Viaggio nell'inferno dei "gulag"
Riccardo Barlaam
Il Sole 24Ore, 15 febbraio 2004

A tradirla fu una canzone dei Beatles. Hae Nam Jl è una dei pochi sopravvissuti all'inferno dei gulag nordcoreani. Il destino per lei prende un'altra direzione il giorno di Natale 1992. Quella sera decide di invitare quattro amiche a cena. Restano a tavola a lungo cercando di scaldarsi con il cibo e la compagnia. Alla fine, davanti a una torta e ai riflessi delle candele accese, cominciano a cantare. Lei intona "Non piangere per me, piccola sorella", un canto popolare della Corea del Sud. E poi "Obladì-Obladà" dei Beatles che aveva ascoltato tanti anni prima di nascosto da Radio Seul. L'eco di quelle parole straniere, di quella festa, per una ricorrenza cristiana vietata nel Paese, arriva a un suo vicino.
In Corea del Nord, come nell' Albania stalinista di Enver Hoxha, in ogni condominio si nasconde un informatore del regime. A Tirana, nei tempi d'oro del comunismo reale, c'è stato chi è finito in un campo di rieducazione solo perché aveva detto ad alta voce che mancava il latte, estenuato dalle code davanti ai magazzini di Stato che distribuivano razioni alimentari con la tessera. A Pyongyang il mondo è ancora così. Un buco nero.
Hae Nam Jl viene denunciata dal vicino. L'accusano di aver disturbato "l'ordine socialista" diffondendo la "cultura reazionana occidentale contraria agli ideali della rivoluzione". Con un biglietto di sola andata finisce in un gulag nascosto tra le montagne, al confine con la Manciuria. Le sue compagne, hanno un destino migiore: otto mesi di lavori forzati. Lei, nei primi quindici giorni di detenzione, viene malmenata e violentata a turno dalle guardie carcerarie. Prova a suicidarsi. A tagliarsi le vene con quello che le capita sottomano. Dei sassi. Pezzi di cemento aguzzi. Ma non ci riesce. Viene condannata a lavorare in un cementificio. Dodici ore al giorno, tutto 1'anno, domeniche comprese. Per un pugno di mais. Otto anni dopo la rilasciano. La "rieducazione" è terminata. Lei decide che non può più restare. Qualche giorno più tardi attraversa la frontiera cinese dal fiume Tumen. E grazie all'aiuto di un pastore protestante sudcoreano riesce ad arrivare fino a Seul dove chiede asilo politico.
Più di 200mila persone, compresi donne e bambini accusati di "reati politici", sono rinchiusi nei campi di prigionia nordcoreani, secondo le stime dell'Osservatorio sui diritti umani delle Nazioni Unite. Il regime semifeudale di Kim Il Sung prima, e quello di suo figlio Kim Jong Il dopo, hanno sempre negato l'esistenza di questi luoghi di detenzione. Nonostante le testimonianze dei sopravvissuti come Hae Nam Jl, e le foto satellitari pubblicate di recente dalla "Far eastern economic review" che ne confermano per la prima volta l'esistenza.
Esistono due tipi di gulag in Corea del Nord. I kwan-li-so, le colonie penali per i detenuti politici dalle quali è quasi impossibile uscire vivi. E i kyo-hwa-so, i campi di rieducazione a tempo. Colonie di lavori forzati "dove rendere migliori le persone" come recita la propaganda del regime.
Ogni anno, il 20-25% della popolazione internata nei gulag muore a causa delle disumane condizioni di lavoro e della mancanza di cibo (anche prima della crisi alimentare che ha colpito il Paese dalla metà degli anni 90). Uno squarcio in questo buco nero è offerto per la prima volta dalle testimonianze raccolte nel dossier "The Hidden Gulag" da Oavid Hawk, un veterano nella difesa dei diritti umani che ha già operato in Ruanda e nei Balcani.
