sue ore "d'aria" e soprattutto con la sua inesorabile continuità che sa tanto di ergastolo?
     E quindi quale cosa migliore accomunare questi due mondi (lavoro-carcere) per creare una società sempre più avanzata, produttiva e sottomessa in cui non ci saranno più carceri ma semplicemente fabbriche e catene di montaggio per cui non ci sarà più il tempo di commettere reati in quanto staranno tutti a lavorare ed i secondini di oggi saranno (e sono già) i caporeparto dietro le nostre spalle.
     È questa una realtà; lo stato, ogni stato, non ha pietà per nessuno dei suoi sottomessi e lo dimostra ogni giorno, in ogni parte del mondo.
     Fino a quando ci sarà un'autorità autoproclamatasi che produce schiavitù e morte, ci sarà sempre qualcuno dietro l'angolo pronto a colpirla e a distruggerla come atto naturale di ribellione per riprendersi la libertà usurpata.
     Tra i tanti modi e mezzi con i quali si portano avanti le lotte contro il carcere quello del supporto economico ai detenuti riveste un ruolo importante quanto le azioni in solidarietà e le rivendicazioni, ed è per questo che autoproducendo e autorganizzando cerchiamo di soddisfare i bisogni e voleri nostri e dei/lle compagni/e imprigionati/e anche con questa iniziativa.

29-30 Marzo 2002

Ateneo okkupato Via Ottone Fattiboni 1 - Dragoncello Cap 00126
alcuni/e compagni/e viterbesi - C. P. 4 Bagnaia - Viterbo Cap 01031
contatti: bhurp@paranoici.org


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Società incivile
Immaginare una società senza Stato incute paura. La paura della libertà, la paura di poter viversi indiscriminatamente, in qualsiasi istante la propria sincera volontà è una delle violenze più atroci che viene imposta ad ogni individuo.
     Da sempre ci viene spacciata come verità assoluta la necessità di una struttura governativa impersonificata dalle diverse istituzioni che si sono susseguite durante il progresso della civiltà umana. Ci insegnano, e la storia ne è la prova, che sempre sono esistiti re, principi, Stato e padroni e che la loro esistenza nasce dal bisogno dell'uomo di essere comandato.
     L'uomo, come concetto astratto, non è capace di autogestire i rapporti con gli altri, perché racchiude in sé una natura distruttiva e dannosa, e, lasciato in libertà, vivrebbe nel caos più selvaggio, in un inferno dove vigerebbe la "legge del più forte". Il paradosso di una simile frase, tanto piacevolmente usata, sta proprio nel capovolgimento voluto del suo concetto: in un'utopica libertà si concretizza la sopraffazione, mentre nell'attuale schiavitù si concretizza la libertà.
     Per legittimare la propria autorità, e quindi difendere e perpetuare i suoi interessi e i suoi privilegi, la classe dominante ci ha fatto credere che dove ci sono regole e leggi esiste convivenza civile, riuscendo a spacciarci tutto questo come libertà. Siamo liberi di vivere in città che assomigliano sempre più a galere, dove gli unici momenti di sfogo, come il sabato e la domenica ricordano troppo amaramente l'ora d'aria del carcerato, e dove, usciti dalle gabbie del lavoro, della scuola, della casa i detenuti urbani vengono controllati, spiati, minacciati da sempre più tecnologiche telecamere e sempre più sbirri. Dentro o fuori, in carcere o in città la realtà è sempre la stessa: chi sbaglia paga e viene punito; in famiglia, a scuola, in chiesa, sul lavoro, per la strada la logica è comunque questa.
     Non ci si può permettere passività e remissività di fronte ad uno Stato che ha imposto per legittimare la propria autorità cos'è giusto o sbagliato, ciò che è vero e ciò che non lo è, formando modelli standardizzati di pensiero e comportamento che creano controllo e consenso. Di fronte ad uno Stato che ci governa senza pietà crediamo nell'azione diretta quotidiana. Chi ci comanda si è appropriato di tutti gli aspetti della nostra vita, quindi, concepire la distruzione totale della macchina repressiva significa riprendersi la propria individualità, fondere pensiero e azione, creare percorsi di autogestione e conflittualità, lottare per realizzare i propri sogni e desideri.


