UNIVERSO CARCERARIO
Le società contemporanee vogliono il carcere. In pochi decenni, la punizione
tramite il carcere è diventata, nella mente della gente, la soluzione
miracolosa a tutte le forme di delinquenza, ivi comprese le meno pericolose.
La convinzione dell'efficacia del carcere ha portato il mondo attuale a una
fuga in avanti verso un "carcere a tutti i costi", le cui conseguenze
sono disastrose da molti punti di vista. Benché molte ricerche dimostrino
che le pene più pesanti non hanno carattere dissuasivo, le cose non cambiano.
Salvo rare eccezioni, oggi i tribunali condannano di più e più
pesantemente. Da un quarto di secolo la popolazione carceraria è aumentata
quasi ovunque nel mondo a un ritmo molto più rapido di quello della popolazione.
Negli Stati Uniti, che sono i campioni in materia, i detenuti sono triplicati
dal 1980, mentre il tasso di criminalità è aumentato soltanto
del 7%. Nel 2001, la prima potenza mondiale aveva più di 2 milioni di
detenuti, contro un po' meno di 1,3 milioni nel 1992 e 500.000 circa nel 1980.
Con 669 detenuti ogni 100.000 abitanti, gli Stati Uniti hanno superato la Russia.
In quest'ultimo Paese, il numero dei prigionieri è passato da 722.000
nel 1992 a più di 1 milione nel 1998, mentre il numero globale dei russi
accusava un leggero calo, passando da 148 a 146 milioni di abitanti tra il 1990
e il 2000, il che dà un rapporto di 680 ogni 100.000. Da allora il rapporto
è leggermente diminuito. Accanto a questi due Paesi, la Cina, per quanto
se ne sa, appare quasi un modello di virtù con i suoi 115 detenuti per
100.000 abitanti e un numero totale di prigionieri stimato ufficialmente in
circa 1,5 milioni. La valutazione delle conseguenze sociali, sanitarie, psicologiche
di questa fuga in avanti è ancora incompleta. In materia di salute, le
statistiche sono chiaramente catastrofiche in certi Paesi. Ovunque i tassi di
morbilità e mortalità dei detenuti sono molto superiori alla media
della popolazione. Ovunque tubercolosi e AIDS fanno strage. In Africa, l'incidenza
della tubercolosi è di 665 individui su 100.000 in ambiente carcerario,
contro i 60 per 100.000 nel resto della popolaZione2. Nel 2000 quasi 100.000
detenuti russi, vale a dire circa il 10% della popolazione carceraria, erano
affetti da tubercolosi e più di 4. 000 da AIDS. In Brasile il 20% dei
detenuti sono portatori di HIV. A Puerto Rico, secondo il centro di controllo
delle malattie di Atlanta, il 94% dei detenuti sarebbe affetto da epatite C.
E potremmo continuare a lungo questa importuna litania dell'orrore. Il "carcere
a tutti i costi", dunque, non risolve niente, anzi. Ma non per questo tale
opzione sembra regredire, perché ormai lo stress derivante dall'insicurezza
è una caratteristica delle società contemporanee a Nord come a
Sud. Carceri sovraffollate La popolazione carceraria mondiale si avvicina ai
9 milioni di individui. Questo dato, fornito dalle Nazioni Unite, è un'approssimazione
dato che non si conosce il numero esatto dei detenuti in Cina. Ma, poiché
ogni detenuto fa parte di una famiglia, il numero di persone direttamente coinvolto
nel sistema carcere è molto più consistente: per avvicinarvisi
occorre come minimo triplicare il numero dei detenuti. Un'altra caratteristica
consiste nella schiacciante maggioranza della popolazione carceraria maschile.
Questa è composta sostanzialmente da giovani maschi adulti, nel pieno
vigore degli anni, il che aggrava i problemi connessi con la promiscuità.
