Dichiarazione sciopero |
ottobre 2000
Dall'interno di un carcere dello stato spagnolo
L'articolo che segue, è tratto da
una registrazione effettuata all'interno di un carcere spagnolo, dove Michele,
prigioniero anarchico italiano, "intervista" i prigionieri politici
baschi, indipendentisti, libertari e prigionieri "comuni".
Tutti loro denunciano
maltrattamenti, abusi, torture e il "mezzo di castigo" usato dallo
stato spagnolo detto "dispersion", che consiste nel sequestrare i
prigionieri in carceri lontani centinaia di km dalla propria terra e dalla
propria famiglia, e le conseguenze provocate non solo ai prigionieri stessi, ma
anche alle loro famiglie che si vedono costrette a limitare le proprie visite a
causa dei notevoli costi di viaggio, albergo, ecc.
"Solo una filosofia perversa
e diabolica, tipica di uno stato fascista, può conseguire simile barbarie e
crudeltà" si dice all'inizio di questa registrazione, poi seguono molte
testimonianze di lotta, di vita, analisi e commenti su situazioni carcerarie e
sui "movimenti libertari", proposte di lotta all'interno e
all'esterno del carcere e altro.
In qualche modo, questa
registrazione è riuscita a raggiungere "il mondo esterno" e, al
principio di settembre, alcune radio di movimento hanno trasmesso questa
registrazione. I carcerieri non hanno gradito la cosa, si sono presentati nella
cella di Michele e gli hanno sequestrato la radio e le cassette, minacciando
sanzioni disciplinari e promettendo rappresaglie varie, promesse che stanno
mantenendo.
Chiunque fosse interessato ad
avere le due cassette contenenti la registrazione che, ovviamente, è in lingua
castigliana, può richiederle al solo costo di spese di spedizione a:
Pagine in rivolta, V. San Francesco da Paola, 12/b c.p. 151- 10123 Torino
o, preferibilmente, all'indirizzo e-mail: lucianuro@hotmail.com
saluti ribelli
Lucia
***
Saluti a tutti e a tutte, da una
delle tante fogne di cui lo stato dispone per sequestrare e rinchiudere
migliaia di persone, considerate non idonee a vivere in questa società, sempre
più schizofrenica, assurda e globalizzata, nella quale le differenze, la
sensibilità e le peculiarità individuali non hanno posto; alcuni prigionieri
del carcere di Villabona hanno deciso di alzare la propria voce aldilà del
muro, delle sbarre e dei fili spinati che vigilano su di noi e ci separano
dall'esterno.
Questa è una testimonianza
diretta ed esplicita di come sopravviviamo noi prigionieri nei carceri della
democratica e tollerante spagna nel secolo XXI, dove in nome dello stato di
diritto si tortura fisicamente e psicologicamente i reclusi; ci isolano e ci
sterminano nei crudeli ed inumani "MODULI F.I.E.S.", dove la condanna
privativa della libertà si converte automaticamente in sentenza di morte per
quei prigionieri che soffrono di malattie gravi e incurabili, ci disperdono a
migliaia di km dalle nostre terre di origine e dalle nostre famiglie.
Questo è un frammento della vita
quotidiana dei prigionieri, ognuno con la sua traiettoria esistenziale, con le
sue esperienze, con le sue idee, però tutti abbiamo un denominatore comune, la
solidarietà e il mutuo appoggio di fronte alla repressione dello stato; però,
vuole anche essere un messaggio per i nostri oppressori: continueremo resistendo,
nonostante i vostri programmi d'annientamento della nostra personalità, non
riuscirete a conseguirlo!
Con ironia e con
coraggio/sopportazione stoica, continueremo burlando e disprezzando la legge e
chi la difende.
Vogliamo fare una domanda: chi
sono i pericolosi mostri che tormentano e terrorizzano il popolo? Noi che siamo
figli del popolo e che abbiamo tentato di sopravvivere alle ingiustizie ed agli
abusi di questo sistema o, al contrario, sono i politici, gli impresari,
giornalisti del regime, giudici, polizia, esercito che in nome del capitale e
dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, torturano, incarcerano e assassinano
impunemente?
Solo voi avete la risposta.
Siamo certi, nell'affermare, che
non c'è un essere umano in questo mondo che ami la libertà più di un
prigioniero, al quale è stata strappata violentemente e contro la sua volontà, questo
bene tanto prezioso.
Per questo tutti uniti, gridiamo w
lanarchia
Un abbraccio ai nostri fratelli e
sorelle, compagni e compagne,
con amore e ribellione.
