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La pena disumana

Ahmed Othmani

UNIVERSO CARCERARIO
Le società contemporanee vogliono il carcere. In pochi decenni, la punizione tramite il carcere è diventata, nella mente della gente, la soluzione miracolosa a tutte le forme di delinquenza, ivi comprese le meno pericolose. La convinzione dell'efficacia del carcere ha portato il mondo attuale a una fuga in avanti verso un "carcere a tutti i costi", le cui conseguenze sono disastrose da molti punti di vista. Benché molte ricerche dimostrino che le pene più pesanti non hanno carattere dissuasivo, le cose non cambiano. Salvo rare eccezioni, oggi i tribunali condannano di più e più pesantemente. Da un quarto di secolo la popolazione carceraria è aumentata quasi ovunque nel mondo a un ritmo molto più rapido di quello della popolazione. Negli Stati Uniti, che sono i campioni in materia, i detenuti sono triplicati dal 1980, mentre il tasso di criminalità è aumentato soltanto del 7%. Nel 2001, la prima potenza mondiale aveva più di 2 milioni di detenuti, contro un po' meno di 1,3 milioni nel 1992 e 500.000 circa nel 1980. Con 669 detenuti ogni 100.000 abitanti, gli Stati Uniti hanno superato la Russia. In quest'ultimo Paese, il numero dei prigionieri è passato da 722.000 nel 1992 a più di 1 milione nel 1998, mentre il numero globale dei russi accusava un leggero calo, passando da 148 a 146 milioni di abitanti tra il 1990 e il 2000, il che dà un rapporto di 680 ogni 100.000. Da allora il rapporto è leggermente diminuito. Accanto a questi due Paesi, la Cina, per quanto se ne sa, appare quasi un modello di virtù con i suoi 115 detenuti per 100.000 abitanti e un numero totale di prigionieri stimato ufficialmente in circa 1,5 milioni. La valutazione delle conseguenze sociali, sanitarie, psicologiche di questa fuga in avanti è ancora incompleta. In materia di salute, le statistiche sono chiaramente catastrofiche in certi Paesi. Ovunque i tassi di morbilità e mortalità dei detenuti sono molto superiori alla media della popolazione. Ovunque tubercolosi e AIDS fanno strage. In Africa, l'incidenza della tubercolosi è di 665 individui su 100.000 in ambiente carcerario, contro i 60 per 100.000 nel resto della popolaZione2. Nel 2000 quasi 100.000 detenuti russi, vale a dire circa il 10% della popolazione carceraria, erano affetti da tubercolosi e più di 4. 000 da AIDS. In Brasile il 20% dei detenuti sono portatori di HIV. A Puerto Rico, secondo il centro di controllo delle malattie di Atlanta, il 94% dei detenuti sarebbe affetto da epatite C. E potremmo continuare a lungo questa importuna litania dell'orrore. Il "carcere a tutti i costi", dunque, non risolve niente, anzi. Ma non per questo tale opzione sembra regredire, perché ormai lo stress derivante dall'insicurezza è una caratteristica delle società contemporanee a Nord come a Sud. Carceri sovraffollate La popolazione carceraria mondiale si avvicina ai 9 milioni di individui. Questo dato, fornito dalle Nazioni Unite, è un'approssimazione dato che non si conosce il numero esatto dei detenuti in Cina. Ma, poiché ogni detenuto fa parte di una famiglia, il numero di persone direttamente coinvolto nel sistema carcere è molto più consistente: per avvicinarvisi occorre come minimo triplicare il numero dei detenuti. Un'altra caratteristica consiste nella schiacciante maggioranza della popolazione carceraria maschile. Questa è composta sostanzialmente da giovani maschi adulti, nel pieno vigore degli anni, il che aggrava i problemi connessi con la promiscuità. Nell'ambiente carcerario, la sessualità è un problema di grande rilevanza. In ragione di tale promiscuità, l'ambiente carcerario è altresì patogeno e i giovani detenuti sono esposti a tutti i tipi di malattie infettive. La tubercolosi, per esempio, assume in carcere dimensioni catastrofiche e colpisce decine di migliaia di persone in numerosi Paesi. Il pericolo rappresentato da una simile situazione sulla salute