Nell'ambiente carcerario, la sessualità è un problema di grande
rilevanza. In ragione di tale promiscuità, l'ambiente carcerario è
altresì patogeno e i giovani detenuti sono esposti a tutti i tipi di
malattie infettive. La tubercolosi, per esempio, assume in carcere dimensioni
catastrofiche e colpisce decine di migliaia di persone in numerosi Paesi. Il
pericolo rappresentato da una simile situazione sulla salute non è mai
preso in considerazione. Le donne rappresentano soltanto dal 2 al 5% di questa
popolazione, a seconda dei Paesi. Poiché esercitano più raramente
degli uomini ruoli economici pubblici e dunque hanno minori responsabilità
in questi ambiti, cioè meno potere, sono anche meno esposte alla corruzione.
Inoltre, frequentando in misura minore i luoghi pubblici, hanno di conseguenza
meno opportunità di commettere certi reati. Per altro verso, le società
proteggono di più le donne degli uomini. Si può dire che il loro
statuto abbia due facce: le società maschili conferiscono loro meno potere
e meno responsabilità perché le considerano deboli, bisognose
di protezione, perché suscitano pena allo stesso modo di altre categorie
definite vulnerabili. Infine esistono categorie di reati, come lo stupro, che
sono specificamente maschili. Ma, paradossalmente, le donne commettono un numero
maggiore di reati gravi, come gli omicidi. Sono infatti tante a essere state
condannate per l'uccisione di un parente maschio. Nel 1992 il carcere femminile
di Tirana (Albania) ospitava venticinque detenute. Tutte erano state condannate
per l'omicidio del marito, del padre o del fratello. Spesso le donne non hanno
scelta: o si uccidono o uccidono, In Pakistan, in Iran e in tutte le società
molto repressive in fatto di sessualità, i suicidi femminili sono anormalmente
numerosi. Il sovraffollamento delle carceri, misurato in funzione della capacità
di accoglienza dei luoghi di detenzione, è una caratteristica comune
a tutti i Paesi del mondo, salvo rare eccezioni. La capacità di alloggio
di un carcere non si calcola unicamente in funzione del numero di letti, ma
deve prendere in considerazione l'esistenza di altri luoghi necessari alla convivenza:
cucine, sanitari, refettori, luoghi di riunione e di ricreazione, palestre ecc.
Si può stimare il sovraffollamento anche in funzione del rapporto percentuale
di incarcerazione, vale a dire del numero di detenuti per 100.000 abitanti.
Nel mondo tale rapporto va da un massimo di circa 700 ogni 100.000 (è
il caso della Russia e degli Stati Uniti, che rappresentano i picchi dell'universo
carcerario, se si esclude la situazione parossistica esistente in Ruanda) a
un minimo di 100-150 per 100.000, che troviamo soprattutto in Europa occidentale
(i Paesi scandinavi da tempo hanno le percentuali più basse del mondo).
Nell'ultimo quarto di secolo, si è assistito a un aumento esplosivo del
numero di detenuti nel mondo. Il fatto è che ovunque l'opinione pubblica
si è mobilitata in difesa del carcere come soluzione miracolosa contro
la delinquenza. Oggi il mondo reclama più prigioni. Questa deriva è
amplificata da due fenomeni che si rafforzano reciprocamente: il ruolo dei media
e la demagogia elettoralista degli uomini politici nei Paesi democratici. "Meno
prigioni", oggi, non è certo un argomento elettorale. Al contrario,
la lotta contro la criminalità e il rafforzamento della sicurezza sono
elementi che pagano presso l'opinione pubblica, che vuole essere rassicurata.
Tutto accade come se i politici si proponessero di soddisfare i presunti auspici
dell'opinione pubblica, le cui paure, in realtà, sono state in gran parte
fomentate proprio da loro, giocando spesso di anticipo. Le strategie elettorali
sono elaborate sulla base di ciò che potrebbe rendere popolare il candidato.
E la popolarità è spesso percepita dagli strateghi come qualcosa
che debba passare attraverso la soddisfazione delle esigenze di sicurezza, che
vengono molto prima di problemi altrettanto cruciali quali il lavoro. Tutto
accade come se, a ogni campagna elettorale, si cercasse di sedurre la parte
più conservatrice dell' opinione pubblica, privilegiandone le rivendicazioni.
