Se ne sono accorti subito, in ospedale, che il detenuto arrivato da Rebibbia
aveva un tumore al cervello. Ma in carcere no, nonostante cinque mesi e più
di svenimenti, crisi epilettiche e proteste per le mancate cure. Finzioni da
carcerato, disturbi di natura psicogena: queste le ipotesi dei medici. Da ultimo,
quando stava per morire, hanno attribuito i sintomi all'isteria. Alla fine il
detenuto è stato ricoverato al Pertini, ma ormai era in coma da ore e
il chirurgo non è riuscito a salvarlo. Pochi giorni fa i consulenti della
procura, Giovanni Arcudi e Roberto Vagnozzi, docenti a Tor Vergata, hanno depositato
una relazione che suona come un atto d'accusa per l'intera organizzazione sanitaria
del carcere.
Burocratica, disattenta e sbrigativa: così appare la gestione della salute
a Rebibbia nelle 40 pagine della consulenza. Per individuare il tumore, sostengono
i tecnici, sarebbe bastato sottoporre il detenuto a Tac ed elettroencefalogramma.
Esami richiesti ogni tanto, eseguiti mai. Il comportamento dei medici è
stato «decisamente censurabile». E Francesco Marrone, 41 anni, di
Petrosino, nel trapanese, è morto per la negligenza di alcuni e l'imperizia
di altri. Certo, la neoplasia prima o poi l'avrebbe ucciso, ma la mancata diagnosi
e la mancata cura "hanno accelerato i tempi del decesso". Che è
avvenuto il 16 febbraio scorso.
Nella relazione i due docenti ricostruiscono l'agonia del recluso, che stava
scontando quattro anni e nove mesi per il tentato omicidio degli ex suoceri.
È il 27 agosto 2003, ore 9, quando Marrone sviene per la prima volta.
Da quel giorno è sottoposto a 12 visite psichiatriche e a sei neurologiche,
queste ultime sempre con esito negativo. L'elettroencefalogramma, sollecitato
otto volte da diversi medici di guardia, non viene mai eseguito. La Tac viene
chiesta soltanto il 6 febbraio, quando il detenuto è trasferito in coma
al Pertini. Eppure i sintomi che Marrone descrive fin da quella mattina di fine
estate dovrebbero suscitare almeno qualche sospetto: il recluso rimette, perde
coscienza, ha fortissime sudorazioni. Il 13 dicembre un medico diagnostica una
crisi epilettica, ma nemmeno in quel momento scatta l'allarme. Intanto lo psichiatra
scrive che Marrone ha «disturbi del comportamento» e «anomalie
caratteriali», sostiene che "gli episodi lipotimici (gli svenimenti,
ndr) sembrano di natura psicogena". Il 3 febbraio, tre giorni prima del
coma, la cartella clinica riferisce: "Si rifiuta di collaborare e simula
situazione di incoscienza". Il 4: “Biascica a mezza voce di stare
male”.
Per i consulenti non ci sono dubbi: il carcere ha chiesto il trasferimento al
Pertini quando le condizioni di Marrone erano disperate. Operato d'urgenza,
il detenuto muore dieci giorni dopo. Il fratello Nicola, 45 anni, ex agente
di custodia, si è rivolto all'avvocato Micaela Chiriaco per denunciare
il caso. E il pm Antonella Nespola ha iscritto dieci medici e il direttore sanitario
nel registro degli indagati per omicidio colposo. Nel fascicolo dell'inchiesta
ci sono anche due lettere scritte da un detenuto a Nicola. La prima: "Le
condizioni di salute di suo fratello sono precarie. Aleggia il sospetto della
simulazione. Ho preso il suo indirizzo dalla lettera che lei ha mandato e che
Francesco non ha potuto leggere". L'altra: “Da tre mesi tuo fratello
veniva curato con un farmaco antiepilettico. Chi poteva entrare nella cella,
cercava di dargli da mangiare e pulirlo". Solo, inascoltato, abbandonato
alla sua malattia: il detenuto siciliano è morto così.