Nessun manicomio a primavera
Sabrina Deligia
Liberazione, 10 gennaio 2004

È tempo di mobilitazione contro il disegno di legge Burani-Procaccini che a marzo torna in aula alla Camera e porta con sé tanti piccoli lager privati Massimo, detto Cavaocchi, se ne sta da qualche anno dietro un vetro. Una decina d'anni fa faceva il fotografo, poi un giorno gli è venuto in mente di aprire la portiera di una vecchia Fiat 850, salirci sopra, mettere in moto e percorrere duecento metri. A fine corsa Massimo è stato arrestato per furto d'auto e sbattuto all'ospedale psichiatrico giudiziario (opg) di Aversa in quanto ritenuto "socialmente pericoloso". Ed è lì che Massimo si è trasformato in Cavaocchi, strappando durante una lite gli occhi ad un altro internato dell'opg. Il mostro è chiaro non è Massimo ma l'istituzione che lo ha plasmato da persona a criminale. Istituzione ancora viva e vegeta in Italia: sei gli opg ancora in piedi, circa 1200 i "ristretti" ufficiali, molti di più denunciano volontari e familiari. Il dramma di Massimo, e quello di tutti gli altri internati ad Aversa, pazienti e custodi, è stato proiettato ieri alla sala "Luigi Di Liegro" di Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma, durante il convegno "Salute mentale è partecipazione". Il documentario "Socialmente Pericolosi" di Stefano Mencherini e Fabrizio Lazzaretti girato nel 2001 e trasmesso a ore improbabili dalla Rai è un pugno allo stomaco per chi non ha mai messo piede in un manicomio. Perché dimostra come in Italia per finire in un manicomio criminale non è necessario essere "pazzi". Così Massimo è finito ad Aversa e, come lo stesso direttore dell'opg, Adolfo Ferraro, dichiara nel documentario: «Se uno come lui entra in un luogo come questo finisce per dare i numeri davvero». Così è stato. Dal punto di vista giuridico, gli internati appartengono alla categoria dei "prosciolti", termine che definisce i responsabili di reati incapaci di intendere e di volere al momento del fatto. Così potrebbe essere per ognuno di noi da qui a poco infatti, se il disegno di legge Burani Procaccini - la cui discussione è prevista per marzo - passerà in aula alla Camera, in Italia si aprirebbero tanti piccoli manicomi privati in linea con la logica mercantile che anima il governo Berlusconi e suoi governanti. La Regione Lazio, ad esempio, si è già attrezzata firmando una convenzione, dopo aver tagliato i fondi alle strutture pubbliche territoriali e chiuso una decina di dipartimenti di salute mentale e case famiglia. Così ci sarà posto per tutti: poveri, migranti, disoccupati, fumatori di cannabis, tifosi, topi d'appartamento, studenti svogliati o antagonisti. Insomma queste nuove strutture manicomiali gestite dai privati e finanziate dallo stato "custodiranno" a protezione dell'ordine pubblico e sociale chiunque - su segnalazione di parenti, amici e vicini di casa, chiunque ne abbia interesse, come suggeriscono i relatori della legge - possa essere ritenuto "socialmente pericoloso" e idoneo a due mesi (prorogabili) di Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) da una apposita "commissione di controllo" composta da un giudice cautelare, uno psichiatra ed un rappresentante delle associazioni dei familiari.
Contro questo tentativo di medicalizzare (oltre che criminalizzare) il disagio sociale è partito l'appello alla mobilitazione (in vista dell'appuntamento primaverile con la Burani-Procaccini) condiviso ieri nella sala gremitissima di Palazzo Valentini da Tiziana Biolghini consigliere provinciale con delega alle problematiche dell'handicap; Luigi Attenasio direttore dipartimento della salute mentale Asl Roma C; Giusi Gabriele presidente del consiglio di amministrazione della Farmacap; Roberta Agostini, presidente commissione cultura e politiche sociali della provincia; Claudio Cecchini assessore provinciale alle politiche sociali; Daniela Pezzi della Consulta cittadina per la salute mentale; Vanni Pecchioli, presidente coop sociale Conto alla Rovescia; Girolamo di Giglio, presidente Aresam Lazio; Alberto Gaston docente di psichiatria all'università La Sapienza; Paolo De Nardis ordinario di sociologia a La Sapienza. Con il passar delle ore la discussione si è arricchita di altri interventi a sostegno della battaglia contro vecchi e nuovi manicomi nel nome di Franco Basaglia: «Quando diciamo no al manicomio - sosteneva il padre della 180 - noi diciamo no alla miseria del mondo e ci uniamo a tutte le persone che nel mondo lottano per una situazione di emancipazione».