non è mai preso in considerazione. Le donne rappresentano soltanto dal 2 al 5% di questa popolazione, a seconda dei Paesi. Poiché esercitano più raramente degli uomini ruoli economici pubblici e dunque hanno minori responsabilità in questi ambiti, cioè meno potere, sono anche meno esposte alla corruzione. Inoltre, frequentando in misura minore i luoghi pubblici, hanno di conseguenza meno opportunità di commettere certi reati. Per altro verso, le società proteggono di più le donne degli uomini. Si può dire che il loro statuto abbia due facce: le società maschili conferiscono loro meno potere e meno responsabilità perché le considerano deboli, bisognose di protezione, perché suscitano pena allo stesso modo di altre categorie definite vulnerabili. Infine esistono categorie di reati, come lo stupro, che sono specificamente maschili. Ma, paradossalmente, le donne commettono un numero maggiore di reati gravi, come gli omicidi. Sono infatti tante a essere state condannate per l'uccisione di un parente maschio. Nel 1992 il carcere femminile di Tirana (Albania) ospitava venticinque detenute. Tutte erano state condannate per l'omicidio del marito, del padre o del fratello. Spesso le donne non hanno scelta: o si uccidono o uccidono, In Pakistan, in Iran e in tutte le società molto repressive in fatto di sessualità, i suicidi femminili sono anormalmente numerosi. Il sovraffollamento delle carceri, misurato in funzione della capacità di accoglienza dei luoghi di detenzione, è una caratteristica comune a tutti i Paesi del mondo, salvo rare eccezioni. La capacità di alloggio di un carcere non si calcola unicamente in funzione del numero di letti, ma deve prendere in considerazione l'esistenza di altri luoghi necessari alla convivenza: cucine, sanitari, refettori, luoghi di riunione e di ricreazione, palestre ecc. Si può stimare il sovraffollamento anche in funzione del rapporto percentuale di incarcerazione, vale a dire del numero di detenuti per 100.000 abitanti. Nel mondo tale rapporto va da un massimo di circa 700 ogni 100.000 (è il caso della Russia e degli Stati Uniti, che rappresentano i picchi dell'universo carcerario, se si esclude la situazione parossistica esistente in Ruanda) a un minimo di 100-150 per 100.000, che troviamo soprattutto in Europa occidentale (i Paesi scandinavi da tempo hanno le percentuali più basse del mondo). Nell'ultimo quarto di secolo, si è assistito a un aumento esplosivo del numero di detenuti nel mondo. Il fatto è che ovunque l'opinione pubblica si è mobilitata in difesa del carcere come soluzione miracolosa contro la delinquenza. Oggi il mondo reclama più prigioni. Questa deriva è amplificata da due fenomeni che si rafforzano reciprocamente: il ruolo dei media e la demagogia elettoralista degli uomini politici nei Paesi democratici. "Meno prigioni", oggi, non è certo un argomento elettorale. Al contrario, la lotta contro la criminalità e il rafforzamento della sicurezza sono elementi che pagano presso l'opinione pubblica, che vuole essere rassicurata. Tutto accade come se i politici si proponessero di soddisfare i presunti auspici dell'opinione pubblica, le cui paure, in realtà, sono state in gran parte fomentate proprio da loro, giocando spesso di anticipo. Le strategie elettorali sono elaborate sulla base di ciò che potrebbe rendere popolare il candidato. E la popolarità è spesso percepita dagli strateghi come qualcosa che debba passare attraverso la soddisfazione delle esigenze di sicurezza, che vengono molto prima di problemi altrettanto cruciali quali il lavoro. Tutto accade come se, a ogni campagna elettorale, si cercasse di sedurre la parte più conservatrice dell' opinione pubblica, privilegiandone le rivendicazioni. E queste ultime sono amplificate dalla risonanza mediatica che viene conferita loro. ~ in questo modo che si crea l'esigenza della massima sicurezza, di cui lo straniero è spesso la prima vittima (a loro scusante, occorre però sottolineare come la