Nessun manicomio a primavera È tempo di mobilitazione contro il disegno di legge Burani-Procaccini
che a marzo torna in aula alla Camera e porta con sé tanti piccoli lager
privati Massimo, detto Cavaocchi, se ne sta da qualche anno dietro un vetro.
Una decina d'anni fa faceva il fotografo, poi un giorno gli è venuto
in mente di aprire la portiera di una vecchia Fiat 850, salirci sopra, mettere
in moto e percorrere duecento metri. A fine corsa Massimo è stato arrestato
per furto d'auto e sbattuto all'ospedale psichiatrico giudiziario (opg) di Aversa
in quanto ritenuto "socialmente pericoloso". Ed è lì
che Massimo si è trasformato in Cavaocchi, strappando durante una lite
gli occhi ad un altro internato dell'opg. Il mostro è chiaro non è
Massimo ma l'istituzione che lo ha plasmato da persona a criminale. Istituzione
ancora viva e vegeta in Italia: sei gli opg ancora in piedi, circa 1200 i "ristretti"
ufficiali, molti di più denunciano volontari e familiari. Il dramma di
Massimo, e quello di tutti gli altri internati ad Aversa, pazienti e custodi,
è stato proiettato ieri alla sala "Luigi Di Liegro" di Palazzo
Valentini, sede della Provincia di Roma, durante il convegno "Salute mentale
è partecipazione". Il documentario "Socialmente Pericolosi"
di Stefano Mencherini e Fabrizio Lazzaretti girato nel 2001 e trasmesso a ore
improbabili dalla Rai è un pugno allo stomaco per chi non ha mai messo
piede in un manicomio. Perché dimostra come in Italia per finire in un
manicomio criminale non è necessario essere "pazzi". Così
Massimo è finito ad Aversa e, come lo stesso direttore dell'opg, Adolfo
Ferraro, dichiara nel documentario: «Se uno come lui entra in un luogo
come questo finisce per dare i numeri davvero». Così è stato.
Dal punto di vista giuridico, gli internati appartengono alla categoria dei
"prosciolti", termine che definisce i responsabili di reati incapaci
di intendere e di volere al momento del fatto. Così potrebbe essere per
ognuno di noi da qui a poco infatti, se il disegno di legge Burani Procaccini
- la cui discussione è prevista per marzo - passerà in aula alla
Camera, in Italia si aprirebbero tanti piccoli manicomi privati in linea con
la logica mercantile che anima il governo Berlusconi e suoi governanti. La Regione
Lazio, ad esempio, si è già attrezzata firmando una convenzione,
dopo aver tagliato i fondi alle strutture pubbliche territoriali e chiuso una
decina di dipartimenti di salute mentale e case famiglia. Così ci sarà
posto per tutti: poveri, migranti, disoccupati, fumatori di cannabis, tifosi,
topi d'appartamento, studenti svogliati o antagonisti. Insomma queste nuove
strutture manicomiali gestite dai privati e finanziate dallo stato "custodiranno"
a protezione dell'ordine pubblico e sociale chiunque - su segnalazione di parenti,
amici e vicini di casa, chiunque ne abbia interesse, come suggeriscono i relatori
della legge - possa essere ritenuto "socialmente pericoloso" e idoneo
a due mesi (prorogabili) di Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) da una
apposita "commissione di controllo" composta da un giudice cautelare,
uno psichiatra ed un rappresentante delle associazioni dei familiari.
Sabrina Deligia
Liberazione, 10 gennaio 2004
Contro questo tentativo di medicalizzare (oltre che criminalizzare) il disagio
sociale è partito l'appello alla mobilitazione (in vista dell'appuntamento
primaverile con la Burani-Procaccini) condiviso ieri nella sala gremitissima
di Palazzo Valentini da Tiziana Biolghini consigliere provinciale con delega
alle problematiche dell'handicap; Luigi Attenasio direttore dipartimento della
salute mentale Asl Roma C; Giusi Gabriele presidente del consiglio di amministrazione
della Farmacap; Roberta Agostini, presidente commissione cultura e politiche
sociali della provincia; Claudio Cecchini assessore provinciale alle politiche
sociali; Daniela Pezzi della Consulta cittadina per la salute mentale; Vanni
Pecchioli, presidente coop sociale Conto alla Rovescia; Girolamo di Giglio,
presidente Aresam Lazio; Alberto Gaston docente di psichiatria all'università
La Sapienza; Paolo De Nardis ordinario di sociologia a La Sapienza. Con il passar
delle ore la discussione si è arricchita di altri interventi a sostegno
della battaglia contro vecchi e nuovi manicomi nel nome di Franco Basaglia:
«Quando diciamo no al manicomio - sosteneva il padre della 180 - noi diciamo
no alla miseria del mondo e ci uniamo a tutte le persone che nel mondo lottano
per una situazione di emancipazione».