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Civiltà
La comparsa dell'istituzione carceraria ovvero della pena detentiva a sostituzione della pena inflitta al corpo del condannato, tortura o pena di morte, risale per l'Europa alla fine del XVIII secolo.
     Queste importanti riforme del codice penale, questi cambiamenti del modo di punire, non furono dovuti come venne e viene spacciato, ad una maggiore umanità raggiunta dai governanti di allora, ad uno spirito filantropico o alla volontà o speranza di recuperare e reinserire il detenuto nella società "normale".
     Questo cambio di trattamento nacque dalla necessità di rendere più esteso ed efficace il controllo sociale per garantire gli interessi di un capitalismo nascente ed in fase di cambiamento, punendo con decisione i reati contro la proprietà, come il furto, e politici di sovversione all'ordine costituito, ma garantendo impunità o pene minime all'illegalismo dei diritti ovvero frodi, evasioni fiscali, operazioni commerciali irregolari.
     Il carcere rappresenta l'arma più estrema di cui dispongono gli stati per piegare l'individuo alla normalità sociale, per annientarlo e segregarlo lontano dagli occhi di tutti, per creare di lui l'immagine del mostro. Nessun discorso di recupero è valido o attendibile, come falsa è l'abolizione della tortura sul corpo del condannato, come dimostrano sia i casi eclatanti di pestaggi di massa (Sassari 2000) sia ordinari commessi sul singolo detenuto come ci raccontano le innumerevoli testimonianze di chi è stato o è tuttora in carcere.
     Lo stato moderno basato sul modello neoliberista ha sviluppato potenti mezzi e strategie per reprimere qualsiasi tentativo di sovvertirlo, per garantire una pace sociale utile solo agli interessi di banche, multinazionali, imprenditori, politici e sciacalli vari.
     Un individuo è tanto più manipolabile quanto più non percepisce la sua condizione di sfruttato, e su questo piano grandi passi hanno fatto le "democrazie" occidentali.
     Il dominio è infatti esercitato nella sempre più accurata fabbricazione dell'individuo attraverso le proprie istituzioni a partire dalla scuola, dove vengono trasmessi i sani principi della meritocrazia, della competizione, dell'autoritarismo e dove si finge un sapere sempre più a portata di tutti, invece sempre più specialistico e selettivo, finalizzato agli input necessari per rendere il lavoratore sempre più flessibile alle esigenze del mercato.
     Dal lavoro al tempo libero tutto deve essere disposto dall'alto, pronto all'uso e teso ad eliminare ogni creazione individuale se non in linea con i "sani" principi di sfruttamento e profitto.
     Il nuovo tipo di umano dovrà essere un buon consumatore che si crederà libero nel comprare un paio di Nike o di Adidas, di cibo transgenico o biologico o nel comprare oggetti in comode rate, adatti ad affermare il proprio status di persona "normale".
     Il carcere è anche questo e non è facile vederne le sbarre.
     La pena detentiva deve impaurire chi ostacola coscientemente o meno l'esercizio del potere, allo stesso modo in cui l'improduttivo, il "folle", il disadattato deve essere segregato, sedato con psicofarmaci, studiato e giudicato dal merdoso psichiatra di turno.


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Con ossequi a nome dei condannati a vita dallo stato
Viviamo in un regime di libertà obbligatoria, dove si è liberi di scegliere da che parte stare.
     L'unica cosa che si chiede subito è quella di accettare che sia lo stato, la famiglia, la scuola o il partito a decidere.
     L' individuo è il criminale, è il disumano, o il cresciuto in un ambiente dal forte degrado, o allevato dal misticismo, se non vuole riprodurre i rapporti sociali tali e quali gli vengono propinati.
     E tutte le volte che la tranquillità urbana è travolta dal battersi in prima persona, non per la santificazione del progresso, né per un nuovo sistema statale, ma per il saldo immediato dei vecchi debiti o delle libertà individuali comunque negate, l'impianto repressivo della classe dominante apre volentieri le porte delle carceri; e quand'anche i giudici non riescano a svolgere il loro ruolo, allora il popolo pidocchioso, che è rimasto a guardare, chiede l'intervento di dio o dei suoi paladini.
     Lo stato, sia che rispecchi il carattere spettacolare-mercantile o burocratico- totalitario, sia esso gestito da un management-post-moderno e imperialista oppure da una nomenclatura, sia che si regga sull'apartheid o sul decervellamento consensuale degli attori sociali, sia che incarni il mondialismo delle multinazionali o amministri il sottosviluppo all'insegna di una ideologia nazionalpopolare, sia che concorra alla realizzazione di progetti faraonici oppure si limiti a coprire le nefandezze piccole o grandi, legali o illegali dei commerci privati, distilla un'essenza schifosa: la polizia.