I prigionieri politici dei kwan-li-so lavorano come schiavi nelle miniere, in aziende agricole, nelle falegnamerie, nelle fabbriche di armamenti. Sono addirittura usati come cavie negli esperimenti per la costruzione di armi chimiche. Le donne incinte, altro particolare emerso dalle testimonianze, vengono obbligate ad abortire per estirpare alla radice una nuova generazione di possibili dissidenti. E diversi testimoni hanno riferito di aver assistito a infanticidi: i figli "bastardi", nati dalle relazioni-baratto tra cinesi e nordocoreane in cerca di cibo oltrefrontiera. Appena nati i bambini vengono uccisi dalle guardie dei gulag per una sorta di pulizia etnica in salsa asiatica.
"I nemici di classe, chiunque essi siano, devono essere eliminati per tre generazioni" era l'ordine di scuderia del condottiero Kim Il Sung. Così, intere famiglie di dissidenti, per tre generazioni, sono finite in un campo di prigionia per una semplice denuncia, sulla scorta della delazione, senza alcun processo. Chol Hwan Kang è uno di questi. I suoi nonni, ricchi imprenditori coreani-giapponesi, alla fine degli anni 50 decidono di rimpatriare per contribuire alla costruzione del socialismo in Corea del Nord. Un giorno, il nonno scompare senza lasciare traccia. Qualche settimana più tardi l'intera famiglia Kang viene internata nel kwan-li-so numero 15 a Yodok. Il kwan-li-so numero 15 è l'unico tra i campi di prigionia politici che ha una sezione di rieducazione, dalla quale un piccolo numero di persone può sperare un giorno di uscire. Lui ha solo nove anni. Rimane nel gulag fmo a diciannove anni quando viene rilasciato senza spiegazioni. Come tanti ex detenuti è scappato dal suo Paese. Ha scritto un libro per raccontare la sua terribile esperienza (Les aquariums de Pyong-yang, edizioni Robert Laffont, Parigi, 2000) e oggi, a 36 anni, lavora come giornalista per "Chosun Ilbo Daily", il più diffuso quotidiano sudcoreano.
"Avevo dieci anni - racconta - quando fui messo a lavorare in un cantiere edile del campo di Yodok. Dovevamo costruire un palazzo. C'erano dozzine di bambini con me nel cantiere. Molti di loro crollavano dalla stanchezza o morivano in incidenti sul lavoro. I loro corpi venivano sepolti segretamente senza mostrarli ai parenti. Per combattere la fame andavamo a caccia di topi e serpenti. Ho fatto degli sforzi tremendi per riuscire a sopravvivere. Più volte l'anno c'erano delle esecuzIoni in pubblico. I condannati prima di essere uccisi venivano torturati. Non gli davano cibo e gli spezzavano le ossa delle braccia e delle gambe per farli diventare più leggeri da trasportare dopo la morte. I gulag sono simili ai campi di concentramento nazisti".
I primi campi di lavoro vengono creati subito dopo la seconda guerra mondiale per isolare i potenziali nemici della rivoluzione: proprietari terrieri, collaborazionisti dei giapponesi, leader religiosi e familiari di persone incarcerate dopo la divisione sovietico-americana del Paese in due. Altre purghe nel partito, dal dopoguena a oggi, coincidono con lo sviluppo del culto della personalità del leader nordcoreano, e poi di suo figlio Kim Jong Il. Da metà degli anni 90 c'è stato un crollo del sistema produttivo. E ai prigionieri politici si sono aggiunti i tanti detenuti dei campi di rieducazione, catturati perché espatriavano in Cina in cerca di cibo. La rieducazione consiste nella memorizzazione forzata dei discorsi di Kim Il Sung e di Kim Jong Il in sessioni di autocritica serale dopo un giorno di lavoro.
Si finisce nei campi di rieducazione anche per reati meno gravi come, per esempio, le transazioni economiche private o l'inefficienza dei dirigenti statali. Soon Ok Le è una ex dirigente statale e ha vissuto sette anni in un campo di rieducazione. "Sono stata imprigionata nel campo di pulizia mentale di Kaechon, nella provincia di Pyungbul, dal 1987 al 1993. Ero la dirigente dell'ufficio statale che controllava la distribuzione di cibo alla popolazione. Sono stata arrestata perché da quando l'economia del Paese era caduta in recessione il sistema di distribuzione non funzionava più: non c'era niente da distribuire".