E queste ultime sono amplificate dalla risonanza mediatica che viene conferita
loro. ~ in questo modo che si crea l'esigenza della massima sicurezza, di cui
lo straniero è spesso la prima vittima (a loro scusante, occorre però
sottolineare come la stigmatizzazione dell'immigrato non sia esclusivo appannaggio
dei Paesi ricchi: la si ritrova ovunque, a cominciare da Africa e Medio Oriente).
Nel corso delle carripagne elettorali del 2002, gli uomini politici francesi
hanno espresso in maniera grottesca questa deriva populista venata di rimandi
continui alla sicurezza. Anche il ruolo dei media è molto importante
nella formazione dell'opinione pubblica. Il primo obiettivo della maggior parte
di stampa e televisione è di vendere e vendersi e, per fare ciò,
privilegiano gli eventi sensazionali. Infatti, come i politici, immaginano che
l'opinione pubblica sia ghiotta di quel tipo di informazione, che costituisce
il terreno fertile su cui si sviluppano le ansie di sicurezza. E siccome si
ritiene che il "carcere a tutti i costi" sia il mod6 migliore per
garantire la sicurezza pubblica, ecco che i giochi sono fatti. L'idea che il
carcere sia efficace proviene dal falso convincimento che abbia sul delinquente
un effetto dissuasivo. Ma numerosi studi dimostrano che non esiste un legame
di causa ed effetto tra il reato e il timore della sanzione. Il criminale, prima
di commettere un reato, non pensa alla punizione in cui potrà incorrere.
Gli Stati Uniti esprimono nella maniera più paradossale una simile impostazione.
Quello che è terrificante in questo Paese è che, nonostante la
diminuzione della delinquenza nel corso degli ultimi anni, i politici chiedono
ancora più carcere. E noto il caso di un uomo condannato a venticinque
anni di carcere per aver rubato un quarto di pizza, in virtù della legge
sulla recidiva, la quale, dopo il terzo reato e quale che sia la sua gravità,
condanna il recidivo a una pena di venticinque anni, che non può essere
ridotta. Gli Stati Uniti, la Russia e i loro emuli Un quarto della popolazione
carceraria mondiale, vale a dire un po' più di 2 milioni di persone,
si trova negli Stati Uniti, dove però risiede soltanto il 4% della popolazione
del globo. Questa situazione si spiega in buona parte con la storia violenta
di questo Paese e con il suo culto dell'individualismo. L'esempio più
sorprendente di un tale retaggio è l'incredibile gestione del problema
delle armi da fuoco. Ci troviamo di fronte a un Paese in cui i ragazzi sono
educati alla pratica delle armi da fuoco, senza che nessuno tragga le conseguenze
del carattere catastrofico di tale dimestichezza. Ogni volta che si affronta
questo problema, si trova qualcuno che invoca la sacrosanta libertà dell'individuo
a difendersi e a decidere cosa è meglio per sé. Con il medesimo
retaggio si può anche spiegare il fatto che la giustizia sia scandalosamente
razzista, dato che le minoranze "di colore" sono anormalmente rappresentate
in seno alla popolazione carceraria. D'altro canto, il connubio tra individualismo
e liberismo che caratterizza gli Stati Uniti fa si che tutto sia monetizzabile.
Poiché il settore privato è sinonimo di efficienza, anche la gestione
della giustizia sta per essere privatizzata con la cessione a ditte specializzate
di numerose carceri. Una volta privatizzate, queste ultime non sono neppure
tenute a rispettare un capitolato di oneri, mentre le società che le
gestiscono sono quotate in Borsa. Più i letti delle carceri che amministrano
sono occupati, più le azioni salgono. In un Paese in cui l'efficacia
del lobbying ha quasi raggiunto la perfezione, c'è ragione di temere
che la lobby delle prigioni farà di tutto per accentuare la propensione
punitiva del sistema giudiziario. Negli Stati Uniti esiste un'economia del crimine
che va dalla criminalità organizzata e dalle mafie alla giustizia stessa.