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Patrie galere
Il 24 novembre 2000, il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge n. 341 nel quale vengono introdotte modifiche e novità per garantire il controllo sociale ed affinare le armi della repressione. Tra i tanti spiccano due punti.

  • Viene introdotto il braccialetto elettronico per il controllo di chi si trovi agli arresti domiciliari. Il condannato non può rifiutarsi di indossarlo, pena la reintroduzione in carcere.
  • L'art.41 bis relativo alla sospensione delle regole del trattamento dei detenuti viene prorogato fino al 31 Dicembre 2002. Per far fronte al problema del sovraffollamento il ministro Castelli ha promesso di costruire nuove carceri vendendo quelle vecchie di interesse storico artistico.
L'innalzamento di nuovi istituti di detenzione era previsto anche dal ddl n. 4656 conosciuto come "pacchetto Fassino", passato in prima battuta al senato e non avente la definitiva approvazione a causa della fine della legislatura.
     In questo pacchetto il programma di edilizia penitenziaria, prevedeva oltre all'ammodernamento, l'apertura di quattro nuovi istituti pronti da tempo: Rossano Calabro (CS), Castelvetrano (TP), Massa Marittima (GR), Bollate (MI); quest'ultimo inaugurato il 1/12/2000, dopo 14 anni impiegati per costruirlo e 240 miliardi di lire per costruirlo.
     Le carceri italiane sono 202, 24 le case mandamentali, 6 gli ospedali psichiatrici giudiziari, 47.000 le guardie penitenziarie. I detenuti "ospitati" dalle carceri nostrane sono 57.500, a fronte di una capienza massima tollerabile di 47.914 detenuti.
     Circa 17.000 gli stranieri, in maggioranza marocchini, tunisini, albanesi, algerini e slavi.
     Ma, niente paura, il nostro Guardasigilli ha una soluzione per tutto.
     All'inizio di marzo '02 ha dichiarato all'entusiasta platea di Assago, che è già pronta una proposta per rimpatriare gli immigrati detenuti nel loro paese d'origine.
     Nulla può interessare se questa gente era in fuga dalla propria terra. "Non sarà facile - avverte però - un'opera di convincimento verso quei governi che ci inviano queste brave persone."


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Carcere italiano verso modello U.S.A.
Le ristrutturazioni in atto degli istituti penitenziari italiani e della loro legislazione a riguardo sono sempre più indirizzati verso una gestione del conflitto socio-politico avente come modello guida quello statunitense.
     Ciò che salta facilmente agli occhi è la dualità nel trattamento riguardo le misure premio relative alla detenzione,che vengono concesse in base alla collaborazione e indipendentemente dal reato commesso.
     Infatti, la legge Gozzini (1986), relativa al pentitismo e alla collaborazione/delazione con gli organi di giustizia degli accusati/condannati, ha permesso la costruzione di uno spartiacque tra chi viene considerato irriducibile/irrecuperabile e quindi meritevole di misure restrittive (art. 41 bis) e chi invece può accedere a misure alternative (permessi premio, semilibertà, ammissione in prova ai servizi sociali).
     Un altro spettro che si aggira è quello del carcere privato, che negli U.S.A. già da tempo rappresenta un grosso business.
     Guarda caso il privato che si è proposto per il primo esperimento sul suolo italiano è un nome ben noto.
     L'istituto in questione è l'ex casa di lavoro di Castelfranco Emilia (MO), struttura destinata a chi ha commesso reati a causa della sua condizione di tossicodipendenza.
     Questa è stata ristrutturata dallo stato alcuni anni fa e comprende al suo interno un'azienda agricola.
     Il nome ben noto è Muccioli, questa volta il figlio dell'aguzzino Vincenzo, famoso avvoltoio senza scrupoli.
     Dopo il 13 Maggio il progetto al quale stavano lavorando governo, regione ed enti locali si interrompe e proprio in quei giorni Muccioli avanza la sua candidatura.
     Lo scorso Agosto, come spiegò l'ex sottosegretario alla giustizia, Franco Corleone, Muccioli ricevette 5 miliardi dall'U.E. per finanziare questa proposta.
     Per informazione il sostentamento di un tossicodipendente a S. Patrignano è di 60/70.000 lire al giorno.
     Le strutture penitenziarie di Stato, sia pure attenuate, prevedono una quota individuale che arriva a 300.000 lire al giorno.
     Speculazione sulle sofferenze altrui?
     Ma figuriamoci, lo spessore morale dei Muccioli ha ormai largamente dato prova di sé e forse un giorno troveremo il nome di questi benefattori sui libri di storia.