stigmatizzazione dell'immigrato non sia esclusivo appannaggio dei Paesi ricchi: la si ritrova ovunque, a cominciare da Africa e Medio Oriente). Nel corso delle carripagne elettorali del 2002, gli uomini politici francesi hanno espresso in maniera grottesca questa deriva populista venata di rimandi continui alla sicurezza. Anche il ruolo dei media è molto importante nella formazione dell'opinione pubblica. Il primo obiettivo della maggior parte di stampa e televisione è di vendere e vendersi e, per fare ciò, privilegiano gli eventi sensazionali. Infatti, come i politici, immaginano che l'opinione pubblica sia ghiotta di quel tipo di informazione, che costituisce il terreno fertile su cui si sviluppano le ansie di sicurezza. E siccome si ritiene che il "carcere a tutti i costi" sia il mod6 migliore per garantire la sicurezza pubblica, ecco che i giochi sono fatti. L'idea che il carcere sia efficace proviene dal falso convincimento che abbia sul delinquente un effetto dissuasivo. Ma numerosi studi dimostrano che non esiste un legame di causa ed effetto tra il reato e il timore della sanzione. Il criminale, prima di commettere un reato, non pensa alla punizione in cui potrà incorrere. Gli Stati Uniti esprimono nella maniera più paradossale una simile impostazione. Quello che è terrificante in questo Paese è che, nonostante la diminuzione della delinquenza nel corso degli ultimi anni, i politici chiedono ancora più carcere. E noto il caso di un uomo condannato a venticinque anni di carcere per aver rubato un quarto di pizza, in virtù della legge sulla recidiva, la quale, dopo il terzo reato e quale che sia la sua gravità, condanna il recidivo a una pena di venticinque anni, che non può essere ridotta. Gli Stati Uniti, la Russia e i loro emuli Un quarto della popolazione carceraria mondiale, vale a dire un po' più di 2 milioni di persone, si trova negli Stati Uniti, dove però risiede soltanto il 4% della popolazione del globo. Questa situazione si spiega in buona parte con la storia violenta di questo Paese e con il suo culto dell'individualismo. L'esempio più sorprendente di un tale retaggio è l'incredibile gestione del problema delle armi da fuoco. Ci troviamo di fronte a un Paese in cui i ragazzi sono educati alla pratica delle armi da fuoco, senza che nessuno tragga le conseguenze del carattere catastrofico di tale dimestichezza. Ogni volta che si affronta questo problema, si trova qualcuno che invoca la sacrosanta libertà dell'individuo a difendersi e a decidere cosa è meglio per sé. Con il medesimo retaggio si può anche spiegare il fatto che la giustizia sia scandalosamente razzista, dato che le minoranze "di colore" sono anormalmente rappresentate in seno alla popolazione carceraria. D'altro canto, il connubio tra individualismo e liberismo che caratterizza gli Stati Uniti fa si che tutto sia monetizzabile. Poiché il settore privato è sinonimo di efficienza, anche la gestione della giustizia sta per essere privatizzata con la cessione a ditte specializzate di numerose carceri. Una volta privatizzate, queste ultime non sono neppure tenute a rispettare un capitolato di oneri, mentre le società che le gestiscono sono quotate in Borsa. Più i letti delle carceri che amministrano sono occupati, più le azioni salgono. In un Paese in cui l'efficacia del lobbying ha quasi raggiunto la perfezione, c'è ragione di temere che la lobby delle prigioni farà di tutto per accentuare la propensione punitiva del sistema giudiziario. Negli Stati Uniti esiste un'economia del crimine che va dalla criminalità organizzata e dalle mafie alla giustizia stessa. Il modo in cui si tratta la delinquenza è ormai un business. Le deviazioni della giustizia e del sistema carcerario discendono dalla vastità della crisi che attualmente sta attraversando l'economia statunitense. Infatti, lo stato delle prigioni è un buon indicatore della salute e del grado di civiltà di una nazione. La crisi del sistema giudiziario è dunque