Il modo in cui si tratta la delinquenza è ormai un business. Le deviazioni
della giustizia e del sistema carcerario discendono dalla vastità della
crisi che attualmente sta attraversando l'economia statunitense. Infatti, lo
stato delle prigioni è un buon indicatore della salute e del grado di
civiltà di una nazione. La crisi del sistema giudiziario è dunque
l'espressione di una crisi di valori. Lo Stato, che storicamente ha tolto all'individuo
il diritto di farsi giustizia per attribuirsene il monopolio e porre così
la giustizia al di sopra degli interessi individuali, oggi cede tale monopolio
a individui e gruppi privati per denaro. L'Australia dispone di un sistema di
gestione delle carceri analogo a quello degli Stati Uniti. Alcuni Paesi hanno
persino precorso questi ultimi su certi aspetti della gestione delle prigioni,
ma in forme differenti. La Francia, per esempio, subappalta da tempo a privati
il vitto, l'istruzione e la formazione, ma non la sorveglianza o la gestione
del carcere. Anche in Gran Bretagna esistono prigioni private: il ministero
dell'Interno ha messo in campo, in questo settore, la concorrenza tra pubblico
e privato sulla base di precisi capitolati di oneri. Secondo le autorità,
tale concorrenzialità ha migliorato il funzionamento del settore pubblico
e si è concretizzata in una umanizzazione delle condizioni di detenzione.
Ma oggi il vero pericolo è l'esistenza di imprese multinazionali britanniche,
statunitensi e francesi specializzate nella gestione penitenziaria, che si fanno
concorrenza tra loro per vendere le proprie competenze nei Paesi del Sud. Un'impresa
britannica ha fatto pressioni sul Malawi e il Lesotho affinché sottoscrivessero
un contratto. Una società francese è in trattative con il governo
libanese. Un'altra, statunitense, sta costruendo il più grande carcere
del Sudaffica. Si Comprende l'entità del pericolo se si tiene presente
che la maggior parte dei Paesi del Sud non dispone di alcuna capacità
di controllo e che la corruzione vi imperversa allo stato endemico. Una soluzione
di questo tipo risulta allettante per Paesi privi di mezzi che si vedono proporre
non solo la gestione, ma la costruzione di carceri, senza il minimo esborso
da parte loro. Anche in Russia è in auge la grottesca idea del carcere
a tutti i costi, che è anche espressione delle derive che si possono
osservare nell'insieme dei Paesi "in transizione". Quando si parla
di transizione degli ex Paesi socialisti, si pensa in generale alla democrazia.
Ma si tratta anche di una transizione verso il liberismo che provoca una grande
insicurezza economica e l'esplosione della disoccupazione. Questa, d'altro canto,
è una delle ragioni per le quali i partiti comunisti stanno tornando
al potere del tutto democraticamente, tramite elezioni. Un simile contesto ha
prodotto un aumento drastico della criminalità economica. Le mafie si
sono moltiplicate e i nuovi ricchi ostentano la loro opulenza senza alcun pudore.
Ma il potere utilizza anche il pretesto dei reati economici per condizionare
le opposizioni. Per altro verso, una parte della popolazione precarizzata cerca
di sopravvivere con qualsiasi mezzo, e il lavoro nero ha assunto dimensioni
enormi. Questo complesso di fenomeni consente di spiegare la comparsa di nuove
forme di criminalità. Oltretutto, è lo stesso sistema carcerario
a essere entrato in crisi. Nell'universo sovietico, le prigioni erano integrate
nel sistema di produzione pianificato che è stato smantellato. All'improvviso,
nessuno sa come gestire prigioni che non fruttano. Non si provvede più
alla manutenzione degli edifici e i detenuti sono lasciati in abbandono. La
Russia, tuttavia, sta tentando di lottare contro il sovraffollamento delle carceri
e, per fare ciò, ha emanato numerose leggi di amnistia, una delle quali,
nel 2001, ha permesso di scarcerare più di centomila detenuti. Reati
vecchi e nuovi I casi statunitense e russo sono tanto più preoccupanti
in quanto tutti gli studi effettuati dimostrano come la criminalità non
sia aumentata nei Paesi che hanno abolito la pena di morte o ridotto il ricorso