***
La prigione è la vergogna
dell'umanità, sempre lo è stata.
Dopo aver rinchiuso, si isola,
s'incatena, si bastona, si tortura e si ammazza.
Questo non succede solo negli
stati totalitari, ma anche nei nostri moderni ed attuali stati democratici.
Tutti quei prigionieri che per un motivo o per un altro sono passati per
quest'inferno, la cui invenzione è venuta senza dubbio da una mente perversa e
diabolica, tutti quelli che si ribellano e che non sono disposti a
sottomettersi, soffrono sistematicamente la repressione brutale e incontrollata
da parte di chi ci mantiene prigionieri e di tutto il sistema politico e
sociale che permette e che consente che le cose vadano in questo modo.
Quello che dobbiamo tenere chiaro
è che il carcere è un riflesso della società, e viceversa.
In altre parole, tutto quello che
esiste qui, le relazioni umane fra i prigionieri, le relazioni fra i
prigionieri e la gerarchia, si riproduce nella stessa forma nella strada.
Per esempio, l'operaio che si
sveglia alle cinque della mattina per dirigersi al suo posto di lavoro, per
svolgere il suo lavoro durante otto ore al servizio di un padrone che si
arricchisce del suo lavoro. E che dopo torna un'altra volta a casa sua con la
tensione accumulata tutto il giorno, sapendo che quello che sta facendo ha
l'unica finalità di assicurarsi la sopravvivenza in questo sistema, basato
sullo sfruttamento e sul consumismo della mercanzia che si produce.
Per questo, anche in questo caso
siamo di fronte di una vita prigioniera, di un sistema che obbliga gli esseri
umani ad organizzare la loro vita in una forma concreta, senza scappatoie o
deviazioni, diretta al lavoro, al garantirsi la sopravvivenza o per lo meno ad
una vita con tutte le comodità possibili, però senza deragliare da questa
traiettoria già marcata che è quella di svegliarsi per andare a lavorare,
ritornare alla famiglia, stare attaccati al televisore per diverse ore e che,
in poche parole, conduce una vita monotona, noiosa, soggetta alle norme e le
regole di un ordine costituito che solo apparentemente è statico e immutabile.
Pensiamo ad esempio, alle
strutture delle città, delle metropoli: in tutte le città esistono un centro e
una periferia. Un centro finanziario e commerciale, dove si muove il denaro, il
capitale, e una periferia dove si agglomerano i proletari, le industrie e tutto
quello che ne deriva: mi riferisco ai quartieri dormitorio con i loro servizi
assistenziali, con i loro commissariati, caserme, il cui lavoro è quello di
controllare il territorio e di reprimere condotte che escono dalle norme
stabilite; e tutto questo entra in una logica predeterminata.
Questa logica, è esattamente
quella del centro che comanda, che dirige, che impone e che dispone. Con le sue
banche, le sue grandi superfici, i suoi ministeri, le sue attività finanziarie
e burocratiche; e una periferia che esegue gli ordini che il centro dispone.
È esattamente come sono
strutturate le prigioni, c'è un centro direttivo che ordina, dispone, emana, ed
una periferia, che in questo caso, sono i prigionieri, questa massa umana che
contro la sua volontà è obbligata a vivere all'interno di questa struttura, che
compie e che sta soggetta alla volontà di quello che impone il centro
direttivo.
Per tanto, la prigione, non è
distaccata o isolata dalla società. Ma è presente e vive all'interno della
società.
Il carcere sta dentro di noi. Lo
viviamo quotidianamente, giorno per giorno, tanto qui dentro che fuori, non
possiamo parlare di prigione come struttura specifica, dove si rinchiude colui
che ha infranto una norma imposta, ma la società stessa è una prigione, dove
qualsiasi condotta che non si attiene a quello che è disposto, viene
automaticamente e sistematicamente repressa, allontanata, criminalizzata e
tutto quello che ne consegue.
Senza dubbio, noi siamo quelli
che affrontiamo la faccia più dura e letale della repressione nuda e cruda,
però anche fuori non c'è nessuno che sia immune alla repressione. Sarà
mascherata in altra forma, assumerà altre matrici, però la finalità che si
persegue è la stessa, la sottomissione ad un ordine costituito, ad una
direttrice che il centro impone e tutto quello che sgarra è represso.