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Carcere made in U.S.A.
Negli U.S.A. le carceri private speculano sulle teste di circa 100.000 detenuti su una popolazione carceraria composta in totale da due milioni di persone.
     Pur risalendo alla fine dell'ottocento la comparsa dei primi istituti privati, il vero boom si è registrato sotto le due amministrazioni Clinton nell'ambito di un'iniziativa che ha incoraggiato il Dipartimento di Giustizia a trasferire immigrati illegali e detenuti di minima sicurezza in prigioni gestite da privati.
     Le due più grandi società che detengono il business di costruzione e gestione di istituzioni penitenziari sono la CCA (Correction Corporation of America) e la WCC (Wackenut Corrections Corporation).
     La CCA gestisce il 52% delle carceri s.p.a. con 78 prigioni sparse in 25 stati contenenti 63.000 detenuti.
     La WCC rappresenta un braccio della Wackenut Private Security Service che prende il nome dal suo fondatore, l'ex agente dell'F.B.I., George Wackenutt.
     Questa multinazionale si è distinta in passato per attività legate alla difesa di impianti nucleari.
     I contratti della WCC sono distribuiti tra Nord America, Europa, Africa, Australia e Nuova Zelanda e sono relativi anche ad istituti di igiene mentale, unità mediche carcerarie, trasporto dei prigionieri e monitoraggio elettronico per i detenuti a casa.
     I posti letto dei lager sono 40.732 di cui 17.000 negli Stati Uniti. Accanto a questi due giganti vi sono almeno altre sedici società che si contendono questo mercato.
     Lo Stato che si rivolge al servizio privato paga per ogni detenuto una cifra giornaliera che oscilla dai 25 ai 60 $.
     La concorrenza tra privati è considerata molto positivamente in termini di profitto per l'intera economia nazionale.
     L'industria carceraria si è rivelata un mercato molto florido, i detenuti, una merce molto utile, ma soprattutto un esercito di manodopera a basso costo per industrie statali e private, da cui attingere senza scrupoli.
     L'FPI (Federal Prisons Industries) è l'istituzione che gestisce il lavoro dei detenuti e che ricerca partners commerciali attirati da sicuri guadagni.
     La paga di un detenuto è di circa 23 cent. l'ora, che tradotti in lire sono circa 500.
     Tutto è spacciato all'opinione pubblica con la menzogna del reinserimento sociale più sicuro del condannato.
     L'FPI è tra i maggiori fornitori di equipaggiamento militare per l'esercito statunitense.
     Il carcere di Marion produce cavi elettronici e per la comunicazione, essenziali per le moderne tecnologie belliche. Questo, insieme a quello di Florence è l'unico a imporre come condizione di lavoro quello per l'FPI.
     Infatti in tutte le altre prigioni federali il detenuto può scegliere tra altre attività che riguardano l'assistenza, il mantenimento o i corsi "rieducativi". Solo il 26% ha scelto finora di lavorare per l'FPI.
     Un altro esempio di come gli istituti penitenziari possano risollevare un'intera economia è dato dal caso di Pelican Bay, nella contea di Del Norte area economicamente depressa.
     Nel giro di pochi anni la ripresa è stata veloce, grazie soprattutto allo sfruttamento dei detenuti di primo livello all'interno di infrastrutture pubbliche, impiegati dalla costruzione di edifici, alla pulizia delle strade.
     La riurbanizzazione del territorio è stata così ottenuta grazie ad un carcere. Diversa è la situazione italiana, ma comunque in lento adeguamento.
     Anche se si è passati da un 37,9% di detenuti lavoratori del 1990 al 23,1% del 1999, si deve riflettere sull'entrata in vigore di un regolamento che risolve il problema di una norma che autorizzava le prestazioni lavorative solo a chi aveva accesso a misure di pena alternative.
     Un protocollo di intesa firmato nel Febbraio 2001 dai ministri Salvi e Fassino (Lavoro e Giustizia[!!!]) rende operativo il ddl conosciuto come "legge Smuraglia".
     Questo sancisce il "diritto" anche degli internati ad accedere ai servizi delle cooperative sociali di reinserimento lavorativo.
     Le aziende e le associazioni private che usufruiranno a loro volta di questo servizio godranno di sgravi fiscali oltre ad assicurare paghe più che da fame ai dipendenti.
     Difficilmente i risultati di questo provvedimento si faranno attendere.