l'espressione di una crisi di valori. Lo Stato, che storicamente ha tolto all'individuo il diritto di farsi giustizia per attribuirsene il monopolio e porre così la giustizia al di sopra degli interessi individuali, oggi cede tale monopolio a individui e gruppi privati per denaro. L'Australia dispone di un sistema di gestione delle carceri analogo a quello degli Stati Uniti. Alcuni Paesi hanno persino precorso questi ultimi su certi aspetti della gestione delle prigioni, ma in forme differenti. La Francia, per esempio, subappalta da tempo a privati il vitto, l'istruzione e la formazione, ma non la sorveglianza o la gestione del carcere. Anche in Gran Bretagna esistono prigioni private: il ministero dell'Interno ha messo in campo, in questo settore, la concorrenza tra pubblico e privato sulla base di precisi capitolati di oneri. Secondo le autorità, tale concorrenzialità ha migliorato il funzionamento del settore pubblico e si è concretizzata in una umanizzazione delle condizioni di detenzione. Ma oggi il vero pericolo è l'esistenza di imprese multinazionali britanniche, statunitensi e francesi specializzate nella gestione penitenziaria, che si fanno concorrenza tra loro per vendere le proprie competenze nei Paesi del Sud. Un'impresa britannica ha fatto pressioni sul Malawi e il Lesotho affinché sottoscrivessero un contratto. Una società francese è in trattative con il governo libanese. Un'altra, statunitense, sta costruendo il più grande carcere del Sudaffica. Si Comprende l'entità del pericolo se si tiene presente che la maggior parte dei Paesi del Sud non dispone di alcuna capacità di controllo e che la corruzione vi imperversa allo stato endemico. Una soluzione di questo tipo risulta allettante per Paesi privi di mezzi che si vedono proporre non solo la gestione, ma la costruzione di carceri, senza il minimo esborso da parte loro. Anche in Russia è in auge la grottesca idea del carcere a tutti i costi, che è anche espressione delle derive che si possono osservare nell'insieme dei Paesi "in transizione". Quando si parla di transizione degli ex Paesi socialisti, si pensa in generale alla democrazia. Ma si tratta anche di una transizione verso il liberismo che provoca una grande insicurezza economica e l'esplosione della disoccupazione. Questa, d'altro canto, è una delle ragioni per le quali i partiti comunisti stanno tornando al potere del tutto democraticamente, tramite elezioni. Un simile contesto ha prodotto un aumento drastico della criminalità economica. Le mafie si sono moltiplicate e i nuovi ricchi ostentano la loro opulenza senza alcun pudore. Ma il potere utilizza anche il pretesto dei reati economici per condizionare le opposizioni. Per altro verso, una parte della popolazione precarizzata cerca di sopravvivere con qualsiasi mezzo, e il lavoro nero ha assunto dimensioni enormi. Questo complesso di fenomeni consente di spiegare la comparsa di nuove forme di criminalità. Oltretutto, è lo stesso sistema carcerario a essere entrato in crisi. Nell'universo sovietico, le prigioni erano integrate nel sistema di produzione pianificato che è stato smantellato. All'improvviso, nessuno sa come gestire prigioni che non fruttano. Non si provvede più alla manutenzione degli edifici e i detenuti sono lasciati in abbandono. La Russia, tuttavia, sta tentando di lottare contro il sovraffollamento delle carceri e, per fare ciò, ha emanato numerose leggi di amnistia, una delle quali, nel 2001, ha permesso di scarcerare più di centomila detenuti. Reati vecchi e nuovi I casi statunitense e russo sono tanto più preoccupanti in quanto tutti gli studi effettuati dimostrano come la criminalità non sia aumentata nei Paesi che hanno abolito la pena di morte o ridotto il ricorso al carcere. Ma raramente l'opinione pubblica è influenzata dalle statistiche reali: reagisce piuttosto a sollecitazioni d'altro tipo, in generale assai più emotive. Le statistiche, peraltro, possono far emergere un aumento di certi reati