Francesco Romeo, un 28enne di oltre cento chili per un metro e 85 di
altezza, muore il 7 ottobre 1997 nel carcere di Reggio Calabria. Un paio di
settimane prima, nell'ultimo colloquio col fratello, aveva riferito di
essere oggetto di pesanti pressioni volte a farlo "collaborare". Dagli atti
giudiziari emerge che il 29 settembre Romeo sarebbe stato aggredito da
almeno cinque persone e il suo corpo trasportato sotto un muro per simulare
un tentativo di evasione. Una maldestra messinscena smascherata dalla
consulenza medico-legale, che ha dichiarato l'assoluta incompatibilità
delle lesioni con la precipitazione da un'altezza di neanche quattro metri.
La causa diretta della morte sarebbe infatti un violento pestaggio a colpi
di bastone o manganello che avrebbe provocato la frattura del cranio. Le
lesioni alle braccia avrebbero evidenziato un tentativo di protezione del
volto; quelle allo scroto e al coccige una tortura inferta prima dei colpi
mortali. Un caso per molti versi simile a quello di Marcello Lonzi, il
giovane livornese deceduto nel carcere Le Sughere per cause ancora da
chiarire. Notizia di ieri è che l'avvocato che assiste la madre di Lonzi è
entrato in possesso di una ventina di fotografie per lui inedite, allegate
al fascicolo relativo alla morte, nelle quali si vedono la schiena e i
glutei del giovane segnati da profonde ferite, oggettivamente incompatibili
con l'ipotesi ufficiale che parla di morte accidentale procurata da un
infarto e dalla conseguente caduta faccia a terra.
Ma torniamo al caso Romeo. La Corte d'Appello di Reggio Calabria, il 6 marzo 2003, ha confermato la condanna nei confronti del comandante e di un agente della Polizia penitenziaria del carcere reggino, ma con una sostanziale modifica del titolo di reato. Il primo è infatti passato da concorso omissivo doloso (è al corrente di quanto accade, ha l'obbligo di intervenire ma non interviene) ad agevolazione colposa (non è al corrente di quanto accade ma organizza il servizio in modo tale da agevolare inconsapevolmente gli autori dell'omicidio); il secondo da favoreggiamento a false dichiarazioni al Pm.
Il processo, celebrato con rito abbreviato, ha portato all'assoluzione di 19 imputati su 21 perché le dichiarazioni degli indagati subito dopo il linciaggio furono rilasciate in assenza dei propri legali. Resta misterioso il motivo per cui il Pm li abbia iscritti nel registro delle notizie di reato il giorno successivo al rinvenimento del corpo, ascoltandoli successivamente in qualità di persone informate sui fatti. Ci vorranno un anno e otto mesi perché siano ascoltati come imputati (e tutti, tranne uno, si avvarranno della facoltà di non rispondere). Nessuno ha poi voluto interrogare i compagni di cella e dell'ora d'aria. Questi ultimi in particolare avrebbero potuto riferire se Romeo alle 9 del mattino sia mai realmente entrato nel cortile esterno (in tre non lo ricordano presente).
è stata inoltre accertata, all'interno del carcere, la presenza dei Gom, i Gruppi operativi mobili. Ad alimentare ulteriori sospetti sono poi una serie di domande che non hanno trovato risposta: perché il comandante, proprio quella mattina, priva di adeguata custodia alcuni punti chiave del carcere? Perché sposta cinque uomini per sostituire un solo agente in malattia? Perché modifica le proprie mansioni alle 9 dopo la conferenza di servizio delle 7,50? Perché affida il controllo di due posti chiave (primo cancello e garitta cortile passeggio) a un solo agente? Perché questi non fa scattare l'allarme che avrebbe permesso la registrazione automatica dei filmati a circuito chiuso? Perché l'agente preposta ai monitor della sala regia non vede niente sino alle 10? E perché nessun agente, dalle 9 alle 10, vuole risultare al proprio posto? Il Pm Roberto Pennisi, lo stesso che ha chiesto l'archiviazione del caso Lonzi, non ha saputo dare risposta a nessuna di queste domande, limitandosi a chiedere l'assoluzione per i vizi formali riportati in precedenza.