Quindi, non siamo solo noi
prigionieri che soffriamo la mancanza di libertà, ma la società in tutta la sua
totalità che non è libera di decidere il cammino che vuole prendere, la forma
che vuole sviluppare, la sua capacità economica, umana, culturale, sociale.
Tutto il mondo dovrebbe cercare
di ottenere realmente una vita libera, senza soggezione alla spada che marca il
dominio capitalista.
Questo dominio che crea
ingiustizia e disuguaglianza e che permette quello che tutti noi abbiamo sotto
il naso, cioè la povertà, l'emarginazione, la mancanza di valori solidali, il
disinteresse, l'individualismo egoista ed infine tutto quello che la società,
basata sul consumo e sull'arricchimento di una minoranza che si beneficia del
lavoro e del sangue di un'immensa maggioranza, produce.
Non solo nelle prigioni spagnole
si praticano torture, abusi, maltrattamenti, ma questa è una peculiarità
intrinseca alla repressione in quanto tale, quindi che sia Spagna, Italia,
Germania o U.S.A., la repressione si muove e commette le stesse atrocità che in
qualsiasi altro posto.
La repressione è brutalità, è
sterminio, e non ci sono mezzi termini, non c'è legalità che si può applicare.
Lo sterminio di quelli che in un dato momento e/o per circostanze della vita o
per decisioni ideologiche, si sono messi di fronte direttamente o
indirettamente, al sistema.
Un sistema che ci opprime, ci
vigila, ci sottomette e che non siamo stati noi ad eleggere, bensì, c'è stato
imposto dagli illuminati o presunti tali e dai potenti, che, con l'illusione di
portare la verità assoluta nel borsellino, hanno imposto e hanno organizzato la
vita come le loro menti ritorte hanno voluto che fosse.
Detto questo, mi piacerebbe dire
qualcosa sulla solidarietà.
La solidarietà è un atto
volontario e spontaneo, non è un obbligo, nessuno può obbligare un altro ad
essere solidale, né con i prigionieri, né con i popoli oppressi, né con la
povertà, né con tutti questi settori sociali umili che soffrono lo sterminio
lento, portato a capo per l'imperialismo, gli interessi economici e tutto il
resto.
La solidarietà è un gesto
istintivo che nasce da dentro, e che parte dalla sensibilità di ognuno di noi.
Molti la tengono "addormentata" per l'anestesia sociale che gli è
stata praticata dal sistema, dallo stato, dai mezzi di comunicazione, che
creano opinione di massa, affinché ci sia un parere specifico e concreto,
mirato ad una logica di conservazione dell'ordine costituito.
La solidarietà ha due vertenze,
una è quella che viene dalla compassione, dalla pietà e l'unica cosa che fa è
quella di chiedere, in una forma istituzionale, il rispetto dei diritti
fondamentali dei prigionieri; l'altra, la possiamo definire solidarietà
rivoluzionaria, che ha come base un progetto di trasformazione sociale nel quale
non solo si esige il rispetto dei prigionieri, ma va più in la di questo,
quello che cerca è che la società venga trasformata in tale maniera che le
carceri non siano necessarie e diventino totalmente obsolete.
In questo senso si muovono gli
anarchici e molte organizzazioni, gruppi, movimenti, rivoluzionari il cui
obiettivo è di emancipare il popolo sfruttato, oppresso dal sistema
capitalista. Quindi, in questo senso, noi prigionieri non siamo le vittime da
difendere e appoggiare, per non far scagliare ulteriormente la repressione
contro di noi, ma siamo parte attiva di questo progetto che cerca la libertà di
tutti e per ogni membro della società.
Una società libera non ha bisogno
delle prigioni, non ha bisogno della repressione; in questo contesto, noi siamo
i diretti interessati in questo progetto fino a che, non solo vada avanti, ma
che si arrivi al termine. Quindi, quando parliamo di solidarietà, non si tratta
di appoggiare il prigioniero nelle sue necessità quotidiane che sono, senza
dubbio, elementi importanti; quello che c'è da fomentare è l'azione diretta
contro il sistema: tutto quello che è fatto per la libertà degli individui che
sono parte della società, è vantaggioso per noi prigionieri.
Pertanto noi ci sentiamo e siamo
parte attiva di questo processo di liberazione, siamo i più interessati a che
si pratichi e che si spinga l'azione diretta contro lo stato unico
responsabile e realizzatore di un sistema sociale e politico che, naturalmente,
non ci interessa, giacché del modello d'organizzazione della vita pubblica e
privata che ci propone beneficia solo una piccola minoranza, detentrice della
ricchezza che dovrebbe essere a disposizione di tutti, lasciando l'immensa
maggioranza al margine di un sistema fatto e conseguito per i privilegi di
pochi, senza darci la possibilità di emanciparci dalla nostra condizione umile
e di sfruttati cosicché le masse proletarie utilizzino l'unico mezzo che
hanno a disposizione per cambiare le cose di una forma radicale, che non è
altro la via rivoluzionaria.