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Lager di stato
Lo stato ha come massima rappresentazione della sua arroganza repressiva il carcere; ed è importante sottolineare: massima rappresentazione poiché quotidianamente siamo sottoposti ad un addomesticamento a livello di istituzioni scolastiche e non, di religione, di famiglia, di perbenismo, ecc, ecc. che mira a mutare l'individuo in un numero produttivo e a fare della sua rabbia la ricchezza del padrone.
     Ritengo questa una norma repressiva in piena regola. Inoltre il controllo sociale è talmente presente che è come se fossimo in un carcere, ma la differenza da quest'ultimo è che possiamo far finta di non rendercene conto, mentre il carcere è fatto solo di mura e di violenza e rappresenta la punizione per chi lotta e trasgredisce.
     Vi sono carceri speciali, lager, ove si viene deportati senza neanche aver avuto il piacere di commettere un reato, poiché il reato, per lo stato, è essere viandanti. Questi lager vengono detti anche "centri di detenzione temporanea" e "centri di accoglienza".
     Ti prendono anche per il culo; bell'accoglienza: sequestrato, detenuto e rispedito da dove vieni (senza tener conto che hai speso tutti i soldi messi da parte durante la vita per raggiungere l'Italia). Quando, come se non bastasse, nella maggior parte dei casi è stata proprio la loro politica, unita a quella degli altri paesi "civili" a convincerti per fame, guerra e miseria a lasciare la tua terra e i tuoi affetti. Gli stati "civili" hanno paura e devono avere paura, è per questo che vorrebbero avere controllo ed è per questo che tu migrante li spaventi. Sono deboli, se non possono saper chi sei, dove sei, cosa fai tu, piccolo, esile vagabondo diventi un serio pericolo da allontanare.
     I lager per migranti sono ormai presenti in tutta Italia ed hanno iniziato a prendere vita nel '98 con i decreti legislativi riguardanti: "la disciplina sull' immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero" e nello specifico dall'allora ministro dell'interno Napolitano. Nel passaggio di governo dalla sinistra alla destra le cose sono andate di male in peggio.
     Con la legge sull'immigrazione "Bossi-Fini" - che sembra un documento scritto da negrieri del 1850 - : gli extracomunitari che entrano in Italia oltre a dover avere un contratto di lavoro, subiranno delle restrizioni anche per quanto riguarda il ricongiungimento con i propri familiari.


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Meccanismi della riforma Bossi-Fini
Il regnante ministro dell'interno decide un massimo di "schiavi" da far entrare nel paese. Le famiglie borghesi e gli imprenditori aguzzini possono richiedere la manodopera straniera ad uno sportello in prefettura che spedirà le richieste ai consolati, ove i futuri sfruttati si recheranno se vogliono lavorare. In alternativa l'imprenditore può richiedere un certo numero di persone da utilizzare, fortunatamente dovrà dare loro vitto e alloggio. Ma da buoni patrioti fascisti quali sono la domanda dell'imprenditore passerà prima dai "centri provinciali dell'impiego" così da garantire all'italiano per primo la possibilità di lavorare. Accertato che lo straniero possa entrare in Italia, avrà 8 giorni per presentare il "contratto di soggiorno" che sarà valido solo per il periodo di sfruttamento concordato. Se l'immigrato avrà sempre un lavoro regolare e produrrà per lo stato padrone, senza commettere reati, in piena passività, potrà restare in Italia per un tempo indeterminato.
     All'inizio i contratti non devono superare uno o due anni con un massimo di sei - gli si potrebbero dare troppe garanzie - dopo dieci anni di sottomissione il migrante avrà la possibilità di diventare "cittadino italiano".
     Un altro cambiamento fondamentale riguarda il ricongiungimento familiare:

  • È consentito solo ai figli minorenni dal paese d'origine verso i genitori in Italia con regolare permesso di soggiorno.
  • Se viceversa lo sfruttato è il figlio, questo può far venire i genitori in Italia, a meno che non convivano con figli maggiorenni.
  • Tutti i migranti che non si sottomettono al porco regime fascista italiano, i cosiddetti clandestini, verranno espulsi dal paese.
  • Per il clandestino trovato la prima volta non viene riconosciuto reato ma solo la detenzione momentanea nel "centro d'accoglienza" e la futura espulsione.
  • La seconda volta vi è l'arresto ma solo facoltativo e la riespulsione.
  • Mentre la terza volta viene processato in Italia e arrestato da uno a quattro anni.
Siccome le famiglie borghesi "hanno bisogno della colf" il numero accettato in questa categoria è illimitato. Inoltre in presenza di un handicappato in famiglia lo straniero potrà essere regolarizzato come "badante". Nel caso di non continuità lavorativa, la famiglia dovrà denunciare il fuggitivo. Da queste leggi emerge la raccapricciante realtà dello sfruttamento dei migranti!
Distruggiamo i "centri di detenzione" e tutte le strutture affini ed i porci che li hanno voluti!


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Carcere minorile
Un mese fa, con la sicurezza di chi ha tanta voglia di fare e la presunzione di chi pensa di avere sempre ragione, un drappello di ministri approva un disegno di legge che graverà per i prossimi anni sulla vita di milioni di adolescenti. Il progetto passa senza scalpori, senza polemiche e senza incontrare opposizioni. Sembra tutto normale, fattibile e necessario perché il male da curare è un fenomeno incontrollato, pericoloso e soprattutto che colpisce dritto nel cuore delle città, dei quartieri, delle famiglie. Cambiano le leggi dunque, perché la società che crea i baby-criminali ha bisogno di punire e regalare quella tranquillità che milioni di elettori passivi chiedono ogni giorno ai loro rappresentanti.
     È passato poco più di un mese da quando il fenomeno della criminalità minorile è stato oggetto di discussioni approfondite e seriose da parte del consiglio dei ministri. Un mese di silenzio che ci ha fatto riflettere nonostante le nostre energie fossero concentrate sulle mobilitazioni di Barcellona e Roma [reclaim your media]. Sono trascorsi giorni, settimane, ma la cosa ci riguarda da vicino e merita quantomeno un accenno d'analisi e qualche doveroso commento.
     Questo quindi non vorrà essere un comunicato generico, uno studio libertario da contrapporre a quello di qualche professionista, non è e non vuole essere un sermone, un documento politico o un'analisi perfetta. Ciò che abbiamo scritto è solo il nostro punto di vista rispetto ai cambiamenti che il controllo e la repressione sociale hanno imposto per invadere, controllare e distruggere quello che per molti è "uno dei mali incurabili della societa contemporanea".
     Molto spesso l'approccio paternalistico che l'autorità ha nei confronti della devianza giovanile nasconde l'esigenza di recuperare individui altrimenti incompatibili con i canoni anestetizzati ed anestetizzanti di questa società. Da anni sociologi e psicologi studiano i fenomeni e i comportamenti legati alla microcriminalità, al teppismo giovanile, al fenomeno delle baby gang e del branco. L'esigenza è quella di capire, di individuare il virus che catapulta milioni di adolescenti dentro quelle dinamiche di illegalità che il sistema non riesce a controllare. Per questo fin ora alla punizione veniva sempre affiancata un opera di recupero sociale che prevedeva il reinserimento del giovane attraverso un accurato ed efficace lavaggio del cervello. Dunque si studia, si forniscono dati e statistiche agli organi di repressione e si elaborano le pratiche più efficaci per sopire l'animo turbolento dei piccoli criminali.
