Addio, carcere dal volto umano
di Paolo Ranieri

introduzione al libro
Ormai � fatta
di Horst Fantazzini
Edizioni Nautilus/El Paso, Torino, 2003, 2a edizione

E' uno spettacolo cui ci hanno forzatamente assuefatto: giorno dopo giorno, si moltiplicano coloro i quali non si risparmiano alcunch� pur di emergere dall'anonimato, pur di essere riconosciuti come personaggi, pur di rappresentare un modello qualunque, poco importa se positivo o negativo. Solo pochi, a fronte di tanti sforzi sovrumani e tante degradanti bizzarrie, riescono davvero nell'intento di trasfigurare compiutamente s� stessi, facendosi promuovere a ci� che quest'epoca riconosce di migliore e di pi� adeguato: una vera, pura, assoluta immagine.
Uno su mille ce la fa, come ammonisce Gianni Morandi, uno che dovrebbe avere titolo per affermarlo, dal momento che ce l'ha fatta.
A maggiore scorno di costoro, vere bestie da soma della produzione e del consumo d'immagini, esistono tuttavia anche coloro cui gli dei bizzosi dello spettacolo riservano l'imperscrutabile privilegio di essere innalzati a personaggi, senza, o addirittura contro la loro volont�. Cui tocca la dubbia fortuna di essere accompagnati e spesso preceduti ovunque dall'ombra di un'immagine che malevolenza, ottusit�, predilezione per le convenzioni e la banalit�, hanno loro costruito addosso. Un simile fato si abbatt� su Horst Fantazzini molto presto, quando, appena pi� che un ragazzo, rapinava, tutto solo, le banche. Gi� alla fine degli anni Sessanta le cronache dei giornali favoleggiavano del rapinatore gentile, che manda fiori alle commesse, segnalandolo come un personaggio inadeguato a "questi tempi cinici e spietati." (il presente appare sempre tale agli adoratori dell'ovvio, per poter meglio essere rimpianto quando sar� finalmente divenuto passato - e d'altronde divenire passato non � la vocazione pi� profonda del presente non vissuto?). E poi, via via, ecco l'immagine perfezionarsi e arricchirsi di nuove connotazioni, una pi� banale e trita dell'altra, il carcerato sempre in cerca di una via di fuga (per definizione impossibile), l'ultimo dei romantici, l'anarchico sognatore e vecchio stampo che "non avrebbe fatto male ad una mosca" (questa la dobbiamo alla penna impareggiabilmente conforme di Indro Montanelli) per giungere infine alla brutale nomea di sfigato, di quello che non gliene va una dritta. Alla costruzione di una figura cos� imbarazzante e inverosimile, che si direbbe balzata fuori d'un film tv (e che in un film tv ha finito per precipitare, un film esile, non volontariamente disonesto, ma pienamente schierato a consolidare l'"anomalia" Horst), e proprio per questo rassicurante, commovente, familiare, hanno collaborato in tanti, alcuni in buona fede, molti no.
La materia prima, come sempre, l'avevano accumulata i giornalisti, questi eterni liceali copioni e fannulloni, in perpetua caccia di un'immagine capace di definire, limitare, arginare gli individui, risospingendoli all'interno di quel circo della vanit� sociale, di cui i giornalisti sono precisamente i cerimonieri. Il meccanismo degli archivi, che perpetua la cronaca convertendola in una pseudostoria mummificata sempre intenta ad autoalimentarsi, determina una capacit� di intossicare nello spazio e nel tempo che trascende di gran lunga l'influenza diretta del singolo cronista: infatti, chi ricerca un nome ritrova (in una busta un tempo, in una cartella del computer oggi) tutti gli articoli scritti sull'argomento. A qual pro conoscere i fatti, le persone, se l� stanno gi�, condensati, eventi e personaggi? �Se, come avverte Benjamin, i proletari, con la rivoluzione, prima che del proprio futuro, hanno necessit� di riprendere possesso del proprio passato, � indispensabile, a tal fine, essere coscienti che tale possesso va innanzi tutto conteso e sottratto alle istituzioni che vi presiedono, la legge e la stampa, solidali nell'imprigionare la nostra memoria e nell'archiviare e salvaguardare unicamente le tracce della nostra prigionia.
Va detto, per amore di verit� che Fantazzini, da parte sua, e i suoi scritti pubblici e privati lo confermano, non mostr� mai indulgenza alcuna verso l'immagine che gli era stata confezionata addosso. E meno ancora cerc� di giovarsene, sia nel rapporto con i compagni, sia in quello con le istituzioni. Ma nessuno riesce a contendere a lungo col proprio personaggio, che, traendo la propria immortalit� da infiniti sguardi contemplativi, si consolida a mano a mano che l'uomo in carne ed ossa si indebolisce.