semplicemente perché i cittadini sporgono più denunce. È il caso dei crimini a carattere sessuale e in specifico gli abusi sessuali sui bambini. E non si può che rallegrarsi del fatto che certi comportamenti siano ormai considerati reati passibili del carcere. Lo stupro, un tempo ritenuto un reato minore, ora è ritenuto un reato più grave in un numero sempre crescente di Paesi. In alcuni, come la Tanzania, è passibile di una pena detentiva che il giudice non può ridurre. Al contrario, certe azioni che un tempo costituivano reato, ormai sono considerate normali o comunque tollerabili. L'evoluzione tecnologica ha poi creato nuovi reati, come la pirateria informatica. Infine lo sviluppo spettacolare della criminalità organizzata da un po' più di un decennio, grazie tra l'altro al perfezionamento dei mezzi di comunicazione, ha comportato un aumento delle pene detentive. Più in generale, nel mondo contemporaneo si assiste a una crescente criminalizzazione dei reati e all'appropriazione di nuovi spazi da parte della giustizia. La sfera familiare, per esempio, è coinvolta molto più che un tempo, con sanzioni sempre più frequenti contro la violenza domestica o l'incesto. Al contrario, le carenze delle istituzioni pubbliche in certi Paesi fanno si che la giustizia si assuma una responsabilità inferiore a quella che sarebbe di sua competenza. Uno studio effettuato nel 1996 dall'università di Lagos ha dimostrato che l'86% dei reati commessi in Nigeria non arrivano nemmeno a conoscenza della polizia. Altri studi effettuati in Gran Bretagna hanno dimostrato che su cento persone il cui comportamento porta pregiudizio alla società, soltanto sette varcano la soglia della prigione. È necessario divulgare simili dati per tentare di convincere che il carcere a tutti i costi non è una soluzione. L'opzione del carcere deve restare marginale per conservare tutto il suo significato. Se è intesa come una forma necessaria di protezione, è comunque una gestione della devianza che deve essere utilizzata con discernimento. E soprattutto bisogna capire che la percezione dell'insicurezza non sempre è espressione della realtà. Le attuali condizioni di vita, soprattutto nelle megalopoli dove i legami sociali v'anno disgregandosi, svolgono un ruolo preponderante anche nell'aumento di quello che potremmo chiamare lo stress da ansia di sicurezza. Gli abitanti delle megalopoli non si conoscono, non si fidano gli uni degli altri, non contano gli uni sugli altri, non si sentono protetti dal vicinato. L'idea stessa di vicinato è praticamente scomparsa, sostituita dalla volontà di barricarsi per difendersi. Poiché non ci sono più vicini, ci si mette sotto la protezione della tecnica, tanto che i sistemi di allarme non sono mai stati venduti così bene. Questa evoluzione incoraggia la criminalità nella misura in cui non ci si sente più tenuti a rispettare i codici sociali e in cui è impossibile esercitare quella sorveglianza che invece era inerente alla prossimità. Se nelle comunità tradizionali i reati sono più rari, è perché il controllo collettivo grava sugli individui. Si è anche visto che i processi di urbanizzazione possono, a seconda dei casi, essere tanto un fattore di aumento quanto di diminuzione della criminalità. Studi sociologici effettuati in Sudafrica hanno constatato che il fatto di far passare una strada non più per il centro di una località, ma per la periferia, diminuisce la delinquenza. E stato anche dimostrato che quando un quartiere non ha spazi verdi, non ha luoghi di ritrovo dove i giovani possano stare assieme, non ha spazi dedicati alla vita collettiva, non consente contatti tra le generazioni, gli abitanti sono abbandonati a se stessi e i giovani rimediano a tali deficienze creando bande e clan. Aggiungiamo a tutto ciò che la società stigmatizza collettivamente gli abitanti delle periferie difficili, che sono spesso fisicamente tagliate fuori dal resto della città. Il tutto alimenta un senso di esclusione e di