al carcere. Ma raramente l'opinione pubblica è influenzata dalle statistiche
reali: reagisce piuttosto a sollecitazioni d'altro tipo, in generale assai più
emotive. Le statistiche, peraltro, possono far emergere un aumento di certi
reati semplicemente perché i cittadini sporgono più denunce. È
il caso dei crimini a carattere sessuale e in specifico gli abusi sessuali sui
bambini. E non si può che rallegrarsi del fatto che certi comportamenti
siano ormai considerati reati passibili del carcere. Lo stupro, un tempo ritenuto
un reato minore, ora è ritenuto un reato più grave in un numero
sempre crescente di Paesi. In alcuni, come la Tanzania, è passibile di
una pena detentiva che il giudice non può ridurre. Al contrario, certe
azioni che un tempo costituivano reato, ormai sono considerate normali o comunque
tollerabili. L'evoluzione tecnologica ha poi creato nuovi reati, come la pirateria
informatica. Infine lo sviluppo spettacolare della criminalità organizzata
da un po' più di un decennio, grazie tra l'altro al perfezionamento dei
mezzi di comunicazione, ha comportato un aumento delle pene detentive. Più
in generale, nel mondo contemporaneo si assiste a una crescente criminalizzazione
dei reati e all'appropriazione di nuovi spazi da parte della giustizia. La sfera
familiare, per esempio, è coinvolta molto più che un tempo, con
sanzioni sempre più frequenti contro la violenza domestica o l'incesto.
Al contrario, le carenze delle istituzioni pubbliche in certi Paesi fanno si
che la giustizia si assuma una responsabilità inferiore a quella che
sarebbe di sua competenza. Uno studio effettuato nel 1996 dall'università
di Lagos ha dimostrato che l'86% dei reati commessi in Nigeria non arrivano
nemmeno a conoscenza della polizia. Altri studi effettuati in Gran Bretagna
hanno dimostrato che su cento persone il cui comportamento porta pregiudizio
alla società, soltanto sette varcano la soglia della prigione. È
necessario divulgare simili dati per tentare di convincere che il carcere a
tutti i costi non è una soluzione. L'opzione del carcere deve restare
marginale per conservare tutto il suo significato. Se è intesa come una
forma necessaria di protezione, è comunque una gestione della devianza
che deve essere utilizzata con discernimento. E soprattutto bisogna capire che
la percezione dell'insicurezza non sempre è espressione della realtà.
Le attuali condizioni di vita, soprattutto nelle megalopoli dove i legami sociali
v'anno disgregandosi, svolgono un ruolo preponderante anche nell'aumento di
quello che potremmo chiamare lo stress da ansia di sicurezza. Gli abitanti delle
megalopoli non si conoscono, non si fidano gli uni degli altri, non contano
gli uni sugli altri, non si sentono protetti dal vicinato. L'idea stessa di
vicinato è praticamente scomparsa, sostituita dalla volontà di
barricarsi per difendersi. Poiché non ci sono più vicini, ci si
mette sotto la protezione della tecnica, tanto che i sistemi di allarme non
sono mai stati venduti così bene. Questa evoluzione incoraggia la criminalità
nella misura in cui non ci si sente più tenuti a rispettare i codici
sociali e in cui è impossibile esercitare quella sorveglianza che invece
era inerente alla prossimità. Se nelle comunità tradizionali i
reati sono più rari, è perché il controllo collettivo grava
sugli individui. Si è anche visto che i processi di urbanizzazione possono,
a seconda dei casi, essere tanto un fattore di aumento quanto di diminuzione
della criminalità. Studi sociologici effettuati in Sudafrica hanno constatato
che il fatto di far passare una strada non più per il centro di una località,
ma per la periferia, diminuisce la delinquenza. E stato anche dimostrato che
quando un quartiere non ha spazi verdi, non ha luoghi di ritrovo dove i giovani
possano stare assieme, non ha spazi dedicati alla vita collettiva, non consente
contatti tra le generazioni, gli abitanti sono abbandonati a se stessi e i giovani
rimediano a tali deficienze creando bande e clan. Aggiungiamo a tutto ciò
che la società stigmatizza collettivamente gli abitanti delle periferie
difficili, che sono spesso fisicamente tagliate fuori dal resto della città.