Cos�, una certa disponibilit� cordiale, unita forse con una propensione molto umana a sfuggire una delle pi� temibili pene accessorie del carcere, l'oblio integrale, la sopravvivenza a s� medesimi, la morte ancora in vita (non per caso "morte civile" era, ancora in anni recenti, un sinonimo di ergastolo), and� alimentando negli anni, presso tanti amici e amiche che Horst aveva seminato di l� dai muri del carcere, con la sua prosa sorridente, con la sua testardaggine, con la sua coerenza, e schiettamente e ingenuamente desiderosi di elaborare un'immagine rassicurante al carcerato di lungo corso, l'idea che egli fosse un perseguitato, un "buono", un prigioniero delle circostanze, in sostanza una vittima di un'ingiustizia particolare, e non di quell'ingiustizia assoluta che ha nome societ�. Che cosa di pi� commovente o di pi� comico - nel bazar dei sentimenti da cui pesca lo spettatore contemporaneo i due generi sono conservati fianco a fianco nel medesimo scaffale - del vecchio anarchico sfigato e individualista, in perpetuo ritardo rispetto al proprio tempo? E, infatti, in un articolo scritto in memoria di Horst un anno dopo la morte, Roberto Bui, al secolo WuMing 1, al secolo scorso Luther Blissett, non esita a scoprire e sottolineare senza perifrasi, con la riconosciuta micidiale capacit� di installarsi all'avanguardia del banale, la suggestiva consonanza di Fantazzini con Fantozzi, la maschera dello sfigato assoluto che ha portato Paolo Villaggio al Leone d'Oro per la carriera.
Il personaggio, troppo a lungo intrattenuto, finisce sempre per degradarsi definitivamente in macchietta. E' a questo punto che pu� dirsi raggiunto l'obiettivo, perseguito, a ogni costo, da cos� tanti mentitori concordi: celare, elidere, oscurare, minimizzare e ridicolizzare la coerenza e l'esemplarit� della vita di questo compagno.
E' dal fondo di quest'abisso di luoghi comuni che paralizzano e ottundono, che la ripubblicazione di questo libro deve prendere le mosse, per riafferrare la vicenda, lineare ed eloquente, di un uomo che ha voluto essere libero immediatamente, senza attendere che il partito lo conducesse o che le masse lo seguissero; che, agendo secondo questi criteri, ha anticipato con i propri atti un grande movimento di liberazione individuale praticata collettivamente; che ha voluto scegliere il proprio destino fino alla fine.
Autenticamente proletario, e quindi acutamente cosciente della propria estraneit� alle ragioni che muovono questo mondo, Horst non stava bene n� in carcere n� fuori dal carcere, e continuamente confrontava queste due condizioni, riconoscendone la sostanziale omogeneit� e complementarit�. Bench� avesse lavorato per cos� poco tempo in cambio di un salario, non cess� mai di considerarsi un operaio, n� quando rapinava, n� quando poi fu carcerato; un'attitudine che certo apparir� sorprendente al giorno d'oggi, quando neppure chi attende alle ultime catene di montaggio si percepisce pi� come operaio. Ma di volta in volta come cittadino, lavoratore, tecnico, produttore, e cos� via.