frustrazione, dunque di rivalsa sociale, sentito da numerosi abitanti di quei quartieri. La natura del tessuto urbano può dunque contribuire alla disintegrazione del tessuto sociale, che a sua volta indebolisce nei più fragili il senso del lecito e dell'illecito. Crisi dei sistemi di sanzione Diversi sono dunque i fattori che spiegano la fuga in avanti verso il carcere a tutti i costi dei governanti e dei legislatori di tanti Paesi, che emanano leggi sempre più rigide. Costoro sono convinti di dover rispondere alle aspettative popolari esercitando una repressione sempre maggiore. Quando viene commesso un assassinio da parte di un recidivo o di un detenuto che, alla fine della pena, beneficia del diritto di uscire dal carcere, è quasi automatico accusare la giustizia di lassismo e reclamare maggiore fermezza. Ecco anche il motivo per cui i politici attribuiscono così poca importanza alla prevenzione. Questa fuga in avanti impedisce oltretutto alla giustizia di fare il proprio lavoro, poiché è continuamente sopraffatta dal numero di pratiche che deve esaminare. Il sistema diventa sempre più farraginoso e le infrastrutture, prive di mezzi come sono, si deteriorano. Il periodo della carcerazione preventiva si protrae e i tempi impiegati per esaminare un caso si allungano sempre più; tutto ciò favorisce la corruzione perché, in certi Paesi, bisogna pagare affinché una pratica arrivi in cima al mucchio. Così la giustizia risulta svuotata delle sue vere mansioni ed esercitata in modo sempre più arbitrario e ingiusto. Questa situazione accresce la mancanza di fiducia della popolazione nel sistema giudiziario, cosa che spiega la propensione a farsi giustizia da soli e il ritorno a forme di giustizia privata o comunitaria. In tal modo si aggrava la crisi dei sistemi di sanzione, che va a colpire anche i Paesi più sviluppati. Nei Paesi del Sud tale crisi è ancor più drammatica. E quando certi responsabili dichiarano di voler migliorare il sistema, si limitano ad alzare i muri di cinta delle prigioni e a moltiplicare le torrette: ecco in che cosa consiste quasi sempre il miglioramento dei sistemi carcerari. Nel frattempo, i detenuti sono abbandonati a se stessi, in condizioni a volte atroci, come quelli che ho visto in una prigione libanese, costretti a dormire nei bagni per mancanza di spazio. Certi Paesi intendono uscirne, come quelli in transizione del Sud e dell'Est, ma non trovano i mezzi per farlo, tanto più che la comunità internazionale non li aiuta molto. Oggi, l'interesse di quest'ultima è rivolto alla lotta contro la criminalità organizzata transnazionale più giustizia. A volte i detenuti si ribellano contro le lentezze della giustizia. In Niger, nel 1998, ho sentito proprio dalla voce dei responsabili dell'amministrazione penitenziaria la storia tragica di un gruppo di detenuti in rivolta. Questi avevano rifiutato di recarsi in tribunale, sostenendo che comunque nessuno si sarebbe occupato di loro e che solo i potenti avevano il privilegio di essere processati rapidamente. Nel corso della discussione, avevano malmenato il direttore dell'amministrazione penitenziaria. La guardia repubblicana, incaricata di domare la rivolta, aveva sistemato i ventinove ribelli in una cella in attesa di trasferirli in un carcere del Sahara. Era il weekend. Nella cella sovraffollata e priva di aerazione i detenuti cominciarono a soffocare e, per far cessare le loro grida, le guardie vi gettarono dei candelotti lacrimogeni. Tutti i detenuti morirono. Ecco come possono finire dei reclusi che forse avevano commesso soltanto reati minori e che ora non possono più sperare in alcun processo. Probabilmente molti di loro sarebbero usciti alla fine del dibattimento. In generale, il sovraffollamento delle carceri è catastrofico nei Paesi del Sud. Poiché questi ultimi non hanno i mezzi per gestirlo, trattano la maggior parte dei detenuti contravvenendo alle più elementari regole del rispetto della persona. Quando non esiste amministrazione penitenziaria, la polizia, che generalmente gestisce la sicurezza, delega a certi detenuti l'esercizio della funzione di guardie e il mantenimento dell'ordine, con tutte le deviazioni che si possono immaginare. In Nepal, nel 1994, nella prigione centrale di Katmandu non c'era alcun sorvegliante. 