Il tutto alimenta un senso di esclusione e di frustrazione, dunque di rivalsa
sociale, sentito da numerosi abitanti di quei quartieri. La natura del tessuto
urbano può dunque contribuire alla disintegrazione del tessuto sociale,
che a sua volta indebolisce nei più fragili il senso del lecito e dell'illecito.
Crisi dei sistemi di sanzione Diversi sono dunque i fattori che spiegano la
fuga in avanti verso il carcere a tutti i costi dei governanti e dei legislatori
di tanti Paesi, che emanano leggi sempre più rigide. Costoro sono convinti
di dover rispondere alle aspettative popolari esercitando una repressione sempre
maggiore. Quando viene commesso un assassinio da parte di un recidivo o di un
detenuto che, alla fine della pena, beneficia del diritto di uscire dal carcere,
è quasi automatico accusare la giustizia di lassismo e reclamare maggiore
fermezza. Ecco anche il motivo per cui i politici attribuiscono così
poca importanza alla prevenzione. Questa fuga in avanti impedisce oltretutto
alla giustizia di fare il proprio lavoro, poiché è continuamente
sopraffatta dal numero di pratiche che deve esaminare. Il sistema diventa sempre
più farraginoso e le infrastrutture, prive di mezzi come sono, si deteriorano.
Il periodo della carcerazione preventiva si protrae e i tempi impiegati per
esaminare un caso si allungano sempre più; tutto ciò favorisce
la corruzione perché, in certi Paesi, bisogna pagare affinché
una pratica arrivi in cima al mucchio. Così la giustizia risulta svuotata
delle sue vere mansioni ed esercitata in modo sempre più arbitrario e
ingiusto. Questa situazione accresce la mancanza di fiducia della popolazione
nel sistema giudiziario, cosa che spiega la propensione a farsi giustizia da
soli e il ritorno a forme di giustizia privata o comunitaria. In tal modo si
aggrava la crisi dei sistemi di sanzione, che va a colpire anche i Paesi più
sviluppati. Nei Paesi del Sud tale crisi è ancor più drammatica.
E quando certi responsabili dichiarano di voler migliorare il sistema, si limitano
ad alzare i muri di cinta delle prigioni e a moltiplicare le torrette: ecco
in che cosa consiste quasi sempre il miglioramento dei sistemi carcerari. Nel
frattempo, i detenuti sono abbandonati a se stessi, in condizioni a volte atroci,
come quelli che ho visto in una prigione libanese, costretti a dormire nei bagni
per mancanza di spazio. Certi Paesi intendono uscirne, come quelli in transizione
del Sud e dell'Est, ma non trovano i mezzi per farlo, tanto più che la
comunità internazionale non li aiuta molto. Oggi, l'interesse di quest'ultima
è rivolto alla lotta contro la criminalità organizzata transnazionale
più giustizia. A volte i detenuti si ribellano contro le lentezze della
giustizia. In Niger, nel 1998, ho sentito proprio dalla voce dei responsabili
dell'amministrazione penitenziaria la storia tragica di un gruppo di detenuti
in rivolta. Questi avevano rifiutato di recarsi in tribunale, sostenendo che
comunque nessuno si sarebbe occupato di loro e che solo i potenti avevano il
privilegio di essere processati rapidamente. Nel corso della discussione, avevano
malmenato il direttore dell'amministrazione penitenziaria. La guardia repubblicana,
incaricata di domare la rivolta, aveva sistemato i ventinove ribelli in una
cella in attesa di trasferirli in un carcere del Sahara. Era il weekend. Nella
cella sovraffollata e priva di aerazione i detenuti cominciarono a soffocare
e, per far cessare le loro grida, le guardie vi gettarono dei candelotti lacrimogeni.
Tutti i detenuti morirono. Ecco come possono finire dei reclusi che forse avevano
commesso soltanto reati minori e che ora non possono più sperare in alcun
processo. Probabilmente molti di loro sarebbero usciti alla fine del dibattimento.