Dunque, non si tratta di essere
solidale con i prigionieri, ma di creare una rete di solidarietà fra tutti gli
individui ribelli e che coltivano intimamente il desiderio di cambiare e
trasformare la società in un senso libertario dove tutte le sensibilità e
diversità umane abbiano spazio, dove chiunque può esprimere la sua forma
d'essere, il suo punto di vista, le sue idee, le sue opinioni, in maniera
libera. Che siamo prigionieri o "liberi", tutti uniti potremo
costruire questo mondo che tutti sogniamo e che mai abbiamo avuto.
Michele Pontolillo
C.P. De Villabona
Apdo. 33271 Gijon
Asturias (Spagna)
Fonte: scritto diffuso il 13 Ottobre 2000 da: lucianuro@hotmail.com
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25 ottobre 2000
Comunico che dalle 12.00 del giorno 7 dicembre 2000 inizierò uno sciopero della fame a oltranza.
A causa della persistenza della
situazione fortemente repressiva che si sta vivendo sia dentro che fuori delle
carceri e dalla legittimità che mi conferisce il diritto inalienabile
dell'individuo a ribellarsi di fronte alla prepotenza e l'arroganza di chi
esercita il Potere, comunico che dalle ore 12.00 del giorno 7 dicembre 2000
inizierò uno sciopero della fame a oltranza per le ragioni e i contenuti che
sono esposti a seguire.
Da alcuni anni osserviamo un
importante indurimento dell'azione repressiva degli Stati imperialisti europei,
diretta a criminalizzare e ridurre l'attivismo dei movimenti sociali e
politici; tra loro, il movimento anarchico, molto radicato in paesi marcati da
continue lotte operaie e rivoluzionarie come è il caso dello stato spagnolo,
italiano o greco.
In qualsiasi direzione si guardi
il panorama è desolante. La ristrutturazione del capitalismo spinto
dall'utilizzo su vasta scala delle tecnologie telematiche, ha aperto nuove
contraddizioni che molto difficilmente i governi potranno risanare grazie
all'uso di politiche di consenso. Gli stati, e per estensione la società nel
suo insieme, hanno dovuto adattarsi in qualsiasi modo alle nuove esigenze di un
capitalismo sempre più escludente.
Il ribasso dei costi di
produzione, l'indice sempre più alto della disoccupazione, la flessibilità e la
precarizzazione del lavoro di cui la conseguenza più immediata è stata la
proletarizzazione di ampi settori sociali, tradizionalmente vicini alla classe
media, la contrattazione della mano d'opera a basso costo proveniente dai paesi
del terzo mondo, lo smantellamento dello stato del benessere sul quale
risiedeva il patto sociale raggiunto tra proletariato e borghesia, sono aspetti
concludenti di una realtà che lascia intravedere non solo un futuro incerto per
tutti coloro che prendono parte al processo di produzione e che sono rimasti
intrappolati tra la schiavitù del lavoro e la triste minaccia di andare ad
aumentare le liste dei disoccupati, ma anche una probabile radicalizzazione del
conflitto di classe.
"L'incertezza e l'imprevedibilità del futuro, l'elevato numero degli esclusi dal processo produttivo relegati ai margini di una vita misera e fatta di sussistenza, pongono come interdetto il sistema di sfruttamento".
Così descrive con opprimente
realismo lo scrittore francese Jacques Attali, questo nuovo scenario che si sta
disegnando ad un ritmo veloce nell'occidente opulento: quello che hanno
spazzato non è stata l'Europa, ma una certa maniera di pensare l'ordine
sociale. Un capitalismo completamente nuovo sta per sorgere, un capitalismo
globale che modificherà profondamente il ruolo degli Stati e nazioni nel mondo.
Un capitalismo spinto da nuove forze, da dove emergerà una nuova élite e dove
saranno proletarizzate l'insieme delle classi tradizionali. Presto rimarrà, al
posto dei salariati, un vasto proletariato declassato; una super classe
trionfante galleggerà sulle acque fangose della miseria, mentre il prezzo del
successo di alcuni si paga con l'emarginazione della maggioranza e con la
violenza dei declassati.