Nel gulag di Kaechon sono rinchiusi 6mila prigionieri. "Le guardie ci dicevano: "Voi non avete diritti. Dovete pensare di essere delle bestie, degli animali altrimenti non sopravviverete". Per sette anni ho mangiato solo mais bollito e lavorato negli altiforni di un'acciaieria. Eravamo trattati davvero come bestie. Ho visto tante vittime, centinaia di morti uccisi dai test per le armi chimiche. Uscita dal campo, appena ho potuto sono scappata. La Corea del Nord è un inferno sulla terra. Non ci si può vivere".

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Corea del Nord: la BBC denuncia test sulle armi chimiche e biologiche nei lager

http://www.squilibrio.it/, 3 febbraio 2004

In un documentario recentemente andato in onda sulla rete della BBC sono stati denunciati gli esperimenti fatti sui prigionieri dei campi di concentramento della Corea del Nord, per testare armi chimiche e batteriologiche. I testimoni intervistati dalla BBC dicono che la Corea del Nord fa funzionare delle camere di gas tossico, nel suo più grande campo di concentramento, il campo 22. Kwon Hyuk, che prima di fuggire dalla Corea del Nord lavorava al campo 22, ha raccontato di essere stato testimone della gassazione di un'intera famiglia: "I genitori sono stati presi da attacchi di vomito e sono morti, ma fino all'ultimo momento hanno tentato di salvare i bambini facendo la respirazione bocca a bocca ... La camera di vetro è sigillata ermeticamente ... C'è un tubo d'iniezione che passa nell'unità. Normalmente, una famiglia resta insieme e si tengono i prigionieri singoli separatamente negli angoli. Gli scienziati osservano il processo intero dall’alto, attraverso il vetro. ... In quel momento là, ho ritenuto che in fondo meritassero una tale morte. Poiché noi tutti, eravamo portati a credere che tutte le cattive cose che succedeva in Corea del Nord accadevano per colpa loro. ... Sarebbe una menzogna totale per me dire che sentivo compassione verso i bambini che morivano di una morte così penosa. Sotto la società ed il regime dove ero all'epoca, ho soltanto ritenuto che fossero nemici. Dunque non ho sentito alcuna simpatia o pietà per loro." Un altro testimone Soon Ok-Lee, detenuto per sette anni ha raccontato: "un ufficiale mi ha ordinato di scegliere 50 prigioniere sane. Una delle guardie mi ha dato un canestro pieno di cavolo inzuppato e mi ha detto di non mangiarlo, ma di darlo alle 50 donne. L’ho distribuito ed ho inteso il grido penetrante di quelle che lo avevano mangiato. Tutte gridavano e vomitavano del sangue. Tutte coloro che hanno mangiato gli strati di cavolo hanno iniziato a vomitare violentemente del sangue e gridare di dolore. Era l'inferno. In meno di 20 minuti erano tutte morte." Oltre alle testimonianze, vi sono altre prove e documenti di simili esperimenti nei campi di concentramento nordcoreani, coem per esempio una "lettera di trasferimento" datata febbraio 2002 che fa riferimento a Lin Hun-hwa, 39 anni : "la persona suddetta è trasferita al campo... numero 22 allo scopo di sperimentazione umana di gas liquido per armi chimiche." A fronte di queste notizie, per ora l'unica reazione ufficiale è stata quella dello Yad Vashem [http://www.yadvashem.org.il/about_yad/press_room/temp_index_press_room.html], il museo israeliano della Shoà, che ha scritto al segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, ricordandogli che si era impegnato a prevenire futuri genocidi. La Corea del Nord è uno dei paesi più chiusi del mondo. Si calcola che vi siano almeno 200.000 prigionieri politici e il solo campo 22 potrebbe detenere 50.000. Negli ultimi anni è stata preda di gravi carestie, dovute anche alla pessima gestione delle risorse da parte del regime. Ciononostante il settore di punta per il paese resta quello militare: dopo essersi dotata della bomba atomica, la Corea del Nord sembra che sperimenti ogni genere di armi di distruzione di massa, chimiche e biologiche.