1 detenuti che assolvevano questa funzione disponevano persino di un'uniforme e di un bastone, e il loro capo, anch'egli detenuto, aveva centoquattro persone ai suoi ordini! In Ruanda, la cui situazione è certo particolare, i detenuti responsabili della sorveglianza indossano un berretto con la scritta "sicurezza". Simili situazioni sono tanto più gravi in quanto i capoccia delle prigioni sono quelli che vengono scelti per mantenervi l'ordine. E anche se, in un primo momento, i detenuti sorveglianti non sono capoccia, lo diventano in seguito grazie al potere sugli altri che viene loro conferito; infatti sono loro a organizzare la vita nelle celle, a distribuire l'acqua e il vitto, a stabilire le sanzioni ecc. Le condizioni di vita dei detenuti sono spaventose in numerosi Paesi poveri. In Pakistan, l'amministrazione stanzia per ogni detenuto soltanto un quarto di. dollaro al giorno e, in certi casi, anche meno! Ma se si moltiplica questa spesa irrisoria per 80.000, vale a dire il numero degli inquilini delle prigioni pakistane, ci si rende conto che si tratta di un aggravio non trascurabile per il bilancio. Il carcere a tutti i costi, dunque, è troppo costoso per quei Paesi che non riescono a soddisfare i bisogni essenziali. Un dramma sociale e sanitario Come ho già detto, la popolazione carceraria mondiale è costituita in grande maggioranza da giovani maschi poveri. Questi detenuti sono spesso capifamiglie, e i loro nuclei familiari si vedono privare all'improvviso di una parte importante se non esclusiva di reddito, mettendo a repentaglio soprattutto i figli, che sono spesso i più vulnerabili. In Ruanda, per esempio, dove la popolazione carceraria è anormalmente elevata, le donne stentano a occuparsi da sole dei lavori dei campi, e la produzione alimentare ne risente. Oltretutto, non soltanto il detenuto non dà più alcun contributo, ma diventa un peso quando occorre fornirgli regolarmente del cibo supplementare. Questo fa sì che le famiglie dei prigionieri diventino più fragili e tendano a impoverirsi ancor di più, con l'ulteriore conseguenza di essere a volte respinte dal loro ambiente sociale e allontanate dalla vita collettiva. La destrutturazione familiare provocata dalla detenzione di uno dei suoi membri può approfondirsi in maniera notevole, sino a favorire la riproduzione al suo interno di comportamenti criminogeni. A ciò si aggiunga il pericolo per la salute pubblica. Un giudice donna dello Zambia riportava come esempio della follia rappresentata dalla fuga in avanti carceraria un caso che lei stessa aveva trattato. Aveva infatti condannato a sei mesi di carcere un giovane contabile colpevole di malversazione. Stuprato dai suoi compagni di prigionia, il giovane era morto di AIDS ancor prima di aver scontato l'intera pena. La giudice non riusciva a placare i rimorsi perché, senza volerlo, aveva condannato a morte un uomo che aveva commesso un reato, ma non un delitto. Questo aneddoto sinistro ben esemplifica la vastità dei drammi sanitari che si svolgono in carcere. Per questo noi di Penal Reform International chiediamo che siano i ministeri della Sanità ad assumersi la responsabilità della salute e non le amministrazioni penitenziarie. La salute pubblica, infatti, non deve essere gestita da un apparato amministrativo il cui obiettivo primario è la repressione. Certi Paesi hanno compiuto il grande passo, e non soltanto tra le democrazie avanzate. In Giordania e Senegal, la salute nelle carceri è sotto la responsabilità del ministero competente. Ciascuno deve occuparsi di ciò che sa fare e la salute non può sfuggire a questa regola, proprio come la formazione professionale o