In generale, il sovraffollamento delle carceri è catastrofico nei Paesi
del Sud. Poiché questi ultimi non hanno i mezzi per gestirlo, trattano
la maggior parte dei detenuti contravvenendo alle più elementari regole
del rispetto della persona. Quando non esiste amministrazione penitenziaria,
la polizia, che generalmente gestisce la sicurezza, delega a certi detenuti
l'esercizio della funzione di guardie e il mantenimento dell'ordine, con tutte
le deviazioni che si possono immaginare. In Nepal, nel 1994, nella prigione
centrale di Katmandu non c'era alcun sorvegliante. 1 detenuti che assolvevano
questa funzione disponevano persino di un'uniforme e di un bastone, e il loro
capo, anch'egli detenuto, aveva centoquattro persone ai suoi ordini! In Ruanda,
la cui situazione è certo particolare, i detenuti responsabili della
sorveglianza indossano un berretto con la scritta "sicurezza". Simili
situazioni sono tanto più gravi in quanto i capoccia delle prigioni sono
quelli che vengono scelti per mantenervi l'ordine. E anche se, in un primo momento,
i detenuti sorveglianti non sono capoccia, lo diventano in seguito grazie al
potere sugli altri che viene loro conferito; infatti sono loro a organizzare
la vita nelle celle, a distribuire l'acqua e il vitto, a stabilire le sanzioni
ecc. Le condizioni di vita dei detenuti sono spaventose in numerosi Paesi poveri.
In Pakistan, l'amministrazione stanzia per ogni detenuto soltanto un quarto
di. dollaro al giorno e, in certi casi, anche meno! Ma se si moltiplica questa
spesa irrisoria per 80.000, vale a dire il numero degli inquilini delle prigioni
pakistane, ci si rende conto che si tratta di un aggravio non trascurabile per
il bilancio. Il carcere a tutti i costi, dunque, è troppo costoso per
quei Paesi che non riescono a soddisfare i bisogni essenziali. Un dramma sociale
e sanitario Come ho già detto, la popolazione carceraria mondiale è
costituita in grande maggioranza da giovani maschi poveri. Questi detenuti sono
spesso capifamiglie, e i loro nuclei familiari si vedono privare all'improvviso
di una parte importante se non esclusiva di reddito, mettendo a repentaglio
soprattutto i figli, che sono spesso i più vulnerabili. In Ruanda, per
esempio, dove la popolazione carceraria è anormalmente elevata, le donne
stentano a occuparsi da sole dei lavori dei campi, e la produzione alimentare
ne risente. Oltretutto, non soltanto il detenuto non dà più alcun
contributo, ma diventa un peso quando occorre fornirgli regolarmente del cibo
supplementare. Questo fa sì che le famiglie dei prigionieri diventino
più fragili e tendano a impoverirsi ancor di più, con l'ulteriore
conseguenza di essere a volte respinte dal loro ambiente sociale e allontanate
dalla vita collettiva. La destrutturazione familiare provocata dalla detenzione
di uno dei suoi membri può approfondirsi in maniera notevole, sino a
favorire la riproduzione al suo interno di comportamenti criminogeni. A ciò
si aggiunga il pericolo per la salute pubblica. Un giudice donna dello Zambia
riportava come esempio della follia rappresentata dalla fuga in avanti carceraria
un caso che lei stessa aveva trattato. Aveva infatti condannato a sei mesi di
carcere un giovane contabile colpevole di malversazione. Stuprato dai suoi compagni
di prigionia, il giovane era morto di AIDS ancor prima di aver scontato l'intera
pena. La giudice non riusciva a placare i rimorsi perché, senza volerlo,
aveva condannato a morte un uomo che aveva commesso un reato, ma non un delitto.
Questo aneddoto sinistro ben esemplifica la vastità dei drammi sanitari
che si svolgono in carcere. Per questo noi di Penal Reform International chiediamo
che siano i ministeri della Sanità ad assumersi la responsabilità
della salute e non le amministrazioni penitenziarie. La salute pubblica, infatti,
non deve essere gestita da un apparato amministrativo il cui obiettivo primario
è la repressione. Certi Paesi hanno compiuto il grande passo, e non soltanto
tra le democrazie avanzate. In Giordania e Senegal, la salute nelle carceri
è sotto la responsabilità del ministero competente. Ciascuno deve
occuparsi di ciò che sa fare e la salute non può sfuggire a questa
regola, proprio come la formazione professionale o l'istruzione non riguardano
l'amministrazione penitenziaria, ma i ministeri o le autorità che dispongono
delle competenze necessarie per occuparsene. Bloccare la fuga in avanti Attualmente
numerose voci si stanno levando in favore della depenalizzazione di certi reati,
cosa che consentirebbe di ridurre la popolazione carceraria. Ma, anche senza
parlare di alternative al carcere, una simile riduzione può già
essere ottenuta da una gestione più intelligente di tale popolazione,
e prima di tutto tramite la separazione delle differenti categorie di detenuti.