Ma, in quegli anni, un simile stato d'animo era di tanti, condotti a parteggiare per il bandito coraggioso, per l'individuo che aveva afferrato il proprio destino (chi non ricorda - e ne permangono alcune tracce perfino oggi - l'immensa popolarit� di un Vallanzasca nella sua citt� che in lui riconosceva l'intraprendenza, la guasconeria, l'irriducibilit� del proletario milanese, uno che con le proprie mani faceva da s� non solo s� stesso ma il proprio destino, magari a mano armata) dalla coscienza di una precisa continuit� fra la ribellione individuale e la rivolta collettiva, che tumultuosamente crescevano di pari passo, alimentandosi a vicenda. Quanti, soprattutto negli anni immediatamente successivi, furono quelli che percorsero la medesima strada di Horst? La strada di un operaio povero, insofferente alla disciplina e alla sottomissione, che sceglie di fare davvero quel che tantissimi pensano di fare, e solo alcuni fanno davvero: di andare a rubare piuttosto che continuare ad obbedire. Non avendo motivi di particolare rancore verso le persone che incontra in questa sua nuova attivit�, Horst le tratta con la gentilezza che gli � consueta. Non � cosa rara fra i rapinatori, che sovente patiscono la necessit� "professionale" di minacciare come qualcosa di alienato e di estraneo alla loro natura e si sforzano di temperare questa brutalit� in qualche modo. Il "rapinatore gentiluomo", perlomeno in quell'epoca, non era certo una rarit�, specie fra i rapinatori solitari. Meriterebbe anzi di essere indagato se parte della brutalit� che a volte si associa con il rapinatore, non si debba piuttosto a relazioni interne al gruppo, a segnali gerarchici rivolti ai complici, piuttosto che a un'indole o a una necessit� operativa. Anche perch�, se cos� non fosse, parrebbe logico che fosse il solitario, meno dotato di potenza fisica e di fuoco, a dover supplire con un surplus di malvagit� ostentata, intesa a paralizzare le reazioni delle vittime. Si diceva, o forse si dice ancora, dei rapinatori che fossero tutti matti e che i puntisti fossero i pi� matti di tutti i rapinatori (usava distinguere, in quei tempi di valorizzazione delle professionalit�, i rapinatori in autisti, addetti alla vettura, banconisti, addetti a saltare il bancone e a svuotare le casse, lunghisti, armati di lunghetto - cio� il mitra, ma poteva andar bene il pi� diffuso canne mozze -, destinati a tenere sotto controllo gli spazi aperti, e puntisti, destinati ad agire per primi, disarmando eventuali guardie e a "puntare" l'uomo pi� pericoloso). Il solitario, che deve svolgere tutti i ruoli da s�, ha il vantaggio di rischiare solo le insufficienze proprie, e lo svantaggio di non avere mai le spalle sufficientemente coperte.
Fantazzini, in molte circostanze, operer� da solo; non per questo � possibile pensarlo come un isolato. Ma piuttosto un impaziente che, piuttosto che attendere complici e affini, va avanti da solo, divenendo cos�, senza alcuna pretesa avanguardistica, un precursore, un apripista.
Le medesime caratteristiche le troveremo una volta che Horst sar� carcerato: immediatamente si impegna a fare quel che tutti i detenuti sognano, parecchi dicono di volere, e solo alcuni organizzano praticamente. Evadere. Abituato, da rapinatore, a puntare l'uomo e in genere gli ostacoli, naturalmente si orienta verso l'uscire di prepotenza, dalla porta; senza complici all'interno ma fidando evidentemente in un supporto esterno. L'esito �, dopo eventi alterni, complessivamente sfortunato. Si tratta di una maniera di evadere piuttosto difficile, anche se probabilmente � l'unica adatta alla sua personalit�: perch� il carcere si riempia di soggetti che gli possano essere pari, con cui costruire tragitti comuni, manca ancora qualche anno. E Horst, che sta in galera perch� non intendeva sottomettersi, certo non sarebbe disposto ad operare come gregario di qualcuno, e non �, d'altronde, e non desidera essere un capo.
Probabilmente non saprebbe da che parte incominciare.
Horst � anarchico, per cultura addirittura familiare. Non ha una propensione particolare per la teoria, che pure conosce e pratica, ma il suo punto di vista, fin da ragazzo, � quello anarchico. Non � per�, al contrario di quel che gli fu attribuito da tanti, n� un'individualista, n�, tanto meno, un amante del gesto. Quando, spesso, agisce da solo lo fa perch� non ha incontrato persone che gli somiglino e che abbiano i suoi medesimi propositi, non perch� si rifiuti ad un'azione comune. Questo emerge molto bene nella seconda met� degli anni Settanta quando si forma un ampio movimento di detenuti ribelli, appassionati di rivolta e libert�, che articolano un abbozzo di rete intesa all'evasione, alla rivolta, alla distruzione del carcere e, attraverso queste vie, all'abbattimento di ogni istituzione. Horst � sicuramente, anche in questo, che pure pi� d'ogni altro potrebbe definirsi il suo habitat, un soggetto parzialmente anomalo, sia perch� ha qualche anno in pi� dei giovani compagni; sia perch� non rientra in alcuno dei tipi cui la gran parte di loro potrebbe ricondursi: non � un detenuto comune politicizzato, che abbia scoperto, sinceramente o strumentalmente o le due cose insieme, la rivoluzione in galera; non � neppure un illegalista, che abbia identificato la rivoluzione con la rapina, il sequestro di persona, il saccheggio, la "riappropriazione individuale"; non ha rapinato con la motivazione o la scusa della "causa"; non � neppure un semplice detenuto di lungo corso, reso insofferente alla costrizione e alla disciplina, e che si contenta di insubordinazione e di violenze. Oltre a ci�, pochissimi allora si definivano, senz'altri aggettivi, anarchici come faceva lui: sembrava allora, all'indomani del 68, che le vecchie ideologie ereditate dal secolo precedente, andassero profondamente rimescolate e ripensate, e forse nessuno avrebbe potuto prevedere la primavera anarchica di nuovo genere che sarebbe fiorita nei successivi decenni, fino ad oggi.