     Le cifre, relativamente significative, evidenziano l'aumento in Italia dei reati commessi da minori. La criminalità minorile sembra essere più diffusa al Nord (40%) meno al Sud (23%). Le cause sono sempre le stesse: furti, rapine, detenzione di stupefacenti, lesioni, danneggiamenti. Le pene sempre più articolate e restrittive servono all'opinione pubblica per guadagnare almeno l'illusione di un mondo quieto, pulito e finalmente liberato dall'immondizia che insudicia le città.
     Con un approccio simile si fa presto a raggiungere l'equazione adolescente = criminale. Ed è proprio da questa equazione che parte il disegno di legge (ddl) approvato il 1 marzo 2002 dal consiglio dei ministri.
     Un ddl che prevede un radicale inasprimento delle pene e che sembra privilegiare la vendetta sociale contro l'illegalità rispetto all'ipocrisia del recupero e del reinserimento. La legge, fortemente voluta dal ministro Castelli, prevede l'abolizione dei tribunali per minorenni, sostituiti da sezioni specializzate presso i tribunali ordinari e l'unificazione delle competenze civili in materia di famiglia e minori. Venuto a mancare il concetto di recupero sociale il ruolo degli psicologi, dei neuropsichiatri infantili ecc. diventa assolutamente marginale. Gli scienziati che per anni hanno fatto i soldi usando come cavie ragazzi e ragazze a cui imporre test, analisi, colloqui informali e altre stronzate inutili, non affiancheranno più i giudici prima della sentenza. Il loro ruolo sarà da oggi solo quello di consulenti esterni. Verranno inoltre diminuite le attenuanti per i minori che commettono reati (da un terzo ad un quarto) e una volta raggiunti i 18 anni di età per i detenuti si apriranno le porte del carcere normale ovvero gli stessi istituti dove vengono reclusi i maggiorenni. La riforma prevede inoltre l'esclusione dell'istituto della messa in prova per i reati ritenuti particolarmente gravi come l'omicidio o la violenza carnale. Con queste rifiniture il sistema repressivo nazionale si adegua ai canoni delle più moderne ed evolute democrazie occidentali non solo investendo miliardi in gabbie di acciaio e cemento armato, ma ristrutturando, speculando sull'allarme microcriminalità, le norme che regolano giuridicamente le problematiche legate al mondo giovanile. Secondo Castelli quindi i ragazzi non possono più essere trattati come adolescenti che sbagliano, ma come veri e propri criminali. Il Guardasigilli giustifica poi così la riforma approvata al consiglio dei ministri:
     "La delinquenza minorile è cambiata. Non si tratta più di teppistelli, ma ci sono ormai ragazzi di 16 anni che reati gravi come gli adulti. Era necessaria quindi una restrizione delle previsioni attenuanti". Non è tutto. "L'impianto penalistico in vigore - ha aggiunto il ministro - era stato pensato su un tipo di delinquenza che non esiste più. Gli esperti ormai sono concordi nel dire che la realtà è un'altra [...] siamo quindi intervenuti su alcuni punti, restringendo la diminuente prevista dal codice da un terzo a un quarto". Si invoca il carcere, la detenzione, la pena e l'inquisizione. Si elaborano punizioni esemplari. Si invoca giustizia e legalità in nome di una pace sociale che nutrendosi di vite e coscienze prova a scagliarsi con ogni mezzo contro tutto ciò che non si riesce a controllare e normalizzare.
     In un paese dove fobie ed isterie allarmistiche determinano violente campagne repressive a 360°, questa riforma è passata quasi sotto silenzio. E mentre girotondi, fiaccolate e grottesche adunate chiedono a gran voce ancora più legalità e controllo, fuori, nelle strade, continua il gioco pericoloso e violento che vede guardie e ladri scontrarsi dentro ad un'interminabile esplosione di eventi.

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Il materiale che ci ha aiutato nella realizzazione di queste pagine è stato tratto dai siti:
www.senzacensura.org
www.tmcrew.org/mw4k
www.geocities.com/grupo_libertad
www.ecn.org/filiarmonici



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