La Prigione-scuola e le vecchie carceri minorili*
Ma non esistevano i Tribunali per i Minorenni? E il carcere dove venivano condotti i ragazzi? E i carceri minorili, come erano? Raccontaci qualcosa della vita di tutti i giorni, e di come era la vostra condizione all'interno dei minorili. Qual era il vostro rapporto con i sorveglianti e il personale civile? Venivano persone da fuori ad "animare" attività interne? Una curiosità, c'erano ragazzi stranieri tra voi? Quali erano le tipologie dei reati più comuni? Da questa tua esperienza nelle carceri minorili, puoi dare un "giudizio"
sugli attuali Istituti Penali Minorili (I.P.M.) ?
intervista ad Alessandro Pinti a cura di Italo Dorini
pubblicata sul sito www.ristretti.it
Nei primi anni settanta, molto prima delle riforme, i ragazzi che per qualsiasi ragione venivano a contatto con la realtà delle carceri minorili trovavano un ambiente duro e violento, nella totale assenza di fatto di ogni possibilità di trasformare l'esperienza detentiva in percorso di reale recupero alla normalità. Non esisteva nessun "binario preferenziale" nel trattare il minore arrestato, che anzi spesso era considerato l'anello debole del gruppo criminale, sul quale esercitare una maggiore pressione psicologica (a volte anche fisica!) per fini investigativi.
Si, c'erano i Tribunali per i Minorenni, ma è da chiarire la procedura: nel caso che un minore fosse stato arrestato con un maggiorenne (che quasi sempre erano dei ragazzi poco più che diciottenni) la competenza era del tribunale ordinario per adulti, con inquirenti che conducevano le indagini ed ogni altra attività istruttoria senza particolare riguardo per il minore.
Venivano spesso condotti in isolamento giudiziario (che durava mesi) nel più vicino carcere circondariale, per essere successivamente tradotti in una "prigione scuola".
Accadeva però che, per motivi legati all'inchiesta in corso, alla gravità del reato, e alla personalità del minore, la sua permanenza nella struttura per adulti diveniva una condizione "ordinaria", e lui veniva collocato anche nelle sezioni del carcere in totale promiscuità con gli adulti senza nessuna differenziazione.
È evidente a quali disagi ambientali andavano incontro i ragazzi arrestati, che spesso erano addirittura alla loro prima esperienza.
Come dicevo, alla fine si arrivava nella struttura carceraria minorile, che erano dei veri e propri carceri con sbarre e muri di cinta, con l'unica differenza che le guardie vestivano in "borghese" e noi le chiamavamo per nome. La "prigione scuola" rappresentava un'esperienza tutta particolare, che senz'altro "arricchiva" sotto l'aspetto della devianza, radicando le varie sottoculture che dal carcere trovavano il loro momento più qualificante di vita nella conseguente netta caratterizzazione tra "buoni " e "cattivi". I primi solidali e compatti come gruppo, gli altri vittime di ogni tipo di violenza, fisica e psicologica. Si forgiavano i futuri criminali, senza alcuna possibilità che qualcuno potesse evitare una tale prospettiva, se non pagandone prezzi altissimi. Chi infatti provava a farlo, rompeva equilibri particolari, trasformando spesso tale desiderio in una accentuazione violenta dei suoi comportamenti, diventando "gruppo" contro un altro gruppo, e alla fine vittima di quell'impossibilità di uscire fuori da certi contesti devianti.
Violenta era poi la risposta degli educatori e dei sorveglianti, quasi sempre disposti ad usare le maniere forti contro i ragazzi, con l'uso indiscriminato delle celle punitive, che non avevano nulla da invidiare a quelle destinate agli adulti, e che venivano impiegate a fini correzionali.
La prigione scuola, i carceri minorili in generale, si caratterizzavano per l'esclusiva funzione repressiva e di contenimento del fenomeno della devianza giovanile, allora molto diffusa, non esercitando nessuna funzione rieducativa.
Ai tempi girai praticamente quasi tutte le carceri per minorenni, dal "Ferrante Aporti" di Torino alla sezione minorile dell'Ucciardone di Palermo. Quattro anni consecutivi tra sezioni per adulti e strutture per minorenni. Ogni carcere aveva una gestione diversa, e diversi erano i suoi ristretti: c'erano i minorili di punizione, particolarmente rigidi, ricordo quelli di Forlì e Potenza, altri meno, come Pesaro e L'Aquila. Ci si conosceva praticamente tutti, o quasi, almeno i più "vecchi". Questo continuo girare i vari istituti "arricchiva" sotto il profilo dello "spessore criminale", e ogni spazio veniva occupato con violenza e comportamenti prepotenti.
Eravamo quasi sempre in cameroni comuni, e sceglievamo con attenzione i compagni con i quali condividerli. La televisione era consentita una volta la settimana, e ogni quindici giorni proiettavano un film delle edizioni "Paoline" nella sala cinema, dove sempre si scatenavano furibonde risse, che erano "d'obbligo".