Non ho mai incontrato Horst: in carcere un nume imperscrutabile e balzano presiede agli incontri riusciti e agli incontri mancati. Pure, per qualche anno abbiamo fatto parte del medesimo club, cui ci aveva iscritti - senza consultarci - il generale Dalla Chiesa (quello cui ora s'intitolano viali e scuole; e quanti fra i viventi meriterebbero al pi� presto un analogo onore postumo). Eravamo "quelli degli speciali", i "differenziati", i pericolosi. Ma, allo stesso tempo, anche noi carcerati, senza attendere che l'amministrazione ci riconoscesse e ci isolasse, avevamo principiato a riconoscerci fra noi. Horst partecipava a pieno titolo a quel movimento, che si opponeva alla ferale egemonia brigatista, e che avevamo voluto chiamare "detenuti sociali", riprendendo una locuzione che veniva dai compagni carcerati in Spagna, intesa a ripudiare la distinzione tra detenuti politici e detenuti comuni, vedendo tutti semplicemente come detenuti dalla societ�, a causa della societ�, nell'interesse della societ�.
Ripensandoci, forse nessuno in Italia � stato "detenuto sociale" in maniera pi� eloquente di quanto lo sia stato lui, Horst Fantazzini.
Quando le circostanze conducono Horst all'Asinara insieme con molti dei pi� rappresentativi elementi dei Comitati di lotta subordinati alle Brigate Rosse, vera e propria cinghia di trasmissione dell'organizzazione armata, non si estrania dalla rivolta, e vi partecipa anzi fino in fondo: ma fino in fondo rivendica le ragioni proprie, il proprio punto di vista. Che uscir� sullo Speciale Asinara in coda al comunicato ufficiale, in una redazione che non permette di distinguere fra la voce ufficiale e quella di una persona vera. Il che gli varr� un ostracismo aggressivo da parte dei provvisori satrapi delle carceri speciali; un ostracismo che non verr� mai condotto a fondo, per�, a causa del rispetto che Horst ispira e del timore degli stalinisti di perdere l'appoggio del pi� gran numero dei carcerati ribelli, senza i quali le loro mene sprofonderebbero anticipatamente nel fallimento e nella vergogna. I brigatisti si limiteranno cos� ad aggiungere qualche nuova pennellata al quadro dell'"originale", del tipo strano, dell'individualista irriducibile, del vecchio anarchico, relitto di un'epoca precedente, irridendolo come "Unico che, dall'alto del suo piedistallo" osa confrontarsi con le avanguardie coscienti del partito futuro.
Ma il crollo del movimento rivoluzionario italiano, che pretendeva di sopravvivere, in crescente debito d'ossigeno, al tracollo mondiale di questa prima esperienza di autonomia soggettiva, non poteva non trascinare il movimento delle carceri, anche aldil� del cosciente sabotaggio operato dai brigatisti sciagurati, che lo avevano eletto a nuova fucina di militanti, dopo la progressiva espulsione delle grandi fabbriche e lo spostamento dentro le prigioni del baricentro delle organizzazioni armate. escortannonce.net/escorts/marseille/
L'ultimo grande exploit che vede insieme per l'ultima volta politici e comuni, coincide con la grande evasione di massa dalla sezione speciale di San Vittore, nel 1981.
Di seguito, il naufragio e il silenzio.
Finch�, dopo lunghissimi anni, Horst, ottenuta la possibilit� di uscire dal carcere in quanto semilibero - assaporiamo debitamente la portata sconvolgente di questo neovocabolo - e sperimentata sulla propria pelle l'insopportabilit� della condizione del detenuto che suona il campanello per essere riammesso in cella, si rende irreperibile.
Catturato nuovamente e dopo molti altri anni infine liberato, mostra fino all'ultimo giorno di essere sempre lo stesso. �Ma tutto congiura perch� quest'ultimo arresto e l'epilogo della sincope in carcere il giorno successivo, siano il degno coronamento della creazione mediatica del "povero Horst", tanto buono e tanto sfortunato, che lottava con mezzi inadeguati contro forze pi� grandi di lui, prigioniero di un sogno sopravvissuto a s� stesso, che si era illuso di poter agire, oggi! come un uomo libero.