Di fronte a questa inquietante
radiografia sociale, gli Stati mostrano serie difficoltà a conservare il consenso
verso le loro istituzioni e le crescenti proteste popolari, alcune delle quali
si differenziano nettamente dalla linea di azione ufficiale di partiti e
sindacati, operaisti addomesticati e fedeli servitori dei loro padroni,
scegliendo forme di lotta autonoma e autogestita, lo dimostrano. Qual è la
formula adottata dagli Stati per contenere dentro dei limiti tollerabili lo
scontento generale e la radicalizzazione delle lotte sociali? Nulla più che
concedere ai suoi organi tutto il potere, per far fronte a questa nascente
situazione con una corrispondente enfasi possessiva e paranoica nel
perfezionamento dei suoi macchinari per la lotta antiterrorista, l'ordine e la
legge; eufemismi politici per il controllo e l'eliminazione di tutti i
dissidenti reali, potenziali o immaginari.
Il fatto che questa repressione
utilizzi o no i suoi strumenti di guerra (polizia, pallottole di gomma,
proiettili di piombo, montature giudiziarie, arresti arbitrari ecc.) dipende
dal livello raggiunto dalla lotta di classe. Questo è il panorama del grande
spiegamento di tutti i suoi potenti mezzi coercitivi e repressivi dei quali lo
Stato sta facendo sfoggio negli ultimi tempi, segnale inequivocabile che il
conflitto tra sfruttati e sfruttatori è aumentato considerevolmente. Le prime
vittime degli attacchi repressivi dello Stato sono, naturalmente, i proletari
ribelli che hanno preso coscienza dalla propria condizione di sfruttati e il
fatto che ricorrano in prima linea alla lotta contro il potere, ne è
espressione.
Tra il proletariato che insorge,
ci sono gli anarchici, disertori dichiarati dall'imposizione dello stato e del
capitale e provvisti di un progetto politico e sociale assuefatto alle tesi
socialiste, secondo le quali i lavoratori, che sono gli unici produttori di ricchezza
sociale, possono e devono emanciparsi dal dominio della borghesia capitalista
per essere una volta per tutte padroni delle loro vite e del loro futuro.
Chiunque abbia anche solo una
vaga conoscenza dei principi che incoraggiano l'anarchia, saprà che nell'antiautoritarismo più viscerale e nell'anticapitalismo si basa la teoria e
la pratica anarchica.
Gli anarchici sono nemici
dichiarati di tutte le gerarchie, di qualsiasi imposizione e dominio, di
qualsiasi provenienza con qualsiasi nome si chiami; apologisti della vita e
della libertà, dell'autodeterminazione e dell'indipendenza dell'individuo e dei
popoli a cui appartiene, desiderano una società autogestita come l'unica base
sulla quale è possibile costruire un mondo più giusto, egualitario e libertario.
E qui allora, quando il proletariato si prepara a prendere l'iniziativa di
fronte al risveglio delle sue ansie emancipate, come ha già fatto in varie
occasioni lungo la sua esistenza come classi, che lo Stato si toglie la
maschera che indossa e mostra il suo vero volto, vile, violento e criminale,
per quanto possa essere mascherato con adorni liberali e democratici. I metodi
che utilizza lo Stato per terminare le rivolte proletarie sono conosciuti da
tutti, le sue mani sono macchiate di sangue innocente.
Torna alla memoria l'infame
ricordo dei GAL, il battaglione basco e spagnolo e altre bande armate e
organizzate dallo Stato, che si dedicavano a seminare paura e terrore, mentre
la popolazione inerme osservava attonita come cadevano uno dietro l'altro
quelli che avevano cercato di criticare il sistema e lottare contro di esso.
Ricordiamo anche le bombe di
Piazza Fontana e alla stazione di Bologna, che hanno causato la morte di
centinaia di persone, fatti che al giorno d'oggi non sono ancora stati chiariti,
malgrado il tempo trascorso da quando si sono consumate queste atroci tragedie:
qualcosa si è mosso, almeno lo Stato italiano ha riconosciuto l'implicazione di
certi suoi soggetti dei servizi segreti in questi atti barbarici e criminali.
Per quanto cerchino di nasconderla, tutti sappiamo la verità, gli attentati
furono pianificati e ordinati dalle più alte sfere del potere costituito: è
stato il terrorismo di Stato che nella ricerca disperata di contrastare
l'enorme offensiva rivoluzionaria del proletariato, impegnato a cambiare e
trasformare radicalmente la realtà, si rese responsabile della morte di
centinaia di innocenti.