I pasti venivano consumati nel locale refettorio, e non esisteva "spesa" del sopravvitto, a parte l'acquisto delle sigarette e dei bolli, ma solo per chi aveva soldi, cioè praticamente nessuno! La maggior parte del tempo lo si trascorreva chiusi nei cameroni, a secondo dell'istituto in cui si era, e in generale il tempo disponibile per la ricreazione e le varie attività era di sole 4-5 ore al giorno.
Ricordo in particolare il problema dei vestiti: fino a pochi anni prima esistevano indumenti simili a delle uniformi, che rendevano veramente desolante la figura dei ragazzi rinchiusi. Successivamente consentirono abiti comuni, e lo stesso magazzino del carcere minorile disponeva di tutta una serie di capi per i ragazzi che non avevano la possibilità di farseli inviare dai famigliari. Praticamente andavamo tutti vestiti comunque allo stesso modo, perché i vestiti del magazzino, che tutti usavano, erano di fatto identici!
Devo dire, sinceramente, che spesso si instaurava una rapporto di reciproca lealtà, anche con i sorveglianti, che diventavano dei veri e propri punti di riferimento. Così come però alcuni di loro erano particolarmente odiosi per i modi autoritari e violenti nell'esercitare il controllo e imporre la disciplina.
Il personale civile era vario: dalla cuoca alle maestre elementari (quasi tutti i ragazzi frequentavano corsi di alfabetizzazione primaria), ai vari operatori volontari che condividevano parte del loro tempo nell'organizzare momenti di socialità.
Mi viene in mente la cuoca, la signora Maria, che lavorava nella prigione scuola de L'Aquila. Una donna grossa e dai modi bruschi, ma disponibile e affabile con chi le chiedeva qualcosa (soprattutto roba da mangiare!!); una vera madre comune, forse l'unica persona che ricorderò sempre con affetto.
Ogni tanto entravano a trovarci studenti liceali delle scuole cittadine; momenti di banalità incredibile, tutto era molto formale, loro si disponevano in fila come bravi scolaretti, chissà, forse a vedere i "delinquentelli" da non imitare! Assolutamente vissuto in modo negativo da tutti noi, nulla a che vedere con le "feste" organizzate dai volontari negli I.P.M. attuali, dove questi momenti rappresentano occasioni di relazione dinamica e risocializzante, di importante contenuto umano e rieducativo, stando anche ai racconti che gli stessi ragazzi fanno nei loro giornalini, proprio perché organizzate con criteri del tutto diversi da allora.
Devo dire che non ricordo di aver conosciuto nemmeno un ragazzo straniero! La composizione era pressoché stabile da "sempre", con "rappresentanze" delle varie regioni e delle metropoli italiane (c'erano i siciliani, i pugliesi, i calabresi..., ma soprattutto c'erano i romani, i napoletani, baresi, leccesi...e via dicendo), e tanti ragazzi zingari, i più simpatici e casinisti!
Furtarelli, furti, scippi, piccole rapine e coinvolgimenti in reati di delinquenza insieme ad adulti, ma nessuno di noi, proprio nessuno di mia memoria, che avesse avuto imputazioni di consumo o spaccio di sostanze stupefacenti, che ai tempi, pur esistendo come fenomeno, era praticamente "d'élite", e la mia generazione, nonostante tutto, si ritiene fortunata di non essere stata coinvolta in tale drammatica situazione che attualmente distrugge tante vite e famiglie.
Sarà banale, ma è di una tristezza
incredibile pensare ai ragazzi chiusi, e nonostante i tanti anni di differenza
percepisco tutto il loro soffrire e quanto di buono hanno nel cuore. Penso
che non dovrebbero esistere strutture chiuse per i giovani, e bisognerebbe
trovare sempre e comunque alternative alla prigione, qualsiasi reato abbiano
commesso. Il carcere per un ragazzo rappresenta una sconfitta assoluta, abbrutisce
e spaventa. Qualunque sia la colpa del minore, lo stato dovrebbe interrogarsi
sulle proprie responsabilità, e attivare ogni iniziativa possibile
di recupero e assistenza attraverso le mille forme di ricostruzione delle
relazioni famigliari e sociali, e riattivando interessi che interagiscono
con il giovane deviato in termini immediati e costruttivi. La soluzione non
è certo quella di rinchiuderlo, e insieme a lui le sue speranze di
vita. Penso inoltre che nessun confronto possa essere fatto tra la mia esperienza
e la realtà di oggi, almeno sotto l'aspetto delle normative e del trattamento
dei minori. Devo ricordare che, per quanto mi riguarda, tutti gli amici di
allora li ho ritrovati nei vent'anni di carcere scontati. A che servono quindi
i carceri minorili, le prigioni scuola, gli istituti penali per minorenni?...a
nulla!, dovrebbero solo essere aboliti.
* Il Nuovo Codice di procedura penale minorile è stato introdotto con
il D.P.R. del 22 settembre 1988 n. 448, riformando il processo minorile e
sostituendo l'Istituto di osservazione (per i minori in custodia cautelare)
e la Prigione-scuola (per l'esecuzione della pena detentiva) con l'Istituto
Penale Minorile (I.P.M.).