Cos� tocca leggere una volta di pi�, un numero impressionante di sentenze di grilliparlanti, professionali o per diletto, che ridono perch� "aveva un taglierino", quasi che per trasmettere la propria volont� ad un bancario occorrano i lanciagranate - si ricorda di una rapina fatta una ventina d'anni fa, semplicemente a schiaffoni da due individui armati solo di pensiero e volont�? Oppure: "cercava di scappare in bicicletta", quasi che a Bologna, questa non sia un mezzo rapido e discreto, ben pi� di un'automobile. Perfino degli omicidi sono stati compiuti da persone in bicicletta nei centri storici; e quante rapine addirittura a piedi, in tram, in tass�.
E' proprio della falsificazione galoppante che la coerenza, la seriet�, la messa in pratica delle teorie affermate a parole, l'azione diretta contro le proprie condizioni materiali appaiano balzane e ridicole, le stranezze di un originale, le testardaggini di un originale, sopravvissuto di una fase storica precedente e conclusa, di cui rispettare l'"umanit�" (che per questi avvoltoi sempre si associa con la debolezza, la sconfitta, l'isolamento) o mettere alla berlina il pensiero e la pratica reale; mentre vengono descritte come perfettamente serie e normali le giravolte che conducono sedicenti situazionisti a dirigere reti Rai, sedicenti anarchici a tuonare contro la violenza (da sempre estranea all'anarchismo, come sanno bene i lettori di A - Rivista anarchica), sedicenti rivoluzionari a presentarsi alle elezioni, sedicenti guerriglieri a rieducare tossici e adolescenti a rischio, sedicenti antagonisti a convertire le proprie cittadelle metropolitane in mercatini per affarucci equi e solidali. E qui non facciamo alcun nome non perch� non se ne affollino alla nostra memoria, ma perch� quei nomi non meritano di figurare n� qui n� in alcun altro luogo. Chi sceglie lo stato, abdica a s� stesso, rinuncia all'ombra della sua stessa memoria, rientra baldanzosamente e volontariamente nella marea del nulla.
Il buffo Horst, per uscire di galera, ha sempre scelto la "via dell'aria", non ha baciato l'anello di alcun vescovo, sponsorizzato alcun progetto di amnistia, condono o indulto, non si � candidato in alcuna lista, non ha posato ad artista, non ha fatto il perseguitato.
Ai tanti Pat Garrett dell'illegalismo, pronti a restituire le armi e a "tornare alla politica", partiti militanti e arrivati sbirri, avrebbe potuto dire come, nel film di Peckinpah, Billy the Kid dice: "le cose sono cambiate? Pu� darsi, ma io no".
Che cosa c'� da ridere? Che cosa c'� da compatire e non piuttosto da imitare in tutto questo?
Non era un rivoluzionario carismatico, un Marcos, un Durruti, un Makhno; non era neppure un criminale rocambolesco, un Mesrine, un Silvano Maistrello "Kociss", un Vallanzasca; e neppure uno di quegli irriducibili combattenti delle carceri, un George Jackson, un Giorgio Panizzari, un Tarrio, e neppure un grande illegalista, un Libertad, un Jacob, un Bonnot; era, potremmo dire semplicemente, un uomo libero, che poneva la libert� dinanzi a tutto.
Ha provato a lavorare, ha sperimentato la vita di tutti i giorni, la vita quotidiana e l'ha trovata misera e amara. Non � andato a rapinare per la passione di sperimentarsi e di far correre il sangue in un turbine di pigrizia e d'avventura, come in anni di poco successivi si sarebbe fatto in cos� tanti. Non � andato perch� un'ideologia anarchica o non anarchica glielo suggerisse, ma, semmai, perch� gli stava in cuore "un pensiero ribelle", perch� aveva presente, sempre, l'opzione della libert�. La confrontava con la sottomissione, con la condizione che la societ� gli suggeriva, e ogni singola volta la sceglieva.
Quando si parla di "azione diretta" immaginandola come una sorta particolare di intervento politico, varrebbe la pena di ripensare la vicenda di Horst Fantazzini, prova vivente dell'assioma sovversivo: un individuo, meno sopporta, meno diviene capace di sopportare. O anche "l'emancipazione del proletariato sar� opera del proletariato stesso: l'emancipazione di ogni singolo proletario � e pu� essere opera solo sua".
L'unica opera, aggiungiamo, cui convenga davvero accingersi, il nostro vecchio pensiero ribelle ben radicato in cuore.