Si potrebbe così limitare la detenzione nelle carceri di massima sicurezza,
per le quali sono necessari mezzi consistenti, alle persone realmente pericolose
per la società. Se i grandi criminali sono isolati, allora si possono
avere prigioni aperte o semiaperte che richiedono meno sorveglianza, dunque
meno investimenti. La regolamentazione internazionale raccomanda una simile
"categorizzazione" dei detenuti, considerandola una condizione essenziale
per gestire adeguatamente la vita in carcere. Le amministrazioni penitenziarie
dovrebbero dunque studiare il caso di ogni detenuto al momento del suo ingresso
per valutarne lo stato di salute, i bisogni, il livello scolastico e professionale,
le tendenze psicologiche, i rischi che presenta. In funzione del reato o del
crimine commesso, e anche dell'età, dovrebbero elaborare dei profili
destinati a istituire una gestione personalizzata dei detenuti. Grazie a questo
lavoro preventivo, l'amministrazione avrebbe la possibilità di creare
gruppi di detenuti e sottoporli a regimi carcerari differenti. Esistono detenuti
violenti, spesso recidivi, che hanno gravi problemi psicologici e che è
necessario sistemare in luoghi adatti. Nel corso della detenzione, un prigioniero
può anche attraversare delle crisi che lo rendono momentaneamente violento
o pericoloso e che necessitano un trattamento particolare. Solo la categorizzazione
permette a un Paese di conoscere i veri bisogni esistenti nelle strutture di
massima sicurezza. Certi Paesi si stanno già impegnando per ridurre la
popolazione carceraria. In Libano, per esempio, i detenuti che si comportano
correttamente godono di una riduzione automatica della pena di tre mesi per
ogni anno. In Zambia, le prigioni aperte esistono da parecchi anni. Ho visitato
un piccolo carcere di campagna delimitato soltanto da corde e picchetti e privo
di sorveglianti. Ci vivono dei detenuti che stanno finendo di scontare la pena,
che hanno mantenuto un buona condotta durante la detenzione e che hanno dimostrato
di non aver intenzione di fuggire. In quella struttura dispongono di terreni
che coltivano, non soltanto per il proprio sostentamento, ma anche a fini commerciali,
in modo che il carcere può così autofinanziarsi. Le squadre di
lavoro sono autogestite: i prigionieri si recano nei campi e tornano senza alcuna
sorveglianza. Anche i camion per trasportare i viveri sono guidati da detenuti.
Questo esperimento dimostra che le condizioni in cui si vive in carcere possono
essere diverse nei vari momenti in cui si sconta la pena e secondo le categorie
di prigionieri. Il direttore dell'amministrazione penitenziaria dello Zambia
ha presentato questo esempio alle Nazioni Unite nel 2000, in un dibattito organizzato
dalla PRI. Porre tutti i reclusi nelle condizioni di massima sicurezza è
un'aberrazione, senza contare lo spreco di mezzi che questa soluzione implica.
Un proverbio tunisino dice che se un topo cade in una giara d'olio, è
tutto l'olio che si guasta. La stessa cosa si può dire del carcere: se
si mescolano tutti i prigionieri, se si mettono l'uno accanto all'altro, come
spesso accade, chi emette assegni a vuoto e un assassino o un rapinatore di
banche, i più nocivi corrompono l'intero gruppo. È la frequentazione
dei criminali abituali a creare la scuola del crimine.
Fonte: La pena disumana, Ahmed Othmani, casa editrice "Eleuthera", anno di pubblicazione 2004. Cap. IV, pagg.73-87.