Più recentemente, lo Stato
italiano ha portato un gran numero di anarchici di fronte ai suoi santi
tribunali dell'inquisizione, accusandoli di appartenere a un'inverosimile
quanto grottesca organizzazione armata, strutturata gerarchicamente con tanto
di capi, luogotenenti e commandi operativi. Tutto questo accompagnato da una
forte campagna di criminalizzazione che ha dato luogo a una vera caccia
all'anarchico, chiunque parlasse di rivoluzione e di comunismo libertario o
avesse avuto qualsiasi contatto sporadico con l'anarchismo, era
sistematicamente perseguitato e incarcerato. La caccia non ha tardato a dare i
suoi frutti portandosi via la vita dei compagni anarchici Sole e Baleno, morti
per opera e grazie allo Stato, quando si trovavano sequestrati nelle sue
immonde prigioni.
Le cose non sono cambiate. Lo
Stato continua a utilizzare le montature politiche-giudiziarie, come arma per
spegnere i fuochi della resistenza proletaria che sorgono lì dove le
contraddizioni sociali sono più acute. È il caso dei tre compagni anarchici di
Madrid, accusati di aver inviato dei pacchi bomba a giornalisti del servizio
della stampa spagnola più reazionaria. L'operazione viene disegnata e
perpetrata, come si usa in questi casi, negli uffici del ministero degli
interni; la brigata provinciale di informazione o altrimenti la polizia
politica assicurano che gli accusati compaiano dinanzi all'autorità giudiziaria
incaricata di aprigli le porte della prigione, dove impareranno cosa significa
il dolore, la sofferenza e l'impotenza. Le prove? Mantenere relazioni con gli
anarchici e i proletari ribelli incarcerati.
Senza dubbio, per far sì che le
montature giudiziarie abbiano l'effetto desiderato, esse si servono del
contributo di elementi essenziali come il pubblico linciaggio, lo screditamento
personale e politico di chi subisce la rappresaglia, e la condanna morale dei
loro atti e del loro modo di essere, la loro sensibilità e il loro pensiero. I
mezzi di comunicazione dello Stato hanno un ruolo cruciale e decisivo sotto
questo aspetto, preparano il terreno per far sì che la repressione possa agire
impunemente, incaricandosi di criminalizzare e infangare il nome di individui,
gruppi, collettivi considerati scomodi e fastidiosi dal potere.
Il gioco è uno dei più perversi
che si possano immaginare: i giornalisti segnalano e accusano, i tribunali
sentenziano e le carceri eseguono.
Questi pedagoghi della coscienza
di massa, così impegnati a dimostrare l'indimostrabile, ovvero che questo mondo
così come è organizzato è il migliore che abbiamo mai avuto, eccellenti
manipolatori della realtà e ineguagliabili artisti nel distorcerla, chiamano
col nome di bugia e calunnia la libertà d'espressione, linciaggio mediatico il
diritto di informazione, marchiano di terrorismo la solidarietà attiva verso
chi subisce la rappresaglia politica ed è rinchiuso a vita nei centri di
sterminio del capitale, nascondono le torture e gli omicidi che si commettono
quotidianamente nei commissariati e nelle carceri, l'annichilimento dei
proletari ribelli nei moduli dell'isolamento sotto l'insegna dei prigionieri
FIES, la dispersione, la morte lenta e agonizzante dei prigionieri con malattie
incurabili e in stato terminale, appellandosi al potente e dogmatico Stato di
Diritto. Di fronte a uno scenario che potremmo definire dantesco, senza voler
essere troppo drammatici, ci sono solo due atteggiamenti: o la sottomissione
cieca e devota al dominio capitalista o la ribellione spontanea e passionale
contro tutto ciò che ci opprime e schiavizza.
- Chiusura dei moduli di isolamento e abolizione dell'archivio di interni
in osservazione speciale, FIES
- Fine della dispersione
- Libertà immediata per tutti i prigionieri con malattie incurabili
Abbattere il muro delle
galere!!!
Viva l'anarchia!!!
Michele Pontolillo, prigioniero
anarchico italiano sequestrato nel centro di sterminio di Villabona (Asturias).
C.P. de Villabona
Aptdo 33271 Gijon Asturies
(spagna)
Fonte: Michele Pontolillo in sciopero della fame ad oltranza, comunicato
diffuso il 7 dicembre 2000 da: lucianuro@hotmail.com