l'istruzione non riguardano l'amministrazione penitenziaria, ma i ministeri o le autorità che dispongono delle competenze necessarie per occuparsene. Bloccare la fuga in avanti Attualmente numerose voci si stanno levando in favore della depenalizzazione di certi reati, cosa che consentirebbe di ridurre la popolazione carceraria. Ma, anche senza parlare di alternative al carcere, una simile riduzione può già essere ottenuta da una gestione più intelligente di tale popolazione, e prima di tutto tramite la separazione delle differenti categorie di detenuti. Si potrebbe così limitare la detenzione nelle carceri di massima sicurezza, per le quali sono necessari mezzi consistenti, alle persone realmente pericolose per la società. Se i grandi criminali sono isolati, allora si possono avere prigioni aperte o semiaperte che richiedono meno sorveglianza, dunque meno investimenti. La regolamentazione internazionale raccomanda una simile "categorizzazione" dei detenuti, considerandola una condizione essenziale per gestire adeguatamente la vita in carcere. Le amministrazioni penitenziarie dovrebbero dunque studiare il caso di ogni detenuto al momento del suo ingresso per valutarne lo stato di salute, i bisogni, il livello scolastico e professionale, le tendenze psicologiche, i rischi che presenta. In funzione del reato o del crimine commesso, e anche dell'età, dovrebbero elaborare dei profili destinati a istituire una gestione personalizzata dei detenuti. Grazie a questo lavoro preventivo, l'amministrazione avrebbe la possibilità di creare gruppi di detenuti e sottoporli a regimi carcerari differenti. Esistono detenuti violenti, spesso recidivi, che hanno gravi problemi psicologici e che è necessario sistemare in luoghi adatti. Nel corso della detenzione, un prigioniero può anche attraversare delle crisi che lo rendono momentaneamente violento o pericoloso e che necessitano un trattamento particolare. Solo la categorizzazione permette a un Paese di conoscere i veri bisogni esistenti nelle strutture di massima sicurezza. Certi Paesi si stanno già impegnando per ridurre la popolazione carceraria. In Libano, per esempio, i detenuti che si comportano correttamente godono di una riduzione automatica della pena di tre mesi per ogni anno. In Zambia, le prigioni aperte esistono da parecchi anni. Ho visitato un piccolo carcere di campagna delimitato soltanto da corde e picchetti e privo di sorveglianti. Ci vivono dei detenuti che stanno finendo di scontare la pena, che hanno mantenuto un buona condotta durante la detenzione e che hanno dimostrato di non aver intenzione di fuggire. In quella struttura dispongono di terreni che coltivano, non soltanto per il proprio sostentamento, ma anche a fini commerciali, in modo che il carcere può così autofinanziarsi. Le squadre di lavoro sono autogestite: i prigionieri si recano nei campi e tornano senza alcuna sorveglianza. Anche i camion per trasportare i viveri sono guidati da detenuti. Questo esperimento dimostra che le condizioni in cui si vive in carcere possono essere diverse nei vari momenti in cui si sconta la pena e secondo le categorie di prigionieri. Il direttore dell'amministrazione penitenziaria dello Zambia ha presentato questo esempio alle Nazioni Unite nel 2000, in un dibattito organizzato dalla PRI. Porre tutti i reclusi nelle condizioni di massima sicurezza è un'aberrazione, senza contare lo spreco di mezzi che questa soluzione implica. Un proverbio tunisino dice che se un topo cade in una giara d'olio, è tutto l'olio che si guasta. La stessa cosa si può dire del carcere: se si mescolano tutti i prigionieri, se si mettono l'uno accanto all'altro, come spesso accade, chi emette assegni a vuoto e un assassino o un rapinatore di banche, i più nocivi corrompono l'intero gruppo. È la frequentazione dei criminali abituali a creare la scuola del crimine.

Fonte: La pena disumana, Ahmed Othmani, casa editrice "Eleuthera", anno di pubblicazione 2004. Cap. IV, pagg.73-87.